Una disdetta che non sia idonea ha l'efficacia di produrre la cessazione del rapporto per la scadenza successiva

Una disdetta che non sia idonea, per inosservanza del termine, a produrre la cessazione della locazione per la scadenza voluta dal locatore, ha l'efficacia di produrre la cessazione del rapporto per la scadenza successiva. (Corte di Cassazione Sezione 3 Civile
Sentenza del 31 gennaio 2008, n. 2397)



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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto 28 gennaio 2000 BE. An. Ma. ha intimato a VO. Pa. licenza per finita locazione relativamente a un immobile con destinazione ad uso abitativo sito in (OMESSO), contestualmente citandola per la convalida avanti al Tribunale di Venezia.

L'intimata, comparsa all'udienza, si e' opposta alla convalida, costituendosi.

In particolare l'intimata ha eccepito che, contrariamente a quanto dichiarato nel contratto, l'immobile era destinato a sopperire ad esigenze abitative stabili e non transitorie, tanto che essa intimata vi aveva stabilito la residenza propria e dei propri figli.

La stessa ha contestato, altresi', la validita' ed efficacia della disdetta, sul riflesso che questa le era stata comunicata per una data di un anno anteriore a quella per la quale era poi stata intimata la licenza.

Svoltasi la istruttoria del caso l'adito Tribunale, disattesa la istanza intesa alla pronuncia di ordinanza di rilascio e disposto il mutamento del rito, con la sentenza 15 ottobre 2001 - 26 marzo 2002 ha dichiarato risolto il contratto inter partes alla data del 31 maggio 2000 e condannato la convenuta al pagamento della somma di lire 2.000.000 per canoni scaduti dal mese di febbraio al mese di maggio dell'anno 2000 e della somma di lire 8.500.000 a titolo di indennita' di occupazione dal mese di giugno al mese di ottobre 2001, oltre agli interessi legali dalle singole scadenze al saldo.

Ha osservato quel giudice, quanto alla natura del contratto, che grava sul conduttore l'onere della prova della conoscenza, da parte del locatore, nel momento della conclusione del contratto, della esistenza di una situazione obbiettiva del conduttore stesso che gli avesse consentito di apprezzare la inesistenza delle dichiarate esigenze di carattere transitorio e che tale onere non era stato assolto, tenuto presente che il tenore letterale del contratto non offriva alcun indizio nel senso preteso dalla conduttrice ma, al contrario, conteneva concrete indicazioni a conforto della dichiarata natura transitoria delle esigenze abitative della stessa conduttrice.

Questa ultima, ha evidenziato quel giudice, non aveva nemmeno offerto di provare la esistenza di un accordo simulatorio, limitandosi ad allegare di avere trasferito la residenza propria e della propria famiglia nell'immobile, circostanza in se' non incompatibile con esigenze di natura transitoria, ma soltanto dedotto la conoscenza della locatrice della circostanza che essa conduttrice fosse alla ricerca di una abitazione ove trasferire stabilmente la propria famiglia.

La circostanza del rilascio, alla conduttrice, di concessione edilizia per la costruzione di un fabbricato ad uso abitativo - ha precisato, ancora, la sentenza di primo grado - induceva a ritenere che al momento della conclusione del contratto la locatrice avesse ragionevolmente escluso la inesistenza di esigenze abitative transitorie e che - infine - il contratto, di durata annuale, si era rinnovato sino al 31 maggio 2000, data alla quale era cessato per effetto della rituale comunicazione di disdetta inviata dalla locatrice in data 5 maggio 1999.

Gravata tale pronunzia in via principale dalla VO. e in via incidentale subordinata dalla BE., la Corte di appello di Venezia, con sentenza 14 maggio - 29 agosto 2003 ha rigettato la impugnazione, ancorche' mutando parzialmente la motivazione.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, notificata il 16 ottobre 2003 e date successive, ha proposto ricorso, affidato a 5 motivi VO. Pa., con atto notificato il 16 dicembre 2003 e illustrato da memoria.

