L'eventuale rispetto dei limiti previsti dalla legge non puo' fare considerare, senz'altro, lecite le immissioni

n materia di immissioni, mentre e' senz'altro illecito il superamento dei limiti di accettabilita' stabiliti dalla leggi e dai regolamenti che, disciplinando le attivita' produttive, l'eventuale rispetto degli stessi non puo' far considerare senz'altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilita' formularsi alla stregua dei principi di cui all'articolo 844 c.c. (Cass. 14187 del 2006 E, DA ULTIMO, Cass. 22283 DEL 2014). Tale principio, nella sua prima parte, si basa sull'evidente considerazione che, se le emissioni acustiche superano, per la loro particolare intensita' e capacita' diffusiva, la soglia di accettabilita' prevista dalla normativa speciale a tutela di interessi della collettivita', cosi' pregiudicando la quiete pubblica, a maggior ragione le stesse, ove si risolvano in immissioni nell'ambito della proprieta' del vicino, ancor piu' esposto degli altri, in ragione della vicinanza, ai loro effetti dannosi, devono per cio' solo considerarsi intollerabili ai sensi dell'articolo 844 c.c., e, pertanto, illecite, anche, sotto il profilo civilistico. Tuttavia, pero', l'eventuale rispetto dei limiti previsti dalla legge non puo' fare considerare, senz'altro, lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilita' formularsi in relazione alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non puo' prescindere dalla rumorosita' di fondo, ossia da quel complesso di suoni di origine varia e spesso non identificabile, continui e caratteristici del luogo, sui quali vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi (c.d. criterio comparativo).

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, Sentenza 12 maggio 2015, n. 9660



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BUCCIANTE Ettore - Presidente

Dott. MIGLIUCCI Emilio - Consigliere

Dott. D'ASCOLA Pasquale - Consigliere

Dott. PICARONI Elisa - Consigliere

Dott. SCALISI Antonino - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 18356/2009 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS);

- ricorrente -

contro

(OMISSIS) SRL (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS);

- controricorrente -

e contro

(OMISSIS) SRL;

- intimato -

avverso la sentenza n. 1682/2008 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 11/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/02/2015 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l'Avvocato (OMISSIS), difensore della ricorrente che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;

udito l'Avvocato (OMISSIS), difensore del resistente che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha concluso per l'accoglimento del settimo motivo di ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(OMISSIS) con ricorso ex articolo 703 c.p.c., e articoli 1168 e 1170 c.c., unitamente a decreto ritualmente notificato, conveniva in giudizio davanti al Tribunale di Milano la societa' (OMISSIS) srl. e la societa' (OMISSIS) spa. E, premesso di essere proprietaria di un'unita' immobiliare al secondo piano dello stabile sito in (OMISSIS), esponeva che in data 7 ottobre 2000 la societa' (OMISSIS) srl., proprietaria dell'immobile al primo piano e la societa' (OMISSIS) spa., conduttrice dello stesso immobile, installavano un grosso macchinario per il condizionamento dell'area sul terrazzino condominiale senza il consenso del condominio, deturpando l'estetica dell'edificio e cagionando inquinamento acustico oltre i limiti della normale tollerabilita', chiedeva la tutela possessoria e il risarcimento dei danni cagionati.

Si costituivano le societa' convenute: la societa' (OMISSIS) eccepiva la mancanza di legittimazione ad agire della ricorrente, posto che il suo appartamento non si affacciava sul terrazzino condominiale di cui era causa e, comunque, negava che l'installazione del macchinario di cui si dice, avesse deturpato l'estetica condominiale o creato disturbo, oltre la normale tollerabilita'; la societa' (OMISSIS) ribadiva le stesse ragioni della societa' (OMISSIS).

Con ordinanza dell'11 maggio 2001 il Giudice respingeva il ricorso e rinviava per il merito possessorio. Ammessa ed espletata CTU il Tribunale di Milano con sentenza n. 2239 del 2005 respingeva le domande dell'attrice, ponendo le spese di lite e CTU a carico dell'istante. Secondo il Tribunale milanese, non sussistevano i profili della molestia consistente nella limitazione e deturpazione della veduta fruibile del terrazzino, non riscontrava un'alterazione del decoro architettonico, ne' inquinamento acustico dato dal compressore del condizionatore.

