Casa:
Qualora un bene, per le sue caratteritiche strutturali, serva al godimento di tutte le parti singole dell'edificio, esso si presume condominiale
Pubblicata il 25/02/2008
Sentenza del 21 dicembre 2007, n. 27145)
- Leggi la sentenza integrale -
Con atto di citazione del 5.10.1989 Ba. Ma. Te., proprietaria di alcuni locali terranei nell'edificio condominiale di (OMESSO), esponeva che il fratello Ba.Cl., anch'egli proprietario di porzioni dello stesso edificio, aveva realizzato un manufatto che oscurava le luci dei terranei di essa esponente ed aveva, inoltre, creato sulla facciata principale dell'edificio due nuove aperture che ne modificavano l'aspetto, alterando il decoro architettonico. Lo conveniva, pertanto, innanzi al Tribunale di S. Maria C.V. per sentirlo condannare alla riduzione in pristino ed al risarcimento del danno.
Il Tribunale condannava il convenuto alla demolizione del manufatto ed alla eliminazione dei due balconcini aperti sulla facciata.
Il gravame proposto da Ga. Ni., avente causa dal soccombente Ba. Cl., e' stato rigettato dalla Corte di Appello di Napoli con sentenza del 28.1.2003 nella quale si osserva:
- che il muro sul quale poggia la costruzione in contesa e' perimetrale dell'intero edificio e, quindi, condominiale a nulla rilevando che un parte di esso "si apra" su un terrazzo di proprieta' esclusiva (ora) del Ga.;
- che la costruzione, incombente sulle luci aperte nei locali terranei, le circoscrive interamente impedendo, o, comunque, riducendo sensibilmente, il passaggio di aria e luce; che i balconcini realizzati dal Ba. Cl. alterano l'insieme armonico e il decoro architettonico del fabbricato di pregevole fattura.
Avverso detta sentenza Ga. Ni. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi cui Ba. Ma. Ro. resiste con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Col primo motivo, denunziandosi violazione dell'articolo articolo 1117 c.c., nonche' vizio di motivazione, si sostiene che dalla documentazione esibita (atto di divisione e cessione dell'8.4.1972; atto di donazione dell'8.1.1976; scrittura privata del 22 e 23.9.1982; atto di vendita del 31.12.1991) poteva evincersi che l'intero fabbricato avente il civico (OMESSO) di (OMESSO) era di esclusiva proprieta' dei coniugi Ba. Cl. e Vo. Ma. Gi., ad eccezione dei locali commerciali nn. (OMESSO), rispettivamente di proprieta' di Sa. Id. e Ba. Ma. Te., che non traggono utilita' dall'edificio, costituendo entita' autonome. Il coniugi Ga., aventi causa dai coniugi Ba. Cl. e Vo. Ma. Gi., sono gli esclusivi proprietari del portone, dell'androne, del cortile, del giardino, dei pianerottoli, delle scale, del sottotetto, su cui non hanno alcun diritto i proprietari dei locali terranei. La Corte di Appello era incorsa nella violazione dell'articolo 1117 c.c., per non aver ritenuto superata la presunzione di comunione di cui alla stessa norma, fondata sulla necessita' del bene comune per l'esistenza e per l'uso del bene singolo ovvero sulla de primo all'uso o al servizio di tutti i piani o porzioni di piano.
La censura non e' fondata.
1.a. Questa Corte ha costantemente affermato (Cass. n. 9093/2007; n. 20673/2006; n. 962/2005; n. 3279/2004; n. 2943/2004; n. 10700/2002; n. 5442/99; n. 5) che, nel condominio di edifici, affinche' possa operare, ai sensi dell'articolo 1117 c.c., il c.d. diritto di condominio, e' necessario che sussista un relazione di accessorieta' fra i beni, gli impianti o i servizi comuni e l'edificio in comunione, nonche' un collegamento funzionale fra i primi e le unita' immobiliari di proprieta' esclusiva. Pertanto, qualora, per le sue caratteristiche strutturali, un bene serva al godimento di tutte le parti singole dell'edificio e sia ad esse funzionalmente collegato, si presume - indipendentemente dal fatto che la cosa sia, o possa essere, utilizzata da tutti i condomini, o soltanto da alcuni di essi, e dalla entita' del collegamento e della possibile utilizzazione concreta - la contitolarita' necessaria di tutti i condomini sul bene.
