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L'indennità di sopraelevazione è dovuta dal proprietario dell'ultimo piano di un edificio anche per la trasformazione dei locali preesistenti mediante l'incremento delle superfici
Pubblicata il 23/02/2008
(Corte di Cassazione, Sezioni Unite Civile, Sentenza del 30 luglio 2007, n. 16794)
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Pa.La. impugna per cassazione, con cinque motivi e sotto vari profili, la sentenza 18.2.02 n. 101 con la quale la corte d'appello di Trento ne ha respinto l'appello proposto avverso la sentenza del tribunale del luogo 26.3.01 n. 396 che, accogliendo la domanda d'accertamento e liquidazione del diritto all'indennità di sopraelevazione di cui all'art. 1127/IV avanzata nei suoi confronti da Er.Im., Fr.Fe., Gi.Br. ed Er.Ma., come lui partecipanti al condominio "Cr.", lo aveva condannato al pagamento in favore degli stessi della pretesa indennità, quindi delle somme per ciascuno determinate in base alla norma de qua con interessi e rivalutazione, per aver trasformato in unità immobiliari abitabili un locale sottotetto di sua proprietà.
Resistono gli intimati con controricorso.
Per quanto interessa in questa sede, con il primo ed il secondo motivo il ricorrente - denunziando violazione degli artt. 1127 C.C. anche in relazione all'art. 12 delle disp. prel. C.C. e vizi di motivazione - censura l'impugnata sentenza nella parte in cui, recependo l'indirizzo prevalente nella giurisprudenza di legittimità, ha ritenuto doversi ricondurre il caso in esame - id est dell'operata trasformazione dell'originario sottotetto da parte del proprietario esclusivo di esso, nel 1985, in abitazione mediante lavori interni e, nel 1996, in due nuove unità abitative, poi alienate a terzi, mediante demolizione dell'originaria copertura, innalzamento di 50 centimetri dei muri perimetrali, ricostruzione della copertura - alla fattispecie della sopraelevazione regolata dall'art. 1127 C.C., questa ritenendo ravvisabile ogni qual volta l'opera realizzata non sia limitata alle sole modificazioni interne del sottotetto nel rispetto delle strutture originarie del fabbricato, ma determini anche un ampliamento di queste ultime, nella specie attraverso l'elevazione dell'originaria altezza dell'edificio ed il proporzionale spostamento in alto della sua copertura.
Prendendo lo spunto dall'opinione - difforme rispetto alla prevalente cui si è uniformato il giudice a quo - espressa da Cass. 22.5.00 n. 6643 e da alcune altre pronunzie nel precedente stesso richiamate, sostiene il ricorrente che il disposto dell'art. 1127/IV C.C. possa trovare applicazione nei soli casi di realizzazione di veri e propri nuovi piani o di nuove fabbriche, non anche nel caso di semplice trasformazione di locali preesistenti mediante l'innalzamento dei muri perimetrali e del tetto, ciò che, a suo avviso, non determinerebbe una maggiore utilizzazione dell'area sulla quale sorge il comune edificio mediante ulteriore sfruttamento della colonna d'aria sovrastante.
Discussa la causa innanzi alla seconda Sezione civile, questa, con ordinanza 28.1.05, ha rimesso la causa al Primo Presidente, in considerazione della rilevata difformità d'orientamenti, interna anche alla medesima sezione, sulla questione dei limiti d'operatività dell'art. 1127 C.C.
Della quale difformità d'orientamenti queste SS.UU. sono state, quindi, chiamate a decidere per la soluzione del contrasto.
MOTIVI DELLA DECISIONE
La questione di diritto da risolvere per decidere la controversia rientra nel più ampio ambito della disciplina della costruzione sopra l'ultimo piano dell'edificio condominiale, con particolare riferimento ai presupposti genetici dell'obbligazione d'indennizzo imposta, ex lege, a carico del condomino che sopraeleva ed in favore degli altri condomini; il che richiede la previa puntualizzazione dei principi regolatori del diritto di proprietà sulle costruzioni rispetto a quello del suolo sul quale sono realizzate, quindi dell'assetto dei beni ricompresi nell'edificio soggetto al regime del condominio nonché delle implicazioni della deroga pattizia o legale al principio dell'accessione.