Avverso questa sentenza proponeva appello (OMISSIS): a) per omessa valutazione delle risultanze probatorie; b) erroneita' della decisione in punto di utilizzo della cosa comune; c) erronea esclusione della lesione al decoro architettonico; d) erronea reiezione della domanda risarcitoria; e) erronea regolamentazione delle spese di lite.

Si costituivamo le societa' (OMISSIS) contestando i motivi addotte dall'appellante e insisteva nella conferma della sentenza di primo grado.

Non si costituiva la societa' (OMISSIS) che veniva dichiarata contumace.

La Corte di Appello di Milano con sentenza n. 1682 del 2008 rigettava l'appello e condannava l'appellante al pagamento delle spese del grado.

Anche per la Corte di appello di Milano: a) le immissioni provenienti dall'impianto di condizionamento d'area non superavano la normale tollerabilita'; b) l'installazione del condizionatore nella parte di tetto comune non configurava un abuso e non comprometteva il decoro estetico, la stabilita' e la sicurezza dell'immobile e non era lesivo dei diritti degli altri condomini.

La cassazione di questa sentenza e' stata chiesta da (OMISSIS) con ricorso affidato a sette motivi. La societa' (OMISSIS) srl., ha resistito con controricorso. La societa' (OMISSIS) spa., in questa fase non ha svolto attivita' giudiziale.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con il primo motivo del ricorso (OMISSIS) lamenta la violazione e falsa applicazione del disposto dell'articolo 112 c.p.c., articolo 183 c.p.c., comma 5, (nel testo applicabile ratione temporis) e articolo 703 c.p.c., (nel testo applicabile ratione temporis), nullita' della sentenza per omessa pronuncia su una domanda delle parti (articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4). Avrebbe errato la Corte di Milano, secondo la ricorrente nell'aver ritenuto che la domanda relativa all'immissione di calore fosse insuscettibile di essere presa in esame, in quanto proposta solo in sede di memoria istruttoria ex articolo 184 c.p.c., perche' quella domanda avrebbe dovuto essere ritenuta ricompresa nella domanda generale con la quale, in via cautelare e nella fase del merito, si chiedeva che venisse ordinato alla societa' (OMISSIS) di cessare la concreta turbativa del possesso e la rimozione dell'impianto di condizionamento illecitamente installato.

Pertanto, conclude la ricorrente, dica la Corte Suprema se proposta azione possessoria con la quale il ricorrente abbia domandato la cessazione della turbativa mediante rimozione della causa di esso, la specificazione, contenuta in un atto successivo alla scadenza dei termini previsti dall'articolo 183 c.p.c., comma 5, (testo anteriore alle varianti apportate dal Decreto Legge n. 35 del 2005, articolo 2, comma 3, lettera c ter, con modifiche dalla Legge n. 80 del 2005, a sua volta successivamente modificato dalla Legge n. 263 del 2005, articolo 1, comma 1, lettera a), applicabile ratione temporis nella fattispecie) delle ulteriori conseguenze pregiudizievoli derivate dal fatto costituente turbativa, sia o meno domanda nuova sulla quale il giudice non e' tenuto a pronunciarsi.

1.1.- Il motivo e' infondato.

Come e' affermazione ricorrente in dottrina e nella stessa giurisprudenza di questa Corte, le parti processuali hanno la possibilita' di modificare e di precisare le proprie domande fino al primo termine ex articolo 183 c.p.c., nel testo cui occorre fare riferimento ratione temporis (quello fissato dalla Legge 26 novembre 1990, n. 353, articolo 17). In altri termini, la c.d. prima memoria di cui all'articolo183 c.p.c., rappresenta la barriera preclusiva della possibilita' di modificare e/o precisare e/o chiarire la domanda giudiziale.

Ora, nel caso di specie, come la stessa ricorrente evidenzia, dall'esame degli atti del processo, consentito in questa sede dalla natura essenzialmente processuale delle censure, non risulta che la sig.ra (OMISSIS) abbia fatto riferimento ad immissioni di calore: ne' nel ricorso introduttivo dell'azione possessoria ex articolo 703 c.p.c., ne' nella memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 5, ne' nelle precisazioni delle conclusioni nel giudizio di primo grado. Piuttosto, risulta che il riferimento alle immissioni di calore sia contenuto nella memoria istruttoria ex articolo184 c.p.c., cioe', oltre i termini di preclusione di cui all'articolo 183 c.p.c..

