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Concessione di alloggi di servizio in favore di dipendenti dell'ex Amministrazione delle Poste - Determinazione della durata
Pubblicata il 21/09/2008
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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ADAMO Mario - Presidente
Dott. GIULIANI Paolo - Consigliere
Dott. SPAGNA MUSSO Bruno - Consigliere
Dott. DEL CORE Sergio - Consigliere
Dott. PETITTI Stefano - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
MA. AN., elettivamente domiciliato in Roma, via Lucrezio Caro n. 12, presso lo studio dell'Avv. ENRICO DANTE, dal quale e' rappresentato e difeso, unitamente all'Avv. Pierangelo Scacchi, per procura speciale a margine del ricorso;
- ricorrente -
contro
PO. IT. S.p.a., in persona del Presidente prof. Ca. En., elettivamente domiciliato in Roma, Largo del Teatro Valle n. 6, presso lo studio dell'Avv. D'ERCOLE STEFANO, dal quale e' rappresentato e difeso per procura a margine del controricorso;
- controricorrente -
avverso la sentenza della Corte d'appello di Roma depositata il 20 maggio 2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 5 febbraio 2008 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;
udito, per il ricorrente, l'Avvocato Giuseppe Pandolfo per delega, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito, per la resistente, l'Avvocato Massimo Garitti per delega, che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SCHIAVON Giovanni, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso depositato il 17 luglio 1998, MA. AN., premesso che, in forza della Legge n. 227 del 1975 e del Decreto Ministeriale 19 luglio 1984, aveva ottenuto in godimento un alloggio di servizio in (OMESSO) appartenente all'Amministrazione delle Po., quale firmatario di concessione con l'Amministrazione stessa; che il rapporto era regolato da scritture ricalcanti le norme di legge e il decreto ministeriale menzionato, onde esso poteva cessare solo nei casi predeterminati nelle scritture medesime; che, peraltro, la s.p.a. Po. It. l'aveva formalmente diffidato a stipulare un contratto di locazione sottoposto alla Legge n. 392 del 1978 con prospettazione di sfratto in caso di inottemperanza; che nessuna modifica al rapporto poteva essere apportato dal nuovo ente di diritto privato, non potendosi ritenere la natura dell'immobile - qualificato come immobile di edilizia residenziale pubblica costruito per il soddisfacimento di soggetti a reddito non elevato e comunque contenuto nei limiti fissati dalla legge - modificata a seguito della costituzione del nuovo ente; che il regime dell'alloggio in godimento era caratterizzato dalla componente retributiva del canone sociale, non improntato a eritari di mercato. Tanto premesso, il Ma. chiedeva che il Pretore di Viterbo dichiarasse la sussistenza e l'efficacia delle convenzioni in atto tra esso istante e la S.p.a. Po. It., con conseguente declaratoria dell'insussistenza del suo obbligo di sottoscrivere il nuovo contratto proposto dalla societa' e di corrispondere l'equo canone.
Costituitosi il contraddittorio, il Pretore di Viterbo, con sentenza depositata il 20 settembre 1999, accoglieva la domanda e per l'effetto dichiarava l'esistenza ed efficacia delle convenzioni in atto tra il Ma. e Po. It. s.p.a. sino al verificarsi di una delle condizioni stabilite nelle convenzioni medesime per la cessazione di esse, e correlativamente la insussistenza dell'obbligo del Ma. di sottoscrivere il nuovo contratto proposto dalla societa' convenuta.
Avverso tale decisione proponeva appello Po. It. s.p.a. e, ricostituito il contraddittorio, la Corte d'appello di Roma, con sentenza depositata il 20 maggio 2003, in riforma della sentenza impugnata, rigettava la domanda proposta dal Ma..
