L'ascensore deve considerarsi di proprietà comune anche dei condomini proprietari di negozi siti al piano terreno

In tema di condominio, l'ascensore deve considerarsi di proprietà comune anche dei condomini proprietari di negozi siti al piano terreno, poiché occorre fare riferimento non all'utilizzo in concreto ma alla potenzialità del medesimo. La sostituzione dell'argano e del motore di un ascensore condominiale, non può avere altra finalità che la conservazione dell'ascensore stesso ed è atto di amministrazione ordinaria della cosa comune, non comportando innovazione. (Tribunale Rovigo Civile, Sentenza del 31 maggio 2007, n. 61)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI ROVIGO

SEZIONE DISTACCATA DI ADRIA

nella persona del giudice unico, dr. Mauro Martinelli, sulle conclusioni prese all'udienza del 06 febbraio 2007 scaduti i termini di cui all'art. 190 c.p.c. alla data del 27 aprile 2007 ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

nella causa civile n. 182/2004 promossa con ricorso notificato con il pedissequo decreto con atti di data 23.07.2004 n. 1803 Cron Uff. Giud. intestato Tribunale da:

Fi.Ro., residente in Svizzera, Canton Ticino, città di Cl. via Ca. (...)

RICORRENTE

costituito a mezzo del proc. e dom. avv. Gi.Ce. del Foro di Rovigo, giusta mandato a margine del ricorso introduttivo

CONTRO

Condominio Re. sito in Ro.Ma. (RO), persona del legale rappresentante pro-tempore

RESISTENTE

costituito a mezzo del proc. avv. B.R. del Foro di Padova con dom. eletto presso lo studio dell'avv. Ch.Da. con studio in Ta.Di.Po. via Ro. (...), giusta mandato a margine della comparsa di costituzione e risposta

OGGETTO: RICORSO AVVERSO DELIBERA ASSEMBLEARE

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso, ritualmente notificato congiuntamente al pedissequo decreto di fissazione della prima udienza, Fi.Ro., in qualità di usufruttuario di una unità immobiliare ubicata nel Condominio "Re." sito in Ro.Ma. (Ro.), via Be. (...), conveniva in giudizio il predetto Condominio per ottenere la dichiarazione di nullità o inefficacia della deliberazione assembleare assunta in data 16 maggio 2004.

Deduceva, in particolare, quale motivo di illegittimità della deliberazione l'omessa comunicazione dell'indetta riunione assembleare.

Si costituiva tempestivamente il convenuto, eccependo in via preliminare l'erroneità della fissazione della prima udienza durante il periodo di sospensione feriale dei termini, non trattandosi di materia sottratta all'applicazione dell'ordinario regime di sospensione, e nel merito contestando la domanda avversaria.

Più precisamente, veniva eccepito che trattandosi di materie attinenti tutte alla straordinaria amministrazione l'usufruttuario non aveva alcun potere di voto, né conseguentemente diritto di essere convocato alla assemblea del 16 maggio 2004.

Svoltasi la prima udienza in data 26 agosto 2004, differita in accoglimento dell'eccezione formulata dalla parte convenuta, all'udienza del 10 dicembre 2004, con memoria autorizzata depositata in data 23 maggio 2005 parte convenuta deduceva l'intervenuta cessazione della materia del contendere per essersi svolta altra assemblea, in data 25/26 settembre 2004, con identico contenuto (fatta eccezione per l'aggiornamento delle tabelle millesimali) ove il Fi. era stato regolarmente convocato ed aveva partecipato.

Successivamente, senza assunzione di mezzi istruttori, all'udienza del 6 febbraio 2007 le parti concludevano come trascritto in epigrafe ed il Giudice, all'esito dei concessi termini di cui all'art. 190. I comma c.p.c., tratteneva la causa in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

In primo luogo occorre dare atto dell'intervenuta cessazione della materia del contendere.

