Casa:
La locazione di immobili urbani.
Le differenze di disciplina tra gli immobili ad uso abitativo e quelli ad uso diverso.
Ferma restando l'applicabilità a tutti i contratti di locazione della normativa codicistica innanzi illustrata, in materia di locazione di immobili urbani, il legislatore è intervenuto specificamente, modificando, con la legge 9 dicembre 1998 n. 431, la disciplina dettata dalla legge 27 luglio 1978 n. 392 (nota come legge dell'equo canone) e dal decreto legge 11 luglio 1992 n. 333, convertito nella legge 8 agosto 1992 n. 359. La normativa dell'equo canone, pur volendo essere improntata ad un graduale ritorno ad una libera contrattazione rispetto alla legislazione vincolistica previgente, prevedeva tuttavia una disciplina fortemente limitativa dell'autonomia delle parti. Infatti, per gli immobili adibiti ad uso abitativo, il canone veniva determinato in base a criteri legalmente prefissati e, per soddisfare l'esigenza di una stabile soluzione abitativa, la durata minima del rapporto di locazione era fissata in quattro anni, rinnovabili alla scadenza di altri quattro, salvo disdetta. Per gli immobili destinati ad uso diverso, la legge n. 392/78 si limitava invece a stabilire soltanto la durata minima della locazione, indicata in 6 anni, aumentati a 9 in caso di immobile adibito all'esercizio dell'attività alberghiera, lasciando alle parti la più ampia libertà di determinare concordemente il corrispettivo. Tale disciplina, relativa agli immobili ad uso commerciale, è peraltro tuttora in vigore, tenuto conto che la riforma del 1998 ha avuto ad oggetto esclusivamente le locazioni abitative.
Le locazioni ad uso abitativo
Un primo passo nella direzione della liberalizzazione delle locazioni ad uso abitativo veniva compiuto con il D.L. n. 333/92, che, relativamente agli immobili "nuovi", ossia ultimati successivamente all'entrata in vigore della nuova normativa, escludeva l'operatività dei criteri di predeterminazione legale del canone; d'altro canto, i contratti di locazione relativi agli immobili privi del requisito di novità potevano prevedere la facoltà delle parti di derogare all'equo canone, concludendo i c.d. accordi in deroga.
Un'effettiva liberalizzazione, tuttavia, è stata conseguita soltanto con la legge n. 431/98, che ha previsto per i contraenti la possibilità di seguire due canali alternativi, con il primo dei quali, denominato libero, il canone di locazione può essere liberamente stabilito dalle parti, ma la durata minima del contratto è necessariamente di otto anni (4+4), salvo disdetta nei casi espressamente previsti dalla legge.
La scelta dell'altro canale, detto amministrato o convenzionato-sindacale, comporta, da un lato, una durata più breve del rapporto di locazione (3 anni + 2), compensata, però, da una minore libertà nella determinazione del canone, che deve essere contenuto nell'ambito dei termini stabiliti da accordi sindacali stipulati a livello locale dai rappresentanti della proprietà edilizia e degli inquilini.
Quest'ultima opzione, peraltro, facoltativa per le locazioni abitative ordinarie, è obbligatoria in molti Comuni d'Italia per le locazioni transitorie non turistiche e per quelle stipulate con studenti universitari. Fondamentale, poi, è l'introduzione da parte della Legge n. 431/98 dell'obbligo della forma scritta, a pena di nullità, per la valida stipula dei contratti di locazione ad uso abitativo.
Procedendo nell'esame della normativa dettata dalla legge sopra citata, viene quindi in rilievo l'art. 13, che identifica il canone legalmente dovuto dal conduttore nel canone risultante dal contratto scritto e registrato, al fine di combattere in primo luogo il fenomeno dell'evasione fiscale e consentire, inoltre, al conduttore di esercitare il diritto di riottenere quanto pagato in eccedenza rispetto al canone contrattuale o convenzionato durante il corso della locazione o, in ogni caso, entro sei mesi dalla fine della locazione stessa. Ciò non inficia comunque la validità dell'accordo transattivo eventualmente raggiunto da locatore e conduttore per regolare effetti di vicende verificatesi nel corso del rapporto contrattuale (così Cass. sent. n. 5253 dell'11 giugno 1997).
Il canone è inoltre suscettibile di aggiornamento, ossia di rimanere ancorato all'indice dei prezzi al consumo per famiglie di operai ed impiegati, secondo i dati statistici elaborati dall'ISTAT. La legge n. 431/98 non accenna in alcuna parte al tema degli aggiornamenti dei canoni di locazione, che dunque non viene affrontato nè per vietare gli aggiornamenti nè per imporre una limitazione.
