Il licenziamento disciplinare è legittimo se a seguito della contestazione dell'infrazione vengono dedotti fatti nuovi con l' assegnazione di un termine per la difesa

In materia di licenziamento disciplinare, se in seguito alla contestazione dell'infrazione vengono contestati fatti nuovi con l'assegnazione di nuovi termini per permettere la difesa al dipendente, il licenziamento deve ritenersi legittimamente comminato.
E' quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, Sezione Lavoro Civile, con sentenza del 5 novembre 2007,
n. 23071.



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SENTENZA

sul ricorso proposto da:

GA. RO., elettivamente domiciliata in ROMA VIA ALBA 12/A, presso lo studio dell'avvocato ALESSANDRINI CARLO, rappresentata e difesa dall'avvocato COLONNELLO Massimo, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

TI. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DELLA BALDUINA 114, presso lo studio dell'avvocato MARRAPESE Giovanni, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 2511/03 della Corte d'Appello di ROMA, depositata il 19/03/04 r.g.n. 8337/01;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 02/10/07 dal Consigliere Dott. Aldo DE MATTEIS;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FEDELI Massimo, che ha concluso per R.N.R. in subordine rigetto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 26 gennaio 2000 la Ti. s.r.l. conveniva in giudizio la propria dipendente sig.ra Ga. Ga. per sentir dichiarare la legittimita' del licenziamento disciplinare intimatole il 13 gennaio precedente.

Il giudice adito, in accoglimento della domanda riconvenzionale della Ga., con sentenza 12 luglio 2001 ha dichiarato il licenziamento illegittimo, per violazione della Legge 20 maggio 1970, n. 300 articolo 7 in quanto nella lettera di licenziamento sarebbero stati posti a giustificazione fatti diversi dall'originaria contestazione, come l'uso da parte dell'appellata di fax, fotocopiatrice e del telefono aziendale e per aver esposto l'azienda a possibili azioni giudiziarie di altri soggetti; annullava il licenziamento ed ordinava la reintegrazione della stessa nel posto di lavoro, con condanna al risarcimento del danno.

Il Tribunale di Roma, decidendo con sentenza non definitiva 5 giugno 2003/19 marzo 2004 n. 2511/2003 solo la questione della tempestivita' della contestazione, in riforma della sentenza impugnata, ha dichiarato che il datore di lavoro ha rispettato la procedura di previa contestazione di cui all'articolo 7; ha disposto con separata ordinanza la prosecuzione del giudizio per l'esame della legittimita' nel merito dell'atto di recesso.

Il giudice d'appello ha disatteso la decisione del primo giudice per due ragioni: 1. perche' la dipendente ha avuto i termini a difesa sulla seconda contestazione; 2. perche' il licenziamento e' comunque motivato essenzialmente in relazione ai fatti della prima contestazione.

Sul primo punto ha rilevato: dopo l'originaria contestazione la appellata veniva sentita il 4 gennaio 2000 alla presenza di un rappresentante sindacale. La societa' contestava alla Ga. anche di avere usato indebitamente fax, telefono e fotocopiatrice aziendale e di avere esposto la societa' al pericolo di danni di onorabilita' e di immagine. Il rappresentante del sindacato chiese di poter controdedurre a questa nuova contestazione e successivamente fece sapere con lettera di non aver niente da aggiungere.

Il giudice d'appello ha concluso sul punto che l'appellata e' stata idoneamente informata, alla presenza anche di rappresentanti sindacali di sua fiducia, di questi nuovi addebiti e le e' stato concesso un termine per potersi discolpare, che non ha inteso utilizzare.