A tal fine va, preliminarmente considerato come lo ius aedificandi costituisca, compatibilmente con la disciplina pubblicistica, una delle più significative tra le facoltà nelle quali si estrinseca l'esercizio del diritto di proprietà su di un terreno - pur ove non rappresenti una forma diretta ed immediata dell'esercizio stesso dello ius dominii, come anche ritenuto in dottrina - donde la previsione normativa, ex art. 934 C.C., dell'automatico acquisto della proprietà della costruzione e parimenti di tutto ciò che venga comunque stabilmente unito al suolo, salvi i contemperamenti previsti dalle norme successive, in capo al proprietario di questo, giusta il richiamato principio onde quidquid inaedificatur solo cedit.
Gli effetti del quale non cambiano nell'ipotesi di comunione prò indiviso del suolo, nel qual caso a tutti i partecipanti spetta il diritto di edificare ed in favore di tutti si accresce prò quota l'oggetto dell'attività edificatoria che viene a far parte della comune proprietà, eppertanto, ove l'un d'essi tale diritto eserciti, edificando sul suolo comune o sopraelevando l'edificio comune, non potrebbe impedire che la nuova costruzione diventi anch'essa comune a tutti i proprietari dell'area e della costruzione preesistente.
Non di meno, l'ordinamento non esclude la possibilità di deroghe pattizie al principio dell'accessione, consentendo che la proprietà delle costruzioni, o delle opere comunque stabilmente unite al terreno, si acquisisca da persona diversa dal dominus soli in virtù di titolo, vale a dire in virtù di un atto negoziale con il quale quest'ultimo rinunci all'acquisto che si verificherebbe altrimenti in suo favore sulla base dei principi dell'accessione, od anche, qualora tale acquisto siasi già verificato, in virtù di un atto con il quale egli, scindendo in entità distinte le due componenti del complesso immobiliare, suolo e costruzione ad esso incorporata, trattenga per sé la proprietà dell'uno e trasferisca a terzi quella dell'altra, ciò che può realizzarsi, rispettivamente, concedendo al terzo il diritto di costruire sul terreno e, quindi, di conseguire la proprietà superficiaria per effetto della costruzione (art. 952 comma 1° C.C.), od alienando al terzo la costruzione già esistente e costituendo così la proprietà separata di essa (art. 952 comma 2° C.C.), con le diverse conseguenze, rispettivamente, che il diritto di superficie conferisce al titolare il diritto di soprelevazione e di ricostruzione anche in caso di perimento dell'edificio, mentre la proprietà superficiaria separata circoscrive il diritto all'immobile esistente e si protrae solo sin quando l'immobile stesso permane.
Lo stesso ordinamento, oltre a consentire l'esaminata possibilità d'una deroga pattizia e quindi eventuale al principio dell'accessione, espressamente pone, poi, una deroga - deroga, questa, normativa, ma che non osta a diversa regolamentazione per volontà delle parti - in materia d'edifici condominiali.
Il che si verifica laddove si abbiano più proprietà sovrapposte, più diritti di dominio esclusivo aventi ciascuno ad oggetto una porzione immobiliare distinta ed autonoma nell'ambito dell'edificio ma che tutte insistono sulla medesima area, la quale area resta, per contro, prò quota, in proprietà indivisa di tutti i condomini al pari delle altre parti comuni dell'edificio, secondo la previsione dell'art. 1117 C.C.; quale conseguenza dell'attività negoziale che dà origine a più proprietà esclusive sui piani o sulle porzioni di piano, relativamente al fabbricato insorge il cosiddetto "regime dualista", consistente nella proprietà esclusiva dei piani o delle porzioni di piano e nella proprietà comune delle cose, degli impianti e dei servizi destinati all'uso comune.
Tale caratteristica, correlata ai principi regolatori della superficie e dell'accessione, costituisce, come è stato evidenziato in dottrina, la ragione giustificativa della disposizione del primo comma dell'art. 1127 C.C. e della differente regolamentazione rispetto alla comunione prò indiviso, in quanto l'attribuzione d'un diritto di proprietà esclusiva su ciascuna delle dette porzioni immobiliari - sovrapposte, di volta in volta, prima al suolo e poi alle porzioni sottostanti precedentemente realizzate - e, quindi, la costituzione di una proprietà superficiaria in favore di quella realizzata al di sopra delle preesistenti, viene necessariamente a spostare verso l'alto il diritto di superficie e, contestualmente, la connessa accessione di quanto realizzato in seguito al di sopra di quest'ultima, atteso che, di per sé, la costituzione del diritto di superficie importa rinunzia all'accessione da parte del concedente il diritto (proprietario o condomino del suolo) ed acquisto di tale potere (di acquisto per accessione) nel superficiario.