In tal caso di ravvisa, tra cose che possono essere fisicamente separate senza pregiudizio reciproco, una congiunzione che e' data dalla destinazione.
1.b. Tra le cose comuni ed i piani o le porzioni di piano puo' sussistere, oltre che il suddetto collegamento funzionale, anche un legame materiale di incorporazione che rende le prime indissolubilmente legate alle seconde ed essenziali per la stessa esistenza o per l'uso di queste, dalle quali i beni comuni (muri, pilastri, travi portanti, tetti, fondazioni, facciate ecc.) non possono essere separati. Il collegamento, dunque, comporta un legame di diversa resistenza a seconda che le parti comuni siano essenziali per il godimento ovvero per l'esistenza delle unita' singole, nel qual caso il vincolo di destinazione e' caratterizzato dalla indivisibilita' (Cass., Sez. 2 n. 962/2005).
1.c. La presunzione di comunione puo' essere vinta da un titolo contrario, la cui esistenza deve essere dedotta e dimostrata dal condomino che vanti la proprieta' esclusiva sul bene presunto comune, potendo, a tal fine, essere utilizzato il titolo - salvo che si tratti di acquisto a titolo originario - solo ove da esso di desumano elementi tali da escludere in maniera inequivocabile la comunione. 1.d. L'accertamento relativo alla sussistenza del legame di essenziale indissolubilita' e/o di accessorieta' tra il bene di proprieta' singola e gli altri beni, dotati astrattamente di una propria autonomia, e' demandato al giudice di merito ed e' incensurabile in sede di legittimita' ove non sia affetto da vizi logici e giuridici. Allo stesso giudice, poi, e' anche demandata l'interpretazione dei titoli allegati per escludere il diritto di condominio e la valutazione sulla loro idoneita' e sufficienza rispetto al fine dedotto.
1.d. Nel caso di specie, la Corte di Appello ha fondato il suo giudizio anche sul dato oggettivo che "il muro e' quello perimetrale dell'intero fabbricato condominale", dando cosi' decisivo rilievo al legame materiale e di incorporazione (Cass. 9096/2000) esistente la tra le proprieta' singole ed il bene ritenuto comune.
1.e. In buona sostanza, da un lato, la Corte territoriale, nel compiere i suoi accertamenti di fatto, non si e' discostata dagli enunciati principi di diritto e, da altro lato, il ricorrente Ga. non ha fornito una conveniente dimostrazione, in ossequio al principio dell'onere della prova, nella specie si di lui incombente, della proprieta' esclusiva del muro perimetrale su cui si innestano i manufatti edificati dal suo dante causa Ba.. E' ovvio che nessun rilievo assume al riguardo l'atto di cessione al Ga., il quale, peraltro, non puo' pretendere che in questa sede sia ripetuta l'indagine di merito sulla portata dei titoli (che, per come enunciati in ricorso, non vincono comunque la presunzione di cui all'articolo 1117 c.c.).
2. Col secondo motivo si denunziano violazione dell'articolo 100 c.p.c., e degli articoli 1117 e 1120 c.c., nonche' vizio di motivazione. Una volta verificato che i titoli escludono la comunione, la controversia andava regolata in base alle norme che disciplinano i rapporti di vicinato e, in particolare, ove non applicabile la disciplina della comunione, non poteva essere invocata quella di cui all'articolo 1120 c.c., sulla innovazioni. Nella specie il Ba. aveva operato sulla sua proprieta' esclusiva disponendone in modo pieno, per cui, non potendo la controparte invocare neppure tutela basata sull'articolo 1120 c.c., la domanda non era sorretta dall'interesse ad agire, come poteva essere rilevato anche si ufficio per la prima volta in sede di legittimita'.
