Non viene violto il decoro architettonico del condominio con la la realizzazione di una tettoia in alluminio a 20 cm dal balcone soprastante se nello stesso stabile esistono altre tettoie

Nel condominio degli edifici per "decoro architettonico" deve intendersi l'estetica del fabbricato data dall'insieme delle linee e delle strutture che connotano lo stabile stesso e gli imprimono una determinata ed armonica fisionomia ed una specifica identità. Ciò premesso, la lesività estetica dell'opera abusivamente compiuta da uno dei condomini non può assumere rilievo in presenza di una già grave ed evidente compromissione del decoro architettonico dovuto a precedenti interventi sull'immobile. Nel caso di specie è stata ritenuta legittima la realizzazione di una tettoia in alluminio a 20 cm dal balcone soprastante, di proprietà di altro condomino, in quanto nello stesso stabile erano preesistenti altre tettoie. Tale intervento è stato considerato volto a tutelare la riservatezza ed a riparare il balcone dalle avversità atmosferiche e dall'eventuale caduta di materiali dai piani superiori(Fonte:Lex 24).

Corte d'Appello Roma Sezione 4 Civile, Sentenza del 23 febbraio 2011, n. 747



- Leggi la sentenza integrale -

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

CORTE D'APPELLO DI ROMA

QUARTA SEZIONE CIVILE

in persona dei magistrati

dott. Giuseppe Santoro - Presidente -

dott. Mario Bove - Consigliere -

dott. Valentina Valentini - Consigliere rel. -

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa iscritta al n. 4669/2004 del R.G.A.C., vertente

TRA

Ai.Gi., elett.te domiciliata in Roma, presso lo studio dell'avv.to Lu.Gi., che la rappresenta e difende in virtù di mandato a margine dell'atto di citazione in appello

Appellante

E

Ge.Da. e Ge.Al., elett.te domiciliate in Roma, presso lo studio degli avv.ti Gi.Me. e Si.Me., che le rappresentano e difendono in virtù di mandato a margine, della comparsa di costituzione e risposta

Appellate

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato, Ge.Da. e Ge.Al., convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, Ar.Gi., proprietaria dell'appartamento sottostante i loro, perché fosse condannata, oltre al risarcimento dei danni loro provocati, ad abbattere il manufatto (tettoia realizzata con una struttura in alluminio verticale ed orizzontale), costruito sul suo balcone, in violazione delle norme urbanistiche, del regolamento condominiale e della disposizione di cui all'art. 907 c.c., con alterazione del decoro architettonico dell'intero fabbricato, fonte di pericolo di intromissione nelle loro proprietà da parte di malintenzionati nonché di rumori molesti nei giorni di pioggia.

Si costituiva la convenuta che sosteneva l'infondatezza dell'avversa pretesa. Acquisita la documentazione prodotta dalle parti ed espletata consulenza tecnica d'ufficio, la causa, assegnata alla sezione stralcio, veniva decisa con sentenza n. 9140/03, del 18.3.2003, con la quale si ordinava alla convenuta la demolizione del manufatto e si rigettava la pretesa risarcitoria.

Avverso detta pronuncia, proponeva appello Ar.Gi., secondo cui ne era insufficiente e contraddittoria la motivazione nella parte in cui il giudice, pur riportandosi al contenuto della consulenza tecnica, giungeva a conclusioni difformi, ritenendo, erroneamente, che la struttura alterasse il decoro architettonico dello stabile, per essere, i nuovi elementi, male inseriti nel panorama generale dell'immobile e per la tipologia dei materiali adoperati, difforme da quella dell'edificio (non avendo, peraltro, su tale ultimo punto, nulla indicato l'ausiliario), ponendo a base dell'assunta decisione il personale apprezzamento dello stato dei luoghi, senza tener conto dell'interferenza sull'estetica dell'edificio delle preesistenti opere.

Lamentava il difetto di motivazione anche riguardo al ritenuto pericolo di accesso di malintenzionati (la sentenza riproponeva la valutazione del C.T.U., non investito, peraltro, da quesiti in proposito, mentre l'accesso alla struttura ed al piano superiore non sarebbe stato facile e la struttura non era, ictu oculi, in grado di sostenere il peso di un uomo) ed alle fastidiose immissioni sonore (rimaste mere allegazioni, prive di riscontri probatori, e non oggetto di specifica domanda ex art. 844 c.c.).

Quanto alla ritenuta limitazione della visuale, per essere posta la tettoia ad una distanza verticale di soli 20 cm. dal parapetto del terrazzo sovrastante, in violazione della previsione di cui all'art. 907 c.c., la pronuncia aveva applicato a rapporti condominiali la disciplina dei rapporti tra proprietà autonome e contigue, senza valutarne la compatibilità con i principi relativi all'uso della cosa comune.

Concludeva, dunque, perché, richiamate le deduzioni istruttorie e conclusioni formulate in prime cure, previa sospensione dell'efficacia esecutiva della sentenza impugnata, questa fosse riformata, con rigetto delle avverse istanze e vittoria di spese di lite.

Si costituivano Ge.Da. e Ge.Al. che deducevano l'infondatezza delle doglianze dell'appellante, chiedendo la conferma delle statuizioni della sentenza appellata, con ogni conseguenza in ordine alle spese di lite. Il giudizio veniva istruito con l'acquisizione del fascicolo di primo grado e, sulle conclusioni di cui in epigrafe, rimesso in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L'appello proposto merita accoglimento.