Come più volte ribadito dalla Suprema Corte, infatti, l'applicazione analogica dell'art. 2377 c.c. alle deliberazioni della assemblea condominale consente di ritenere cessata la materia del contendere tutte le volte in cui la delibera impugnata sia stata sostituita, successivamente all'instaurazione del giudizio, da altra delibera avente il medesimo contenuto ed adottata in conformità al dettato normativo (cfr. ex multis Cass., 28 giugno 2004, n 11961: "In tema di impugnazione delle delibere condominiali, ai sensi dell'art. 2377 c.c. dettato in tema di società di capitali ma, per identità di "ratio", applicabile anche in materia di condominio la sostituzione della delibera impugnata con altra adottata dall'assemblea in conformità della legge, facendo venir meno la specifica situazione di contrasto fra le parti, determina la cessazione della materia del contendere"; conf. Cass., 5 giugno 1995, n. 6304).

Nel caso di specie dal raffronto tra la delibera assembleare impugnata del 16 maggio 2004 e la delibera - successiva all'instaurazione del giudizio - del 25/26 settembre 2004 appare evidente come gli oggetti della riunione assembleare siano coincidenti (ad eccezione dell'aggiornamento delle tabelle millesimali, il cui oggetto non attribuiva alcun diritto di voto all'usufruttuario, con conseguente non applicabilità del regime di annullabilità della delibera assunta in difetto di sua rituale convocazione).

Orbene, accertato che la deliberazione assembleare del 25/26 settembre 2004 è stata assunta previa convocazione dell'attore - circostanza dedotta quale motivo di illegittimità della deliberazione impugnata - non può porsi dubbio circa la adozione della seconda deliberazione in conformità al dettato normativo e quindi in ordine alla cessazione della materia del contendere.

Tuttavia, è noto come la cessazione della materia del contendere non esenti il Giudice dal valutare la c.d. soccombenza virtuale per determinare il c.d. regime delle spese (cfr. Cass., 11 gennaio 2006, n. 271).

Sotto tale profilo, occorre dunque esaminare se la deliberazione assembleare del 16 maggio 2004 fosse annullabile per omessa comunicazione a Ro.Fi. quale usufruttuario di un appartamento ubicato nel condominio "Ro.".

Preliminarmente, occorre rilevare come la razionale lettura dell'art. 67 delle disposizioni di attuazione al codice civile imponga di ritenere legittimato alla partecipazione l'usufruttuario ad ogni assemblea ("Ogni condomino può intervenire all'assemblea"), ma la sua convocazione sia necessaria - ai fini della legittimità della deliberazione adottata - soltanto allorché all'ordine del giorno siano previste discussione in ordine ad oggetti sui quali egli possa esercitare il diritto di voto.

In altri termini - in attuazione del principio di effettività e protezione delle situazioni soggettivamente rilevanti - la violazione del diritto del condomino-usufruttuario si traduce in una violazione normativa idonea a configurare l'annullabilità della deliberazione assunta solo in quanto egli venga privato del potere di esercitare il suo diritto di voto.

Ne consegue che esclusivamente nell'ipotesi di ordine del giorno che preveda votazioni in relazione agli "affari che attengono all'ordinaria amministrazione e al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni" egli è legittimato a partecipare e votare e l'omessa comunicazione della riunione assembleare comporta la annullabilità della relativa delibera.

Ciò posto, occorre esaminare se l'ordine del giorno della assemblea del 15 maggio 2004 avesse ad oggetto un'ipotesi rientrante nell'alveo di operatività dell'art. 67, III comma disp. att. c.p.c..

Ritiene il Giudice che il suddetto vaglio consenta di ritenere "virtualmente" fondata la domanda di Ro.Fi..

Innanzi tutto perché il "ripristino impianto elettrico ed antenna centralizzata danneggiati da intervento appartamento n. 11" (punto n. 4 dell'ordine del giorno; cfr. doc. 1 del fascicolo di parte resistente) deve ritenersi un atto di ordinaria amministrazione.

È noto come la giurisprudenza di legittimità abbia individuato negli atti tesi alla mera conservazione dell'immobile, gli atti di ordinaria amministrazione (cfr. Cass., 5 novembre 1990, n. 10611: "Nel caso in cui faccia parte del condominio un piano o appartamento oggetto di usufrutto, il nudo proprietario deve essere chiamato a partecipare alle assemblee condominiali indette per deliberare sulle innovazioni o sulle opere di manutenzione straordinaria. Se invece si tratta di affari di ordinaria amministrazione deve esserne dato avviso all'usufruttuario il quale non può dare il suo voto nelle materie riservate al nudo proprietario") : tale osservazione è conforme a quanto disposto dall'art. 1108 c.c. che individua nelle "innovazioni dirette al miglioramento della cosa" gli atti di straordinaria amministrazione ed in generale negli atti non diretti alla mera conservazione del bene.