Resiste, con controricorso e ricorso incidentale, affidato a un unico motivo BE. An. Ma., e illustrato da memoria, con atto notificato il 26 gennaio 2004.

La VO. resiste, con controricorso al ricorso incidentale di controparte, con atto notificato il 12 febbraio 2004.

Il P.G. ha chiesto la trattazione della causa in Camera di consiglio ai sensi dell'articolo 375 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I vari ricorsi avverso la stessa sentenza devono essere riuniti, ai sensi dell'articolo 335 c.p.c..

2. Denunzia in limine la ricorrente incidentale che la copia notificatale del ricorso principale e' priva, quanto al mandato apposto a p. 2 della stessa, sia della sottoscrizione dalla VO. (ricorrente principale) sia di quella degli avvocati Fadalti e Tonello e, di conseguenza il ricorso e' inammissibile.

Sempre in punto ammissibilita' del ricorso avversario la ricorrente principale lamenta, ancora, la inammissibilita' del ricorso incidentale di controparte perche' nel mandato a margine del controricorso stesso la sottoscrizione della BE. e' autenticato esclusivamente dall'avv. Borsetto, a giudizio della ricorrente principale non abilitato all'attivita' professionale innanzi alla Suprema Corte.

3. Entrambe tali eccezioni sono manifestamente infondate.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

3.1. Giusta quanto assolutamente pacifico, presso una giurisprudenza piu' che consolidata di questa Corte regolatrice, qualora l'originale del ricorso per Cassazione o del controricorso (contenente, eventualmente, anche il ricorso incidentale) rechi la firma del difensore munito di procura speciale e l'autenticazione ad opera del medesimo della sottoscrizione della parte conferentegli tale procura, la mancanza di detta firma e della menzionata autenticazione nella copia notificata non spiega effetti invalidanti, purche' la copia stessa contenga elementi - come l'attestazione dell'ufficiale giudiziario che la notifica e' stata eseguita ad istanza del difensore del ricorrente - idonei ad evidenziare la provenienza dell'atto dal difensore munito di mandato speciale (Cass. 15 gennaio 2007, n. 636; Cass. 22 giugno 2005, n. 13385).

Pacifico quanto precede, certo che nella specie l'originale del ricorso reca la sottoscrizione autografa della VO., ma anche quella degli avvocati Fadalti e Tonello, e nella copia notificata non solo si fa espressamente menzione del mandato a margine nella intestazione del ricorso stesso ma il mandato stesso e' stato ritualmente trascritto nella copia notificata, e' palese la inammissibilita' dell'eccezione sollevata dal ricorrente incidentale.

3.2. Parimenti infondata si appalesa l'eccezione formulata dalla ricorrente incidentale.

L'avv. Borsetto risulta iscritto nell'albo speciale degli avvocati cassazionisti esclusivamente con delibera del 15 settembre 2004, anteriore di circa 9 mesi alla data in cui e' stata autenticata la sottoscrizione della BE. (il controricorso recante il ricorso incidentale e' stato, infatti, notificato il 26 gennaio 2004).

E' evidente, pertanto, come eccepito dalla difesa della controricorrente che all'epoca in cui l'avv. Borsetto ha sottoscritto, per autentica, il mandato rilasciato dalla Be. ad esso Borsetto nonche' all'avv. Enrico Pamphili lo stesso non era abilitato alla difesa innanzi questa Corte Suprema.

A quanto precede, peraltro, non segue - contrariamente a quanto si invoca - la inammissibilita' del controricorso e del ricorso incidentale di parte BE..

Giusta una giurisprudenza decisamente maggioritaria di questa Corte regolatrice che nella specie merita ulteriore conferma, deve ribadirsi - infatti - che non e' configurabile la nullita' della procura alle liti nella ipotesi in cui essa, conferita in calce o a margine di uno degli atti indicati dall'articolo 83 c.p.c., sia carente della certificazione (da parte del difensore) della autografia della firma del conferente, purche' la sottoscrizione del difensore abilitato sia apposta in calce all'atto medesimo.