Per altro, e ancor di piu', la domanda relativa alle immissioni di calore non puo' ritenersi ricompresa, nella richiesta di cessazione della "turbativa" mediante rimozione della causa di essa, sia perche' la domanda di turbativa andava, comunque, specificata nei termini di cui all'articolo 183 c.p.c., sia perche', risulta dagli atti che, quella turbativa veniva indicata come dovuta a fatti di inquinamento acustico e non e' sostenibile ritenere equivalente una domanda relativa ad un'immissione di inquinamento acustico a quella relativa ad un'immissione di calore perche' la causa dell'immissione non identifica una qualita', ma un'identita' dell'immissione stessa tale che il suo mutamento identifica un'autonoma e, comunque, una nuova, domanda, basata su una causa petendi ulteriore, diversa da quella fatta valere originariamente.

Pertanto, correttamente, la Corte di Milano ha ritenuto tardiva la domanda proposta dalla sig.ra (OMISSIS) in relazione alle immissioni di calore, essendo stata proposta in sede di memoria istruttoria ex articolo 184 c.p.c..

2.- La ricorrente lamenta, ancora.

a) con il secondo motivo, la violazione e falsa applicazione del disposto dell'articolo 844 c.c., nonche' della Legge 26 ottobre 1995, n. 447, e del D.P.C.M. 1 marzo 1991, e D.P.C.M. 14 novembre 1997 (articolo 360 c.p.c., n. 3).

Secondo la ricorrente, la Corte di Milano, avrebbe errato nel ritenere che l'eccedenza delle immissioni rispetto alla normale tollerabilita' andava rilevata tenuto conto dei limiti massimi previsti dalla legge quadro sull'inquinamento acustico (Legge n. 447 del 1995) e dalle annesse disposizioni del D.P.C.M. del 1991 e D.P.C.M. del 1997, perche', questi provvedimenti normativi, fissando i limiti oltre i quali la fonte rumorosa e' da considerarsi di per se' illecita, contengono norme volte a tutelare l'interesse pubblico ambientale e non gia' a regolamentare i rapporti tra i privati. Piuttosto, l'indagine per l'individuazione della normale tollerabilita' delle immissioni avrebbe dovuto essere compiuta avuto riguardo sia alla condizione dei luoghi (come prescritto letteralmente dal citato articolo 844 c.c.), sia all'attivita' normalmente svolte in un determinato contesto ambientale. In particolare, la Corte di Milano, sempre secondo il ricorrente, avrebbe ignorato la circostanza che la via (OMISSIS) si trova nel centro della citta' di (OMISSIS) in zona pedonale prettamente residenziale, caratterizzata da abitazioni di elevato pregio, tanto che anche rumori di entita' minori dei limiti di legge divengono rilevanti sul piano dei rapporti privati.

Pertanto, conclude la ricorrente, dica la Corte di cassazione se il giudice nel vagliare la normale tollerabilita' delle immissioni acustiche di cui all'articolo 844 c.c., debba attenersi ai parametri fissati dalla Legge n. 447 del 1995, e dai D.P.C.M. 1 Marzo 1991, e D.P.C.M. 14 novembre 1997 oppure possa prescindere da essi.

b) Con il terzo motivo, l'insufficiente motivazione circa un fatto, l'incidenza dell'entita' (pari a 2,4 decibel) delle immissioni acustiche prodotte dal condizionatore della (OMISSIS) srl. sul presupposto della nomale tollerabilita' ex articolo 844 c.c., controverso e' decisivo per il giudizio (articolo 360 c.p.c., n. 5). Secondo la ricorrente la Corte di appello di Milano, avendo escluso che il rumore generato dal condizionatore non superava il limite di 3 decibel, avrebbe omesso di verificare la normale tollerabilita' dell'immissione con riferimento ai canoni indicati dall'articolo 844 c.c.. In particolare, la Corte di Milano avrebbe dovuto estendere la propria indagine alla situazione dei luoghi e/o, comunque, a valutazioni piu' complete e non, invece, ancorate alle sole prescrizioni dettate dallaLegge n. 447 del 1995.

In conclusione, la ricorrente chiede alla Corte di Cassazione di accertare che l'avere la sentenza n. 1682 del 2008 della Corte di appello di Milano ritenuto tollerabili le immissioni acustiche, oggetto del contendere, sulla base del solo fatto che le stesse non superavano il limite di 3 decibel senza estendere l'indagine alle condizioni dei luoghi per cui si controverte, rende la motivazione addotta inidonea a giustificare la decisione resa.

