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Alla compravendita di animali da compagnia o d’affezione si applicano le norme del Codice del Consumo

Nel campo dell'esperienza giuridica vanno considerati come "cose" anche gli esseri viventi suscettibili di utilizzazione da parte dell'uomo: non solo i vegetali, ma anche gli animali. Com'e' noto, a parte gli animali selvatici (i quali ricevono protezione attraverso la legislazione che regolamenta la caccia e individua le specie "protette"), gli animali addomesticati dall'uomo sono tradizionalmente distinti in animali "da reddito", utilizzati per il lavoro o per la produzione (carni, latte, uova, lana, pelli, etc.), e animali "da compagnia" (o "d'affezione"), per tali intendendosi "ogni animale tenuto, o destinato ad essere tenuto, dall'uomo, per compagnia o affezione senza fini produttivi od alimentari" (D.P.C.M. 28 febbraio 2003, articolo 1). Ed il crescente ruolo che negli ultimi decenni hanno assunto gli animali da compagnia nella societa' contemporanea ha indotto uno speciale rafforzamento della loro tutela giuridica; rafforzamento attuato, principalmente, con la L. 14 agosto 1991, n. 281, (c.d. "Legge quadro in materia di animali di affezione e prevenzione del randagismo") e con la Convenzione Europea per la protezione degli animali da compagnia, stipulata a Strasburgo il 13 novembre 1987 e ratificata in Italia con la L. 4 novembre 2010 n. 201. Va tuttavia precisato che la disciplina pubblicistica che appresta tutela agli animali non rende comunque questi ultimi titolari di diritti. L'animale, per quanto sia un essere senziente, non puo' essere soggetto di diritti per la semplice ragione che e' privo della c.d. "capacita' giuridica" (che si definisce, appunto, come la capacita' di essere soggetti di diritti e di obblighi); capacita' che l'ordinamento riserva alle persone fisiche e a quelle giuridiche. L'animale, percio', e' solo il beneficiario della tutela apprestata dal diritto e non il titolare di un diritto alla tutela giuridica. L'articolo 810 c.c., definisce i beni come "le cose che possono formare oggetto di diritti"; e il diritto civile indubbiamente, sulla scia della tradizione romanistica, considera gli animali come mere "cose mobili", beni giuridici che possono costituire "oggetto" di diritti reali (cfr. articoli 812, 816, 820, 923, 924, 925, 926, 994, 1160, 1161 e 2052 c.c.) ovvero di rapporti negoziali (cfr. articoli 1496, 1641, 1642, 1643, 1644 e 1645 c.c.). Gli animali, percio', possono costituire oggetto di compravendita (articolo 1470 c.c.); e lo stesso codice civile disciplina specificamente la compravendita di animali nell'apposita fattispecie di cui all'articolo 1496 c.c. (denominata appunto "Vendita di animali"). Ciò premesso, considerate le ampie nozioni di "consumatore", di "bene di consumo" e di "venditore" adottate dal codice del consumo, non puo' dubitarsi che la persona fisica che acquista un animale da compagnia (o d'affezione), per la soddisfazione di esigenze della vita quotidiana estranee all'attivita' imprenditoriale o professionale eventualmente esercitata, vada qualificato a tutti gli effetti "consumatore"; e che vada qualificato "venditore", ai sensi del codice del consumo, chi nell'esercizio del commercio o di altra attivita' imprenditoriale venda un animale da compagnia; quest'ultimo, peraltro, quale "cosa mobile" in senso giuridico, costituisce "bene di consumo".

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, Sentenza 25 settembre 2018, n. 22728

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