La Corte prendeva le mosse dal Decreto Ministeriale 19 luglio 1984, articolo 33, a norma del quale le concessioni degli alloggi di servizio ai dipendenti dell'amministrazione delle poste avevano la durata di tre anni, rinnovabile per altri tre e riteneva che tale disposizione dovesse essere intesa nel senso che alla scadenza del secondo triennio l'amministrazione delle poste fosse pienamente legittimata a richiedere la sottoscrizione di un nuovo contratto e a scegliere di rinnovare i rapporti di locazione con i propri dipendenti - inquilini sulla base della Legge n. 392 del 1978. Il Ma., del resto non aveva contestato che la societa' appellante gli avesse chiesto di rinnovare il contratto di locazione ai sensi della Legge n. 392 del 1978 alla scadenza dei sei anni; ne' la comunicazione della societa' appellante poteva ritenersi equivoca nel suo contenuto, essendo al contrario chiaro l'obiettivo che la societa' si era prefisso. Ed ancora, la Corte d'appello escludeva che il citato articolo 33 fosse illegittimo per aver disciplinato un ambito - quello della durata della concessione - che la Legge n. 39 del 1982 non avrebbe demandato alla fonte regolamentare. In proposito, la Corte d'appello rilevava che al regolamento era demandata la disciplina delle modalita' della concessione e tra le modalita' non poteva non essere compresa anche la durata del rapporto.
Sotto altro profilo, la Corte d'appello rilevava che le rilevanti modifiche del quadro normativo e della natura giuridica dell'amministrazione delle poste, divenuta, con decorrenza 28 febbraio 1998, un soggetto di diritto privato a tutti gli effetti, non potessero non avere riflessi anche sulla normativa applicabile per disciplinare il rapporti di locazione con i propri inquilini, assoggettandoli alla normativa sull'equo canone. Mancavano, del resto, specifiche norme che regolamentavano detti rapporti, non avendo piu' alcuna giustificazione l'applicazione del regime concessorio, tipico del diritto amministrativo e consono alla natura pubblica dell'amministrazione delle poste, ma non certo a quella di societa' per azioni assunta da Po. It.. Nella specie, poteva quindi ritenersi intervenuta, ai sensi dell'articolo 15 preleggi, un'abrogazione per incompatibilita' tra le nuove disposizioni e le vecchie.
In realta', osservava la Corte territoriale, norme che in qualche modo potevano riferirsi alla sorte dei contratti di locazione in atto, potevano rinvenirsi nella Legge n. 560 del 1993 recante "norme in materia di alienazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica", espressamente applicabile anche agli immobili di proprieta' dell'amministrazione delle poste e telecomunicazioni. La Corte riteneva pero' che l'equiparazione degli immobili della citata amministrazione a quelli di edilizia residenziale pubblica fosse destinata ad operare solo in caso di alienazione e non con riferimento ai rapporti di utilizzazione degli immobili stessi. E del resto, la Legge n. 488 del 1999, articolo 5 comma 2, lettera b), nell'introdurre nella Legge n. 560 del 1993, articolo 1 una norma concernente la posizione degli assegnatari degli immobili da dismettere, consentiva di ritenere che, non avendo Po. It. avviato alcuna procedura di dismissione degli alloggi, detta societa' fosse legittimata a regolare i rapporti secondo le norme della Legge n. 392 del 1978 essendo le norme di garanzia introdotte dalla citata disposizione destinate a trovare applicazione solo se e quando Po. It. avesse iniziato il programma di dismissione.
Infine, la Corte d'appello escludeva che le norme ora richiamate costituissero disposizioni di leggi speciali ai sensi dell'articolo 830 c.c., non potendo tale disposizione codicistica trovare applicazione in riferimento a Po. It. s.p.a., non essendo essa un ente pubblico non territoriale.
Per la cassazione di questa sentenza ricorre MA. An. sulla base di quattro motivi; resiste con controricorso Po. It. s.p.a., la quale ha anche depositato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 15 preleggi e dell'articolo 830 c.c., in relazione alle Legge n. 227 del 1975 Legge n. 39 del 1982, Legge n. 560 del 1993 Legge n. 488 del 1999, nonche' al Decreto Legge n. 487 del 1993 convertito, con modificazioni, in Legge n. 71 del 1984, alla Legge n. 662 del 1996 alla Legge n. 392 del 1978 e violazione dell'articolo 11 preleggi.