Si potranno pertanto verificare due ordini di ipotesi diverse nei contratti a canone libero: 1) che il nuovo contratto di locazione non contenga alcuna clausola relativa all'aggiornamento del canone: in tal caso, per tutta la durata della locazione e del suo eventuale primo rinnovo obbligatorio, il locatore non potrà pretendere alcun aggiornamento del canone, che resterà quindi fisso ed immutabile; 2) che il nuovo contratto di locazione contempli una clausola di aggiornamento destinata ad operare automaticamente, senza che occorra alcuna specifica richiesta del locatore: l'aggiornamento, infatti, verrà attuato con le modalità e scadenze convenute nella clausola contrattuale.
Per quel che riguarda i contratti con canone convenzionato-sindacale, nel silenzio della legge n. 431/98 sul punto, il Decreto Ministeriale delegato del 30 dicembre 2002 stabilisce che, in sede di accordi locali, è possibile prevedere l'aggiornamento solo in misura contrattata e, comunque, non superiore al 75% della variazione Istat. Per i contratti stipulati anteriormente all'entrata in vigore della legge n. 431/98, infine, si applica ancora l'art. 24 della legge n. 392/78, per il quale l'aggiornamento, anche se non previsto esplicitamente dal contratto, opera in base alle variazioni dell'indice ISTAT del costo della vita, ridotte al 75%, ma per l'applicazione dell'aggiornamento si esige l'esplicita richiesta del locatore mediante lettera raccomandata (si veda la sezione utilità della presente guida).
Prima della stipula del contratto, inoltre, la fondamentale cautela del locatore è quella di verificare la solvibilità di chi intende prendere in locazione l'immobile, mediante la valutazione delle fonti di reddito dell'aspirante conduttore. In mancanza di reddito, sarà necessario ottenere la garanzia di un'altra persona solvibile, la quale dovrà aggiungere per iscritto nel contratto di locazione la clausola con cui assume la garanzia di ogni adempimento e l'obbligo di risarcire i danni di qualunque natura cagionati in relazione alla locazione dalla persona garantita.
Generalmente si ritiene comunque che la cauzione, consistente in 3 mesi anticipati di canone, rappresenti il principale strumento di garanzia per il locatore. In particolare, al riguardo, occorre fare riferimento all'art. 11 della legge n. 392/78, mantenuto in vigore dalla legge n. 431/98, che vieta un deposito cauzionale eccedente tre mensilità del canone; esso è inoltre produttivo di interessi legali che debbono essere corrisposti al conduttore alla fine di ogni anno. D'altronde l'obbligo del locatore di restituire il deposito cauzionale sorge al termine del rapporto di locazione, ma soltanto se il conduttore ha integralmente adempiuto le proprie obbligazioni.
Le parti possono inoltre inserire nel contratto di locazione una clausola che preveda la possibilità per il conduttore (e solo per il conduttore) di recedere in qualunque momento dal contratto con un preavviso di 6 mesi; in mancanza di tale clausola, il conduttore può recedere anticipatamente dal contratto per un inadempimento del locatore ed in ogni caso può recedere con un preavviso di 6 mesi quando, secondo l'art. 4 della legge n. 392/78, "ricorrono gravi motivi". Peraltro, in caso di contestazione da parte del locatore, la gravità dei motivi deve essere accertata caso per caso dal giudice, così da poter essere individuata, ad esempio, in una sopravvenuta infermità per la quale l'immobile locato era diventato idoneo oppure il trasferimento del conduttore per motivi di lavoro. Tuttavia, anche qualora si rimanga al di fuori di tali ipotesi, se l'inquilino rilascia anticipatamente l'immobile ed il locatore accetta senza alcuna riserva, il contratto è da intendersi risolto per mutuo consenso delle parti stesse ed il conduttore non è più tenuto a pagare il canone fino alla scadenza.
Il locatore, dal canto suo, ha la possibilità di risolvere il contratto prima della scadenza solo dinanzi ad un inadempimento contrattuale del conduttore qualificato ai sensi dell'art. 5 della legge n. 392/78, quale il mancato pagamento entro 20 giorni dalla scadenza del canone di locazione e delle spese accessorie per un importo pari ad almeno due mensilità. In ipotesi diverse da quelle contemplate dal citato art. 5, spetterà all'autorità giudiziaria valutare la gravità dell'inadempimento stesso.
