Il conduttore che abbia apportato modifiche alla consistenza del bene concesso pur essendo obbligato alla riduzione in pristino, potrà validamente richiedere la compensazione del valore di questa con il danno arrecato alla cosa locata in conseguenza

Il conduttore il quale, in violazione dell’obbligo di non apportare mutamenti alla consistenza del bene concesso, esegua opere compatibili con la destinazione del bene, non avrà diritto ad ottenere l’indennizzo per l’opera migliorativa, tuttavia egli, convenuto in giudizio dal locatario per la riduzione in pristino, potrà validamente richiedere la compensazione del valore di questa con il danno arrecato alla cosa locata in conseguenza delle modificazioni non autorizzate. (Corte di di Roma, sez. III, sentenza dell’8 gennaio 2008 n. 43)



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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione in riassunzione notificata il 27.1.1993 Mo.An.Ma. conveniva davanti al Tribunale di Roma Ri.La. (quale titolare della ditta individuale Ag.Ma.) per sentirla condannare al rilascio dell'immobile a suo tempo locatole e situato in Roma, via (omissis), ed al risarcimento del danno asseritamente cagionato dall'inadempimento del contratto di locazione.

Esponeva al riguardo che la titolare dell'Ag.Ma. aveva in data 28.2.1991 stipulato la locazione dell'immobile di proprietà di essa Mo. (e già concesso in locazione, il 12.4,1989 a tale s.r.l. Si.It., di cui la medesima signora Ri. era legale rappresentante) ad esclusivo uso foresteria fino alla data del 31.12.1993; che Ri.La., che nelle more aveva, in un separato giudizio, adito il Pretore di Roma invocando l'applicabilità della L. 392/78 al suddetto rapporto di locazione, l'accertamento dell'equo canone dovuto e la condanna della signora Mo. alla restituzione delle eccedenze a suo dire indebitamente corrisposte - si era resa inadempiente, prima effettuando nell'aprile del 1992 uno sbancamento del terreno del parco circostante la villa presa in locazione (ciò che aveva costretto essa Mo.An.Ma. a notificare in data 8.6.1992 un atto di diffida e messa in mora), e poi omettendo di pagare gli oneri condominiali contrattualmente dovuti; che il Pretore adito a seguito di intimazione di licenza per finita locazione aveva, tuttavia, denegato l'emissione dell'ordinanza di rilascio.

Si costituiva la Ri., chiedendo il rigetto della domanda di rilascio per finita locazione, rifiutando il contraddittorio sulla domanda di risoluzione per inadempimento, e chiedendo in via riconvenzionale l'accertamento della riconducibilità del contratto alle locazioni abitative soggette alla L. 392/78 e la conseguente condanna della signora Mo.An.Ma. al pagamento delle somme che eventualmente fossero risultate pagate in eccedenza rispetto all'equo canone ed alle spese legalmente dovute. Assumeva, in particolare, che entrambi i contratti stipulati da essa Ri.La.- quello intestato alla Si.It. e quello intestato alla Ag.Ma. - avevano in realtà simulato una locazione abitativa, in quanto l'immobile era da sempre stato abitato dal nucleo familiare di essa Ri.La. (circostanza di cui la signora Mo.An.Ma. era stata da sempre a conoscenza senza manifestare opposizione nel termine di cui all'art. 80 della L. 392/78), non aveva mai ospitato altro personale dirigente della Si.It. o della predetta Ag., ed era catastalmente classificabile, non già come villa (cat. A/8), ma come appartamento in villino soggetto alla L. 392/78; che l'atto di riassunzione, quello notificato dopo la procedura speciale avviata a seguito della notifica della licenza per l'asserita finita locazione, conteneva una domanda di rilascio fondata su una causa petendi (il presunto inadempimento contrattuale di essa Ri.La.) completamente diversa dalla scadenza della locazione.

