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E' annullabile il preliminare di vendita di un bene oggetto di comproprietà indivisa in caso di vizio della volontà di uno dei comproprietari

Nel caso di preliminare di vendita di un bene oggetto di comproprietà indivisa si deve ritenere che i promettenti venditori si pongano congiuntamente come un'unica parte contrattuale complessa e che, dunque, le singole manifestazioni di volontà provenienti da ciascuno di essi siano prive di una specifica autonomia e destinate, invece, a fondersi in un'unica manifestazione negoziale, dovendosi presumere che il bene sia stato considerato dalle parti come un "unicum" giuridico inscindibile, e ciò in difetto di elementi desunti dal tenore del contratto, idonei a far ritenere che con esso siano state assunte - anche contestualmente - dai comproprietari promettenti distinti autonome obbligazioni aventi ad oggetto il trasferimento delle rispettive quote di comproprietà, inesistenti nella specie. Da ciò consegue che, qualora una di dette manifestazioni manchi o risulti viziata da invalidità originaria ovvero venga caducata per una qualsiasi causa sopravvenuta, si determina una situazione che impedisce non soltanto la prestazione del consenso negoziale della parte complessa alla stipulazione del contratto definitivo, ma anche la possibilità che quella prestazione possa essere sostituita dalla pronuncia giudiziale ex art. 2932 c.c., restando, pertanto, escluso che il promissorio acquirente possa conseguire la sentenza ai sensi di detta norma nei confronti di quelli tra i comproprietari promettenti dei quali esista o persista l'efficacia della relativa manifestazione negoziale preliminare (v. Cass. S.U. n. 239 del 1999; Cass., Sez. Il, 19 maggio 2004, n. 9458; Cass., Sez. Il, 23 febbraio 2007, n. 4227).

Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, Sentenza del 1 marzo 2011, n. 5027



- Leggi la sentenza integrale -

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli III.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Olindo SCHETTINO - Presidente

Dott. Luigi PICCIALLI - Consigliere

Dott. Bruno BIANCHINI - Consigliere

Dott. Ippolisto PARZIALE - Consigliere

Dott.ssa Milena FALASCHI - Consigliere Rel.

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso (iscritto ai N.R.G. 12461/05) proposto da:

Gi. Ba. Sc., rappresentato e difeso in forza di procura speciale a margine del ricorso, dall'Avv.to Ca. Ma. del foro di Ta., domiciliato presso la cancelleria della Suprema Corte di Cassazione;

- ricorrente -

contro

Ca. Ba., Ga. Ta., Or. Ta., Lu. Ta. e Do. Ta.;

- controricorrenti non costituiti -

avverso la sentenza della Corte di Appello di Lecce - Sezione distaccata di Taranto n. 95/2004 depositata il 24 marzo 2004.

Udita la relazione della causa svolta nell'udienza pubblica del 15 dicembre 2010 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Libertino Alberto Russo, che - in assenza degli avv.ti di entrambe le parti - ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 4 marzo 1991 Gi. Ba. Sc. evocava in giudizio, dinanzi al Tribunale di Taranto, Ca. Ba., Do. Ta., Lu. Ta., Or. Ta. e Ga. Ta., esponendo di avere concluso in data 10.2.1968 contratto preliminare con il quale aveva acquistato dai convenuti, per il prezzo di Lire 30.000.000, un fondo rustico in agro di Cr. con insistente costruzione, pervenuto ai predetti promittenti venditori per successione di Vi. Ta.; che divenuti maggiorenni Ga. Ta. e Or. Ta. (minorenni al momento della conclusione del preliminare), aveva invitato i convenuti alla stipula del contratto definitivo, ma senza alcun esito; pertanto chiedeva la trascrizione del preliminare, accertata l'autenticità delle scritture, ovvero pronuncia di sentenza ex art. 2932 c.c. che tenesse luogo del contratto non concluso.

Instauratosi il contraddittorio, nella resistenza della sola Ca. Ba. (rimasti contumaci gli altri convenuti), che evidenziava la minore età di Or. Ta. e Ga. Ta. all'epoca della stipula del preliminare, non avendo peraltro la stessa madre ricevuto dal giudice tutelare l'autorizzazione alla vendita del bene, all'esito dell'istruzione della causa, il Tribunale adito, rigettava la domanda attorea.

In virtù di rituale appello interposto da Gi. Ba. Sc., con il qualési doleva che il giudice del gravame non avesse ritenuto che il contratto preliminare stipulato inter partes era da considerare scindibile in tanti preliminari quante erano le parti promittenti venditrici, ognuno dei quali aveva ad oggetto le singole quote del bene compromesso, la Corte di Appello di Lecce - Sezione distaccata di Taranto, nella resistenza dell'appellata Ca. Ba., respingeva l'appello.

A sostegno dell'adottata sentenza, la corte territoriale evidenziava che il contratto preliminare nella specie aveva ad oggetto un bene indiviso ("ciascuno per la parte di propria spettanza") e pertanto doveva presumersi che le parti lo avessero considerato un unicum inscindibile e la mancanza o l'invalidità della manifestazione di volontà di taluno dei comproprietari (che avrebbero dovuto essere supportate dalle necessarie autorizzazioni del giudice tutelare, ex art. 2932 c.c. al promissario acquirente.