Come, dunque, le opere e costruzioni fatte all'interno di un piano od autonoma porzione di esso accedono, in ragione della proprietà individuale e separata della porzione immobiliare considerata, al proprietario di questa e non a tutti i partecipanti al condominio, così le costruzioni eseguite sopra l'ultimo piano accedono, in ragione dell'espresso disposto normativo e salva diversa previsione del titolo, al proprietario di questo e non ai proprietari dei piani sottostanti.
Di tal che, man mano che la proprietà superficiaria viene spostata verso l'alto con la costruzione di nuovi piani, in virtù del diritto di superficie il proprietario dell'ultimo piano beneficia del dir itto di soprelevazione e acquista quanto viene costruito sopra.
Nell'ipotesi in cui l'ultimo piano sia diviso in più porzioni immobiliari ciascuna in proprietà separata di soggetti diversi, ciascuno di questi, in quanto proprietario d'una singola porzione dell'ultimo piano, ha la facoltà di soprelevare, con la limitazione, peraltro, derivante dal fatto che il diritto di ciascun proprietario delle singole porzioni costituenti l'ultimo piano si estende relativamente alla proiezione verticale della sola porzione appartenentegli.
Diversamente, ove la proprietà dell'ultimo piano appartenga in comunione a più soggetti pro indiviso, non possono che applicarsi le regole della comunione in generale, con la conseguenza che i comproprietari non possono esercitare il diritto di soprelevazione prò quota ma, salvo diverso accordo, devono esercitarlo congiuntamente, con l'effetto tipico dell'accessione sulla superficie, ragion per cui - una volta venuta ad esistenza la nuova costruzione - la comunione pro indiviso si estende alla costruzione soprelevata.
Le considerazioni che precedono non sono inficiate dalla lettera della legge, che il diritto di soprelevazione attribuisce al proprietario dell'ultimo piano dell'edificio, né dalla considerazione che l'art. 1117 n. 1 C.C. attribuisce la proprietà comune del lastrico solare a tutti i condomini dell'edificio.
Quanto all'attribuzione del diritto di soprelevazione, l'uso del predicato al singolare non assume rilevanza alcuna: dacché il diritto di soprelevazione non è attribuito in considerazione della presenza d'un unico proprietario, ma in ragione della posizione del piano nel fabbricato, i principi valgono allo stesso modo quando i partecipanti sono uno o più d'uno; la proprietà comune del lastrico solare, poi, non influisce sulla soluzione della titolarità del diritto di soprelevazione, dacché, in seguito alla costruzione sopra l'ultimo piano, il lastrico solare, che adempie alla funzione di copertura dell'edificio ed in ragione di essa è bene comune, si sposta in altezza e la proprietà comune ed i relativi oneri si trasferiscono sul lastrico della nuova costruzione.
Peraltro, il legislatore, nel riconoscere, al primo comma della norma in esame, il diritto di sopraelevazione al condomino proprietario esclusivo dell'ultimo piano o del lastrico solare, con ciò attribuendogli la possibilità di far sorgere nuove costruzioni ciascuna delle quali oggetto d'autonomo dominio esclusivo, ha anche posto a carico dello stesso, con la disposizione di cui al successivo quarto comma, l'obbligo di corrispondere agli altri condomini un'indennità.
Ciò non sulla considerazione dell'avvenuto utilizzo della colonna d'aria sovrastante l'edificio condominiale intesa come di pertinenza della collettività, giusta quanto sporadicamente sostenuto da dottrina e giurisprudenza con tesi adeguatamente disattese da Cass. 22.11.04 n. 22032, che ha anche puntualizzato il significato da attribuire all'espressione ricorrente nella prassi contrattuale (cfr. anche Cass. 14.4.04 n. 7051, ma già Cass. 4.5.89 n. 2084, 30.12. 77 n. 5754, 19.12.75 n. 4192).