2.1.- I due motivi, che per l'intima connessione tra le censure proposte, vanno esaminati congiuntamente, sono fondati, nei termini di seguito precisati, e vanno accolti per quanto di ragione.

Come e' stato gia' affermato da questa Corte: in materia di immissioni, mentre e' senz'altro illecito il superamento dei limiti di accettabilita' stabiliti dalla leggi e dai regolamenti che, disciplinando le attivita' produttive, l'eventuale rispetto degli stessi non puo' far considerare senz'altro lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilita' formularsi alla stregua dei principi di cui all'articolo 844 c.c. (Cass. 14187 del 2006 E, DA ULTIMO, Cass. 22283 DEL 2014).

Tale principio, nella sua prima parte, si basa sull'evidente considerazione che, se le emissioni acustiche superano, per la loro particolare intensita' e capacita' diffusiva, la soglia di accettabilita' prevista dalla normativa speciale a tutela di interessi della collettivita', cosi' pregiudicando la quiete pubblica, a maggior ragione le stesse, ove si risolvano in immissioni nell'ambito della proprieta' del vicino, ancor piu' esposto degli altri, in ragione della vicinanza, ai loro effetti dannosi, devono per cio' solo considerarsi intollerabili ai sensi dell'articolo 844 c.c., e, pertanto, illecite, anche, sotto il profilo civilistico. Tuttavia, pero', l'eventuale rispetto dei limiti previsti dalla legge non puo' fare considerare, senz'altro, lecite le immissioni, dovendo il giudizio sulla loro tollerabilita' formularsi in relazione alla situazione ambientale, variabile da luogo a luogo, secondo le caratteristiche della zona e le abitudini degli abitanti, e non puo' prescindere dalla rumorosita' di fondo, ossia da quel complesso di suoni di origine varia e spesso non identificabile, continui e caratteristici del luogo, sui quali vengono ad innestarsi i rumori denunciati come immissioni abnormi (c.d. criterio comparativo). In buona sostanza, la valutazione ex articolo 844 c.c., diretta a stabilire se i rumori restano compresi o meno nei limiti della norma, deve essere riferita, da un lato, alla sensibilita' dell'uomo medio e, dall'altro, alla situazione locale.

Ora, nell'ipotesi in esame, la Corte di Milano si e' limitata ad affermare che "(-..) non e' oggetto di contestazione che allo stato le immissioni non eccedono la normale tollerabilita', essendo al di sotto dei 3 decibel, come accertati dal CTU, e, pertanto, non sussistono ragioni per disporre la il rimozione di un impianto che non arreca immissioni intollerabili". E' del tutto evidente che la Corte distrettuale afferma una conclusione, cui e' pervenuta, ma non chiarisce i presupposti giustificativi e le ragioni poste a fondamento di quella decisione. In particolare, la sentenza, non contiene alcuna indicazione, diretta o indiretta, dello stato dei luoghi e delle abitudini degli abitanti della zona e, neppure indica, se nel valore sia ricompreso il rumore di fondo, caratteristico della zona, e se la stessa rilevazione del rumore attiene alle ore notturne o a quelle diurne. Sicche', la sentenza non da modo di apprendere se l'accertamento richiesto dalla norma di cui all'articolo 844 ccsia stato effettuato e se sia stato effettuato correttamente, o se invece, la corte d'appello abbia deciso esclusivamente alla stregua della disciplina pubblicistica in materia di inquinamento acustico.

3.- Con il quarto motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del disposto dell'articolo 115 c.p.c., comma 1, e degli articoli 2697, 2056 e 1226 c.c., (articolo 360 c.p.c., n. 3). Secondo la ricorrente, considerato che - come ha dichiarato la CTU per averlo appreso da (OMISSIS), responsabile commerciale della impresa produttrice dell'impianto in oggetto - l'impianto torre di raffreddamento risalente all'ottobre 2000 era stato integrato nel gennaio 20002 con applicazione di cuffie afonizzanti - vi era la certezza che prima delle modifiche eseguite in corso di causa le immissioni superavano la normale tollerabilita'. I danni conseguenti alle immissioni illecite non avrebbero dovuto essere dimostrati perche' sarebbero in re ipsa e potevano essere liquidati con il criterio equitativo.

