La destinazione ad albergo non è incompatibile con la costituzione del regime condominiale

Nel caso di un edificio – o di un complesso di edifici –destinato ad albergo, in presenza dei presupposti di fatto e di diritto del condominio, configurati dall’esistenza di più unità immobiliari appartenenti a persone diverse e di cose, servizi ed impianti destinati all’suo comune, la destinazione ad albergo non impedisce la costituzione del regime condominiale; per conseguenza, la costituzione del condominio non dipende dal mutamento della destinazione. E' quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, Sezione 2 Civile, con sentenza del 29 gennaio 2007, n. 1786



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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione in data 10.7.1999 Pu. Fr., impugnò dinanzi al Tribunale di Sassari Sezione Distaccata di Alghero la deliberazione dell'assemblea condominiale del 24.4.1999 deducendo che essa era nulla per la insussistenza del potere deliberativo, in quanto la costituzione del condominio era illegittima, stante la destinazione ricettiva-alberghiera del complesso immobiliare confermata da molteplici provvedimenti amministrativi e della giurisdizione amministrativa. Dedusse, inoltre, che la delibera presentava una serie di molteplici vizi, tra cui, per quanto ancora rileva in questa sede, il difetto di accertamento delle maggioranze prescritte per la valida costituzione dell'assemblea e di quelle necessarie per la validità delle singole deliberazioni, atteso che la seduta aveva avuto inizio alle ore 14 e termine alle ore14,15 e che, per l'elevato numero di convocati (oltre 100), era inverosimile che l'assemblea avesse potuto verificare, in appena quindici minuti, le presenze effettive ed esaminare le deleghe raccolte, nonché esaminare e discutere tutti i punti all'ordine del giorno, ed effettuare regolarmente le operazioni di voto accertando i "quorum" deliberativi.

Intervenne volontariamente in giudizio il condominio Ri.Te.Gi. contestando il contenuto dell'atto introduttivo e chiedendone il rigetto.

Il Condominio Eu.Ca.Ca. si costitui contestando la prestesa avversaria in adesione alla difesa dell'intervenuto.

All'esito del giudizio, il Tribunale dichiarò nulla la deliberazione dell'assemblea Condominiale dei Condominio Eu.Ca.Ca. in data 24.4.1999 e condannò l'intervenuto ed il Condominio in solido a rifondere al ricorrente le spese processuali.

A fondamento della decisione il Tribunale addusse che non poteva ritenersi esistente un condominio con riferimento ad un immobile avente destinazione alberghiera; aggiunse che le delibere assembleari erano da ritenere, comunque, inesistenti non essendo concepibile che tutto lo svolgimento delle operazioni assembleari si fosse concentrato in soli quindici minuti.

Proposero appello sia il Condominio che l'intervenuto Ri.Te.Gi., Pu.Fr., costituendosi, ripropose tutte le questioni prospettate in primo grado.

All'esito del giudizio di appello la corte di Cagliari, riformò parzialmente la decisione, rigettando la domanda del Pu. intesa ad ottenere la declaratoria di nullità della delibera per inesistenza del potere deliberativo del condominio medesimo, ma annullò la delibera in questione per l'omessa verifica del quorum costitutivo, compensando integralmente le spese del giudizio.

Ritenne la corte che non poteva condividersi l'affermazione del primo giudice secondo cui "non può sussistere condominio, in relazione ad immobili che per legge hanno destinazione alberghiera". Osservò in proposito che il condominio si riconnette soltanto ed esclusivamente all'esistenza di un edificio che sia composto da piani o porzioni di piano appartenenti in proprietà esclusiva a più soggetti e da parti comuni il cui uso è necessario perché ciascuno possa godere delle cose (piano o porzione di piano) di cui ha la proprietà esclusiva. Il condominio, secondo la definizione datane dagli artt. 1117 e segg. cod. civ., viene infatti ad esistenza per la sola circostanza che la proprietà di piani o di porzioni di piano di un medesimo edificio appartenga a più di titolari in proprietà esclusiva e prescinde totalmente dalla destinazione dell'edificio lo delle singole porzioni da cui è composto. Osservò ancora la corte che il codice civile non subordina la nascita dell'istituto del condominio negli edifici alla regolarità amministrativa degli edifici stessi o alla destinazione di essi ad un uso anziché ad un altro, ma solo ed esclusivamente all'acquisto a titolo originario o anche derivativo di distinte unità immobiliari in proprietà singolare o indifferentemente in comunione, site in fabbrica suddivisa in piani o porzioni di piano.