Bensì sulla considerazione, come hanno evidenziato dottrina e giurisprudenza prevalenti (da ultimo, nelle motivazioni, con richiami, di Cass. 16.6.05 n. 12880 e 21.5.03 n. 7956), della necessità d'una misura compensativa della riduzione del valore delle quote di pertinenza degli altri condomini sulla comproprietà del suolo comune conseguente alla sopraelevazione realizzata dall'un d'essi e dall'acquisto da parte di questi della proprietà relativa; avendo, infatti, ciascun condomino, ex art. 1118 C.C., un diritto di comproprietà, proporzionato al valore del piano o porzione di piano in proprietà esclusiva, sulle cose comuni elencate nel precedente art. 1117 C.C. e, quindi, anche sull'area sulla quale sorge l'edificio, la realizzazione di nuovi piani determina automaticamente una modifica degli elementi che concorrono a formare la proporzione, in quanto il proprietario dell'ultimo piano, costruendo nuovi piani o nuove fabbriche, aumenta la propria quota nella comunione, tra le altre cose comuni, anche sull'area medesima e questo aumento, naturalmente, rimanendo fisso il parametro di base, ha luogo con una proporzionale riduzione delle quote degli altri partecipanti alla comunione.
Ond'è che l'indennizzo previsto e regolato dal quarto comma dell'art. 1127 C.C. trova la sua giustificazione nella partecipazione alla comunione del suolo sul quale sorge l'edificio condominiale, per una quota maggiore di quella che aveva prima della sopraelevazione, da parte di chi eleva nuovi piani e nuove fabbriche valendosi del diritto riconosciutogli dalla stessa norma al primo comma, e nella corrispondente diminuzione delle quote degli altri partecipanti alla comunione ai quali, di conseguenza, il legislatore, nell'attribuire il diritto di sopraelevazione al primo, non poteva non riconoscere il diritto alla proporzionale corresponsione d'un'indennità idonea a compensarli della diminuzione patrimoniale loro imposta.
Si è anche giustamente evidenziato, sul punto, come l'avere il legislatore costituito a parametro per la determinazione dell'entità economica dell'indennizzo il solo valore dell'area e non anche quello degli altri beni e servizi comuni, sui quali pure il condomino che abbia esercitato il diritto di sopraelevazione viene ad aumentare la propria quota di partecipazione con proporzionale diminuzione di quelle degli altri condomini, trovi, a sua volta, la propria ragion d'essere su di una duplice considerazione: da una lato, quella del particolare valore e della maggiore importanza dell'area fabbricabile rispetto agli altri beni e servizi comuni e della maggiore facilità del calcolo dell'indennizzo, dato che l'area non subisce variazioni di valore in conseguenza dell'uso che se ne faccia; dall'altro, quella del compenso che la diminuzione delle quote degli altri condomini nella comunione dei vari beni e servizi comuni trova nella correlativa diminuzione degli oneri afferenti alla loro manutenzione e ricostruzione, in quanto a tali spese il proprietario dell'ultimo piano, a seguito dell'operata sopraelevazione di nuovi piani o nuove fabbriche, dovrà per il futuro concorrere, in misura maggiore che per il passato, in proporzione al valore anche dei nuovi piani o delle nuove fabbriche acquisiti.
Trova, infatti, applicazione, sotto tale ultimo profilo, il combinato disposto degli artt. 68, primo e secondo comma, e 69, n. 2, disp. att. C.C., laddove, stabilitasi, per gli effetti indicati dagli artt. 1123, 1124, 1126 e 1136 C.C., la formazione di tabelle millesimali, nelle quali il valore dei piani o delle singole porzioni di ciascun d'essi sia ragguagliato a quello dell'intero edificio, è, poi, espressamente prevista l'ipotesi della sopraelevazione tra quelle, che possono comportare un'alterazione dell'originario rapporto tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano, in considerazione delle quali, ove di notevole entità, è consentita la modifica delle tabelle stesse.