La recente legge n. 431/98, all'art. 3, regola poi i casi in cui il locatore, in vista della prima scadenza del contratto (ossia i primi 4 o 3 anni di locazione), risulta legittimato a negare al conduttore il primo rinnovo obbligatorio del rapporto: il locatore può esercitare tale facoltà solo dandone comunicazione al conduttore con un preavviso di almeno sei mesi, qualora ricorra uno dei motivi elencati dal richiamato art. 3, ossia, a titolo esemplificativo, quando sia intenzione del locatore destinare l'immobile ad uso abitativo, commerciale, artigianale o professionale proprio, del coniuge, dei genitori, dei figli o dei parenti entro il secondo grado, o, ancora, quando il conduttore abbia la piena disponibilità di un alloggio libero ed idoneo nello stesso Comune nonchè quando il conduttore non occupi continuativamente l'immobile senza giustificato motivo o, comunque, nel caso in cui si profili la necessità di realizzare interventi edilizi incompatibili con la presenza del conduttore.
Per quanto concerne le modalità di espressione della disdetta, la legge parla sommariamente di comunicazione, ma, com'è naturale, una comunicazione meramente verbale o una lettera ordinaria non bastano, dal momento che il conduttore potrebbe sostenere di non averle mai ricevute; occorre quindi una raccomandata a/r, il cui modello potrà essere agevolmente riscontrato nella sezione modelli e utilità della presente guida.
Peculiare istituto in materia è il diritto di prelazione e di riscatto riconosciuto al conduttore in caso di vendita di immobili ad uso abitativo, regolato dagli artt. 38 e 39 della legge sull'equo canone, in virtù del rinvio disposto dall'art. 3 della legge n. 431/98. Dette norme prevedono che, qualora il locatore si determini a trasferire a titolo oneroso l'immobile locato, deve darne comunicazione al conduttore con atto notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, nel quale debbono essere indicati il corrispettivo, le altre condizioni alla quali la compravendita dovrebbe essere conclusa e l'invito rivolto ad esercitare o meno il diritto di prelazione.
Il conduttore è tenuto ad esercitare il diritto di prelazione entro 60 giorni dalla ricezione della comunicazione, mediante atto notificato al proprietario a mezzo di ufficiale giudiziario, offrendo condizioni uguali a quelle comunicategli. In caso di esercizio del diritto di prelazione, il versamento del prezzo di acquisto, salvo diversa indicazione, deve essere effettuato entro il termine di trenta giorni decorrenti dal sessantesimo giorno successivo a quello dell'avvenuta notifica da parte del proprietario, contestualmente alla stipula del contratto di compravendita o del contratto preliminare.
Qualora l'immobile risulti locato a più persone, la comunicazione deve essere effettuata a ciascuna di esse. Nel caso in cui il proprietario non adempia alle suddette formalità, l'avente diritto alla prelazione può, entro sei mesi dalla trascrizione del contratto, riscattare l'immobile dall'acquirente e da ogni altro successivo avente causa. Ove sia esercitato il diritto di riscatto, il versamento del prezzo deve avvenire entro il termine di tre mesi decorrente dalla prima udienza del relativo giudizio. In caso di opposizione al riscatto da parte dell'acquirente o successivo avente causa, il suddetto termine decorrerà, invece, dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza che definisce il giudizio.
Le locazioni ad uso non abitativo
La locazione non può essere di durata inferiore a sei anni quando l'immobile è adibito:
- ad attività industriali, commerciali o artigianali, non assumendo alcun rilievo, a tal fine, le dimensioni dell'impresa nè la circostanza che l'attività svolta comporti o meno un rapporto diretto con il pubblico dei consumatori e degli utenti;
- ad attività di interesse turistico comprese tra quelle di cui all'art. 2 della legge n. 326/68, quali agenzie di viaggio, aziende di soggiorno, ostelli per la gioventù, campeggi e villaggi turistici;
- all'esercizio abituale e professionale di qualsiasi attività di lavoro autonomo, che deve consistere in un'attività economica, artigianale, professionale o artistica che presenti comunque il carattere della professionalità;
- ad attività ricreative, assistenziali e culturali, in cui, secondo la giurisprudenza della Cassazione, rientrano anche i consolati, poichè essi, prestando assistenza e soccorso alle persone e salvaguardando i minori e gli incapaci, svolgono di fatto un'attività assistenziale;
- a sede di partiti o di sindacati. Nella suddetta categoria di contratti di locazione rientrano anche i rapporti in cui conduttore è lo Stato o altro ente pubblico territoriale.