La Corte d'appello avrebbe errato nell'affermare che, in mancanza di norme specifiche che disciplinassero le sorti dei contratti intercorrenti tra l'amministrazione delle Po. e i propri dipendenti, aventi ad oggetto l'utilizzazione degli alloggi di detta amministrazione, sarebbe applicabile l'articolo 15 preleggi. Infatti, sostiene il ricorrente, l'eventuale modifica del rapporto da concessorio a locatizio nessuna incidenza potrebbe avere sulla vicenda sostanziale.
In realta', non sussisterebbe, nella specie, la possibilita' stessa di configurare un'abrogazione per nuova disciplina o per incompatibilita'. Infatti, ne' la legge (recte: Decreto Legge) n. 487 del 1993, ne' la Legge n. 71 del 1994 hanno introdotto norme in materia di locazione di immobili appartenenti all'En. Po., con conseguente applicabilita' del previgente regime; la Legge n. 560 del 1993 inoltre, estende l'applicabilita' delle sue disposizioni agli alloggi di proprieta' dell'En. Po.. Dalla normativa rilevante emergerebbe che, ai fini della determinazione del canone, vi sarebbe stata una persistente equiparazione legale degli alloggi di proprieta' delle Po., concessi in locazione al personale dipendente, con il regime dell'edilizia residenziale, (Decreto Legge n. 487 del 1993 articolo 6; Legge n. 227 del 1975, articolo 7 u.c.; Legge n. 39 del 1982 articolo 9; Legge n. 560 del 1993 articolo 1; Legge n. 488 del 1999, articolo 2, comma 2 ter e articolo 5, comma 2, lettera b). Si tratta di norme dalle quali, ad avviso del ricorrente, emergerebbe che la trasformazione dell'amministrazione delle Po. e telecomunicazioni, prima in ente pubblico economico e poi in s.p.a. non ha elevato il canone di mercato a nuovo indice regolatore delle contrattazioni relative ad immobili di proprieta' della nuova societa' Po. It. s.p.a. Il legislatore, infatti, non solo ha disposto che le condizioni di locazione degli assegnatari degli alloggi non debbono mutare nei confronti del contraente originario, ma ha anche precisato che dette condizioni non possono mutare neanche nei confronti del terzo acquirente che subentri nella proprieta', il quale era tenuto a rispettare il precedente trattamento gia' riservato ai conduttori beneficiari del regime locativo previsto per l'edilizia residenziale pubblica. In sostanza, se neanche all'acquirente, che e' un contraente privato estraneo ai rapporti di lavoro subordinato, e' consentito mutare le condizioni preesistenti, Po. It. s.p.a. non avrebbe potuto invocare la propria condizione di soggetto di diritto privato per modificare il canone di locazione. I beni che gia' appartenevano all'Amministrazione delle Po. avrebbero dovuto restare, per quanto attiene alla determinazione del canone locativo, assoggettati alla disciplina speciale preesistente volta a garantirne la utilizzazione per fini sociali : la finalita' della costruzione o dell'acquisizione di detti immobili, infatti, non era quella della produzione di un profitto per l'ente, ma quella di garantire ai dipendenti il beneficio di usufruire dei beni del datore di lavoro ubicati nel territorio nel quale eseguono la propria prestazione lavorativa, ad un prezzo inferiore a quello di mercato. Alla possibilita' di applicazione della normativa sopravvenuta, interpretata nel senso fatto proprio dalla Corte d'appello, osterebbe poi l'articolo 11 preleggi, il quale, sancendo il principio di irretroattivita' della legge, non consentirebbe alle nuove norme di sovrapporsi alla regolamentazione consacrata nella convenzione intercorsa tra le parti.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce violazione delle norme di cui agli articoli 1362 e 1363 c.c., in relazione alla interpretazione della convenzione inter partes sulla durata del contratto. Ad avviso del ricorrente, non potrebbe essere condivisa l'interpretazione data dalla Corte d'appello in punto di durata del rapporto, che sarebbe limitata a sei anni (tre anni tacitamente rinnovabile per altri tre). Una simile soluzione non sarebbe conciliabile con le norme delle Legge n. 227 del 1975 e Legge n. 39 del 1982 sulla durata dei contratti; e, del resto, Po. It. s.p.a. non ha offerto di stipulare un nuovo contratto di locazione, ma di rinnovare quello esistente, pretendendo pero' di sottoporlo a norme diverse che avrebbero dovuto continuare a regolamentarlo. La citata clausola avrebbe dovuto essere interpretata alla luce del significato delle altre clausole e in particolare della clausola di decadenza, con la quale sarebbe incompatibile, ove interpretata nel senso ad essa attribuito dalla Corte d'appello. La previsione della cessazione da un anno dal servizio, del trasferimento ad altra sede e della cessazione dall'incarico quali condizioni per la decadenza, non si concilierebbero, infatti, con la pretesa durata al massimo di sei anni del contratto; al contrario, la cadenza triennale si sarebbe giustificata solo in relazione alla sua funzione, che era quella di consentire una verifica periodica del reddito del beneficiario dell'alloggio.