Deve infatti ritenersi che tale sottoscrizione, essendo la procura alle liti incorporata nell'atto per il quale e' conferita, certifichi anche la autografia del conferente la procura medesima (Cass. 10 aprile 2000, n. 4498; Cass. 18 dicembre 2001, n. 15977, nonche' con riguarda all'ipotesi reciproca, Cass. 23 marzo 2005, n. 6225; Cass. 22 novembre 2004, n. 22025; Cass. 6 marzo 2004, n. 4617; Cass. 3 novembre 1999, n. 12261; Cass. 20 giugno 1996, n. 5711).

Pacifico quanto precede si osserva che nella specie il controricorso contenente il ricorso incidentale risulta sottoscritto (nel pieno rispetto del precetto di cui all'articolo 365 c.p.c.) anche dall'avv. Enrico Pamphili, abilitato all'esercizio della professione innanzi questa Corte Suprema.

4. Con il primo motivo la ricorrente principale censura la sentenza impugnata per avere questa dichiarato inammissibile il motivo di appello con il quale essa concludente aveva dedotto la nullita' della sentenza di primo grado, per essere stata omessa la lettura del dispositivo, al termine dell'udienza di discussione, lamentando "violazione di legge - violazione dell'articolo 100 c.p.c., articolo 342 c.p.c., articoli 353 e 354 c.p.c.".

5. La censura e' inammissibile, per difetto di interesse.

Cio' alla stregua del principio di diritto secondo cui, nelle controversie soggette al rito del lavoro, l'omessa lettura del dispositivo all'udienza di discussione determina la nullita' della sentenza, da farsi valere secondo le regole proprie del mezzo di impugnazione esperibile, in base al principio generale sancito dall'articolo 161 c.p.c., comma 1, senza che il giudice di secondo grado, che abbia rilevato tale nullita', ove dedotta con l'appello, possa ne' rimettere la causa al primo giudice - non ricorrendo alcuna delle ipotesi di rimessione tassativamente previste dagli articoli 353 e 354 c.p.c. - ne' limitare la pronunzia alla mera declaratoria di nullita', dovendo decidere la causa nel merito.

Deriva, da quanto precede, pertanto, qualora il giudice d'appello proceda - disattesa, eventualmente con motivazione erronea l'eccezione di nullita' della sentenza di primo grado - all'esame delle altre censure dedotte con l'impugnazione, difetta l'interesse a far valere come motivo di ricorso per Cassazione la nullita' della sentenza di primo grado in quanto non dichiarata dal giudice d'appello.

L'eventuale rinvio ad altro giudice d'appello porterebbe allo stesso risultato gia' conseguito con la pronuncia su tutti i motivi d'impugnazione (In questo senso, da ultimo, Cass. 11 maggio 2006, n. 10869; Cass. 8 gennaio 2003, n. 82; Cass. 7 novembre 2001, n. 13781).

6. Con il secondo motivo la ricorrente principale censura la sentenza gravata lamentando "violazione di legge - Violazione dell'articolo 1596 c.c. - Violazione della Legge n. 392 del 1978, articolo 3, e successive modifiche Legge n. 431 del 1998 ex articolo 4" per avere la Corte di appello ritenuto rituale la disdetta del 29 aprile 1999, sia perche' fa riferimento a un contratto nullo, sia perche' invoca un periodo di recesso di un solo mese, in violazione della Legge 27 luglio 1978, n. 392, articolo 3.

7. La censura e' inammissibile.

In conformita', in particolare, a una giurisprudenza piu' che consolidata di questa Corte regolatrice, da cui totalmente prescinde parte ricorrente e che nella specie deve ulteriormente ribadirsi - infatti - il ricorso per Cassazione deve contenere, a pena di inammissibilita', i motivi per i quali si richiede la cassazione, aventi i caratteri di specificita', completezza e riferibilita' alla decisione impugnata.