La durata della locazione, invece, non può essere inferiore a 9 anni se l'immobile, anche se ammobiliato, è destinato all'esercizio dell'attività alberghiera. Se è stata convenuta una durata inferiore o non è stata pattuita alcuna durata, la locazione si intende conclusa per la durata stabilita dalla legge; è invece ammesso prevedere in contratto una durata maggiore, ma, se questa è superiore a 9 anni, il contratto deve essere trascritto nei pubblici registri immobiliari. Infatti è possibile stipulare un contratto di locazione per una durata inferiore a quella prevista dalla legge solo se l'attività esercitata o da esercitare nell'immobile ha per sua natura un carattere transitorio. Dunque, ai fini della validità della clausola contrattuale di una durata inferiore ai 6 anni, si richiede che l'attività svolta dal conduttore presenti carattere transitorio per sua stessa natura, ad esempio perchè svolta in occasione di una fiera o di una sporadica manifestazione turistica o artistica.
E' possibile peraltro che un immobile venga locato per essere adibito contemporaneamente ad uso di abitazione e ad uso diverso, per esempio a studio professionale o ad ufficio. In tal caso, per stabilire sia la durata della locazione sia gli altri aspetti della disciplina contrattuale, occorre fare riferimento e dare applicazione alla normativa inerente l'uso prevalente, considerando se l'attività diversa sia marginale oppure assuma una rilevanza principale.
Ancora, l'art. 80 della legge sull'equo canone interviene in materia, prevedendo che l'uso idoneo a determinare il regime giuridico cui date attuazione con riferimento allo specifico contratto di locazione non è quello stabilito in contratto, ma quello effettivo: tuttavia, se il conduttore adibisce l'immobile ad un uso diverso da quello pattuito e tale diversità dell'uso comporta l'applicazione di una diversa disciplina giuridica, il locatore ha facoltà di chiedere la risoluzione del contratto entro tre mesi da quando ha avuto conoscenza del mutamento d'uso in corso di rapporto. Questa ipotesi si verifica, a titolo esemplificativo, quando un immobile locato ad uso deposito viene successivamente adibito ad uso commerciale con attività di vendita al pubblico su sola iniziativa del conduttore: sebbene il canone rimanga invariato, la nuova situazione risulta più vantaggiosa per il conduttore, il quale potrà far valere il diritto all'indennità per la perdita dell'avviamento ed il diritto di prelazione in caso di vendita o nuova locazione dell'immobile. Lo scopo di questa norma è chiaramente quello di impedire che le parti possano stipulare contratti simulati al solo fine di eludere la disciplina prevista per ciascun tipo di locazione.
Sotto altro profilo, la durata legale del contratto, pari a 6 o 9 anni, è vincolante per il locatore, che non può recedere per nessun motivo prima della scadenza se non per un inadempimento del conduttore. Dal lato del conduttore, invece, è possibile inserire nel contratto una clausola che preveda espressamente la possibilità di recedere in qualsiasi momento dal contratto stesso anche senza addurre alcuna giustificazione, purché ne sia dato avviso mediante raccomandata almeno 6 mesi prima del rilascio. In mancanza dell'inserimento di tale clausola, il conduttore può comunque risolvere anticipatamente il contratto ove ricorrano gravi motivi. La gravità del motivo, peraltro, in caso di contestazione, dovrà essere provata dal conduttore e valutata dal giudice, a seguito del contemperamento dei diversi interessi delle parti.
I motivi, che debbono essere specificamente indicati nella raccomandata di recesso, per essere gravi, devono collegarsi a fatti estranei alla volontà del conduttore, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto di locazione, nonchè suscettibili di rendere oltremodo onerosa per il conduttore la persistenza del rapporto stesso: la Cassazione ha individuato, ad esempio, un grave motivo nella mancata realizzazione di un piano di sviluppo edilizio già preannunciato, idoneo a ridurre sensibilmente le prospettive commerciali esistenti al momento della stipulazione del contratto; lo ha escluso ove motivato da mancati pagamenti da parte della clientela del conduttore.
Tutti i contratti di locazione ad uso non abitativo di cui stiamo parlando si rinnovano, alla prima scadenza, di 6 anni e, successivamente, di 6 anni in 6 anni se non viene comunicata la disdetta dall'una o dall'altra parte con lettera raccomandata, che deve pervenire alla controparte almeno 12 mesi prima della scadenza. Relativamente alle locazioni di immobili adibiti ad attività alberghiera, poi, il contratto si rinnova di 9 anni in 9 anni, se non viene disdettato con 18 mesi di anticipo. Il contratto continua, cioè, per altri 6 o 9 anni, senza aumento del canone, fatta eccezione per l'aumento ISTAT, se previsto.