Con il terzo motivo, il Ma. denuncia violazione e falsa applicazione delle Legge n. 39 del 1982 e Legge n. 227 del 1975 in relazione al regolamento attuativo di esse, nonche' violazione della Legge n. 2248 del 1865, articolo 5, All. E, in relazione alla norma regolamentare sulla durata del contratto. L'interpretazione del Decreto Ministeriale 19 luglio 1984, articolo 33, proposta da Po. It. e recepita dalla sentenza impugnata contrasterebbe con quanto disposto dall'articolo 34 del medesimo decreto in tema di revoca della concessione, dall'articolo 35, in tema di decadenza dalla concessione, e dall'articolo 36 che prevede la possibilita' di proroga del contratto in caso di cessazione dall'incarico e di trasferimento di sede massimo per un anno. In sostanza la fruizione dell'alloggio e' correlata all'esistenza del rapporto di lavoro in corso, sicche', ove interpretato nel senso della durata massima di sei anni, l'articolo 33 sarebbe illegittimo, per aver disciplinato la materia oltre i confini e la ratio della legge che era destinato ad attuare, la quale, all'articolo 9, prevedeva solo la decadenza della concessione dopo un anno dalla cessazione del dipendente dal servizio, con cio' escludendo la possibilita' stessa che la fonte regolamentare potesse disporre in ordine ai limiti di durata dei rapporti di locazione in corso.
Con il quarto motivo, il ricorrente deduce mancanza, insufficienza o contraddittorieta' della motivazione sul punto decisivo della esistenza della volonta' di Po. It. s.p.a. di far cessare il rapporto e della mancanza di volonta' di rinnovare lo stesso dopo l'eventuale scadenza del sessennio. Non essendo intervenuta abrogazione della norme disciplinatrici del rapporto inter partes, la Corte d'appello avrebbe errato nell'affermare che Po. It. s.p.a. aveva manifestato la volonta' di porre fine al rapporto e di sottoporlo a normativa diversa dalla precedente. Dall'atteggiamento della societa', infatti, piu' che la volonta' di recedere dal rapporto poteva desumersi la volonta' di proseguire nel rapporto pretendendo illegittimamente la modifica delle condizioni in conseguenza del ricordato errore.
Il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente per la loro connessione, e' infondato.
L'amministrazione delle Po. e telecomunicazioni e' stata trasformata dapprima in ente pubblico economico (Decreto Legge 1 dicembre 1993, n. 487, articolo 1, comma 1, convertito, con modificazioni, nella Legge 29 gennaio 1994, n. 71) e poi (citato Decreto Legge, articolo 1, comma 2, e Legge 23 dicembre 1996, n. 662, articolo 2, comma 27), con decorrenza dal 28 febbraio 1998 (v. Delib. CIPE 18 dicembre 1997), in societa' per azioni.