Peraltro con la precisazione, ripetutamente sottolineata dalla giurisprudenza di legittimità, che la modifica delle tabelle può aver luogo solo ove l'obiettiva divergenza tra il valore delle singole unità immobiliari ed il valore, proporzionale a quello dell'intero edificio, attribuito loro nelle tabelle medesime, non sia di modesta entità (Cass. 19.2.99 n. 1408, 13.9.91 n. 9579) e che, in ogni caso, la modifica stessa non costituisce una conseguenza naturale ed immediata della trasformazione intervenuta a seguito degli eventi normativamente previsti dal n. 2 dell'art. 69 disp. att. C.C., bensì l'effetto d'un accertamento, negoziale o giudiziale, che ha, a tal fine, natura costitutiva (non necessaria, in quanto sostitutiva della modificazione convenzionale) ex art. 2908 C.C., quindi effetto esclusivamente ex nunc, senza possibilità d'operatività retroattiva, di tal che, sino alla disposta modifica, le originarie tabelle continuano ad essere valide ed efficaci ad ogni effetto e sono valide le maggioranze e le deliberazioni su di esse fondate, oltre che le consequenziali ripartizioni delle spese (ex pluribus, Cass. 22.11.00 n. 15094, 2.6.99 n. 5399, 8.9.94 n. 7696, 31.5.88 n. 3701).
Conseguenza, questa, della necessaria riconduzione della sentenza de qua al genus delle sentenze che, intese non all'attribuzione d'un bene dovuto ma alla modificazione di rapporti giuridici preesistenti, non possono avere effetto se non dal definitivo accertamento del diritto a tale modificazione e, quindi, dal loro passaggio in giudicato ex artt. 2909 C.C. e 324 C.P.C., e di una meditata scelta del legislatore, che non si è avvalso della possibilità di disporne espressamente, in deroga a tale regola generale, l'anticipazione degli effetti alla proposizione della domanda, in quanto non poteva non configurarsi come la gestione del complesso delle attività condominiali (che non sono solo quelle cui è connessa una ripartizione di spesa, ma anche quelle inerenti all'utilizzazione delle parti comuni, alla disposizione dei diritti comuni, alla partecipazione alle liti, etc.) non potesse rimanere paralizzata per il tempo necessario all'accertamento giudiziale del valore millesimale delle quote dei singoli partecipanti né direttamente, per l'impossibilità di deliberare validamente, né indirettamente, per il rischio dell'invalidazione successiva di tutte le deliberazioni adottate medio tempore; scelta coerente a quella connotazione di specialità che, come ripetutamente evidenziato da questa Corte, è stata attribuita dal legislatore alla disciplina del condominio in ragione della necessità d'una distinta considerazione per il settore di vita sociale regolato dall'istituto e, quindi, d'una particolare tutela di specifici interessi discrezionalmente ritenuti prevalenti e meritevoli d'una disciplina propter aliquam utilitatem autonoma rispetto a quella comune.
Tale discrezionalità nella valutazione ponderata delle situazioni tutelande sottrae la scelta legislativa in esame alla possibile censura d'incompatibilità con i principi informatori del giusto processo, anche costituzionalizzati con la riformulazione dell'art. 111 della Carta fondamentale, per i quali la durata del giudizio non deve ridondare a detrimento della parte vittoriosa; d'altronde, quest'ultima non rimane priva d'adeguata tutela, dal momento che le conseguenze economiche della permanente validità, sino al passaggio in giudicato della sentenza, delle tabelle millesimali oggetto di controversia possono essere ovviate mediante il ricorso alle azioni d'indebito o d'arricchimento esperibili a far tempo dal passaggio in giudicato della sentenza modificativa delle tabelle millesimali, poiché è dal momento del definitivo accertamento della situazione giuridica presupposta che i diritti consequenziali possono essere fatti valere (actioni nondum natae non praescribitur).
Dalle considerazioni che precedono discende l'opportunità d'evidenziare le differenze tra le previsioni delle norme considerate, dacché, mentre il n. 2 dell'art. 69 disp. att. C.C. pone quale parametro di valutazione, ai fini della modifica delle tabelle, quello del rapporto tra il valore dell'edificio e l'incremento di valore del piano o porzione di piano, condizionando altresì la modifica alla notevole entità della variazione nel rapporto tra detti valori da accertarsi in via convenzionale o giudiziale con effetto ex nunc, diversamente il quarto comma dell'art. 1127 C.C. non solo pone quale parametro di valutazione, ai fini della determinazione dell'indennità di sopraelevazione, un diverso rapporto, quello tra il valore del suolo sul quale sorge l'edificio e la maggiore utilizzazione di esso derivante dall'opera realizzata, nuovo piano o nuova fabbrica, ed indipendentemente dall'entità di essa, ma a tale realizzazione ricollega la costituzione del diritto all'indennità quale sua conseguenza diretta ed immediata con effetti ex tunc dal momento essa (Cass. 21.8.03 n. 12292, 15.2.99 n. 1263, 30.7.81 n. 4861, 5.4.77 n. 1300, 23.10.74 n. 3076).