Pertanto, conclude la ricorrente, dica la Corte di Cassazione: se una volta stabilito che le immissioni acustiche eccedono al normale tollerabilita' ai sensi dell'articolo 844 c.c., il danno derivanti da tali immissioni sia in re ipsa e vada liquidato in via equitativa ex articoli2056 e 1223 c.c., oppure debba essere provato dall'attore, secondo i principi di cui all'articolo 1697 c.c., e articolo 115 c.p.c..

3.1.- Il motivo e' fondato.

E' consolidato l'orientamento di legittimita' secondo il quale l'accertamento del superamento della soglia di normale tollerabilita' di cui all'articolo 844 c.c., comporta nella liquidazione del danno da immissioni, sussistente in "re ipsa", l'esclusione di qualsiasi criterio di contemperamento di interessi contrastanti e di priorita' dell'uso, in quanto venendo in considerazione, in tale ipotesi, unicamente l'illiceita' del fatto generatore del danno arrecato a terzi, si rientra nello schema dell'azione generale di risarcimento danni di cui all'articolo 2043 del codice civile e specificamente, per quanto concerne il danno alla salute, nello schema del danno non patrimoniale, risarcibile ai sensi dell'articolo2059 c.c..

Pertanto, la Corte distrettuale ha errato nel ritenere che i danni conseguenti alle immissioni illecite andavano dimostrati perche', come si e' appena detto, i danni, di cui si dice, sono in re ipsa e nel rispetto dei presupposti di legge, avrebbero potuto essere liquidati con il criterio equitativo ai sensi dell'articolo 1226 c.c., come l'interessato aveva richiesto.

4.- Con il quinto motivo, la ricorrente lamenta: la violazione e la falsa applicazione del disposto dell'articolo 1102 c.c. (articolo 360 c.p.c., n. 3) insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto, la possibilita' degli altri condomini di fare pari uso del terrazzino secondo il loro diritto, controverso e decisivo per il giudizio (articolo 360 c.p.c., n. 5). Secondo la ricorrente, la Corte di Milano avrebbe errato nel ritenere che l'installazione del condizionatore di cui si dice nel terrazzino condominale non avesse alterato la destinazione, considerato che gli altri condomini non avrebbero potuto fare nessun specifico uso, perche' non avrebbe considerato che, dopo l'installazione del condizionatore, non vi era piu' spazio per godere del terrazzino nella stessa misura qualitativa e quantitativa.

Pertanto, conclude la ricorrente, si chiede alla Corte di Cassazione di accertare che l'avere la sentenza n. 1682 del 2008 della Corte di appello di Milano dedotto dall'assenza di collegamenti materiali fra il terrazzino condominiale e le proprieta' esclusive dei singoli condomini dello stabile di via della (OMISSIS), l'impossibilita' di uso di tale terrazzino (i) e' contraddetto dalla circostanza acclarata dalla stessa Corte di appello, che l' (OMISSIS), pur mancando un collegamento con al sua unita' immobiliare, ha installato sul terrazzino in questione la torre e vaporati va oggetto del contendere, nonche' (ii) rende la motivazione inidonea a giustificare la decisione resa in quanto, dopo l'installazione sul succitato condizionatore, gli altri condomini sono stati privati della possibilita', prima di allora sussistente, di godere della cosa comune nella stessa misura qualitativa e quantitativa.

4.1.- Il motivo e' infondato.

Va qui premesso che l'uso della cosa comune da parte di ciascun condomino e' sottoposto, secondo il disposto dell'articolo 1102 c.c., a due fondamentali limitazioni, consistenti: nel divieto di alterare la destinazione della cosa comune e nell'obbligo di consentirne un uso paritetico agli altri condomini. La norma appena richiamata, orientata ad assicurare al singolo partecipante, quanto all'esercizio concreto del suo diritto, le maggiori possibilita' di godimento della cosa, legittima quest'ultimo, entro i limiti ora ricordati, a servirsi di essa anche per fini esclusivamente propri, traendone ogni possibile utilita'. Come afferma la dottrina piu' attenta e secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, il divieto posto da questa norma va inteso come divieto di rendere impossibile agli altri partecipanti di farne uso, posto che il legislatore conferisce a ciascun partecipante la facolta' di realizzare la piu' intensa utilizzazione delle parti comuni, che sia compatibile con il diritto degli altri. Pertanto, non puo' considerarsi prescritto che ogni partecipante, nell'utilizzare le parti comuni, debba consentire agli altri di farne un uso identico, perche' l'identita' dello spazio o nel tempo potrebbe importare il divieto per ogni condomino di fare delle parti comuni un uso particolare a proprio esclusivo vantaggio. Ne deriva che, per stabilire se l'uso piu' intenso da parte di un condomino venga ad alterare il rapporto di equilibrio tra i partecipanti al condominio, e percio' non consentito, non deve aversi riguardo all'uso fatto in concreto di dette parti dagli altri condomini in un determinato momento, ma all'uso potenziale, tenendo conto e della destinazione attuale e delle ragionevoli prospettive offerte dalla cosa da valutarsi con concreto riferimento al caso particolare ed alle peculiarita' della fattispecie.