Nel procedimento di privatizzazione di detta amministrazione, il legislatore non ha dettato nonne specifiche per quanto riguarda la sorte dei rapporti in atto inerenti agli alloggi di servizio, costruiti o acquistati dall'Amministrazione postale ai sensi delle Legge n. 227 del 1975 e Legge n. 39 del 1982 concessi in uso ai dipendenti dell'amministrazione stessa e disciplinati sulla base del Decreto Ministeriale 19 luglio 1984, emanato ai sensi della citata Legge n. 39 del 1982 articolo 9.
In particolare, il decreto ministeriale del 1984 prevedeva una procedura concorsuale per l'assegnazione degli alloggi che avveniva con concessione (articoli 15 e 16), il cui canone doveva essere determinato sulla base del valore locativo dell'alloggio in rapporto al reddito convenzionale del concessionario (articolo 17). Era poi prescritto che la concessione avesse durata di tre anni e che fosse tacitamente rinnovabile per altri tre anni (articolo 33).
La trasformazione dell'Amministrazione delle Po. e. te. in soggetto di diritto privato, pur in assenza di una esplicita disciplina dettata dal legislatore con riferimento agli alloggi di servizio, ha certamente inciso sulla sorte dei rapporti ora indicati quanto meno da due punti di vista: da un lato, in quanto la trasformazione dell'amministrazione in soggetto di diritto privato ha comportato la perdita della qualita' di beni patrimoniali indisponibili dello Stato propria degli alloggi in questione; dall'altro, in quanto il venir meno della natura pubblicistica dell'ente concedente ha comportato necessariamente il venir meno della possibilita' che i rapporti con i dipendenti, alla scadenza del termine di efficacia della concessione - originario o tacitamente prorogato -, venissero ulteriormente regolamentati sulla base di atti di natura pubblicistica, con indubbia incidenza, nel senso della incompatibilita' ex articolo 15 preleggi, della normativa successiva su quella originaria, che conseguentemente risulta, per la parte incompatibile, abrogata.
In presenza di tale duplice effetto, la Corte d'appello di Roma correttamente ha ritenuto che Po. it. s.p.a. si sia determinata a proporre ai propri dipendenti, alla scadenza del triennio di durata della concessione relativa ai singoli alloggi di servizio ovvero alla scadenza del triennio di proroga, l'applicazione della normativa di cui alla Legge n. 392 del 1978.
In proposito, ad avviso del Collegio, non puo' opporsi ne' l'operativita' del citato Decreto Ministeriale del 1984, articolo 33, interpretato nel senso che alla scadenza di ogni triennio la concessione sarebbe stata tacitamente rinnovabile per un ulteriore triennio, ne' la pretesa che quei rapporti dovessero trovare regolamentazione nella normativa relativa agli alloggi di edilizia residenziale pubblica.
Sotto il primo profilo, si deve osservare che l'assunto di Po. s.p.a., recepito nella sentenza impugnata, secondo cui vi era un limite normativo di durata massima del rapporto locativo, e' corretto. Questa Corte, infatti, nella sentenza n. 21643 del 2005, resa su vicenda analoga a quella oggetto del presente giudizio, ha avuto modo di rilevare che l'articolo 33 citato enuncia con chiarezza l'intento dell'amministrazione di attribuire alla concessione dell'alloggio una durata temporale limitata a tre anni, e di consentirne una rinnovazione tacita solo per altri tre anni, fermo restando che la disposizione non era di ostacolo ad una successiva ulteriore rinnovazione espressa, vale a dire disposta con un nuovo atto ed alle condizioni in esso indicate (rinnovazione, nella specie, non intervenuta).
Nel regolare la durata massima del rapporto - si legge nella citata sentenza -, "il regolamento in questione non faceva che applicare la previsione della Legge 21 febbraio 1982, n. 39, articolo 9, che demandava appunto all'amministrazione, in sede di regolamento di attuazione, di determinare le modalita' di concessione degli alloggi; e tra tali modalita', quella temporale doveva ritenersi essenziale e prioritaria".