Il ricordato principio comporta - in particolare - tra l'altro che e' inammissibile il ricorso nel quale non venga precisata la violazione di legge nella quale sarebbe incorsa la pronunzia di merito, non essendo al riguardo sufficiente un'affermazione apodittica non seguita da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente porre la Corte di legittimita' in grado di orientarsi tra le argomentazioni in base alle quali si ritiene di censurare la sentenza impugnata (Cass. 15 febbraio 2003, n. 2312).

Quindi, quando nel ricorso per Cassazione, pur denunciandosi violazione e falsa applicazione della legge, con richiamo di specifiche disposizioni normative (nella specie l'articolo 1596 c.c., nonche' la Legge 27 luglio 1978, n. 392, articolo 3, e, ancora, la Legge 9 dicembre 1998, n. 431, articolo 4), non siano indicate le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le disposizioni indicate - o con l'interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimita' o dalla prevalente dottrina - il motivo e' inammissibile, poiche' non consente alla Corte di Cassazione di adempiere il compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione (Cass. 20 gennaio 2006, n. 1108; Cass. 29 novembre 2005, n. 26048; Cass. 8 novembre 2005, n. 21659; Cass. 18 ottobre 2005, n. 20145; Cass. 2 agosto 2005, n. 16132).

In altri termini, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di una erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi, implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (da cui la funzione di assicurare la uniforme interpretazione della legge assegnata dalla Corte di Cassazione).

Viceversa, la allegazione - come prospettate nella specie da parte del ricorrente - di una erronea ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultanze di causa, e' esterna alla esatta interpretazione della norme di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura e' possibile, in sede di legittimita', sotto l'aspetto del vizio di motivazione.

Lo scrimine tra l'una e l'altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa della erronea ricognizione della astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - e' segnato, in modo evidente, che solo questa ultima censura e non anche la prima e' mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (recentemente, in termini, Cass. 5 giugno 2007, n. 13066, nonche' Cass. 20 novembre 2006, n. 24607, specie in motivazione; Cass. 11 agosto 2004, n. 15499, tra le tantissime).

Atteso che nella specie con il motivo in esame la ricorrente pur denunziando la violazione delle molteplici norme sopra richiamate, non lamenta - in realta' - violazioni di legge, ma si limita a censurare la interpretazione data dai giudici del merito alla disdetta in atti (allorche' gli stessi hanno affermato che questa, erroneamente intimata per il 31 maggio 1999, era valida per la scadenza effettiva del contratto, cioe' per il 30 maggio 2000) e' di palmare evidenza la inammissibilita' del motivo.

8. Anche a prescindere da quanto precede si osserva che i giudici del merito hanno fatto proprio, sul punto, un insegnamento assolutamente pacifico di questa Corte regolatrice da cui totalmente e senza alcuna motivazione prescinde parte ricorrente, secondo cui una disdetta che non sia idonea, per inosservanza del termine, a produrre la cessazione della locazione per la scadenza voluta dal locatore, ha l'efficacia di produrre la cessazione del rapporto per la scadenza successiva (tra le tantissime, Cass. 26 aprile 2004, n. 7927; Cass. 8 agosto 1997 n. 7352; Cass. 19 ottobre 2006, n. 22407).

9. Con il terzo motivo la ricorrente denunzia "omessa, insufficiente o comunque contraddittoria motivazione in ordine a un punto decisivo della controversia (cfr. locazione transitoria) ", per avere i giudici del merito ritenuto irrilevante la verifica se si era, o meno, a fronte a una locazione transitoria.

La deduzione e' inammissibile per difetto di interesse.

