Non è necessario l'assenso del Comune a rendere operative le dimissioni del dipendente

Anche nel pubblico impiego privatizzato l'atto del lavoratore determina la risoluzione del rapporto appena il datore ne viene a conoscenza, senza necessità di un provvedimento di accettazione dell'ente. (Corte di Cassazione Sezione Lavoro Civile, Sentenza del 7 gennaio 2009, n. 57)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. IANNIRUBERTO Giuseppe - Presidente

Dott. CUOCO Pietro - Consigliere

Dott. VIDIRI Guido - rel. Consigliere

Dott. STILE Paolo - Consigliere

Dott. BALLETTI Bruno - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 19657/2005 proposto da:

DI. VI. GI., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MARIA ADELAIDE 12, presso lo studio dell'avvocato IOANNUCCI MARIA CLAUDIA, rappresentato e difeso dall'avvocato IMPERLINO Luigi giusta delega aL margine del ricorso;

- ricorrenti -

contro

COMUNE DI CASANDRINO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato PISCIOTTA Alfonso giusta delega a margine del controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 677/2004 della CORTE D'APPELLO di NAPOLI, depositata il 07103/2005 R.G.N. 38/03;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 19/11/2008 dal Consigliere Dott. GUIDO VIDIRI;

udito l'Avvocato IMPERLINO;

udito l'Avvocato PISCIOTTA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RIELLO Luigi, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

In data (OMESSO), Di. Vi.Gi. subiva la sanzione disciplinare del licenziamento in tronco inflittagli dal Comune di Casandrino ed impugnava in data 12 giugno 1998 detto licenziamento davanti al Collegio arbitrale, che con lodo del 22 febbraio 2000 riformava il provvedimento impugnato e comminava al Di. Vi. la sospensione dal servizio per dieci giorni. In data 30 luglio 1998 l'amministrazione comunale provvedeva con delibera alla accettazione dell'atto di dimissioni - con decorrenza dal (OMESSO) - presentate dal Di. Vi. in data (OMESSO) - con il quale quest'ultimo chiedeva di essere collocato a riposo con decorrenza ai sensi di legge per dimissioni volontarie avendo maturato trentasei anni di contributi. Le dimissioni erano intervenute dopo che il Comune nell'(OMESSO) - essendosi avuta nel (OMESSO) condanna in sede penale per il reato di cui all'articolo 328 c.p., alla pena di quattro mesi di reclusione -aveva riattivato un procedimento disciplinare con la consequenziale contestazione operata nel (OMESSO).

Sul presupposto che. a seguito di tali eventi il licenziamento fosse stato intimato allorquando le dimissioni non erano state ancora perfezionate e quindi il rapporto lavorativo era ancora in corso, il Di. Vi. (che aveva domandato dopo la presentazione delle dimissioni anche il congedo per ferie dal (OMESSO) al (OMESSO)) ha chiesto al Tribunale di Napoli l'immediata reintegra nel posto di lavoro di comandante della polizia municipale del Comune di Casandrino, con il risarcimento dei danni subiti.

Il Tribunale di Napoli rigettava la domanda attrice ed, a seguito di gravame, la Corte d'appello di Napoli con sentenza del 7 maggio 2005, confermava l'impugnata sentenza.

Avverso tale sentenza Di. Vi.Gi. propone ricorso per Cassazione affidato ad un duplice motivo, illustrato anche con memoria difensiva.