Ne' - si e' osservato - una diversa interpretazione, e precisamente quella sostenuta dal ricorrente, secondo cui la concessione avrebbe avuto una durata indeterminata, ancorche' collegata al rapporto di servizio, potrebbe essere giustificata dalla lettura coordinata delle norme regolamentari che disciplinano, rispettivamente: la revoca della concessione per violazioni imputabili all'assegnatario (articolo 34); la decadenza derivante dalla cessazione dal servizio o dall'incarico, dal trasferimento ad altra sede, dal mancato godimento dell'alloggio ed in altri casi particolari (articolo 35); la proroga consentita in alcuni casi di decadenza (articolo 36). Si tratta di una disciplina complessiva dalla quale si ricava, senza dubbio, lo stretto collegamento della concessione con il rapporto di servizio, al quale la prima non poteva sopravvivere se non eccezionalmente ed entro limiti piu' ristretti; e cio' e' coerente con la natura stessa dell'istituto, vale a dire con la concessione degli alloggi di servizio. Ma queste norme - cosi come, del resto, quelle corrispondenti contenute nella Legge n. 39 del 1982 gia' citato articolo 9, che talvolta la disciplina regolamentare della decadenza e della proroga si limita a riprodurre - mentre confermano che la fruizione dell'alloggio era intesa come un beneficio accordato in funzione delle esigenze dell'amministrazione concedente, non contraddicono l'esistenza di un limite temporale generale alla durata del rapporto, stabilito dall'articolo 33, del regolamento citato, rispetto al quale si pongono come altrettante deroghe, giustificate dalla particolarita' delle ipotesi disciplinate.
La citata sentenza ha quindi conclusivamente affermato il seguente principio di diritto: "in tema di concessione di alloggi di servizio per il personale postelegrafonico, l'articolo 33 del regolamento ministeriale di attuazione 19 luglio 1984, previsto dalla Legge 10 febbraio 1982, n. 39, articolo 9, determina le modalita' temporali della concessione degli alloggi di servizio fissando la durata massima di tre anni, e consentendone la rinnovazione tacita, per una sola volta, per altri tre anni".
Il Collegio condivide le argomentazioni e la conclusione cui la citata sentenza e' pervenuta a al principio ora richiamato intende dare continuita'. Si deve solo precisare che, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, nella indicata successione di norme nel tempo non e' ravvisatile alcuna violazione dell'articolo 11 preleggi, e cioe' del principio della irretroattivita' della legge, dal momento che tale censura presuppone una situazione - quella della perdurante efficacia delle concessioni risalenti all'epoca in cui il soggetto concedente era un'amministrazione pubblica - che, per le ragioni suesposte deve essere esclusa, sia sul piano del rapporti tra fonti primarie, sia sul piano della interpretazione della normativa regolamentare.
Sotto il secondo profilo, si deve rilevare che neppure allorquando per gli alloggi di servizio vigeva il regime pubblicistico, imposto dalla natura dell'amministrazione concedente, poteva ipotizzarsi una identificazione del regime di detti alloggi con quello proprio della edilizia residenziale pubblica. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 1035 del 1972, articolo 1, infatti, sono considerati alloggi di edilizia residenziale pubblica gli alloggi costruiti o da costruirsi da parte di enti pubblici a totale carico o con il concorso o con il contributo dello Stato, con esclusione degli alloggi da costruirsi in attuazione di programmi di edilizia convenzionata e agevolata e degli alloggi realizzati da imprese od enti per il proprio personale e di quelli destinati a dipendenti di Amministrazioni statali per esigenze di servizio. Esclusione, questa, confermata anche dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977 articolo 93.