Accertato, come si e' accertato sopra, in sede di esame del precedente motivo, che la disdetta intimata era valida per la data del 31 maggio 2000 (a prescindere dal diverso contenuto letterale) e pacifico - altresi' - che sia si ritenga il contratto diretto a soddisfare esigenze di natura provvisoria, sia si pervenga alla diversa conclusione (invocata dalla ricorrente principale) che l'immobile non mirava a garantire esigenze provvisorie, la odierna ricorrente era - comunque - tenuta al rilascio dell'alloggio alla detta data del 31 maggio 2000 e' di palmare evidenza che la stessa e' carente di interesse a sollecitare un accertamento privo di qualsiasi efficacia.

In altri termini, l'interesse all'impugnazione, il quale costituisce manifestazione del generale principio dell'interesse ad agire - sancito, quanto alla proposizione della domanda ed alla contraddizione alla stessa, dall'articolo 100 c.p.c. - va apprezzato in relazione all'utilita' concreta derivabile alla parte dall'eventuale accoglimento del gravame, e non puo' consistere in un mero interesse astratto ad una piu' corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata.

E' inammissibile, pertanto, per difetto d'interesse, un'impugnazione con la quale si deduca la violazione di norme giuridiche, sostanziali o processuali o, come nella specie, la erronea valutazione delle emergenze processuali da parte del giudice del merito sotto il profilo di cui all'articolo 360 c.p.c., n. 5, che non spieghi alcuna influenza in relazione alle domande o, eccezioni proposte, e che sia diretta quindi all'emanazione di una pronuncia priva di rilievo pratico (Cass. 19 maggio 2006, n. 11844; Cass. 28 aprile 2006, n. 9877, tra le tantissime).

10. Come accennato in parte espositiva i primi giudici hanno condannato parte conduttrice al pagamento dei canoni scaduti dal mese di febbraio a maggio 2000 nonche' a una ulteriore indennita' per l'occupazione dell'immobile nel periodo giugno 2000 - ottobre 2001.

Censurando l'appellante nella parte de qua la sentenza gravata per essere tali domande inammissibili, i giudici di secondo grado hanno ritenuto rituale la richiesta perche' formulata con la memoria prodotta prima che venisse disposto il mutamento di rito, evidenziando, altresi', nel merito che "la imputazione dei pagamenti che l'appellante ha documentato di avere eseguito in favore dell'appellata non appaiono ragionevolmente imputabili a pagamento dei canoni in questione, in ragione della totale mancanza di corrispondenza degli importi dei singoli pagamenti effettuati con l'ammontare del canone dovuto e, altresi', della notevole risalenza dei pagamenti rispetto alla maturazione dei pagamenti".

11. Con il quarto motivo la ricorrente principale.

censura nella parte de qua la sentenza impugnata denunziando "omessa, insufficiente o comunque contraddittoria motivazione in ordine ad un punto decisivo della controversia (cfr. domanda di adempimento ex articolo 1453 c.c.) ".

Si afferma:

- "la motivazione della Corte di appello appare insufficiente in ordine alla quaestio domanda nuova";

- "anzi addirittura omessa del tutto laddove non esamina neppure la doglianza se la domanda ex articolo 1453 c.c., sia da qualificarsi principale o subordinata";

- "appare poi contraddittoria laddove afferma che l'imputazione dei pagamenti che l'appellante ha documentato di avere eseguito in favore dell'appellata non appaiono ragionevolmente imputabili a pagamento canoni";

- "in ordine alla domanda di pagamento dei canoni VO. Pa. in primo grado non ha accettato il contraddittorio";

- "le domande sono state svolte da controparte, entrambe in via principale e applicabile il principio giuridico .. secondo cui ex articolo 1453 c.c., comma 2, l'una esclude l'altra, da cio' la non accoglibilita' della richiesta di condanna";

- "anche la condanna comunque nella sua entita' appare assolutamente ingiusta e illogica, superando l'importo mensile stabilito in sentenza di ben oltre 50% ...".

