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E' contrario a buona fede il comportamento di colui che riceve a titolo di caparra un assegno che non pone all'incasso, trattenendolo e non restituendolo all'acquirente

Allorquando la caparra sia costituita mediante consegna di un assegno bancario, il comportamento del prenditore del titolo che, dopo averne accettato la consegna, ometta poi di porlo all'incasso, trattenendo comunque l'assegno e non restituendolo all'acquirente, è contrario a correttezza e buona fede e comporta a carico del prenditore l'insorgenza degli obblighi propri della caparra, nel senso che ove risulti inadempiente all'obbligazione cui si riferisce la caparra, egli sarà tenuto al pagamento di una somma pari al doppio di quella indicata nell'assegno.

Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, Sentenza del 9 agosto 2011, n. 17127



- Leggi la sentenza integrale -

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele - Presidente

Dott. PETITTI Stefano - rel. Consigliere

Dott. BERTUZZI Mario - Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto - Consigliere

Dott. CORRENTI Vincenzo - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

DE. BO. AL. , rappresentato e difeso, per procura speciale in calce al ricorso, dall'Avvocato PARPINEL Loris, elettivamente domiciliato in Roma, Via Anastasio II n. 80, presso lo studio dell'Avvocato Littorio Di Nardo;

- ricorrente -

contro

GRUPPO SC. s.p.a. (gia' AU. s.r.l.), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via Crescenzio n. 91, presso lo studio dell'Avvocato LUCISANO Claudio, dal quale e' rappresentata e difesa, unitamente all'Avvocato Nicola Baron, per procura speciale in calce al controricorso;

- controricorrente -

e

ZA. FR. ;

- intimato -

avverso la sentenza della Corte d'appello di Trieste n. 568 del 2005, depositata il 12 agosto 2005.

Udita la relazione della causa svolta nell'udienza pubblica del 18 aprile 2011 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;

sentiti gli avvocati Loris Parpinel e Claudio Lucisano;

sentito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. LETTIERI Nicola, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata il 22 novembre 1999, De. Bo. Al. conveniva in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Pordenone, la s.r.l. Au. per sentirla condannare alla restituzione del doppio della caparra versata il (OMESSO).

A sostegno della domanda, l'attore esponeva che aveva acquistato, nella indicata data, un autoveicolo versando al collaboratore della convenuta, Za.Fr. , un assegno bancario dell'importo di lire 5.000.000 intestato alla convenuta, e che, presentatosi alla concessionaria per ottenere spiegazioni sulla mancata consegna dell'autoveicolo nei tempi stabiliti, si era visto opporre la mancata conclusione di un qualsivoglia contratto e il fatto che la venditrice non aveva mai ricevuto l'assegno. Concludeva, quindi, chiedendo la risoluzione del contratto per inadempimento della venditrice e la condanna della stessa alla restituzione del doppio della caparra, ovvero al pagamento della somma di lire 5.000.000 in caso di restituzione dell'assegno.

Costituitosi il contraddittorio, la convenuta contestava la domanda, per non avere mai sottoscritto un contratto di vendita con l'attore, e chiedeva di essere autorizzata a chiamare in causa Za. Fr. .

Questi si costituiva in giudizio aderendo alla ricostruzione dei fatti proposta dall'attore e specificando di aver regolarmente trasmesso l'assegno, dato a titolo di caparra, all'ufficio competente della societa' convenuta.

Con sentenza depositata il 19 dicembre 2003, l'adito Tribunale accoglieva la domanda, dichiarando risolto il contratto e condannando la convenuta alla restituzione del doppio della caparra. Il Tribunale riteneva provata la tesi dell'attore circa l'avvenuto versamento della caparra e, pur riconoscendo l'incertezza della prova circa la materiale consegna dell'assegno alla societa' convenuta, evidenziava la culpa in vigilando di quest'ultima nei confronti del suo collaboratore.

La Au. s.r.l. proponeva appello, cui resisteva il De. Bo. .

La Corte d'appello di Trieste, con sentenza depositata il 12 agosto 2005, accoglieva parzialmente il gravame e rigettava la domanda di pagamento del doppio della caparra, condannando il De. Bo. al pagamento delle spese del doppio grado.