Dopo una lunga istruttoria disposta dal Collegio, la causa veniva una prima volta ritenuta in decisione sulle domande sopra indicate, previa ammissione, da parte di Mo.An.Ma., del sopravvenuto rilascio dell'immobile a seguito della declaratoria (in separato giudizio definito dal Pretore di Roma il 2.6.1998 con sentenza confermata in appello dal Tribunale di Roma in data 18.5.1999) della risoluzione del contratto per inadempimento (morosità) di Ri.La. Con sentenza del 20.12.2000 il Tribunale di Roma (in funzione di Giudice monocratico ai sensi della L. 276/97) dichiarava cessata la materia del contendere in relazione alle domande proposte da Mo.An.Ma., e, in accoglimento della domanda riconvenzionale proposta dalla Ri., accertava l'applicabilità al rapporto di locazione inter partes della L. 392/78, e devolveva ogni pronunzia sulle spese del procedimento al Giudice del procedimento locatizio promosso da Ri.La. ex art. 45 della L. 392/78 e sospeso nelle more della definizione del presente giudizio. In particolare il primo Giudice osservava che il separato pronunciamento sulla risoluzione contrattuale ed il sopravvenuto rilascio dell'immobile avevano fatto venir meno l'interesse della attrice ad una sentenza sulla risoluzione contrattuale e sul conseguente diritto della medesima ad ottenere il rilascio dell'immobile ed il risarcimento del danno; che la sospensione del separato procedimento promosso da Ri.La. sull'accertamento dell'entità del canone effettivamente dovuto per la durata del periodo di godimento dell'immobile (e la condanna di Mo.An.Ma. alla restituzione delle eccedenze eventualmente corrisposte) rendeva evidente l'importanza dell'accertamento giudiziale dell'applicabilità o meno della L. 392 al rapporto instaurato dalle parti; che dalla istruttoria svolta era risultato provato che l'immobile locato era stato adibito sin dal primo momento ad abitazione propria di Ri.La. e della sua famiglia, e che la signora Mo.An.Ma. - che aveva conservato la disponibilità di un appartamento situato nel medesimo stabile e mantenuto periodici contatti con Ri.La. - non aveva manifestato alcuna opposizione pur essendo stata sin dal primo momento a conoscenza di tale circostanza; che pertanto il contratto del 28.2.1991 era stato (relativamente) simulato per eludere l'applicazione della L. 392/78, le cui norme dovevano pertanto subentrare, ai fini della regolamentazione del rapporto, alle clausole del contratto nullo, in virtù dell'art. 1419, 2° co., del c.c.; che, tenuto conto del collegamento esistente tra i giudizi, appariva opportuno devolvere la pronunzia sulle spese del giudizio al Giudice del procedimento sospeso.

Avverso la suddetta decisione ha interposto appello Mo.An.Ma. con atto notificato il 12.10.2001, chiedendo l'accoglimento della domanda risarcitoria avanzata in prime cure in relazione all'indebito sbancamento, il rigetto della domanda di accertamento dell'applicabilità della L. 392/78 ex adverso proposta e la rifusione delle spese di entrambi i gradi del giudizio. In particolare assumeva che, ferma rimanendo la declaratoria della cessazione della materia del contendere in relazione alla risoluzione contrattuale, il Tribunale avrebbe dovuto pronunziarsi sulla domanda risarcitoria avente ad oggetto la rifusione dei danni arrecati da Ri.La. durante la pendenza del rapporto di locazione a seguito dello sbancamento di parte del terreno del parco adiacente la villa e della conseguente (e mai autorizzata) realizzazione di un viottolo in blocchi di tufo, trattandosi di domanda autonoma rispetto a quella di risoluzione, su cui il Tribunale aveva omesso di decidere (art. 112 c.p.c.). In ordine alla pretesa applicabilità della L. 392/78 l'appellante deduceva la possibilità, derivante dalle caratteristiche intrinseche del bene, di classificare l'immobile locato tra le "abitazioni in ville", ossia in una categoria (A/8) che escludeva la suddetta applicabilità, in ragione della espressa esclusione stabilita dall'art. 26 della stessa L. 392/78, e la stessa rilevanza delle prove assunte in primo grado, che peraltro avevano somministrato a suo avviso risultati inattendibili o ininfluenti.