12. La deduzione e' manifestamente infondata.

Sotto tutti i profili in cui si articola.

Alla luce delle considerazioni che seguono.

12.1. Come leggesi in sentenza e come riferisce la stessa ricorrente principale i giudici di secondo grado hanno ritenuto ammissibile la domanda di pagamento dei canoni, perche' formulata con una memoria (integrativa della licenza per finita locazione) anteriormente al provvedimento con cui il giudice ha disposto il mutamento di rito.

E' evidente, pertanto, contrariamente a quanto del tutto apoditticamente assume parte ricorrente, che sul punto esiste una "motivazione".

12.2. Non esiste, contemporaneamente, omessa motivazione, per non avere affrontato ex professo i giudici del merito la specifica questione se la domanda di pagamento dei canoni fosse stato proposta in via subordinata o, piuttosto, in via principale.

Certo, infatti, che sono "gradate", o "subordinate", le istanza formulate con riguardo all'eventualita' venga ritenuta non fondata una domanda svolta in via principale, pacifico, altresi', che nella specie i primi giudici hanno accolto sia la domanda di cessazione del contratto di locazione, che quella di pagamento dei canoni e' evidente che gli stessi, come anche quelli di appello, che hanno confermato la prima sentenza, non hanno in alcun modo ritenuto la seconda richiesta "subordinata" al mancato accoglimento della prima.

12. 3. In alcun modo pertinente, al fine del decidere, appare - il richiamo all'articolo 1453 c.c..

Anche in caso di risoluzione per grave inadempimento, del contratto di locazione il conduttore - infatti - e' sempre tenuto al pagamento dei canoni del caso per tutto il tempo in cui il contratto ha avuto esecuzione e il conduttore stesso ha goduto dell'alloggio (essendo, palesemente, inapplicabile la disciplina di cui all'articolo 1453 c.c., comma 2, ai contratti di durata con riferimento alle prestazioni gia' eseguite).

Anche a prescindere da quanto precede, comunque, si osserva che nella specie non e' stata chiesta, ne' pronunziata, la risoluzione per inadempimento del contratto di locazione.

I giudici del merito, in particolare, hanno dichiarato la cessazione del contratto di locazione inter partes per scadenza del termine di durata: e' palese, pertanto l'obbligo della parte conduttrice di corrispondere il canone fino al rilascio dell'immobile, senza che possa invocarsi la disciplina di cui all'articolo 1453 c.c., comma 2.

12.4. Si ha motivazione contraddittoria, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., n. 5, allorche' le ragioni poste a fondamento della decisione risultino sostanzialmente contrastanti in guisa da elidersi a vicenda e da non consentire l'individuazione della ratio decidendi, e cioe' la identificazione del procedimento logico - giuridico posto a base della decisione adottata (Cass. 4 giugno 2001, n. 7476).

Pacifico quanto precede e' palese la insussistenza nella specie di qualsiasi contraddittorieta' motivazione, per avere i giudici del merito escluso che dai documenti prodotti risultasse confermato l'assunto invocato dall'appellante e, cioe', di avere regolarmente corrisposto i canoni reclamati da controparte.

12.5. Come osservato sopra i giudici del merito hanno ritenuto ammissibile la domanda, di pagamento dei canoni formulata dalla locatrice perche' proposta con memoria depositata anteriormente al mutamento di rito.

E' evidente, pertanto, che e' irrilevante e non pertinente, al fine del decidere, la circostanza che la odierna ricorrente non abbia mai espressamente accettato il contraddittorio sul punto.

12.6. Giusta quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza piu' che consolidata di questa Corte regolatrice - e da cui totalmente e senza alcuna motivazione prescinde parte ricorrente - nel giudizio di Cassazione e' preclusa alle parti la prospettazione di nuove questioni di diritto che postulino indagini ed accertamenti di fatto non compiuti dal giudice del merito, a meno che tali questioni non abbiano formato oggetto di gravame o di contestazione nel giudizio di appello (Cass. 16 agosto 2004, n. 15950; Cass. 19 marzo 2004 n. 5561).