La Corte d'appello riteneva che la censura relativa alla conclusione del contratto, pur se in ipotesi fondata, era male impostata, atteso che, da un lato, l'appellante avrebbe colpevolmente consentito ad un venditore esterno alla propria organizzazione di promuovere la conclusione di contratti nei propri locali e, dall'altro, l'appellato avrebbe dovuto avvedersi della clausola n. 8 contenuta nel modulo sottoscritto, nella quale si affermava che la societa' si riservava l'accettazione del singolo contratto stipulato con il singolo venditore, in tal modo manifestando l'esistenza di una limitazione al potere del singolo preposto alla vendita.

Peraltro, pur sussistendo dubbi sull'avvenuta conclusione di un contratto, la Corte riteneva invece positivamente escluso che tra le parti fosse mai stato stipulato un valido contratto di caparra, non essendosi mai verificata la traditio del denaro dall'acquirente al venditore, posto che detto denaro non era mai uscito dalla disponibilita' dell'acquirente per entrare in quella della venditrice anche tramite il suo rappresentante, falso o no che fosse. La caparra, osservava la Corte, ha natura reale, con il corollario della improduttivita' degli effetti giuridici suoi propri ove non si consegni una somma di denaro.

Nella specie, doveva ritenersi accertato che l'assegno non era mai stato incassato dalla venditrice appellante ne' da chiunque altro, sicche' il denaro doveva ritenersi rimasto sempre nella disponibilita' dell'acquirente. Il prenditore dell'assegno non lo aveva consegnato alla societa', ne' aveva provveduto personalmente a porlo all'incasso, sicche' doveva escludersi che tra le parti fosse stato stipulato un contratto di caparra. Ne' poteva ritenersi sussistente la prospettata equiparazione tra assegno e denaro, atteso che tale assimilabilita' e' esclusa dalla giurisprudenza di legittimita'.

In conclusione, in difetto della prova dell'avvenuta consegna alla venditrice, o a un suo incaricato, vero o falso che fosse, di una somma di denaro, la pretesa dell'acquirente di vedersi corrisposta una somma pari o doppia a quella recata dall'assegno bancario risultava infondata.

Per la cassazione di questa sentenza De. Bo.Al. ha proposto ricorso sulla base di un unico motivo, cui ha resistito, con controricorso, Au. s.r.l., ora Gruppo Sc. s.p.a.. Za. Fr. non ha svolto attivita' difensiva.

La resistente ha depositato memoria ai sensi dell'articolo 378 cod. proc. civ..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l'unico motivo di ricorso, il ricorrente denuncia violazione degli articoli 1197, 1277, 1289 e 1385 cod. civ. e vizio di motivazione.

Premesso che l'articolo 1197 cod. civ., comma 1, consente al debitore di liberarsi dell'obbligazione eseguendo una prestazione diversa con il consenso del debitore e che se il contratto ha per oggetto un'obbligazione pecuniaria e il debitore, in luogo del pagamento del debito, versa un assegno bancario emesso in favore del creditore, il consenso di quest'ultimo e' desumibile dall'avere accettato un mezzo e un luogo di pagamento diversi da quelli dovuti per legge, il ricorrente ritiene che la Corte d'appello abbia violato le indicate disposizioni. Nel caso di specie, osserva il ricorrente, era infatti pacifico che con la Au. s.r.l., tramite lo Za. , era intervenuto un contratto di vendita relativo ad un veicolo oggetto della proposta di acquisto, cosi' come era pacifica l'accettazione, come caparra confirmatoria, di un assegno bancario che, per il deteriorarsi dei rapporti tra la Au. e lo Za. non era stato posto all'incasso.

Peraltro, la mancata riscossione dell'assegno da parte del creditore, per ragioni a lui imputabili, non impediva che l'acquirente dovesse considerarsi adempiente alla propria obbligazione, sicche' la caparra confirmatoria doveva ritenersi validamente data, con tutte le conseguenze del caso per l'inadempimento del venditore. D'altra parte, se si consente che colui il quale riceve la caparra a mezzo assegno bancario, ove non voglia piu' dare esecuzione al contratto, possa liberarsi dalle proprie obbligazioni semplicemente non ponendo all'incasso l'assegno, risulterebbe evidente il deficit di tutela in favore della parte adempiente.

In ogni caso, osserva il ricorrente, l'assegno, ancorche' non posto all'incasso, era pur sempre rimasto nella disponibilita' o della Au. s.r.l. o dello Za. , non avendo del resto ne' l'una ne' l'altro denunciato lo smarrimento del titolo, sicche' egli aveva diritto alla restituzione del doppio della caparra.

Il ricorso e' fondato.