Mentre la disdetta alla prima scadenza è sempre ammessa da parte del conduttore, il locatore può negare il rinnovo solo in presenza delle ragioni tassativamente indicate dall'art. 29 della legge 392/78, ossia: 1) adibire l'immobile ad abitazione propria o del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta; 2) adibire l'immobile all'esercizio in proprio, da parte del coniuge o dei parenti entro il secondo grado in linea retta di una delle attività indicate nell'art. 27 sopra richiamato della legge sull'equo canone; 3) demolire l'immobile per ricostruirlo ovvero procedere alla sua integrale ristrutturazione o completo restauro ovvero eseguire su di esso un intervento sulla base di un programma comunale pluriennale di attuazione ai sensi delle leggi vigenti; 4) ristrutturare l'immobile al fine di rendere la superficie dei locali adibiti alla vendita conforme a quanto previsto dalla normativa vigente in materia, semopre che la realizzazione delle opere necessarie si renda incompatibile con la permanenza del conduttore nell'immobile.
Se ricorre uno dei motivi innanzi elencati, il locatore può negare il rinnovo del contratto alla prima scadenza con raccomandata che, come detto, deve pervenire al conduttore con 12 o 18 mesi di anticipo, in cui venga dichiarata la volontà del locatore stesso di conseguire la disponibilità dell'immobile e sia specificato il motivo sul quale è fondata la disdetta, non essendo sufficiente, ad esempio, fare genericamente riferimento all'intenzione di svolgere nell'immobile un'attività non meglio specificata. Di contro, non è richiesto che il locatore adduca una necessità, bastando la manifestazione di un'intenzione, di cui, tuttavia, il giudice, in caso di controversia, dovrà verificare la serietà e la realizzabilità, esaminando gli elementi di fatto esistenti al momento della disdetta.
L'art. 31 della legge n. 392/78 appresta dunque tutela al conduttore di fronte ad eventuali abusi del locatore nell'esercizio della facoltà di diniego del rinnovo alla prima scadenza. Infatti il locatore, il quale, in forza di uno dei motivi sopra esposti ex art. 29, abbia ottenuto la libera disponibilità dell'immobile, è obbligato, entro 6 mesi dall'avvenuta riconsegna, a destinarlo all'uso per il quale lo aveva richiesto, oppure ad eseguirvi i lavori che aveva preannunciato di voler eseguire. In caso contrario, in primo luogo, il conduttore può chiedere il ripristino del contratto di locazione ed il rimborso delle spese di trasloco e di ogni altro esborso sostenuto o, in alternativa, il risarcimento dei danni subiti, che non può eccedere, in ogni caso, 48 mensilità dell'ultimo canone erogato.
Oltre a ciò il conduttore ha altresì diritto, come vedremo tra poco, all'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale nei casi previsti dalla legge. Il locatore può ancora essere condannato al pagamento di una somma variabile in favore del Comune del luogo in cui è sito l'immobile, ad integrazione del fondo sociale costituito a tal fine su base locale.
Un istituto chiaramente volto a tutelare il conduttore è l'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale, che, ad un tempo, risarcisce l'inquilino per il danno che egli subisce dal trasferimento altrove della sua attività ed opera come remora per il locatore nel disdire il contratto al solo scopo di percepire un più alto canone rispetto a quello conseguente al rinnovo del contratto in corso. Infatti la legge n. 392/78 prevede che, ogniqualvolta cessi un rapporto di locazione relativo ad immobili adibiti ad attività industriali, artigianali e commerciali che comportino un contatto diretto con il pubblico, di interesse turistico o alberghiere, il conduttore acquista diritto ad un'indennità per la perdita dell'avviamento commerciale. Tale diritto viene escluso solo se il rapporto locatizio viene meno per inadempimento del conduttore o per sua disdetta o recesso, oppure, qualora il conduttore sia una società, se essa è stata dichiarata fallita o è stata ammessa alla procedura di concordato preventivo o di amministrazione controllata, oppure se è stata posta in liquidazione coatta amministrativa. Il diritto all'indennità suddetta è dunque automaticamente collegato dalla legge alla cessazione del rapporto di locazione per causa non imputabile al conduttore. Tale indennità è pari a 18 mensilità dell'ultimo canone corrisposto se l'immobile era utilizzato per lo svolgimento di attività commerciali, industriali o artigianali o di interesse turistico, mentre ammonta a 21 mensilità se l'attività svolta era quella alberghiera.