Del resto, dalla Legge n. 560 del 1993, articolo 1 si desume in modo sufficientemente univoco che gli alloggi di proprieta' delle Po., di cui alle Legge n. 227 del 1975 e Legge n. 39 del 1982 sono equiparati a quelli di edilizia residenziale pubblica solo ai fini della determinazione delle modalita' di vendita degli stessi ai privati (articolo 1, comma 2, lettera a). Ed una simile indicazione, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, emerge altresi' dalla Legge n. 488 del 1999, articolo 5 comma 2, lettera b), il quale, modificando e integrando la Legge n. 560 del 1993, articolo 1 comma 7, ha stabilito che gli alloggi di soggetti in possesso della qualifica di assegnatari che, in quanto portatori di handicap, ovvero ultrasessantacinquenni ovvero con reddito inferiore al limite fissato dal CIPE ai fini della decadenza dal diritto di assegnazione, non intendano acquistare l'alloggio e mantengono tale qualifica, possono essere alienati a terzi, purche' all'assegnatario venga garantita la prosecuzione della locazione sulla base della normativa vigente in materia di edilizia residenziale pubblica. Da tale disposizione si desume, infatti, come correttamente rilevato dalla resistente, che: a) gli alloggi di servizio di proprieta' delle Po. it. s.p.a. non possono essere considerati alloggi di edilizia residenziale pubblica ma, solo ai fini di una eventuale vendita e nello specifico caso di assegnatario appartenente a categorie protette che non intenda acquistare l'alloggio, sono a questi assimilati a limitati fini; b) il canone di locazione relativo a tali immobili solo ed esclusivamente nel caso di mancata vendita dell'immobile stesso all'assegnatario appartenente alle indicate categorie, deve essere commisurato a quello degli immobili di cui alla normativa di edilizia residenziale pubblica.
In sostanza, escluso che in linea generale gli immobili di proprieta' di Po. It. s.p.a. destinati ad alloggi di servizio potessero essere assimilati a quelli di edilizia residenziale pubblica, trovando la disciplina ad essi relativa fonte nella Legge n. 39 del 1982 e nel regolamento di attuazione del 1984, risulta corretta la soluzione cui e' pervenuta la Corte d'appello, che ha ritenuto intervenuta l'abrogazione, per incompatibilita', della disciplina pubblicistica di assegnazione degli immobili stessi e la sostituzione, a quella disciplina, della comune disciplina dettata dalla Legge n. 392 del 1978 sull'equo canone.
Ne', va qui soggiunto, una simile soluzione contrasta con l'articolo 830 c.c., il quale, dispone che i beni appartenenti agli enti pubblici non territoriali sono soggetti alle regole del presente codice, salve le disposizioni delle leggi speciali (comma 1) e che ai beni di tali enti che sono destinati ad un pubblico servizio si applica la disposizione di cui al secondo comma dell'articolo 828 (comma 2), dal momento che non ricorre, nella specie, la condizione soggettiva per l'applicabilita' di detta disposizione, non potendosi configurare Po. It. s.p.a. (me neanche l' En. Po. It.) come un ente locale territoriale, e comunque non sussistendo, per quanto prima evidenziato, una disciplina speciale che imponga l'applicazione alle locazioni degli alloggi di servizio gia' appartenenti all'Amministrazione delle Po. della normativa in tema di edilizia residenziale pubblica.
Le considerazioni sin qui svolte conducono altresi' alla reiezione delle censure specificamente formulate dal ricorrente nel secondo e nel terzo motivo del ricorso, tutte incentrate sulla interpretazione da dare al regolamento del 1984 e alla pretesa violazione del principio di legalita' (in proposito, v. quanto affermato nella citata sentenza n. 21643 del 2005).
Infondata e', infine, anche la censura svolta nel quarto motivo di ricorso e consistente nell'asserito difetto di motivazione in ordine alla volonta' di Po. It. s.p.a. di far cessare il rapporto alla scadenza dello stesso e comunque alla volonta' di non rinnovarlo. Non sussiste, infatti, il denunciato vizio di motivazione, giacche' la sentenza impugnata ha esaminato la documentazione prodotta dal ricorrente e ha rilevato che dalla stessa, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente stesso, emergeva chiaramente la volonta' di non rinnovare alla scadenza la locazione dell'alloggio di servizio e di dare vita ad un nuovo rapporto di tipo privatistico. Ogni diversa valutazione e' sul punto preclusa dalla esaustivita' dell'accertamento compiuto dal giudice del merito.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. In applicazione del criterio della soccombenza, il ricorrente va condannato al pagamento delle spese del giudizio di legittimita', liquidate nella misura di cui in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimita', che liquida in euro 2.000,00, di cui euro 1.900,00 per onorari, oltre spese generali e accessori di legge.