Resiste con controricorso il Comune di Casandrino.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denunzia violazione e falsa applicazione del Decreto Legislativo n. 23 del 1993, articolo 59, comma 7, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957, articolo 124, e dell'articolo 11 disp. gen.. Afferma in altri termini il ricorrente che la Corte Territoriale ha errato nel ritenere che il suddetto articolo 59 disponga la sospensione automatica delle sanzioni nel corso della procedura arbitrale nel caso in cui la sanzione impugnata si identifica nel licenziamento senza preavviso per giusta causa. E la sentenza impugnata risultava errata anche nella parte in cui aveva escluso l'idoneita' del provvedimento di destituzione del dipendente a generare la nullita' o inesistenza o inefficacia dell'atto di dimissioni rassegnate da esso ricorrente. Precisava ancora il Di. Vi. che nel caso di specie il provvedimento di scioglimento del rapporto lavorativo, disposto dal Comune in data (OMESSO), aveva determinato la nullita' e/o l'inesistenza delle dimissioni rassegnate da esso Di. Vi., perche' tali dimissioni non si erano perfezionate con l'accettazione da parte del Comune; accettazione cui doveva assegnarsi efficacia costitutiva della cessazione del rapporto, cosi' come emergeva dal disposto dell'articolo 124 c.c., del Decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957 che alla stregua del disposto del Decreto Legislativo n. 29 del 1993, articolo 72 non poteva ritenersi abrogato con la privatizzazione del pubblico impiego. In altri termini, l'istanza di dimissioni intervenendo su un rapporto di lavoro gia' cessato si configurava come un atto privo di causa ed, in quanto tale, affetto da nullita' o da inefficacia.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia di arbitrato nonche' difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia. Assume al riguardo il Di. Vi. che la sentenza impugnata aveva trascurato di considerare che dal lodo arbitrale - per non essere piu' soggetto alle impugnazioni ordinarie - scaturiva un obbligo giuridico vincolante il Comune. Dal che derivava pure che l'atto che aveva posto fine al rapporto di pubblico impiego tra esso ricorrente ed il Comune era il licenziamento disciplinare in tronco del (OMESSO), novato - con pronunzia del 22 febbraio 2000 - nella sospensione del servizio per dieci giorni, con il conseguente diritto di esso Di. Vi. ad ottenere l'adempimento di quanto statuito nel lodo arbitrale nonche' il risarcimento dei danni cagionati dal Comune.

I due motivi del ricorso, da esaminarsi congiuntamente per comportare la soluzione di questioni tra loro strettamente connesse, vanno rigettati perche' privi di fondamento.

Questa Corte ha - con le sentenze 22 dicembre 2003 n. 19623 e 10 agosto 2006 n. 17764 - statuito che il Decreto Legge 1 dicembre 1993, n. 487, convertito dalla Legge 29 gennaio 1994, n. 71, nell'attuare la trasformazione della Amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni in ente pubblico economico, denominato Ente Poste Italiane, ha dato luogo alla costituzione di un nuovo soggetto -subentrato nei rapporti di cui era titolare un'amministrazione autonoma dello Stato - che si avvale nello svolgimento della propria attivita' istituzionale dei medesimi strumenti giuridici dei soggetti privati. I rapporti di lavoro in corso al momento del subentro sono divenuti di diritto privato e quindi, necessariamente, di natura contrattuale. Ne consegue, con riferimento agli effetti delle dimissioni del dipendente che, non essendo compatibile con il nuovo regime del rapporto di lavoro la disciplina delle dimissioni dettata dalla Legge 10 gennaio 1957, n. 3, articolo 124 (Testo Unico impiego statale) e dovendosi applicare i criteri civilistici, la dichiarazione di dimissioni non e' revocabile una volta che sia pervenuta a conoscenza del datore di lavoro, indipendentemente dalla comunicazione della accettazione da parte di quest'ultimo.

I giudici di legittimita' hanno evidenziato al riguardo come con riferimento alle modalita' di costituzione dei rapporti di lavoro, non puo' non estendersi alla disciplina delle dimissioni del dipendente privato quella dettata per l'impiego pubblico dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957, articolo 124 (norma a cui ha fatto riferimento il ricorrente per sostenere invece la sua tesi). Il rapporto di impiego pubblico, infatti, e' costituito mediante atto unilaterale ed autoritativo dell'amministrazione e, conseguentemente, non puo' cessare per effetto di una manifestazione di volonta' del dipendente per cui, ai sensi della disciplina di settore (articolo 124, cit., e altre norme analoghe), tale manifestazione di volonta' (dimissioni) costituisce soltanto il presupposto (atto di impulso del procedimento, cioe' una domanda amministrativa) per l'emanazione del provvedimento amministrativo che determina l'estinzione del rapporto (accettazione delle dimissioni) (cfr. in motivazione: Cass. 22 dicembre 2003 n. 19623 cit.).

Questa stessa Corte con una piu' recente decisione ha poi affermato - in relazione ad un rapporto di lavoro riguardante una Azienda Ospedaliera - che il rapporto di lavoro alle dipendenze della Pubblica amministrazione, successivamente all'entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 29 del 1993 e' regolato dalle norme del codice civile e dalle leggi civili sul lavoro nonche' dalle norme sul pubblico impiego solo in quanto non espressamente abrogate o incompatibili, sicche' le dimissioni del lavoratore costituiscono un negozio recettizio idoneo a determinare la risoluzione del rapporto dal momento in cui venga a conoscenza del datore di lavoro ed indipendentemente dalla volonta' di quest'ultimo di accettarle (cfr. in tali sensi: Cass. 4 ottobre 2007 n. 20787, che sul presupposto dell'applicazione di tale principio ha anche affermato che una volta risolto il rapporto e' necessario che le parti stipulino un nuovo contratto di lavoro, non essendo sufficiente, ad eliminare l'effetto risolutivo che si e' prodotti la revoca delle dimissioni da parte del lavoratore nemmeno se la revoca sia stata manifestata in costanza di preavviso).