Assodato che nella specie sussisteva il potere deliberativo dell'assemblea, ritenne tuttavia la corte territoriale che fosse contrario alla logica ed al buon senso che, in un condominio composto da più di cento condomini, in un lasso di tempo di soli quindici minuti (la riunione era stata aperta alle ore 14 e chiusa alle ere 14,15) si fosse proceduto alla verifica della regolare costituzione dell'assemblea, al controllo dei condomini presenti e di quelli eventualmente provvisti di delega: pertanto, era logico ritenere che questa verifica non fosse stata compiuta e che detta omissione integrasse il vizio del procedimento di formazione della volontà collettiva, con conseguente annullabilità della delibera.

Per la cassazione della sentenza ha proposto ricordo Pu.Fr. nei confronti del Condominio Eu.Ca.Ca. e Ri.Te.Gi., ricorso affidato a due motivi; resiste con controricorso il Condominio Eu.Ca.Ca., che propone a sua volta ricorso incidentale, cui resiste con contro ricorse la ricorrente principale. Ri.Gi. non ha svolto difese in questa sede.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I diversi motivi di ricorso vanno esaminati secondo il loro ordine logico, indipendentemente dalla data di deposito.

1.1. Con il primo motivo Pu.Fr. deduce violazione dell'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. in relazione agli artt. 41 e 42 Cost., degli artt. 7 ss., e della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e della legge Regione Sardegna 14 maggio 1984, n. 22; violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ. e 324 c.p.c.; vizi della sentenza di cui all'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.

La Corte d'Appello - osserva la ricorrente - afferma l'esistenza di un condominio indipendentemente dalla destinazione d'uso determinata dalle disposizioni pubblicistiche, non riconoscendo la incompatibilità del regime condominiale con la destinazione alberghiera, costituente l'unica destinazione ammessa per il complesso in questione, in forza di decisioni del Consiglio di Stato e della stessa Corte di Cassazione, passate in giudicato.

Rammenta il ricorrente Pu. che il tentativo di mutare la destinazione in residenziale è stato considerato abuso edilizio e, come tale, sanzionato dal Comune di Alghero con l'ordinanza di ripristino. Trattasi, quindi, di un caso di proprietà conformata, nel senso che il rispetto della destinazione d'uso comporta delle limitazioni al godimento del bene in funzione dell'osservanza delle norme pubblicistiche. D'altra parte, l'azienda alberghiera non solo gestisce tutti i servizi comuni alberghieri ((ristorante, bar, cucine, opere a mare, piscina età), ma è proprietà esclusiva dei suddetti servizi, i quali sono totalmente sottratti al potere degli altri proprietari.

Allo stesso tempo, il conferimento della destinazione alberghiera era accompagnato dalla predisposizione di un regolamento di amministrazione, che prevede l'obbligatorio conferimento della gestione delle unità immobiliari all'amministrazione della Eu., con espressa esclusione della disciplina condominiale.

2.1. Nessuno dei due argomenti addotti contro la soluzione accolto dalla Corte d'Appello appare convincente:

a) non l'asserto che la destinazione alberghiera, fondata su norme di diritto pubblico, comporterebbe un tipo di proprietà conformata, con inevitabili limitazioni all'uso; b) non le implicazioni del regolamento contrattuale relativo al complesso immobiliare, da cui sarebbe previsto il conferimento delle unità immobiliari alla gestione della società Eu., con espressa esclusione della disciplina condominiale.

2.2. La questione di diritto, che la Corte deve risolvere per decidere la controversia, è la compatibilità del regime condominiale con la destinazione alberghiera di un immobile (o di un complesso immobiliare). Più analiticamente, complesso di edifici - destinato ad albergo, nonostante la sussistenza dei presupposti di fatto e di diritto del "condominio", configurati dall'esistenza di più unità immobiliari appartenenti a persone diverse e di cose, servizi e impianti destinati all'uso comune, se la destinazione ad albergo impedisca il sorgere del regime condominiale: per conseguenza, se la costituzione del condominio venga a dipendere dal mutamento della destinazione, peraltro vietata da disposizioni pubblicistiche.