La Corte di Milano, ha fatto corretta applicazione di questi principi, specificando che il c.d. terrazzino condominiale su cui e' stato installato il condizionatore da parte della societa' (OMISSIS) srl., come si evince dalle foto prodotte, era una porzione di tetto non servita da rampe e scale e non connessa ad altra proprieta' e il manufatto, quindi, non ne ha alterato la destinazione, considerato anche che nessuno specifico uso potevano farne gli altri condomini. E la stessa Corte distrettuale conclude affermando che tale manufatto deve ritenersi lecito in quanto, oltre a non compromettere la stabilita', la sicurezza ed il decoro architettonico dell'edificio non ne alterava la destinazione e non era lesivo dei diritti degli altri condomini relativi al godimento sia delle parti comuni, sia delle parti di loro proprieta'. Il condizionatore consente legittimamente agli appellati di trarre dal bene comune una particolare utilita' aggiuntiva rispetto a quella goduto, dagli altri condomini senza costituire impedimento a questi ultimi all'utilizzazione del tetto in base alla sua naturale destinazione.

E' evidente, pertanto, che il ragionamento della Corte di Milano e' coerente con la normativa di cui all'articolo 1102 c.c., cosi' come interpretata dalla dottrina e dalla stessa giurisprudenza e con la situazione di fatto cosi' come e' stata verificata, anche attraverso una rappresentazione fotografica acquisita agli atti.

5.- Con il sesto motivo, la ricorrente lamenta la violazione e la falsa applicazione del disposto dell'articolo 1102 c.c., comma 2, (articolo 360 c.p.c., n. 3) insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto, la lesione del decoro architettonico dell'edificio condominiale di via della (OMISSIS), controverso e decisivo per il giudizio (articolo 360 c.p.c., n. 5). Secondo la ricorrente, la Corte di Milano, avrebbe errato anche nell'aver escluso che l'installazione della torre evaporativa non avesse alterato il decoro architettonico dell'edificio di che trattasi non avendo considerato che anche lo stesso CTU suggeriva di schermare la vista di tale manufatto.

Pertanto, conclude la ricorrente, dica la Corte di Cassazione se il decoro architettonico di un edificio possa o meno ritenersi leso, ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 1120 c.c., da una innovazione, la quale (i) sia effettuata in presenza di innovazioni gia' eseguite nelle vicinanze (ma su immobili diversi da quello condominiale oggetto del contendere) e (ii) non sia visibile da ognuno dei punti di osservazione del fabbricato.

La ricorrente chiede, altresi', alla Corte di Cassazione di accertare che l'avere la sentenza n. 1682 del 2008 della Corte di appello di Milano escluso la ravvisabilita' nella fattispecie della lesione del decoro architettonico dello stabile di via della (OMISSIS) senza accorgersi che nell'edificio vi era alcun altro macchinario di dimensioni paragonabili a quello dell' (OMISSIS) srl, e pure il CTU aveva colto il pregiudizio estetico arrecato da tale condizionatore, rende la motivazione inidonea a giustificare la decisione resa.

5.1.- I motivo e' infondato.

E' orientamento costante di questa Corte quello secondo cui: per decoro architettonico del fabbricato, ai fini della tutela prevista dall'articolo 1120 c.c., deve intendersi l'estetica data dall'insieme delle linee e delle strutture che connotano il fabbricato stesso e gli imprimono una determinata, armonica, fisionomia. L'alterazione di tale decoro puo' ben correlarsi alla realizzazione di opere che mutino l'originario aspetto, anche soltanto, di singoli elementi o punti del fabbricato tutte le volte che la mutazione sia suscettibile di riflettersi sull'insieme dell'aspetto dello stabile.