Si costituiva la signora Ri.La., chiedendo il rigetto del gravame e, in via incidentale, la retrodatazione dell'applicabilità delle disposizioni della legge 392/78 a far tempo dalla stipula del primo contratto del 1989. Esponeva, al riguardo, che la signora Mo. nella citazione introduttiva del giudizio di primo grado aveva abbinato la domanda risarcitoria alla domanda di risoluzione, per cui la rinunzia alla domanda principale (di risoluzione) aveva comportato quella della domanda secondaria (di risarcimento); che i presunti ingenti danni asseritamene derivati dallo sbancamento erano stati inammissibilmente dedotti nella comparsa conclusionale (e non nelle conclusioni), e comunque non sussistevano, essendosi trattato della semplice creazione di un percorso pedonale con blocchetti di tufo (per evitare il transito sulla nuda terra in occasione delle piogge), la cui scarsa profondità escludeva in radice la possibilità di ipotizzare uno "sbancamento"; che non erano stati dedotti mezzi di prova pertinenti e rilevanti ai fini dell'accertamento della classificazione catastale del bene; che i risultati delle prove assunte in primo grado offrivano sufficienti elementi di valutazione per ritenere che il rapporto instauratosi tra Mo.An.Ma. e la signora Ri.La. era stato unico (in quanto avente ad oggetto sin dall'inizio la fruizione del bene immobile da parte del nucleo familiare della medesima signora Ri.), e quindi disciplinabile dalla L. 392/78 sin dal 1989.

In corso di causa veniva (dal Collegio) disposta una C.T.U. per acquisire elementi di valutazione in ordine alla più congrua categoria catastale attribuibile all'immobile concesso in locazione. Dopo il deposito della relazione le parti precisavano quindi le conclusioni (riportandosi - esplicitamente la signora Ri.La., implicitamente la signora Mo.An.Ma. - a quelle rassegnate negli atti introduttivi del presente grado).

Motivi della decisione

Mo.An.Ma. ha dichiarato di non avere - a seguito delle sentenze già ottenute in separato giudizio e, soprattutto, della sopravvenuta restituzione dell'immobile - più interesse ad una pronunzia sulla scadenza contrattuale ovvero sulla risoluzione del contratto, ma ha insistito per avere una decisione in materia di risarcimento del danno asseritamente subito per l'altrui sbancamento del terreno adiacente lo stabile ove è ubicato l'immobile locato. Pronunzia, questa, considerata dalla Mo. ingiustamente omessa dal Tribunale, e dalla Ri. assorbita nella altrui rinunzia alla decisione sulla domanda (di risoluzione del contratto e) di rilascio del bene attesa la sopravvenuta esecuzione della sentenza emessa il 2.6.1998 nel separato giudizio di cui sopra.