Contemporaneamente, non puo' tacersi che ove una determinata questione giuridica - che implichi un accertamento di fatto - non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga la suddetta questione in sede di legittimita', al fine di evitare una statuizione di inammissibilita', per novita' della censura, ha l'onere non solo di allegare l'avvenuta deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dare modo alla Corte di Cassazione di controllare ex actis la veridicita' di tale asserzione, prima di esaminare nel merito la questione stessa (Cass. 5 aprile 2004, n. 6656).

Pacifico quanto precede si osserva che in alcuna parte della sentenza gravata risulta expressis affrontato il problema del canone mensile dovuto dalla conduttrice ne' risulta che questa ultima, nell'atto di appello avesse contestato nel quantum la condanna al pagamento dei canoni e ex articolo 1591 c.c..

E' di palmare evidenza, pertanto - in applicazione dei principi da ultimo ricordati - la inammissibilita' nella ultima sua parte della censura in esame.

13. Con il quinto e ultimo motivo la ricorrente denunzia "carenza illogicita' e contraddittorieta' di motivazione sul capo di sentenza che statuisce sulle spese di giudizi odi primo grado" per essere state queste poste a carico di essa concludente ancorche' sia stata, in parte, modificata la motivazione della prima sentenza.

Con l'unico motivo del proprio ricorso la ricorrente incidentale censura la sentenza gravata perche' ha disposto la compensazione delle spese del giudizio di appello.

14. I due motivi, intimamente connessi e da esaminare congiuntamente, sono entrambi manifestamente infondati.

14.1. Giusta quanto assolutamente pacifico presso una giurisprudenza piu' che consolidata di questa Corte regolatrice, in tema di spese processuali sussiste violazione del principio della soccombenza, di cui all'articolo 91 c.p.c. - denunciabile in sede di legittimita' sotto il profilo di cui all'articolo 360 c.p.c., n. 3 - solo nell'ipotesi le spese di causa siano state poste, da parte del giudice del merito, totalmente (o, eventualmente, anche parzialmente) a carico della parte che risulti totalmente vittoriosa (cfr., ad esempio, Cass. 29 aprile 1999, n. 4347).

Certo che nella specie il giudice del merito, lungi dal porre - anche solo parzialmente - le spese di lite a carico della parte risultata totalmente vincitrice, si e' limitato a disporre la compensazione delle spese stesse, tra le parti, e' palese che la denunziata violazione di legge non sussiste.

14.2. Quanto, ancora, alla denunzia della sentenza gravata sotto il profilo di cui all'articolo 360 c.p.c., n. 5, (formulata dalla ricorrente principale), atteso che i giudici di appello hanno modificato la motivazione del primo giudice, se' che "proprio perche' la sentenza di primo grado e' stata riconosciuta errata nella motivazione e sul punto censurata, i giudici di secondo grado avrebbero dovuto, oltre che accogliere il gravame con conseguente condanna della appellata anche in ordine alle spese, quantomeno in subordine compensare le spese di giudizio anche di primo grado, tenuto conto gli elementi forniti e ricavati in giudizio", la deduzione e' palesemente inammissibile.

A prescindere dal considerare che con la stessa non di denunzia un vizio della motivazione della sentenza impugnata rilevante sotto il profilo di cui all'articolo 360 c.p.c., n. 5, ma un apprezzamento discrezionale e non sindacabile del giudice del merito, l'assunto prende le proprie mosse da un presupposto totalmente errato in diritto.

Come si e' gia' evidenziando sopra l'interesse all'impugnazione, il quale costituisce manifestazione del generale principio dell'interesse ad agire va apprezzato in relazione all'utilita' concreta derivabile alla parte dall'eventuale accoglimento del gravame, e non puo' consistere in un mero interesse astratto ad una piu' corretta soluzione di. una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata.