L'art. 1005 c.c., individua le riparazioni straordinarie - a carico del proprietario - solo in quelle attività radicali volte alla preservazione del fabbricato: "quelle necessarie ad assicurare la stabilità dei muri maestri e delle volte, la sostituzione delle travi, il rinnovamento per intero o per una parte notevole, dei tetti, solai, scale, argini, acquedotti, muri di sostegno o di cinta", nell'ambito delle quali non può rientrare il rifacimento dell'impianto elettrico, né tanto meno la sostituzione dell'antenna, attività, peraltro, funzionalizzate al mero godimento del bene.

Ne consegue che il ripristino dell'impianto elettrico comune, nonché dell'antenna centralizzata possono senza dubbio ricondursi nell'ambito degli atti conservativi di riparazione ordinaria - di cui all'art. 1004, I comma c.c. -, poiché non mirano ad innovare l'immobile, ma a preservarlo attraverso una restituito in integrum di servizi comuni, senza alcun intervento conservativo di natura straordinaria (sul punto cfr. Cass., 6 giugno 1989, n. 2745 e Corte di Appello di Bologna del 1 aprile 1989: "Non risultando il contrario dai titoli di acquisto delle singole proprietà individuali, l'ascensore deve considerarsi di proprietà comune anche dei condomini proprietari di negozi siti al piano terreno, poiché occorre fare riferimento non all'utilizzo in concreto, ma alla potenzialità del medesimo. La sostituzione dell'argano e del motore di un ascensore condominiale, non può avere altra finalità che la conservazione dell'ascensore stesso ed è un atto di amministrazione ordinaria della cosa comune, non comportando innovazione").

In secondo luogo, perché la nomina dell'amministratore (punto n. 6 della deliberazione impugnata) deve ritenersi atto di ordinaria amministrazione.

Si rileva, infatti, che è lo stesso dettato codicistico ad affermarne la natura giuridica: l'art. 1106, II comma c.c., infatti, sancisce che la nomina di un amministratore avviene con la maggioranza calcolata secondo quanto previsto dall'art. 1105 c.c., disciplinante, per l'appunto, la formazione della maggioranza necessaria per l'approvazione delle deliberazioni di ordinaria amministrazione.

D'altronde il conferimento dei compiti di amministrazione ordinaria ad un soggetto - l'amministratore del condominio - per la proprietà transitiva non può che essere a sua volta un atto di ordinaria amministrazione, perché null'altro opera se non traslare su un soggetto alcuni dei compiti e dei poteri di ordinaria amministrazione spettanti ai singoli condomini.

Nessun rilevo hanno, invece, le deduzioni di parte attrice in ordine ai punti n. 5 ("comunicazione dell'amministratore circa i procedimenti giudiziari") e n. 7 ("Polizza assicurazione fabbricato, comunicazione circa avvenuto aggiornamento urgente a causa pericolosità caduta pezzi travetti") in quanto - per le ragioni già esplicitate - l'attività di mera comunicazione di oggetti sui quali non deve essere espresso un voto non implica che la mancata comunicazione dell'avviso del giorno dell'assemblea dia luogo ad una annullabilità della delibera stessa, posto che non lede i diritti del condomino.

Le spese del giudizio, così come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza virtuale.

P.Q.M.

Il Tribunale civile di Rovigo - sezione distaccata di Adria - in composizione monocratica, nella persona del dott. Mauro Martinelli, definitivamente pronunciando nella causa iscritta al numero 182/04 R.G., ogni diversa domanda, eccezione e deduzione rigettate, così provvede:

A) DICHIARA cessata la materia del contendere;

B) CONDANNA il Condominio "Be", sito in Ro.Ma. (Ro), via Be. nella persona dell'amministratore protempore, alla rifusione delle spese di lite sostenute da Ro.Fi., complessivamente quantificate in Euro 2.500,00, di cui Euro 1.000,00 per diritti ed Euro 1.500,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e CPA come per legge.

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