Ora, questi principi sono stati correttamente rispettati dalla Corte distrettuale la quale ha avuto modo di precisare che data la posizione e l'ingombro, il condizionatore di che trattasi, come rilevabile dalle foto, non alterava l'insieme delle linee e delle strutture ornamentali dell'edificio e dunque non alterava, modificava e sacrificava il decoro architettonico dell'immobile. Per altro la stessa Corte di Milano, condividendo l'affermazione del Giudice di primo grado, ha avuto modo di chiarire che la collocazione del manufatto sui tetti in presenza tra l'altro di altri apparecchi di condizionamento ben visibili nelle fotografie, oltre che di antenne, non appariva idoneo ad integrare alcun vulnus all'uniformita' architettonica dell'edificio sussumibile nella specie della molestia possessoria con riguardo al compossesso delle altre parti comuni.

Cosi' come correttamente la Corte di Milano ha chiarito che nessun rilievo assumeva la mancata autorizzazione da parte del condominio in relazione all'installazione del manufatto, essendo la controversia relativa al corretto uso della cosa comune.

A fronte delle valutazioni della Corte distrettuale, la ricorrente contrappone le proprie, ma della maggiore o minore attendibilita' di queste rispetto a quelle compiute dal giudice del merito non e' certo consentito discutere in questa sede di legittimita', ne' puo' il ricorrente pretendere il riesame del merito sol perche' la valutazione delle accertate circostanze di fatto, come operata dal giudice di secondo grado, non collima con le SUE aspettative e confutazioni.

Piuttosto e' costante, questa Corte, nell'affermare che l'indagine volta a stabilire se, in concreto, un'innovazione determini o meno l'alterazione del decoro di un determinato fabbricato e' demandata al giudice di merito il cui apprezzamento sfugge al sindacato di legittimita', se, come nel caso in esame, congruamente motivata (fra le ultime, la sentenza di questa Corte citata, anche, dalla Corte di Milano, la n. 17398 del 2004).

6.- Con il settimo motivo la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione del disposto dell'articolo 91 c.p.c., e articolo 92 c.p.c., comma 2, (articolo 360, n. 3) contraddittoria motivazione circa un fatto, la pretesa soccombenza della sig.ra (OMISSIS), controverso e decisivo per il giudizio (articolo 360 c.p.c., n. 5). Secondo la ricorrente la Corte di Milano nel determinare il regolamento delle spese giudiziali avrebbe omesso di applicare la compensazione delle spese,posto che la stessa aveva riconosciuto in capo alla sig.ra (OMISSIS) il diritto all'eventuale risarcimento dei danni per l'arco temporale di produzione delle immissioni.

Pertanto, conclude la ricorrente, dica la Corte di cassazione se intervenuta nel corso di causa la modifica dello stato dei luoghi da parte dei convenuti in sede di azione possessoria e riconosciuta la fondatezza (almeno parziale) delle domande attorce sino a tale momento, il giudice possa o meno ritenere totalmente soccombente l'autore del ricorso ex articolo703 c.p.c., e porre ex articolo 91 c.p.c., ad integrale carico del medesimo le spese di lite.

La ricorrente chiede, altresi', alla Corte di Cassazione di accertare che l'avere la sentenza n. 1682 del 2008 della Corte di appello di Milano ritenuto la sig.ra (OMISSIS) meritevole di condanna all'integrale rimborso delle spese processuali per entrambi i gradi del giudizio e' contraddetto dal riconoscimento in capo alla medesima sig.ra (OMISSIS) del diritto all'eventuale risarcimento dei danni per l'arco temporale di produzione delle immissioni.

6.1.- Il motivo rimane assorbito dall'accoglimento del secondo e terzo motivo del ricorso.

In definitiva, vanno accolti il secondo, il terzo e il quarto motivo del ricorso, dichiarato assorbito il settimo motivo e rigettati gli altri. La sentenza va cassata e la causa rinviata ad altra sezione della Corte di appello di Milano in relazione ai motivi accolti. Alla Corte di appello di Milano, ai sensi dell'articolo 385 c.p.c., comma 3, viene demandato il compito di provvedere alla liquidazione delle spese anche del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo, il terzo e il quarto motivo del ricorso, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di Appello di Milano, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione.

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