Il problema prospettato sembra supporre una questione di ordine generale: la compatibilità del regime privatistico del condominio con le norme pubblicistiche relative all'attività alberghiera (tra le altre, le norme di sicurezza e di igiene). Posto che, in linea di massima, l'autonomia privata soggiace alle norme imperative e all'ordine pubblico; che rispetto alle regole privatistiche sulle distanze legali prevalgono sempre le norme edilizie di carattere pubblico (norme urbanistiche dei piani o dei regolamenti edilizi), se non possa ipotizzarsi un conflitto tra le norme private (concernenti il condominio) e le norme di natura pubblica relative alla destinazione alberghiera, con la prevalenza ovvia delle seconde.

La questione, prospettata dai ricorrenti in modo suggestivo, deve essere ricondotta ai suoi termini corretti, in quanto le distinte normative riguardano ambiti diversi: le norme pubblicistiche afferiscono all'uso ed incidono sulla destinazione; le norme privatistiche riguardano l'appartenenza, il cui assetto non è toccato dalle norme di diritto pubblico. Parlare di conformazione della proprietà - come se ne parla a proposito delle norme edilizie etc, - è equivoco, perché la destinazione non esclude la contestuale applicabilità di altre norme privatistiche, del tutto compatibili.

2.3 II condominio - è noto - si costituisce per titolo o per legge, in seguito alla prima vendita di un piano o di una porzione di piano siti nell'edificio, stipulata dal costruttore (di solito proprietario unico per essere proprietario del suolo). Quando manca il titolo e non è disposto altrimenti, la norma dettata dall'art. 1117 cod. civ. disciplina l'attribuzione del diritto di condominio (non la semplice presunzione).

Per la verità, diversamente da quanto è scritto negli artt. 880 cod. civ. ("il muro che serve di divisione tra edifici si presume comune") e 881 cod. civ. ("si presume che il muro divisorio tra i campi, cortili, giardini ed orti appartenga al proprietario "), i quali disciplinano la cosiddetta presunzione relativa- ovverosia l'effetto preclusivo di grado inferiore -. la formula dell'art. 1117 cod. civ. non parla di presunzione: dice che sono "oggetto di proprietà comune". Non contempla un fatto di conoscenza, ma un fatto di attribuzione del diritto. Quando il titolo non dispone altrimenti, il diritto di condominio nasce dalla legge: il condominio si fonda sulla attribuzione ex lege.

Attribuzione per legge non significa insussistenza della intermediazione del fatto. La formula semplifica una fattispecie complessa costituita, anzitutto, dal presupposto di efficacia, configurato dal collegamento materiale e funzionale tra i beni strumentali (le cose, gli impianti ed i servizi di uso comune) ed i beni finali (le unità immobiliari in proprietà esclusiva) e, contestualmente, dal fatto traslativo riguardante i beni finali. Dal codice, questi (i piani o le porzioni di piano) sono considerati come beni principali; gli altri (le cose, gli impianti ed i servizi di uso comune) come beni accessori. In virtù del collegamento strumentale - materiale e funzionale, configurato rispettivamente dalla necessità per l'esistenza o per l'uso, ovvero dalla destinazione all'uso o al servizio - l'efficacia del fatto traslativo riguardante i beni principali (i piani o le porzioni di piano) si propaga ai beni accessori (alle cose, gli impianti ed i servizi di uso comune), secondo il principio accessorìum sequitur principale (art. 818 primo comma, cod. civ.).

Avuto riguardo ai negozi giuridici riguardanti le unità immobiliari site nell'edificio, o nel complesso di edifici, se con l'atto negoziale non viene manifestata esplicitamente una diversa volontà, la legge riconduce alle parti accessorie - alle cose, agli impianti ed ai servizi di uso comune, individuati tramite il collegamento materiale e funzionale - gli effetti acquisitivi derivanti dagli atti concernenti i beni principali, cioè i piani o le porzioni di piano.

La peculiarità del condominio si ricollega alla situazione materiale e giuridica dell'edificio, dove la relazione di accessorietà riguarda allo stesso tempo più unità immobiliari. In ragione del collegamento, materiale e funzionale, gli atti traslativi dei beni principali estendono non la proprietà, ma la "proprietà comune" dei beni accessori.