Sul punto si ritiene condivisibile la posizione della Mo., atteso che dagli artt. 1218 e 1453, comma 1, del c.c. si ricava il principio, secondo cui l'inadempimento giustifica in ogni caso una domanda risarcitoria, indipendentemente dalla sopravvenienza della risoluzione contrattuale e del rilascio del bene, che ne sia stato l'effetto (cfr. Cass. 3.9.2007, n. 18510, secondo cui il rilascio del bene locato non priva il locatore dell'interesse ad ottenere una pronunzia sui danni derivati dall'inadempimento del contratto risolto). Non appare possibile, peraltro, contestare la ritualità della proposizione della domanda risarcitoria in questione, sia perché la giurisprudenza ha sempre ammesso - nelle cause (come la presente) iniziate prima del 30.4.1995 e riassunte dopo il diniego da parte del Pretore della ordinanza di rilascio richiesta ex art. 665, comma 1, c.p.c. - le domande nuove, ossia fondate su fatti costitutivi diversi da quelli dedotti nel procedimento di convalida (cfr., ad es., Cass. 25.6.1993, n. 7066), sia perché nelle conclusioni di primo grado l'appellante aveva richiamato quelle della citazione in riassunzione (che comprendevano la richiesta di rifusione dei danni derivati dallo sbancamento) e quindi l'affermazione sulla cessazione della materia del contendere "in ragione" delle richiamate decisioni del separato giudizio doveva ritenersi circoscritta alle materie già formanti oggetto di tali decisioni (la risoluzione contrattuale, la morosità riferita a canoni od oneri accessori e il diritto al rilascio del bene). Per cui assolutamente rituale doveva e deve essere considerata la domanda di risarcimento dei danni fondata su un asserito inadempimento della locazione (diverso da quello già oggetto delle separate decisioni di cui sopra) e proposta dopo la conclusione del procedimento speciale di convalida di licenza di finita locazione. Ciò premesso, pare tuttavia consentito pervenire sul punto ad una pronunzia favorevole alla Ri., ancorché nel contratto di locazione sia stato stabilito il divieto per il conduttore di eseguire qualsiasi opera suscettibile di mutare la consistenza del bene locato. La signora Ri. ha in effetti realizzato (giusta l'ammissione contenuta nel verbale di descrizione del bene all'atto della restituzione redatto in contraddittorio il 23.7.1999) lavori consistiti nell'interramento, nel prato antistante l'immobile, di blocchetti di tufo per creare un transito destinato ad evitarle, nei giorni di pioggia, di dover camminare sul terreno bagnato. Si tratta, quindi, di lavori che hanno mutato la consistenza della cosa locata. Emerge, tuttavia, dal serrato carteggio scambiato dalle parti sin dall'inizio del rapporto di locazione, che la signora Ri. ebbe a lamentare subito gravi carenze dell'immobile, che ne denunciavano un non buono stato locativo, in particolare difetti nell'impianto di riscaldamento e la formazione di vaste ed non igieniche macchie di umidità, che rendevano urgente l'esecuzione di lavori di riparazione. Nella lettera del 1.6.1992, in particolare, la signora Ri. ha ammesso di avere scavato una "piccola buca" nel giardino di pertinenza dell'immobile per "spostare la terra che si trovava nelle vicinanze" della stanza da letto del figlio allo scopo di fornire la stanza stessa di luce e calore e prevenire così il "dilagare dell'umidità" al suo interno. Nell'atto di diffida e messa in mora notificato dalla Mo. l'8.6.1992 esiste riscontro del perseguimento di tale intento da parte della conduttrice, anche se la locatrice vi considera inammissibile la condotta unilateralmente posta in essere dalla conduttrice. La locatrice, tuttavia, di fronte alle precise e reiterate contestazioni sul non buono stato locativo dell'immobile e sulla necessità di provvedere all'esecuzione nello stesso di indispensabili lavori di riparazione (cfr. il citato carteggio), non ha saputo fare altro che rispondere con iniziative finalizzate ad estromettere definitivamente la "scomoda" signora Ri. dalla conduzione dell'immobile locato, non esclusa la valorizzazione dell'inadempimento dell'obbligo di non apportare mutamenti alla consistenza del bene concesso, senza considerare il fatto che la locatrice era onerata all'esecuzione delle riparazioni destinate a ricostituire il buono stato locativo dell'immobile, e, non attivandosi, finiva per giustificare l'iniziativa della controparte, ossia la violazione dell'obbligo di non fare impostole nel contratto (cfr., al riguardo, l'art. 1460 del c.c.). A tali considerazioni va, peraltro, aggiunto quanto segue in ordine alla destinazione dell'opera compiuta dalla conduttrice, quale risulta dal verbale di descrizione e consegna sopra menzionata. L'art. 1587 del c.c. impone al conduttore di servirsi della cosa locala per l'uso determinato nel contratto ovvero presumibile secondo le circostanze, e di restituire la medesima nel medesimo stato in cui l'ha ricevuta, salvi il deterioramento ed il consumo derivati dall'uso della cosa conforme al contratto ovvero dalla vetustà. Lo stesso risponde del deterioramento della cosa prodottosi nel corso della locazione (art. 1588 del c.c.) e, se ha apportato miglioramenti non autorizzati, non ha diritto a compenso dopo la restituzione del bene, ma può compensare con il valore di tali miglioramenti l'eventuale deterioramento apportato medio tempore alla cosa (art. 1592 del c.c.)- Lo stesso se i miglioramenti costituiscano addizioni apportate (in mancanza di altrui consenso) alla cosa e non separabili senza arrecarle nocumento (art. 1593 del c.c.).