In definitiva, quel che particolarmente rileva, ai fini che ne occupano, è, per le esaminate ragioni, l'affermazione normativa del principio di proporzionalità, ai fini della determinazione dell'entità economica dell'indennità, tra l'incremento della quota di partecipazione alla comproprietà dell'area comune, quale conseguenza della realizzazione del nuovo piano o della nuova fabbrica, in capo al condomino che sopraeleva, valutato in funzione dell'entità, qual che ne sia la consistenza, del nuovo piano o della nuova fabbrica realizzati, ed il corrispondente consequenziale decremento delle analoghe quote di pertinenza degli altri condomini.
Tenuto conto, allora, delle considerazioni sin qui effettuate, risulta evidente l'equivoco nel quale è incorsa la pronunzia di Cass. 22.2.00 n. 6643 - alle cui affermazioni ed ai richiamativi precedenti fa riferimento l'odierno ricorrente per sostenere la propria tesi - nell'affermare che il presupposto fattuale del diritto all'indennità stabilito dal quarto comma dell'art. 1127 C.C ricorra "non in ogni caso di sopraelevazione, intesa come pura e semplice costruzione oltre l'altezza precedente del fabbricato, bensì solo nel caso di costruzione di uno o più nuovi piani o di una o più nuove fabbriche sopra l'ultimo piano dell'edificio, quale che sia il rapporto con l'altezza precedente" e che, pertanto, la costruzione oltre l'altezza precedente del fabbricato non può essere ricondotta, di per se stessa, alla previsione dell'art. 1127 C.C. ove non siasi anche accertato che tale innalzamento abbia dato luogo alla realizzazione di un nuovo piano o di una nuova fabbrica.
Nel pervenire a tale affermazione detta pronunzia sembra non aver correttamente inteso il senso degli stessi precedenti richiamativi.
In particolare, Cass. 14.11.91 n. 12173 - che, pur riconoscendo nella realizzazione d'una veranda coperta sulla terrazza adiacente ad un appartamento al piano attico ed, in quanto tale, svolgente anche funzione di copertura dell'edificio, l'esercizio, legittimo in astratto ex primo comma dell'art. 1127 C.C., del diritto di sopraelevazione soggetto alla corresponsione dell'indennità di cui al successivo quarto comma, accoglie, tuttavia, nel caso concreto, la domanda di demolizione proposta dagli altri condomini in ragione non dell'art. 1127 C.C. ma del divieto esistente nel regolamento di condominio - perviene, sì, alla medesima testuale affermazione, ma questa va interpretata nel contesto della motivazione, che le attribuisce un senso ben diverso da quello inteso da Cass. 22.2.00 n. 6643, essendo visi, infatti, evidenziato non che l'innalzamento della copertura dell'edificio possa non comportare di per se stesso una sopraelevazione, bensì, al contrario, che qualsiasi costruzione oltre l'ultimo piano dell'edificio realizza, in ogni caso, un nuovo piano od una nuova fabbrica indipendentemente dal rapporto con la precedente altezza dell'edificio stesso (interpretazione che trova conferma nel richiamo effettuatovi a Cass. 30.7.81 n. n. 4861 ed a Cass. 16.3.82 n. 1697 dalle quali si evince il medesimo evidenziato principio).
Per quanto in precedenza considerato, infatti, quel che rileva, ai fini dell'applicazione in un senso (diritto a sopraelevare) e nell'altro (obbligo di corresponsione dell'indennità) dell'art. 1127 C.C. è la maggiore utilizzazione dell'area sulla quale sorge l'edificio, implicante che, rimanendo sempre lo stesso il valore del suolo (dividendo), con l'aumento del numero dei piani od, in ogni caso, dei volumi utilizzabili (divisore) necessariamente diminuisce il valore di ogni quota relativa a piano o porzione di piano (quoziente), onde l'indennità dovuta da colui che sopraeleva agli altri condomini ha propriamente lo scopo di ristabilire la situazione economica precedente, mediante la prestazione dell'equivalente pecuniario della frazione di valore perduta, per effetto della sopraelevazione, da ogni singola quota relativa a piano o porzione (Cass. 16.6.05 n. 13880, 16.3.82 n. 1697, citata, che richiama, a sua volta, altri precedenti conformi).
