La prova del maggior danno, ai sensi dell'articolo 1591 cod. civ., non deve essere necessariamente fornita attraverso la dimostrazione di determinate proposte di locazione per un canone più elevato

In tema di locazioni, la prova del maggior danno, ai sensi dell'articolo 1591 cod. civ., non deve essere necessariamente fornita attraverso la dimostrazione di determinate proposte di locazione per un canone più elevato, potendo il locatore avvalersi a questo fine di elementi presuntivi dotati dei requisiti previsti dall'articolo 2729 cod. civ., purché consentano di ritenere l'esistenza di soggetti seriamente disposti ad assicurarsi il godimento dell'immobile dietro corrispettivo; l'offerta da parte del conduttore di un canone maggiore per la rinnovazione del contratto può tutt'al più valere come elemento presuntivo che concorre unitamente ad elementi dello stesso segno a provare l'esistenza del danno. (Corte di Cassazione Sezione 3 Civile, Sentenza del 22 marzo 2007, n. 6958)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Gaetano FIDUCCIA - Presidente

Dott. Francesco TRIFONE - Consigliere

Dott. Bruno DURANTE - Rel. Consigliere

Dott. Donato CALABRESE - Consigliere

Dott. Luigi Alessandro SCARANO - Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

IMMOBILIARE Le.Da.Vi. SRL, in persona dell'avvocato Ga.Ca.Se., domiciliata in Ro. presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, difesa dall'avvocato Sa.Me. con studio in (...) - Pa., via Ma.Ug. n. (...), giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

COMUNE DI Pa., in persona del Sindaco pro-tempore, elettivamente domiciliato in Ro., presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, difeso dall'avvocato Ez.To. con studio in (...) - Pa., via Lu. n. (...), giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 89/02 della Corte d'Appello di PALERMO, prima sezione civile, emessa l'11/01/02, depositata il 07/02/02, R.G. 1176/94;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/02/07 dal Consigliere Dott. Bruno DURANTE;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa Antonietta CARESTIA, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La s. r. l. immobiliare Le.Da.Vi., assumendo che il comune di Pa. nonostante la convalida di sfratto per morosità, non le aveva riconsegnato gli immobili a suo tempo locatigli, lo conveniva innanzi al tribunale di Palermo per ottenerne la condanna al risarcimento dei danni ex art. 1591 c.c. con interessi legali e maggior danno in misura pari agli interessi corrisposti agli istituti di credito.

Nella resistenza del comune il tribunale rigettava la domanda; la corte di appello di Palermo con sentenza resa l'11.1.2002 dichiarava cessata la materia del contendere con riferimento ad alcuni immobili e rigettava il gravame della locatrice per gli altri, motivando come segue sui punti ancora in discussione.

In base all'art. 1591 c.c. il danno che il conduttore in mora nella restituzione della cosa locata deve corrispondere al locatore in aggiunta al canone pattuito trova fonte nella responsabilità contrattuale e deve essere provato rigorosamente nella sua sussistenza e nel suo ammontare; la quantificazione del canone in vista della stipulazione di nuovi contratti da parte della commissione comunale di valutazione non vale a dimostrare il danno nella riconsegna; tale danno non si può, infatti, fare coincidere con l'esito economico delle trattative intraprese dalla locatrice con lo stesso conduttore in vista del rinnovo del contratto in quanto in tale caso piuttosto che il risarcimento per l'inadempimento dei primo contratto si postulerebbe l'anticipazione degli effetti del secondo e resterebbe comunque indimostrata la perdita di occasioni di locazione più vantaggiose rispetto a quella cessata; il danno non è nella specie dimostrato neppure in via presuntiva; il motivo di gravame con il quale si lamenta che il tribunale abbia rigettato la domanda risarcitoria formulata ai sensi, dell'art. 1224 comma 2, c.c. "segue le sorti delle statuizioni relative al capitale al quale gli interessi dovrebbero accedere, sicché è infondato nella parte in cui il credito per interessi è riferito alla domanda di maggior danno, essendo la relativa domanda stata respinta, ed è inammissibile nella parte in cui gli interessi sono richiesti con riferimento al ritardo nella corresponsione dell'indennità di occupazione, mai proposta in primo grado".

Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la s. r. l. immobiliare Le.Da.Vi., deducendo due motivi; ha resistito con controricorso l'intimato

MOTIVI DELLA DECISIONE

1, Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1591, 2727, 2729 c.c., 113, 115, 116 c.c., nonché vizi di motivazione (art. 360, nn. 3 e 5, c.c.); la corte di merito - si sostiene - ha ritenuto che la richiesta, del comune di ricostituire i cessati rapporti di locazione a canone aggiornato non costituisce prova dell'esistenza ed ammontare del danno; considerato che il comune ha rinnovato la locazione prima dell'esecuzione dello sfratto per il canone determinato in misura più elevata da una commissione da esso medesimo nominata, avrebbe dovuto ritenere l'immediata rilocabilità degli immobili per un canone maggiore e, così, raggiunta la prova del danno e del suo concreto ammontare; l'affermazione che il danno avrebbe potuto essere provato solo dimostrando più vantaggiose proposte di locazione provenienti da terzi non tiene conto della peculiarità della specie, nella quale l'offerta di rinnovo della locazione ha bloccato la ricerca di altri conduttori, ed è resistita da Cass. 10.2.1996, n. 1032, e Cass. 10.2.1999, n. 1133; nel senso dell'immediata rilocabilità degli immobili si lascia valutare il notorio riguardante la situazione del mercato delle locazioni caratterizzata dalla cronica carenza di immobili destinati a scuole ed uffici.