2.4 Per dimostrare la compatibilità del regime di condominio con la destinazione alberghiera (quindi, per dimostrare che la destinazione alberghiera non impedisce il sorgere del regime del condominio e, viceversa, che il mutamento della destinazione non raffigura il presupposto necessario per la costituzione dell'assetto condominiale), basta considerare, procedendo per approssimazioni successive, che in uno stesso edificio, possono ben esistere più unità immobiliari soggette a proprietà esclusiva ed a destinazioni diverse e che in questi casi insorge il regime del condominio (per esempio, i primi piani sono destinati ad albergo, i piani alti destinati ad abitazione; oppure, nello stesso edificio possono essere collocati due alberghi distinti appartenenti a proprietari diversi). Se nell'edificio esistono cose, impianti e servizi destinati all'uso comune (certamente il suolo, la facciata, i muri maestri, gli impianti idrici età), non è ragionevole contestare che si instauri il regime del condominio, con la attribuzione in proprietà in comune di cose, impianti e servizi e la susseguente partecipazione in assemblea secondo i diversi millesimi.

Da questa considerazione particolare scaturisce una proposizione di ordine generale.

Una cosa è la destinazione dell'uso e la conformazione dell'appartenenza; altra la coesistenza dei diritti di proprietà e di condominio. Le due situazioni giuridiche sono del tutto separate ed autonome. II regime del condominio non dipende dalla destinazione d'uso delle cose in proprietà esclusiva, sebbene dall'esistenza nello stesso edificio di più proprietà separate, ancorché conformate: si costituisce, perciò, in seguito alla semplice coesistenza nello stesso edificio, o nel complesso di edifici, di più proprietà solitarie e, ad un tempo, di più cose, servizi ed impianti destinati all'uso comune. Segue essere, a questo fine, del tutto irrilevante la conformazione della proprietà, determinata dalle norme concernenti l'urbanistica, il paesaggio, l'ambiente etc, perché per la costituzione del regime del condominio è necessaria e sufficiente assieme a quella delle unità abitative in proprietà esclusiva - di cose, impianti e servici destinati all'uso comune e, pertanto, di proprietà comune (siccome accessori strumentali rispetto ai beni finali di proprietà esclusiva).

Pertanto, il regime condominiale è sicuramente compatibile con la destinazione alberghiera di un immobile (o di un complesso immobiliare). Più analiticamente, nel caso di un edificio - o di un complesso di edifici - destinato ad albergo, in presenza dei presupposti di fatto e di diritto del "condominio", configurati dall'esistenza di più unità immobiliari appartenenti a persone diverse e di cose, servizi ed impianti destinati all'uso comune, la destinazione ad albergo non impedisce la costituzione del regime condominiale: per conseguenza, la costituzione del condominio non dipende dal mutamento della destinazione, ancorché vietata da disposizioni pubblicistiche

Risolta in astratto la questione di diritto, per decidere la controversia in concreto si pone il problema ulteriore della identificazione complesso immobiliare di cui si discute, delle cose, degli impianti e dei servizi destinati all'uso comune. Il fatto che l'azienda alberghiera sia proprietaria esclusiva di tutti i relativi servizi (ristorante, bar, cucine, piscina, opere a mare) non esclude di per sé l'esistenza di altre cose, impianti e servizi destinati all'uso comune (strade, reti idriche o fognarie, condutture elettriche. impianti di condizionamento dell'aria etc.).

Nella specie, questo dato di fatto è incontroverso sebbene il punto non sia dibattuto espressamente, dalla disamina degli atti regolamentari (sentenza impugnata, ricorso, controricorso, memorie etc.) si desume l'esistenza di cose, impianti e servizi destinati all'uso comune (le strade, le reti idriche e fognarie, i cavi dell'energia elettrica, gli impianti per il condizionamento dell'aria, etc) e pertanto di proprietà comune: situazione di fatto e di diritto idonea a giustificare la costituzione del regime del condominio.

2.5. Resta la questione della esistenza del regolamento contrattuale di condominio che, esplicitamente, escluderebbe la disciplina condominiale o che, quanto meno, implicitamente, comporterebbe limitazioni pattizie all'uso delle unità abitative, incompatibili con la organizzazione condominiale.