Sul secondo punto: nella lettera di licenziamento le ragioni poste a fondamento del recesso sono i comportamenti originariamente contestati e cioe' la raccolta di fondi per prodotti natalizi vari nell'orario di lavoro, la presenza in portineria in un giorno non di lavoro per incassarli ecc.; il riferimento all'uso del telefono, fax e fotocopiatrice aziendale e' puramente aggiuntivo in quanto si deduce solo l'irrilevanza del valore del materiale utilizzato. Il giudice d'appello ha esaminato la lettera di recesso e l'ha interpretata nel senso che le ragioni del recesso sono individuate nella raccolta abusiva di fondi presso i colleghi e non nell'uso del materiale aziendale, tanto che nella citata lettera si deduce una sorta di "incompatibilita' ambientale".

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la Ga., con due motivi.

La intimata si e' costituita con controricorso, resistendo.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Si deve preliminarmente delibare il valore processuale della comunicazione depositata nella cancelleria di questa Corte il 18 luglio 2007 dall'avv. Giovanni Marrapese, difensore della Ti. s.r.l., secondo cui la societa' e' stata dichiarata fallita dal Tribunale di Roma con sent. 3 maggio 2006 n. 389.

In passato, la giurisprudenza di questa Corte era consolidata nel senso che le diverse cause di interruzione del processo previste dagli articoli 299 e 300 c.p.c., non trovano applicazione nel giudizio di Cassazione, caratterizzato dall'impulso di ufficio.

Questo principio e' stato applicato anche all'ipotesi di dichiarazione di fallimento di una delle parti (Cass. sez. un. 14 novembre 2003 n. 17295; Cass. 20 maggio 1997 n. 4480).

Successivamente Cass. Sez. Un. 13 gennaio 2 006 n. 477, in fattispecie di morte del procuratore, ha innovato sul punto, rilevando che il principio del giusto processo, ribadito dall'articolo 111 Cost., come modificato dalla Legge Costituzionale 23 novembre 1999, n. 2, ed il ruolo del difensore anche nel giudizio di cassazione, che ne impone la possibilita' di presenza anche in questa sede, richiede di rinviare il processo a nuovo ruolo, per dare comunicazione dell'evento alla parte e consentirle di nominare un nuovo difensore.

Il Collegio ritiene che il principio sopra enunciato non debba essere necessariamente applicato al caso di specie, considerata anche la mancanza di interesse della parte, e la mancanza di lesione del diritto di difesa, in relazione all'esito del giudizio, di cui in seguito, ed in considerazione del principio del giusto processo, di cui e' parte essenziale la sua ragionevole durata, ribadito dallo stesso articolo ili Cost., posto a base della sentenza delle Sezioni Unite 477/2006 cit.

Con il primo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della Legge 20 maggio 1970, n. 300 nonche' omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Assume che dal confronto tra la lettera di contestazione e la successiva lettera di intimazione del licenziamento risulta la violazione del canone di immutabilita' dei fatti contestati.

Il motivo e' infondato, perche' involge una valutazione dei fatti da parte del giudice del merito il quale, con motivazione adeguata e priva di contraddizioni, ha dato sufficiente ragione della propria valutazione.

La correttezza della motivazione risiede nel rilievo che la lavoratrice ha avuto, come dispone l'articolo 7 in esame, i termini a difesa sulla contestazione effettuata in sede di audizione, e tale rilievo e' assorbente di ogni altra considerazione circa il contenuto della lettera di licenziamento, una volta che anche la seconda contestazione sia stata ritenuta legittima.

Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione della Legge 20 maggio 1970, n. 300 articolo 7 commi 2, 3 e 5, nonche' dell'articolo 1375 c.p.c.;

omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punto decisivo della controversia (articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Assume che solo nell'atto di appello la TI. S.r.l. ha sviluppato gli argomenti posti a base della sentenza impugnata.

Il motivo e' infondato.

Il potere di rilevazione del giudice e' vincolato solo dai fatti ritualmente dedotti (Cass. Sez. un. 3 febbraio 1998 n. 1099).

Il ricorso va pertanto respinto.

Le spese processuali vengono compensate.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Compensa le spese del presente giudizio.

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