1.1. Il motivo non può trovare accoglimento.

1.2. Va ribadito il costante orientamento di questa Corte secondo il quale il danno da ritardata restituzione dell'immobile locato (art. 1591 c.c.) ha natura contrattuale e deve essere rigorosamente provato nella sua esistenza e nel suo preciso ammontare dal locatore (Cass. 13.7.2005, n. 14753; Cass. 22.7.2004, n. 13628; Cass. 23.5.2002, n. 7546).

Sul contenuto della prova che il locatore è tenuto a fornire sì richiamano nel ricorso le sentenze di questa Corte 10.2.1996, n. 1032, e 10.2.1999, n. 1133, sostenendo che entrambe sono nel senso che la prova può ritenersi raggiunta "sulla base della differenza tra il canone corrisposto e quello offerto dallo stesso conduttore per la rinnovazione dei contratto".

Ora la sentenza 1032/1996 ha affermato che è conforme al principio che il maggior danno deve essere provato dal locatore nella sua esistenza ontologica e nel suo preciso ammontare la statuizione giudiziale che, nel liquidare il danno, non si limiti a considerare il canone offerto dal conduttore per la rinnovazione del contratto, ma accompagni tale considerazione con altre fondate sulla notorietà che il canone offerto corrisponde ai valori di mercato, sulla particolare dislocazione non eccentrica dell'immobile locato e sulle concrete e notorie possibilità di utilizzazione dell'immobile in relazione all'ubicazione in una città a rilevante vocazione commerciale.

La sentenza 1133/1999 ha chiarito che la sentenza 1032/1996 non costituisce un "revirement" nella giurisprudenza di questa Corte, collocandosi nell'ambito di quella precedente.

Piuttosto già con la sentenza 15.10.1997, n. 10115, questa Corte ha evidenziato come non possa tradursi in impostazione di principio, attraverso un processo di astrazione dalle fattispecie concrete, l'affermazione esemplificata che il danno deve essere provato mediante la dimostrazione di ben precise proposte locative a canone superiore a quello pattuito con il conduttore.

In quella occasione la Corte ha precisato che, essendo il danno un fatto, è utilizzabile qualsiasi mezzo per provarlo, comprese le presunzioni, purché presentino i requisiti previsti dall'art. 2729 c.c. e, cioè, siano gravi, precise e concordanti.

Il principio dell'ammissibilità della prova presuntiva in tema di risarcimento del maggior danno ex art. 1591 c.c. è stato successivamente accolto da Cass. 7.3.2002, n. 3327, la quale ha ritenuto che le presunzioni non possono essere invocate in astratto al solo scopo di provare l'esistenza di un maggior canone (di mercato, ma debbono essere idonee a provare in concreto il danno del locatore, da Cass. 22.7.2004, n. 13628, e Cass. 30.7.2004, n. 14624, secondo le quali il locatore può dimostrare anche per presunzioni l'esistenza di una effettiva lesione del suo patrimonio in rapporto alle condizioni dell'immobile, alla sua ubicazione ed alle possibilità di specifica attuale destinazione, nonché alla esistenza di soggetti seriamente disposti ad assicurarsene il godimento dietro corrispettivo.

A questo orientamento si presta adesione, considerato che la stessa giurisprudenza costituzionale (sentenza 9.11.2000, n. 482) si è espressa nel senso che il risarcimento del maggior danno secondo la disciplina dell'art. 1591 c.c. è determinato dal giudice sulla base degli elementi che il locatore è in grado di fornire "secondo le regole ordinarie".

Si afferma, pertanto, che la prova del maggior danno ex art. 1591 c.c. non deve essere necessariamente fornita attraverso la dimostrazione di ben determinate proposte di locazione per un canone più elevato, potendo il locatore avvalersi a questo fine di elementi presuntivi dotati dei requisiti previsti dall'art. 2729 c.c., purché consentano di ritenere l'esistenza di soggetti seriamente disposti ad assicurarsi il godimento dell'immobile dietro corrispettiva.

In questo ambito va precisato che l'offerta da parte del conduttore di un canone maggiore per la rinnovazione del contratto può tutt'al più valere come elemento presuntivo che concorre unitamente ad elementi dello stesso segno a provare l'esistenza del danno.

1.3. L'uso del notorio costituisce esercizio di un potere discrezionale del giudice di merito insindacabile in sede di legittimità, tranne che per quanto attiene alla nozione di fatto notorio utilizzata dal giudice da intendere come fatto generalmente conosciuto in una determinata zona o in un particolare settore di attività o di affari da una collettività di persone di media cultura (Cass. 19.8.2003, n. 12112; Cass. 17.4.2004, n. 13073).

1.4. Alla stregua dei principi sopra esposti si ritiene che correttamente la corte di merito ha escluso che sia stata fornita prova del danno maggiore, anche se non può essere approvata l'affermazione che la prova deve essere fornita solo con la dimostrazione di ben precise proposte di locazione, mentre il mancato uso del notorio, quale che possa essere il suo valore probatorio nella specifica situazione, non è sindacabile in questa sede.

2. Con il secondo motivo si deduce che la corte di merito ha motivato apparentemente il rigetto della domanda di interessi e danni ex art. 1224 comma 2, c.c. allorquando ha ritenuto che tale domanda è accessoria a quella di danno ex art. 1591 c.c. e segue le sorti della stessa.

2.1. Il motivo, oltre che generico, postula una interpretazione della domanda diversa da quella adottata dalla corte di merito e, non essendo tale interpretazione specificamente censurata con l'indicazione dei criteri ermeneutici, violati e dei modi e termini della violazione, non può trovare accoglimento.

3. In conclusione, il ricorso è rigettato con condanna della società ricorrente alle spese.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente alle spese liquidate in euro 6.100, di cui euro 6.000 per onorari, oltre spese generali ed accessori dì legge.

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