Stando così le cose, è pacifico che i lavori eseguiti dalla Ri. non sono stati autorizzati dalla locatrice. Tuttavia gli stessi hanno apportato modifiche alla consistenza della cosa locata (o, meglio, di parte del terreno adiacente lo stabile, ossia di una pertinenza), da un lato, di scarsa importanza, perché la profondità raggiunta per interrare in orizzontale i blocchetti utilizzati per la realizzazione del transito (e visibili almeno all'epoca della restituzione del bene) non è stata eccessiva, e, dall'altro, non costituenti deterioramento risarcibile, tenuto conto del fatto che il transito lungo il prato era comunque consentito nel corso della locazione (e quindi il conduttore non avrebbe dovuto rispondere dell'uso, e quindi del deterioramento, del tratto di prato destinato ad essere direttamente calpestato per raggiungere l'immobile locato) e che il transito con i blocchetti consentiva e consente di camminare senza bagnarsi nei giorni di pioggia, e quindi un migliore e più agevole uso del medesimo percorso. In sostanza la conduttrice, eseguendo opere compatibili con la destinazione del tratto di prato interessato, ha in realtà finito per migliorare un percorso, che comunque avrebbe avuto diritto di effettuare, mediante addizioni non consentite (quelle dei blocchetti di tufo) e non separabili senza danno (dovendo per l'asportazione delle medesime procedersi nuovamente ad un "mini-sbancamento"). Ciò autorizza ad applicare il combinato disposto degli artt. 1592 e 1593 del c.c.: la signora Mo. potrà ritenere la nuova opera eseguita dalla signora Ri., che dal canto suo potrà pretendere, non di ottenere l'indennizzo per l'opera migliorativa, ma di compensare comunque col valore di quest'ultima il (lieve) danno arrecato alla consistenza della cosa ricevuta. In questa prospettiva non rileva l'uso della cosa dedotto nel contratto (foresteria od abitazione, secondo le diverse opinioni manifestate dalle parti), perché in ogni caso del percorso "modificato" sarebbe stato fatto un uso identico e conforme alla sua destinazione (il calpestio da parte del conduttore e dei suoi ospiti).

Da ultimo impedisce l'accoglimento della domanda risarcitoria in questione la mancata quantificazione dei costi necessari per le opere dell'eventuale ripristino. Di tale liquidazione era certamente onerata la signora Mo., che ha richiesto genericamente il risarcimento dei danni, e quindi per equivalente, e non anche la reintegrazione in forma specifica (ex art. 2058 del c.c., norma ritenuta applicabile anche nella materia contrattuale), ma non ha offerto indicazioni utili a consentire né la determinazione dei costi necessari al ripristino né l'individuazione e liquidazione di eventuali altri pregiudizi derivati dall'altrui inadempimento.

L'accenno all'utilizzazione dell'immobile locato (e nelle more restituito) conduce al cuore dell'odierna controversia, l'esame della domanda (proposta in primo grado in via riconvenzionale dalla signora Ri.) di accertamento dell'assoggettabilità del rapporto intercorso tra le parti alla disciplina della L. 392/78 previa dichiarazione della simulazione relativa del contratto di locazione "ad uso foresteria" stipulato dalle parti. In funzione dell'istruzione di tale domanda sono state dedotte ed assunte in primo grado prove testimoniali (la rilevanza dei cui risultati è stata contestata dalla signora Mo.), mentre nel presente giudizio di appello (in cui la Ri. non si è limitata a chiedere la conferma della pronunzia di primo grado, ma ha addirittura invocato - con gravame incidentale - la retrodatazione della decorrenza degli effetti dell'applicabilità della L. 392 alla data di stipula del contratto con la Si.It.) è stata espletata C.T.U. per acquisire elementi di valutazione in ordine alla più corretta classificazione catastale dell'immobile locato, e in particolare per valutare la possibilità di includere o meno l'immobile locato nella classe A/8, che all'epoca di stipula del contratto (cfr. l'art. 14, comma 5, della L. 431/98, secondo cui ai contratti ed ai giudizi in corso all'epoca di entrata in vigore della medesima legge 431 - che ha abolito, tra l'altro, le disposizioni sulla determinazione legale del canone cd. equo - si applicano ad ogni effetto "le disposizioni, normative in materia di locazioni vigenti prima di tale data") non consentiva l'applicazione della disciplina del ed. "equo canone".

Ciò premesso appare alla Corte evidente l'interesse della Ri. ad agire in via di mero accertamento per ottenere la declaratoria della suddetta applicabilità della L. 392: questa (declaratoria) forma oggetto di un giudizio destinato a formare un antecedente logico necessario alla decisione della diversa (ed attualmente sospesa) causa di accertamento del cd. equo canone e di condanna della Mo. a pagare le eventuali eccedenze pagate nel corso della esecuzione del rapporto locatizio e fino alla restituzione dell'immobile.