Il ricorrente che deduca la mancata valutazione di alcune risultanze probatorie ha l'onere, in virtù del principio di autosufficienza del ricorso, di specificare, trascrivendole integralmente, le prove non valutate. Orbene, agli atti non esiste prova alcuna dell'esistenza di tale regolamento: in mancanza della sua produzione, o comunque della sua integrale trascrizione, non è possibile valutarne la consistenza (il contenuto e, particolarmente gli obblighi derivati, i soggetti stipulanti ed i soggetti obbligati).

3.1 - Con unico motivo di ricorso, articolato in molteplici censure, il Condominio Eu.Ca. Ca. deduce violazione dell'art. 360 n. 3 c.p.c, violazione e falsa applicazione degli artt. 1137 e 2697, nonché 2728 c.c., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia nonché omesso esame di prove decisive, per avere il giudice d'appello ritenuto impossibile lo svolgimento della verifica del quorum costitutivo sul falso presupposto materiale, documentalmente smentito, che il numero dei condomini da verificare fosse superiore a cento, laddove vi era la prova che fosse pari a ventisette.

Assume il ricorrente Condominio che a mente del combinato disposto degli articoli 1137 e 2697 c.c, l'onere di provare l'invalidità della delibera assembleare grava su colui che la impugna, ricorrendo una presunzione di verità delle attività documentate dalla delibera stessa. La Corte d'Appello - a dire del ricorrente incidentale- avrebbe immotivatamente disatteso tale presunzione di verità presumendo a sua volta che non fosse stata svolta la verifica del quorum in assenza di qualsiasi ulteriore elemento -anche presuntivo- da cui potesse evincersi la fondatezza dell'assunto del condomino impugnante. Sussisterebbe poi contraddittorietà della decisione laddove la corte di merito ha, da un lato, attribuito valore di piena prova alla delibera che attestava la durata delle operazioni assembleari, e dall'altro l'ha disconosciuto in merito alla attestazione della verifica del quorum. Infine, il condominio ricorrente censura come viziato l'iter argomentativo della corte d'appello ove ha ritenuto che i partecipanti all'assemblea erano oltre cento, mentre risultava comprovata dal verbale la presenza di sole 27 persone, ed ove ha omesso di considerare che tutti i partecipanti si conoscevano tra loro personalmente, sicché la identificazione era immediata, e che poco prima si era svolta l'assemblea della s. r. l. Pu.Qu. che riuniva gran parte dei partecipanti al condominio Eu.Ca.Ca., sicché vi era identità di presenti e di deleghe.

3. 2 - È risaputo che il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale delle argomentazioni svolte dal giudice del merito. Consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza o contraddittorietà della medesima, può dirsi legittimamente sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice del merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato o insufficiente esame dei punti decisivi della controversia, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente addotte, tale da non consentire l'identificazione del processo logico giuridico posto a base della decisione. Il ragionamento della Corte si sottrae alle censure.

Posto che dal verbale risulta avere la riunione avuto inizio alle ore 14 e termine alle ore 14,15, essendo contrario alla logica ed al buon senso opinare che in un lasso di tempo di soli quindici minuti si sia potuto procedere, in un condominio composto da più di cento partecipanti, alla verifica della regolare costituzione dell'assemblea e dunque al controllo dei condomini presenti e di quelli eventualmente provvisti di delega, nonché allo svolgimento delle altre operazioni, la conclusione che tale verifica non sia stata eseguita appare logicamente corretta. Né ha pregio l'assunto secondo cui la corte avrebbe prestato credito alla durata delle operazioni riportata in verbale e non alla attestazione del medesimo verbale della avvenuta verifica del quorum. Méntre nessuna delle parti ha mai contestato la rispondenza al vero della durata delle operazioni indicata nel verbale dell'assemblea, sicché la corte territoriale non avrebbe potuto d'ufficio porsi il problema della esattezza o meno della indicazione, non altrettanto è avvenuto per la verificazione del quorum, in ordine alla quale era stato articolato specifico motivo di impugnativa.

Deve quindi concludersi che il ragionamento di fatto della corte di merito, in quanto corretto e sufficiente, non è censurabile in questa sede.

4, - I ricorsi, da riunire in quanto proposti contro la stessa sentenza, devono essere entrambi rigettati.

Sussistono giusti motivi per compensare tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte:

riunisce i ricorsi e li rigetta; compensa to le parti le spese del giudizio di legittimità.

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