Il conduttore ha poi diritto ad un'ulteriore indennità del medesimo importo sopra indicato a condizione che ricorrano i due presupposti che seguono: a) l'immobile venga destinato dal locatore stesso o da terzi all'esercizio della stessa attività o di attività incluse nella medesima tabella merceologica che siano affini a quella già esercitata dal conduttore uscente; b) tale attività venga iniziata entro un anno dalla cessazione del precedente rapporto locatizio. Questa peculiare tipologia di indennità deve essere erogata all'inizio dell'esercizio della nuova attività.
Entrambe le indennità sopra considerate, comunque, vengono liquidate in via forfettaria, risultando commisurate ad un numero prefissato di mensilità, cosicchè si prescinde dalla verifica del pregiudizio effettivamente subito dal conduttore a seguito della cessazione del contratto. Non è pertanto necessario, ai fini della liquidazione dell'indennità, che il conduttore dimostri la sussistenza della perdita dell'avviamento , essendo presunta dalla legge per il fatto stesso del rilascio dei locali. Peraltro l'avvenuto pagamento delle indennità per la perdita dell'avviamento commerciale costituisce la condizione perchè il locatore possa avviare la procedura esecutiva di sfratto, dal momento che il conduttore ha il diritto previsto dalla legge di trattenere l'immobile fino al versamento delle suddette indennità, provvedendo a pagare l'importo equivalente al canone nel caso in cui usi l'immobile e non dovendo invece versare alcunchè qualora si limiti a custodire l'immobile senza utilizzarlo.
Ancora, si segnala che l'indennità di avviamento è un diritto al quale il conduttore non può rinunciare al momento della stipula del contratto, poichè ciò farebbe sorgere in favore del locatore un vantaggio vietato dall'art. 79 della legge sull'equo canone, ma nulla vieta che il conduttore vi rinunci nel corso o alla fine della locazione, ad esempio a seguito di una transazione in ordine ai rispettivi diritti delle parti.
Infine, analogamente a quanto previsto dagli artt. 38 e 39 L. 392/78 in materia di locazioni abitative, l'art. 40 della medesima legge riconosce ai conduttori di immobili adibiti ad attività comportanti contatti diretti con il pubblico degli utenti e dei consumatori il diritto di prelazione in caso di vendita, così come di nuova locazione a terzi, del medesimo immobile, cosicchè, mentre il proprietario è libero in ordine alla determinazione di alienare o locare ad altri l'immobile, egli non risulta libero nella scelta dell'acquirente o del nuovo conduttore, dovendo preferire quello precedente.
Le modalità di esercizio del predetto diritto di prelazione e del successivo diritto di riscatto, in caso di mancato rispetto della normativa sul punto innanzi illustrata, sono comunque le medesime già indicate in presenza di una locazione ad uso abitativo, alla cui trattazione si rimanda.
In ogni caso, il diritto di prelazione in argomento è escluso, oltre che nelle locazioni relative a immobili utilizzati per lo svolgimento di attività che non comportino contatti diretti con il pubblico, anche quando il conduttore svolge attività professionali o di carattere transitorio, nonchè quando si tratti di immobili complementari o interni a stazioni ferroviarie, porti, aeroporti, aree di servizio, alberghi e villaggi turistici.
Inoltre tale strumento di tutela per il conduttore non opera nell'ipotesi in cui un coerede voglia vendere la propria quota, nel qual caso trova applicazione la speciale prelazione ereditaria prevista dall'art. 732 c.c.; nell'ipotesi di trasferimento effettuato a favore del coniuge o dei parenti entro il secondo grado; nell'ipotesi di contratti di locazione relativi a immobili adibiti ad attività ricreative, assistenziali, culturali e scolastiche, nonchè a sedi di partiti o sindacati oppure quando conduttore è lo Stato o un altro ente pubblico territoriale; quando il trasferimento viene realizzato mediante una permuta, ossia come scambio di una cosa per un'altra, anzichè come scambio tra una cosa ed una somma di denaro; quando l'immobile è venduto all'asta in sede di esecuzione forzata ovvero di concordato preventivo o di fallimento e, ancora, quando viene venduto in blocco tutto lo stabile di cui fa parte l'immobile locato.