Ne consegue che, indiscussa l'inapplicabilità della norma in esame nell'ipotesi di pura e semplice ristrutturazione interna, tale da non comportare alcuna alterazione nella superficie e nella volumetria degli spazi interessati (e pluribus, Cass. 20.7.99 n. 7764, 24.10.98 n. 10568, 10.6.97 n. 5164, 24.1.83 n. 680; contra la sola Cass. 24.4.65 n. 725 che, peraltro, non spiega perché la realizzazione di due piani all'interno dell'ultimo, senza variazioni volumetriche dell'intero né innalzamento della copertura, dovrebbe sortire effetti diversi dalla medesima opera realizzata nei piani sottostanti - cfr. Cass. 17.10.67 n. 2493 - e comportare l'applicazione dell'art. 1127 C.C. piuttosto che dell'art. 69 n. 2 disp. att. C.C.), la fattispecie dalla stessa regolata va ravvisata in ogni ipotesi d'incremento delle dette superficie e volumetria, indipendentemente dal fatto ch'esso dipenda o meno dall'innalzamento dell'altezza del fabbricato (ad esempio, ferma l'altezza del colmo del tetto, ove l'incremento di superficie effettivamente utilizzabile e di volumetria si realizzino mediante la trasformazione dello spiovente da rettilineo con pendenza unica a spezzato con pendenze diverse, o - ma è ipotesi di dubbia legittimità: cfr. Cass. 12.10.71 n. 2873 - mediante l'ampliamento della base con la costruzione d'uno sporto e la consequenziale estensione del tetto).
Il criterio distintivo è, in sostanza, analogo a quello cui vien fatto ricorso, in tema di edilizia, per distinguere le ipotesi della ristrutturazione e della ricostruzione da quella della nuova costruzione: al qual proposito si è precisato che può ravvisarsi l'ipotesi della ristrutturazione solo ove gli interventi abbiano interessato un edificio del quale sussistano ed, all'esito di essi, rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura, eppertanto le opere consistano in modificazioni solo interne, nel rispetto delle originarie dimensioni dell'edificio e delle dette sue componenti essenziali; va ravvisata, per contro, la diversa ipotesi della ricostruzione ove dell'edificio preesistente siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, le componenti de quibus e l'intervento si traduca, tuttavia, nell'esatto ripristino delle stesse operato senza variazione alcuna rispetto alle dimensioni dell'edificio stesso, in particolare senza aumenti né della volumetria né, pur questa rimanendo immutata, delle superfici occupate in relazione all'originaria sagoma d'ingombro; diversamente, si verte in ipotesi di nuova costruzione (Cass. 27.4.06 n. 9637, 26.10.00 n. 14128; vedansi anche Cass. 2.2.04 n. 1817, 18.4.03 n. 6317).
Nel caso di specie, pertanto, non può essere revocato in dubbio che l'innalzamento di 50 cm. delle mura perimetrali ed il corrispondente rifacimento del tetto al di sopra di esse, con la trasformazione delle preesistenti soffitte in due nuove unità abitative, costituisca una nuova fabbrica e debba essere considerato, pertanto, come sopraelevazione ai sensi del primo comma dell'art. 1127 C.C. e dia, pertanto, luogo all'obbligo di corresponsione dell'indennità di cui all'ultimo comma della stessa norma.
Ne consegue la reiezione dei motivi di ricorso sottoposti all'esame di queste Sezioni unite, mentre, per l'esame degli ulteriori motivi di ricorso, la causa va rimessa al Primo Presidente per la rassegnazione alla Sezione semplice competente anche sulle spese dell'intero giudizio di legittimità.
P.Q.M.
LA CORTE
respinge il primo ed il secondo motivo del ricorso e dispone trasmettersi gli atti al Primo Presidente per l'assegnazione della causa alla Sezione semplice per l'ulteriore corso.