Nel merito si osserva che il contratto del 1991 è stato stipulato per un uso dell'immobile come "foresteria", ma l'istruttoria espletata in primo grado (i cui risultati sono stati diligentemente esposti dal Tribunale, alla cui esposizione si rinvia) dimostra che sin dal primo momento l'immobile è stato adibito ad abitazione della signora Ri. e dei suoi familiari, e la signora Mo. è stata posta a conoscenza della circostanza sia perché ha mantenuto la disponibilità, all'interno del medesimo stabile, di un appartamento situato all'ultimo piano, sia perché nel corso del rapporto ha avuto ripetuti contatti - riferiti dai testi escussi e riscontrabili anche documentalmente - con la conduttrice per la soluzione di varie questioni inerenti il rapporto di locazione. La signora Ri. è, peraltro, subentrata nel contratto di somministrazione dell'energia elettrica, ha trasferito - unitamente alla famiglia - la residenza nell'immobile, e, con affermazione non specificamente contestata dalla controparte, ha addirittura dichiarato di avere personalmente - e non quale amministratrice della Si.It. - eseguito, prima ancora che divenisse efficace il contratto oggetto della presente controversia, dei lavori di riparazione dell'immobile per renderlo idoneo all'uso abitativo (cfr. lettera inviata il 17.12.1991 ed ivi l'accenno a presunti lavori di restauro dell'immobile eseguiti due anni prima da essa Ri.).

Il complesso dei risultati della prova testimoniale e documentale autorizza l'ammissione di ragionevoli presunzioni in ordine all'esistenza, tra le parti del presente giudizio, di un accordo simulatorio per mascherare il reale rapporto di locazione abitativa sotto le parvenze del rapporto di locazione ad uso foresteria, che del resto appare di assai dubbia configurabilità in mancanza di una vera dissociazione tra la figura del conduttore (che nei rapporti di foresteria è per lo più una persona giuridica) e la figura del fruitore effettivo dell'immobile locato (cfr. l’art. 79, comma 1, della L. 392/78 e l’art. 1417 cod. civ., da cui si ricava il principio secondo cui, ai fini della prova della simulazione relativa, il conduttore ha la facoltà di ricorrere anche alla prova per testimoni - e quindi anche quella per presunzioni - poiché questa tende a far valere l'illiceità delle dissimulate clausole contra legem).

Il rapporto era, quindi, interamente assoggettabile alla L. 392/78 (le cui disposizioni si sostituiscono, quindi, a quelle nulle del contratto alla stregua dell'art. 1419, comma 2, del c.c.), né giustifica una soluzione contraria l'eccezione della signora Mo. in ordine alla presunta classificazione dell'immobile in una categoria (A/8) tale da escludere tale applicabilità. L'eccezione, infatti, appare destituita di fondamento, non solo per i motivi enunciati dal C.T.U. - che ha ritenuto, a conclusione di un'ampia indagine, attribuibile all'immobile la categoria catastale A/7 - ma anche e soprattutto perché l'immobile fa parte di uno stabile suddiviso in più appartamenti, a servizio del quale (e quindi dei diversi fruitori delle singole unità che lo compongono) sono previsti il giardino, l'unico accesso ed il parcheggio. In sostanza, la comunanza delle pertinenze e la stessa inclusione dell'appartamento locato in uno stabile suddiviso in 3 diversi appartamenti in concreto utilizzati da diversi soggetti sembrano incompatibili con quelle caratteristiche di pregio esclusivo che caratterizzano la "villa" esclusa dall'applicazione della disciplina della L. 392/78. Sotto questo profilo non colgono quindi nel segno le critiche formulate dal C.T.P. alla relazione del C.T.U., da cui si evince l'impossibilità di attribuire all'immobile in questione la qualifica di villa unifamiliare (consistendo lo stesso in uno dei tre appartamenti di cui si compone lo stabile di proprietà della signora Mo.), che il Catasto impone ai fini della classificazione dell'immobile nella categoria A/3. Non è un caso, peraltro, che anche agli altri due appartamenti del medesimo stabile sia stata attribuita la categoria A/7.

