Gli accordi sindacali aziendali non possono derogare alla contrattazione collettiva riducendo l'orario di lavoro conseguente incremento retributivo

Gli accordi sindacali aziendali stipulati da aziende municipalizzate di trasporti che, invece di limitarsi a disciplinare gli aspetti pertinenti all'orario di servizio (come la determinazione del nastro lavorativo, del numero e della durata delle riprese, delle modalità di cambio e dei tempi accessori), intervengano a ridurre l'orario con conseguente incremento retributivo, sono frutto di una contrattazione a livello aziendale illegittima in quanto vertente su di un istituto regolato dalla contrattazione nazionale e si pongono in contrasto con l'articolo 5 ter del Dl 702/1978, secondo il quale agli enti locali (e a loro aziende municipalizzate o consortili, o a società per azioni a partecipazione maggioritaria degli enti locali) è fatto divieto di approvare o stipulare accordi integrativi aziendali prevedenti erogazioni economiche aggiuntive rispetto a quelle previste dai contratti nazionali di categoria. (Corte di Cassazione, Sezione Lavoro Civile, Sentenza del 1 aprile 2008, n. 8423)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo - Presidente

Dott. DI NUBILA Vincenzo - Consigliere

Dott. STILE Paolo - Consigliere

Dott. D'AGOSTINO Giancarlo - Consigliere

Dott. LA TERZA Maura - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PA. RO., elettivamente domiciliato in ROMA VIA MARIA ADELAIDE 12, presso lo studio dell'avvocato PELLETTIERI GIOVANNI, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

ME. -. ME. DI. RO. S.P.A., (gia' CO. Spa), in persona dell'Amministratore Delegato Dott. Ing. Ca. Ro., elettivamente domiciliata in ROMA VIA TIBURTINA 770, presso lo studio dell'avvocato BAGOLAN LUCIANO, che la rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 205/05 della Corte d'Appello di ROMA, depositata il 23/05/05 R.G.N. 2781/03;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio il 16/01/08 dal Consigliere Dott. LA TERZA Maura;

lette le conclusioni scritte dal Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE IGNAZIO, che ha concluso chiedendo alla Corte, pronunciare sentenza in Camera di consiglio ai sensi dell'articolo 375 c.p.c., comma 2, per manifesta infondatezza del ricorso".

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con la sentenza impugnata la Corte di Appello di Roma, confermando la decisione di primo grado, negava il diritto di Pa.Ro. al pagamento da parte del datore di lavoro Me. Me. di. Ro. spa di differenze per compensi relativi a lavoro straordinario. Secondo l'attore in primo grado questo era stato liquidato con un sistema di computo che ignorava la riduzione dell'orario normale di lavoro da 39 a 37 ore settimanali, disposta da un accordo aziendale, mentre gli emolumenti dovevano essere calcolati con il riproporzionamento delle quote orarie teoriche di retribuzione. Avverso questa sentenza il Pa. ricorre per cassazione con due motivi. La Me. spa resiste con controricorso.

Stabilita la trattazione in camera di consiglio ai sensi dell'articolo 375 c.p.c., il Pubblico Ministero ha concluso per la manifesta infondatezza del ricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I due motivi - con cui si censura la sentenza per violazione e falsa applicazione degli articoli 115, 116, 345 e 421 e 437 c.p.c., nonche' dell'articolo 13 dell'accordo aziendale 22 giugno 1983 e dell'accordo aziendale 28 luglio 1988 e, in via subordinata degli articoli 1362, 1363, 1364, 1364, 1366, 1367, nonche' per difetto di motivazione, nonche' degli articoli 15 e 17 del CCNL del 1976, 11 del CCNL del 1982 e del 1983, dell'accordo nazionale del 27.2.87 e dei medesimi accordi aziendali del 1983 e del 1988 - sono manifestamente infondati, giacche' questa Corte si e' moltissime volte pronunciata sulla questione, affermando che la tesi del lavoratore risulta errata in diritto, in quanto contraria al disposto del Decreto Legge 10 novembre 1978, n. 702, articolo 5 ter, convertito in Legge 8 gennaio 1979, n. 3, che vieta alla contrattazione aziendale miglioramenti economici non espressamente previsti in quella nazionale. Ed infatti, se la riduzione dell'orario di lavoro producesse effetti retributivi favorevoli ai lavoratori, servirebbe per aggirare il suddetto divieto, posto da norma da ritenersi ancora in vigore all'epoca della stipulazione degli accordi in questione, come risulta dalla disciplina della riforma della municipalizzazione avviata con la Legge 8 giugno 1992, n. 142 e perfezionata da leggi successive, e dal testo unico di cui al Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (cfr. in particolare la norma transitoria dettata per le aziende speciali dal dettato Decreto Legislativo articolo 123, comma 3).

Si infatti affermato, tra le tante Cass. n. 12661 del 08/07/2004 e da ultimo Cass. n. 9614 del 2006, che: "Gli accordi sindacali aziendali stipulati da aziende municipalizzate di trasporti che, come nella specie, invece di limitarsi a disciplinare gli aspetti pertinenti all'orario di servizio (come la determinazione del nastro lavorativo, del numero e della durata delle riprese, delle modalita' di cambio e dei tempi accessori), intervengano a ridurre l'orario di lavoro con conseguente incremento retribuivo, sono frutto di una contrattazione a livello aziendale illegittima in quanto vertente su di un istituto regolato dalla contrattazione nazionale e si pongono in contrasto con il Decreto Legge n. 702 del 1978 articolo 5 ter, convertito in Legge n. 1 del 1979 (applicabile alla specie ratione temporis), secondo il quale agli enti locali (e a loro aziende municipalizzate o consortili, o a societa' per azioni a partecipazione maggioritaria degli enti locali) e' fatto divieto di approvare o stipulare accordi integrativi aziendali prevedenti erogazioni economiche aggiuntive rispetto a quelle previste dai contratti nazionali di categoria". Il ricorso va quindi rigettato.

Alla soccombenza segue la condanna al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 52,00, oltre euro duemila, per onorari, spese generali e accessori di legge.

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