Il Giudice di merito, inoltre, era incorso nel vizio di motivazione non avendo esaminato i titoli di proprieta'.
2.a. La censura e' palesemente infondato atteso che la critica in esso svolta parte dalla premessa che i titoli escludono la comunione e siccome tale premessa non e' dimostrata, anzi non e' fondata (come si e' visto esaminando il primo motivo), tutto l'impianto logico del motivo viene a cadere, in quanto, siccome assume a (e da per dimostrata la) premessa la conclusione che intende dimostrare, realizza la classica fallacia logica dell'argomento circolare.
2.b. La questione della applicabilita' alla fattispecie dell'articolo 1120 c.c., (che, in ogni caso, pure si occupa dell'uso dei beni comuni) e' nuova e poggia ancora una volta sulla premessa non dimostrata della proprieta' esclusiva del muro.
2.c. Non si poneva, nella specie, una questione di interesse ad agire ex articolo 100 c.p.c., atteso che l'interesse nasce (va) dalla pretesa violazione della proprieta' comune e che l'esclusione del diritto di condominio, sostenuta dal ricorrente, avrebbe (ove sussistente) comportato semmai la infondatezza della domanda.
3. Col terzo motivo si denunzia violazione degli articoli 900, 901 c.c. e segg.. Le aperture lucifere sono sottratte alla disciplina degli articoli 901, 904 c.c.. Nella specie il manufatto che pretesamente impediva o menomava l'ingresso di aria e luce era costruito sul muro di proprieta' esclusiva e ad esso doveva applicarsi la disciplina dei rapporti di vicinato (articolo 901 c.c. e segg.). Il codice civile, nel regolare le distanze tra le costruzioni finitime, non tutela le luci che si aprono sul fondo del vicino, tranne che il diritto a mantenerle non nasca da una servitu'. La Ba. non aveva invocato ne' la distanza tra le costruzioni ne' quella dalle vedute ma solo l'occlusione parziale delle luci, rispetto alle quali non aveva dimostrato la sussistenza del titolo convenzionale costitutivo della servitu' di luce, che, essendo non apparente, non poteva acquistarsi per usucapione ne' per destinazione del padre di famiglia. La Ba. Ma. Te., in definitiva, non poteva invocare ne' la tutela del diritto di servitu' e' quella nascente dai rapporti di vicinato ne', infine, la tutela del diritto di condominio.
Il motivo e' privo di fondamento.
Effettivamente la Corte di Appello non ha specificato quale abuso abbia commesso dal Ba. ostruendo le luci ma, tuttavia, la stessa Corte non ha fatto altro che confermare la sentenza di primo grado che aveva ritenuto "illegittima l'opera in quanto menoma la fruizione di aria e luce da parte della proprietaria del piano inferiore, l'attuale appellata Ba.Ma. Te. " (sent. app. pag. 4).
Orbene, la censura, sul punto, si basava (cfr. sent. pag. 3, in fondo, e 4, inizio) :
a) sul fatto che il muro non era comune;
b) che il manufatto realizzato non ostruiva il passaggio di aria e luce.
La Corte di Appello, quindi, si e' mantenuta nell'ambito del devolutum ed ha escluso la fondatezza dei due profili di doglianza, rilevando - quanto ad a) - che il muro e' comune e - quanto a b) - che il manufatto del Ba. impedisce o menoma l'aria e la luce, sicche' tutte le altre questioni proposte col motivo di ricorso devono considerarsi inammissibili in quanto nuove.
4. Conclusivamente, il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato alle spese, liquidate come nel dispositivo.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in complessivi euro 2600,00, di cui euro 2500,00 per onorario, oltre spese fisse, IVA, CAP ed altri accessori di legge.