Certo quanto sopra, certo che nella specie nessuna "utilita' concreta" e' derivata alla odierna ricorrente principale dalla circostanza che i giudici di secondo grado abbiano "modificato" la motivazione della sentenza resa al termine del giudizio di primo grado, si' che la stessa e' rimasta, in esito al giudizio di appello "soccombente" e non "vincitrice" (contrariamente a quanto del tutto apoditticamente si invoca in ricorso) e' evidente che i denunziati vizi della sentenza d'appello, quanto alle spese di lite (di primo grado come di appello) non sussistono.

14.3. In merito, da ultimo, al ricorso incidentale e alla censurata "compensazione" delle spese di lite del giudizio di secondo grado, ricorrendo "giusti motivi", la censura e' inammissibile.

Pur consapevole, infatti, del contrasto giurisprudenziale esistente sulla specifica questione, questo collegio ritiene preferibile aderire alla interpretazione dell'articolo 92 c.p.c., data dalla giurisprudenza prevalente, secondo la quale, come noto, il giudice puo' compensare le spese processuali per giusti motivi senza obbligo di specificarli, atteso che l'esistenza di ragioni che giustifichino la compensazione va posta in relazione e deve essere integrata con la motivazione della sentenza e con tutte le vicende processuali, stante l'inscindibile connessione tra lo svolgimento della causa e la pronuncia sulle spese medesime, non trovando percio' applicazione in tema di compensazione per giusti motivi il principio sancito dall'articolo 111 Cost., comma 6, secondo cui ogni provvedimento giurisdizionale deve essere motivato.

Il potere del giudice di compensare le spese processuali per giusti motivi, inoltre, non e' in contrasto con il principio dettato dall'articolo 24 Cost., comma 1, giacche' il provvedimento di compensazione non costituisce, per la parte, ostacolo alla difesa dei propri diritti, non potendosi estendere la garanzia costituzionale dell'effettivita' della tutela giurisdizionale sino a comprendervi anche la condanna del soccombente al rimborso delle spese (in termini, ad esempio, Cass. 19 marzo 2007, n. 6409).

Non solo, del resto, tale interpretazione della norma positiva ha avuto l'avallo della Corte Costituzionale (cfr. C. cost. 21 dicembre 2004, n. 395) da cui totalmente e senza alcuna motivazione totalmente prescinde la difesa della ricorrente incidentale, ma la stessa trova conferma nella circostanza che solo per effetto del nuovo articolo 92 c.p.c., comma 2, come sostituito dalla Legge 28 dicembre 2005, n. 263, articolo 2, "il giudice puo' compensare parzialmente o per intero, le spese tra le parti", "se vi e' soccombenza reciproca o concorrono altri giusti motivi, esplicitamente indicati nella motivazione".

Certo che tale norma ha carattere chiaramente innovativo (rispetto alla precedente formulazione dell'articolo 92 c.p.c., comma 2) e trova applicazione - per espressa scelta legislativa come sostituito dalla Decreto Legge 30 dicembre 1995, n. 273, articolo 39 quater, conv. con mod. dalla Legge 23 febbraio 2006, n. 511 - esclusivamente con decorrenza dal 1 marzo 2006 e con riguardo ai procedimento instaurati successivamente alla detta data, e' palese, come anticipato la inammissibilita' dell'unico motivo del ricorso incidentale.

15. Sia il ricorso principale, in conclusione, sia quello incidentale, risultati infondati in ogni loro parte, devono essere rigettati.

Atteso l'esito di questo giudizio di Cassazione sussistono giusti motivi onde disporre, tra le parti, la totale compensazione della spese di lite dello stesso.

P.Q.M.

La Corte:

riunisce i ricorsi e li rigetta;

compensa, tra le parti, le spese di questo giudizio di legittimita'.

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