Rimane da stabilire da quando deve decorrere l'efficacia di tale disciplina. Ma sul punto l'appello incidentale deve essere considerato inammissibile, perché ha introdotto una domanda nuova, quella avente ad oggetto la simulazione del contratto del 1989. Ciò emerge dal confronto tra le conclusioni della Ri. riportate nella sentenza appellata - nelle quali si fa menzione, non del contratto del 1989, ma solo del contratto del 28.2.1991, quello stipulato dalle persone fisiche Mo. e Ri., non avendo la ditta individuale (Ag.Ma.) autonomia rispetto alla persona fisica che se ne serva come segno distintivo per l'esercizio di attività di impresa - e quelle assunte dalla Ri. nella comparsa di costituzione con cui è stato proposto l'appello incidentale. In queste si chiede di dichiarare simulato "anche" il contratto del 12.4.1989, quello stipulato dalla Mo. e dalla s.r.l. Si.It., che non è stata però evocata in quanto tale nel presente giudizio, pur essendo certamente litisconsorte necessaria rispetto alla domanda diretta a far valere l'originaria efficacia del contratto in esame - come locazione abitativa - tra la Mo. e la Ri., e quindi, necessariamente, la natura di soggetto fittiziamente interposto della s.r.l. Si.It. La vicenda non può, infatti, essere interpretata come mera estensione quantitativa del petitum (l'accertamento della assoggettabilità del rapporto intercorso tra le signore Mo. e Ri. alla disciplina della L. 392/78) oggetto della domanda riconvenzionale proposta in primo grado, perché con l'appello incidentale è stata dedotta l'interposizione fittizia della società Si.It., e quindi un fatto costitutivo diverso, che nella fattispecie implica, non più solo un'intesa di due parti sulla divergenza tra il contratto stipulato ed il loro effettivo rapporto, ma anche un accordo simulatorio di 3 soggetti - il contraente apparente (Si.It.), il contraente effettivo (Ri.) e la controparte contrattuale (Mo.) - sull'individuazione di colui che, limitatamente ai primi due anni, era destinato ad assumere la veste di parte sostanziale del rapporto (cfr. Cass. 29.12.1997, n. 13091, secondo cui, se un conduttore, non intestatario del contratto, cita in giudizio il locatore, chiedendone, alla stregua dell'art. 79 L. 392/78, la condanna alla restituzione del maggior canone corrispostogli, implicitamente propone una domanda di accertamento della simulazione relativa soggettiva, presupposto di quella di nullità parziale della clausola contrattuale illegittima e di conseguente ripetizione di indebito, che quindi, non potendo avvenire incidente tantum, implica la necessità di integrare il contraddittorio nei confronti del conduttore apparente).

In conclusione, l'appello proposto dalla signora Mo. deve essere respinto, mentre inammissibile deve essere considerato l'appello incidentale proposto dalla signora Ri. Va invece respinta la domanda risarcitoria della Mo., su cui il Tribunale aveva omesso di pronunciarsi. Le spese del presente grado del giudizio possono essere compensate in ragione di 1/3 per via della soccombenza della Ri. sull'appello incidentale. Per il resto graveranno sulla signora Mo., che è soccombente su tutta la linea. Non si provvede sulle spese del giudizio di primo grado - su cui il Tribunale ha inammissibilmente omesso di pronunciarsi - perché la Ri., non impugnando il relativo capo della sentenza, ha fatto acquiescenza parziale (cfr. l'art. 329, comma 2, del c.p.c.).

P.Q.M.

La Corte di Appello, definitivamente pronunciando, così provvede:

Rigetta l'appello proposto da Mo.An.Ma. avverso la sentenza n. 40571/2000 del Tribunale di Roma, e in particolare la domanda avente ad oggetto la condanna della Ag.Ma. di Ri.La. al risarcimento del danno asseritamente arrecato dall'inadempimento del contratto di locazione intercorso tra le parti e stipulato il 28.2.1991;

Dichiara inammissibile l'appello incidentale proposto dalla Ag.Ma. di Ri.La. avverso la sopra citata sentenza;

Dichiara compensate tra le parti le spese del presente grado del giudizio nei limiti di un terzo, e condanna Mo.An.Ma. a rifondere alla Ag.Ma. di Ri.La. a pagare i rimanenti due terzi delle spese, che liquida in complessivi Euro 4.000,00 di cui Euro 1.200,00 per diritti e Euro 2.200,00 per onorari, oltre spese generali, IVA e contributo per la Cassa Avvocati.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 20 dicembre 2007.

Depositata in Cancelleria l’8 gennaio 2008.

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