Appaiono fondate le critiche alla pronuncia gravata, in primo luogo, riguardo alla valutazione dell'idoneità del manufatto (come riprodotto nei rilievi fotografici allegati alla consulenza espletata), posizionato sulla facciata laterale rispetto all'ingresso della palazzina e sul lato opposto a quello dell'accesso su strada e non visibile né da questa né dal percorso di accesso alle scale del complesso, ad alterare il decoro architettonico dello stabile, essendo risultato lo stesso, come dai dati e dalle argomentazione del C.T.U., tecnicamente e logicamente corrette, che questo Collegio rende proprie, già alterata l'estetica dalla presenza di ulteriori, preesistenti tettoie (v. Cass. n. 21835/2007, secondo cui nel condominio degli edifici, la lesività estetica dell'opera abusivamente compiuta da uno dei condomini non può assumere rilievo in presenza di una già grave evidente compromissione del decoro architettonico dovuto a precedenti interventi sull'immobile).

Né, d'altro canto, la conformazione dell'opera, come descritta dall'ausiliario e fotograficamente riprodotta appare, tenuto conto delle visibili caratteristiche del fabbricato, capace di compromettere, nello specifico, l'insieme delle linee e delle strutture che connotano lo stabile stesso imprimendogli fisionomia e specifica identità (il manufatto, come evidenziato dall'appellante ha il medesimo colore della sottostante struttura con cancellato e presenta la tonalità della facciata; v. Cass. n. 851/2007: in tema di condominio negli edifici, per "decoro architettonico" deve intendersi l'estetica del fabbricato data dall'insieme delle linee e delle strutture che connotano lo stabile stesso e gli imprimono una determinata, armonica fisionomia ed una specifica identità).

Egualmente, quanto alla dedotta facilitazione all'accesso di malintenzionati, non vi è prova, in ciò confutandosi l'apodittica affermazione in proposito del primo giudice, nemmeno evincibile icto oculi dalle fotografie in atti, che sia agevole l'accesso alla struttura e, da qui, al piano superiore e che la tettoia, secondo l'ausiliario realizzata in materiale leggero (p.v.c., v. relazione peritale) ed a falda inclinata, sopporti il peso di un uomo di media corporatura.

Allo stesso modo è, poi, a dirsi per l'accertamento della riconducibilità al manufatto di rumore fastidioso "nelle ore di riposo notturno e nelle giornate piovose", con la caduta di acqua meteorica, non essendo, tanto, risultato riscontrato da elementi probatori, né emergendo che le lamentate immissioni eccedano la normale tollerabilità, in difetto, peraltro, come dedotto dall'appellante, di una specifica domanda ex art. 844 c.c..

Infine, il Collegio ritiene fondato il motivo di gravame relativo alla mancata valutazione della compatibilità della disciplina dei rapporti tra proprietà autonome e contigue con i principi operanti in materia condominiale e riguardanti l'uso della cosa comune.

Rispetto ad un unico immobile condominiale, le norme che regolano i rapporti di vicinato trovano, infatti, applicazione solo se compatibili con la struttura dell'edificio e le caratteristiche dello stato dei luoghi, spettando al giudice valutare nel caso specifico, operazione non compiuta in primo grado, se, dette norme trovino operatività, in considerazione dell'esigenza di contemperare i diversi interessi di più proprietari conviventi in un unico edificio, al fine dell'ordinato svolgimento di tale convivenza, propria dei rapporti condominiali (v. Cass. n. 3891/2000; nella specie, la Corte di legittimità, applicando tale principio, ha rigettato il ricorso avverso la pronuncia del giudice di merito che aveva ritenuto legittima la tettoia in lamiera di una tenda parasole installata da un condomino, ritenendola necessaria per la tutela della sua privacy e per il riparo dagli agenti atmosferici, nonostante fosse di dimensioni maggiori rispetto a quella di analoghi manufatti di altri condomini, provocasse fastidiosi riverberi di luce a causa della copertura metallica, e comprimesse l'esercizio del diritto di veduta in appiombo del condomino dell'appartamento sovrastante).

Nel caso in esame, l'uso della cosa comune (la facciata) è avvenuto nel rispetto dei limiti stabiliti dal citato art. 1102 (v. Cass. n. 13874/10 e n. 7044/04) e senza limitazione di luce ed aria per i condomini sovrastanti, con intervento volto a tutelare la riservatezza, riparare il balcone dalle avversità atmosferiche e dall'eventuale caduta di materiali dai piani superiori (come rappresentato già in sede di costituzione in primo grado e ribadito in appello), tanto da condurre la Corte, in virtù dei principi esposti e nel contemperamento dei vari interessi (la veduta è limitata, di fatto, sul solo balcone sottostante), ad affermare la piena legittimità della condotta tenuta al fine dell'ordinato svolgersi della convivenza propria dei rapporti condominiali.

Per quanto detto, l'appello va accolto ed, in riforma della - sentenza impugnata, rigettata la domanda proposta da Ge.Da. e Ge.Al..

Ricorrono giusti motivi, in considerazione delle opinabili valutazioni del caso concreto ed anche delle contrastanti posizioni giurisprudenziali sull'ultimo principio espresso (v. Cass. n. 13170/2001), per compensare integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

La Corte d'Appello di Roma, quarta sezione civile, definitivamente pronunciando sull'appello proposto da Ar.Gi. nei confronti di Ge.Da. e Ge.Al., ogni altra istanza disattesa così provvede:

- accoglie l'appello e, per l'effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta la domanda proposta da Ge.Da. e Ge.Al.;

compensa integralmente tra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Così deciso in Roma, il 16 marzo 2010.

Depositata in Cancelleria il 23 febbraio 2011.

INDICE
DELLA GUIDA IN Condominio

OPINIONI DEI CLIENTI

Vedi tutte

ONLINE ADESSO 3817 UTENTI