Quest'ultima decisione che ha riconosciuto carattere generale - nella regolamentazione delle dimissioni del lavoratore in materia di pubblico impiego privatizzato - alla natura unilaterale di tale atto a seguito dell'entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 29 del 1993 e che, come le precedenti pronunzie, ha confermato l'intervenuta incompatibilita' del disposto del Decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957, articolo 124, con i c.d. rapporti di impiego pubblico privatizzato - induce questa Corte a riaffermare nell'esercizio della propria funzione nomofilattica i principi da essa enunciati, che portano a non riconoscere - e' opportuno ribadirlo - alla accettazione delle dimissioni del lavoratore portata costitutiva della cessazione del rapporto lavorativo e, conseguentemente, del recesso dal rapporto. Regola questa che e' basata su una corretta lettura della normativa del citato Decreto Legislativo n. 29 del 1993 perche' dal complesso delle disposizioni di cui all'articolo 2, commi 2 e 3, e dell'articolo 72 (norma transitoria) di detto decreto si ricava che: a) dalla data di entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 29 del 1993 il rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti restava regolato dalle norme del codice civile e dalle leggi civili sul lavoro; b) che fino alla sottoscrizione del secondo contratto collettivo previsto dal decreto stesso il rapporto di lavoro continuava ad essere regolato anche dalle norme sul pubblico impiego non espressamente abrogate.

Implicito corollario di tale sistema normativo misto e' che non vi sia insanabile incompatibilita' tra le norme civili, chiamate ormai a regolare in via principale il rapporto di lavoro dei pubblici dipendenti, e le norme sul pubblico impiego non espressamente abrogate.

Risponde infatti a logica e razionalita' che il rapporto di lavoro non possa essere regolato da norme tra di loro incompatibili. Una siffatta incompatibilita' e' ravvisabile tra il disposto dell'articolo 2118 c.c., in tema di recesso dal contratto di lavoro, come interpretato dalla costante giurisprudenza di questa Corte, e Legge 10 gennaio 1957, n. 3, articoli da 124 e 132 (Testo Unico sugli impiegati civili dello Stato) sulle dimissioni dell'impiegato e sulla sua riammissione in servizio (cfr. in tali sensi in motivazione: Cass. 4 ottobre 2007 n. 20787 cit. nonche' Cass. 29 dicembre 2003 n. 19623 cit.).

Per concludere, alla luce di quanto sinora detto - per risalire le dimissioni del Di. Vi. al (OMESSO), e cioe' ad epoca antecedente il licenziamento in tronco ed il lodo arbitrale e, quindi, al periodo in cui il rapporto lavorativo tra questi ed il Comune era ancora in corso - devono reputarsi prive di fondamento tutte le argomentazioni del ricorrente basandosi le stesse sull'assunto che le sue dimissioni andavano invece accettate dal Comune di Casandrino per divenire efficaci ed irrevocabili solo a seguito di tale accettazione.

La sentenza impugnata va dunque confermata perche' il dispositivo e' conforme al diritto anche se ne va corretta la motivazione - ai sensi dell'articolo 384 c.p.c., u.c. - nei termini sopra esposti in applicazione del seguente principio di diritto: "A seguito dell'entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 29 del 1993 essendo il c.d. rapporto di pubblico impiego privatizzato regolato dalle norme del codice civile e dalle leggi civili sul lavoro nonche' dalle norme sul pubblico impiego solo in quanto non espressamente abrogate e non incompatibili, le dimissioni del lavoratore costituiscono un negozio unilaterale recettizio idoneo a determinare la risoluzione del rapporto di lavoro dal momento in cui venga a conoscenza del datore di lavoro e indipendentemente dalla volonta' di quest'ultimo di accettarle, sicche' non necessitano piu' per divenire efficaci di un provvedimento di accettazione da parte della pubblica amministrazione".

Il ricorrente, in ragione della sua soccombenza, va condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di Cassazione, che vanno liquidate unitamente agli onorari difensivi - tenendo conto che il controricorso e' stato depositato fuori del termine di cui all'articolo 370 c.p.c. - nella misura di cui al dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di Cassazione, liquidate in euro 25,00 oltre euro 1.500,00 (millecinquecento/00) per onorari difensivi nonche' alle spese generali.

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