La Corte d'appello ha ritenuto di poter risolvere la controversia argomentando sulla base del rilievo che, a parte ogni dubbio sulla valida conclusione del contratto principale, non vi era in atti la prova della avvenuta conclusione del contratto di caparra, non essendo la somma recata dall'assegno mai entrata nella disponibilita' del venditore, uscendo dalla sfera di disponibilita' dell'acquirente. La caparra, ha osservato la Corte d'appello, ha natura reale, sicche' gli effetti giuridici della stessa non si verificano nel caso in cui la somma di denaro (o l'altra cosa fungibile) non venga consegnata al venditore.

Questa ultima affermazione della sentenza impugnata e' senz'altro condivisibile, nel senso che, oltre ad essere conforme alla lettera dell'articolo 1385 cod. civ., comma 1, trova il conforto della giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 5424 del 2002, secondo cui la caparra confirmatoria costituisce un contratto che si perfeziona con la consegna che una parte fa all'altra di una somma di danaro o di una determinata quantita' di cose fungibili per il caso d'inadempimento delle obbligazioni nascenti da un diverso negozio ad essa collegato, ed. contratto principale).

Il problema che si pone e' peraltro quello di verificare se l'effetto proprio della conclusione di un contratto di caparra possa avere luogo anche nel caso in cui venga consegnato dall'acquirente al venditore un assegno bancario, allorquando il detto assegno venga ricevuto dall'acquirente e dallo stesso non posto all'incasso. La risposta da dare al quesito deve, ad avviso del Collegio, essere positiva.

Invero, tenuto conto della funzione dell'assegno bancario, la caparra ben puo' essere costituita mediante la consegna di un assegno bancario, perfezionandosi l'effetto proprio della caparra al momento della riscossione della somma recata dall'assegno, e quindi salvo buon fine. Allorquando il venditore accetti la dazione della caparra con assegno bancario, e' suo onere quello di porre all'incasso il titolo, nel senso che, ove l'assegno non venga posto in riscossione, il mancato buon fine dell'assegno bancario - che preclude il raggiungimento dello scopo proprio della consegna della caparra - e' riferibile unicamente al comportamento del prenditore.

Questa Corte, del resto, ha avuto modo di affermare che "in base alla regola di correttezza posta dall'articolo Cass. n. 12079 del 2007).

Ed ancora si e' chiarito che "in caso di pagamento effettuato mediante assegni di conto corrente, l'effetto liberatorio si verifica con la riscossione della somma portata dal titolo, in quanto la consegna del titolo deve considerarsi effettuata, salva diversa volonta' delle parti, pro' solvendo; tuttavia, poiche' l'assegno, in quanto titolo pagabile a vista, si perfeziona, quale mezzo di pagamento, quando passa dalla disponibilita' del traente a quella del prenditore, ai fini della prova del pagamento, quale fatto estintivo dell'obbligazione, e' sufficiente che il debitore dimostri l'avvenuta emissione e la consegna del titolo, incombendo invece al creditore la prova del mancato incasso, la quale, pur costituendo una prova negativa, non si risolve in una probatio diabolica, in quanto, avuto riguardo alla legge di circolazione del titolo, il possesso dello stesso da parte del creditore che lo ha ricevuto implica il mancato pagamento" (Cass. n. 17749 del 2009).

Ne consegue che, allorquando la caparra venga costituita mediante consegna di un assegno bancario, il comportamento del prenditore del titolo che, dopo averne accettato la consegna, ometta poi di porlo all'incasso, trattenendo comunque l'assegno e non restituendolo all'acquirente, e' contrario a correttezza e buona fede e comporta a carico del prenditore l'insorgenza degli obblighi propri della caparra, nel senso che ove risulti inadempiente all'obbligazione cui si riferisce la caparra, egli sara' tenuto al pagamento di una somma pari al doppio di quella indicata nell'assegno.

La Corte d'appello di Trieste, dunque, nell'accogliere il gravame proposto dalla Au. s.r.l., e' incorsa nella denunciata violazione di legge.

In applicazione dell'indicato principio, la sentenza impugnata deve pertanto essere cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa puo' essere decisa nel merito, ai sensi dell'articolo 384 cod. proc. civ., con il rigetto dell'appello.

La novita' della questione sottoposta all'esame di questa Corte e l'esito contrastante dei giudizi di merito, giustificano la compensazione delle spese del giudizio di appello e di quello di legittimita'.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta l'appello; compensa le spese del giudizio di appello e di quello di legittimita'.

 

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