Avverso l'indicata sentenza della Corte di Appello di Lecce - Sezione distaccata di Taranto ha proposto ricorso per cassazione Gi. Ba. Sc., che risulta articolato su due motivi, mentre nessuna delle parti resistenti si è costituita.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 720 c.c., per tale parte il contratto doveva essere ritenuto valido ed efficace e doveva dispiegare i suoi effetti.

Il motivo è infondato e va pertanto rigettato.

La corte di appello ha chiaramente messo in evidenza che nel caso in esame si configura un'ipotesi di vendita di bene considerato nella sua interezza ed unitarietà, diversamente da quanto sostenuto da parte ricorrente che ha insistito per la fattispecie della pluralità di negozi tra loro connessi, ciascuno dei quali avente ad oggetto la quota spettante al singolo partecipante. In particolare, il giudice distrettuale ha affermato che l'intenzione delle parti ha manifestato in modo inequivoco la volontà di considerare il cespite oggetto del contratto come bene indiviso, con la conseguenza che i promettenti si sarebbero impegnati a vendere solo unitariamente l'intero il bene.

L'assunto è esatto e sul punto la sentenza impugnata risulta motivata in modo giuridicamente corretto.

Per orientamento consolidato di questa Corte nel caso di preliminare di vendita di un bene oggetto di comproprietà indivisa si deve ritenere che i promettenti venditori si pongano congiuntamente come un'unica parte contrattuale complessa e che, dunque, le singole manifestazioni di volontà provenienti da ciascuno di essi siano prive di una specifica autonomia e destinate, invece, a fondersi in un'unica manifestazione negoziale, dovendosi presumere che il bene sia stato considerato dalle parti come un "unicum" giuridico inscindibile, e ciò in difetto di elementi desunti dal tenore del contratto, idonei a far ritenere che con esso siano state assunte - anche contestualmente - dai comproprietari promettenti distinti autonome obbligazioni aventi ad oggetto il trasferimento delle rispettive quote di comproprietà, inesistenti nella specie.

Da ciò consegue che, qualora una di dette manifestazioni manchi o risulti viziata da invalidità originaria - come nella specie - ovvero venga caducata per una qualsiasi causa sopravvenuta, si determina una situazione che impedisce non soltanto la prestazione del consenso negoziale della parte complessa alla stipulazione del contratto definitivo, ma anche la possibilità che quella prestazione possa essere sostituita dalla pronuncia giudiziale ex art. 2932 c.c., restando, pertanto, escluso che il promissorio acquirente possa conseguire la sentenza ai sensi di detta norma nei confronti di quelli tra i comproprietari promettenti dei quali esista o persista l'efficacia della relativa manifestazione negoziale preliminare (v. Cass. S.U. n. 239 del 1999; Cass., Sez. Il, 19 maggio 2004, n. 9458; Cass., Sez. Il, 23 febbraio 2007, n. 4227).

Né in sede di legittimità è consentito alla parte soccombente prospettare una valutazione alternativa delle convenzioni stipulate rispetto al vaglio operato dai giudici di merito, se non quando il relativo iter logico - giuridico risulti chiaramente viziato. Questa corte in proposito ha statuito che in tema di interpretazione del contratto, l'accertamento della volontà degli stipulanti in relazione al contenuto del negozio si traduce in un'indagine di fatto, affidata in via esclusiva al giudice di merito. Ne consegue che tale accertamento è censurabile in sede di legittimità solo nel caso in cui la motivazione sia così inadeguata da non consentire la ricostruzione dell'iter argomentativo seguito da quel giudice per giungere ad attribuire all'atto negoziale un determinato contenuto oppure nel caso di violazione delle norme ermeneutiche. Quest'ultima violazione deve dedursi con la specifica indicazione nel ricorso per cassazione del modo in cui il ragionamento del giudice si sia da esse discostato, poiché in caso contrario la critica alla ricostruzione del contenuto della comune volontà si traduce nella proposta di un'interpretazione diversa, inammissibile come tale in sede di legittimità.

Nel caso di specie, stante quanto sopra esposto, nessuna delle ipotesi ricorre avendo il giudice distrettuale ampiamente e chiaramente illustrato l'iter argomentativo seguito per giungere alle decisione pronunciata, che trova ampia conferma nei principi fissati in materia dalla Suprema Corte.

Con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione dell'art. 2932 720 c.c. in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., in quanto pur avendo ritenuto la corte di appello che il contratto non prevedesse la vendita delle singole quote, tuttavia la nullità da cui era affetto" non poteva travolgere l'intero contratto in virtù del principio di conservazione degli atti nulli, che non inficia la validità complessiva del negozio, conservando le singole manifestazioni di volontà una loro autonomia. La censura non va condivisa.

Oltre a rimanere in parte assorbita da quanto enunciato con riferimento all'esame del primo motivo, occorre aggiungere che la corte distrettuale ha sottolineato che, venuto meno il tot contratto nella sua interezza per nullità, per non essersi formata la volontà di una parte plurisoggettiva, tale vizio necessariamente travolge ogni patto inserito nel contesto contrattuale che è da ritenere del tutto invalido.

Infatti, venuto meno il preliminare, che costituiva il solo titolo in virtù del quale Gi. Ba. Sc. era stato immesso nel possesso dell'area, egli non può ulteriormente continuare a possedere il cespite, essendo divenuta priva di causale la detenzione.

Per tutte le considerazioni sopra svolte, il ricorso deve, dunque, essere respinto.

Nulla va disposto sulle spese del giudizio di cassazione non essendo parte resistente costituita.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso.

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