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E' vessatoria la clausola che autorizza l'organizzatore a trattenere in caso di recesso del consumatore le somme da quest'ultimo corrisposte, se il contratto non impone all'organizzatore il versamento del doppio, in caso di suo recesso

Deve ritenersi legittima l'inibizione della clausola, prevista nelle condizioni generali di un contratto di viaggio, in base alla quale l'organizzatore puo` trattenere - in caso di recesso del consumatore - le somme da quest'ultimo corrisposte laddove non vi sia nel contratto analoga clausola che preveda, per il recesso dell'organizzatore, che questi versi il doppio di quanto pagato dal consumatore.



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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 25 febbraio 1997 l'A.R.C. e A.A., in persona del suo segretario generale e legale rappresentante R.B. convenne in giudizio innanzi a questo tribunale l'A. s.p.a., in persona del suo legale rappresentante pro-tempore e premesso che la società convenuta, tour operator con sede in P., aveva predisposto ed utilizzato opuscoli informativi relativi alla vendita di viaggi organizzati contenenti condizioni generali dei contratti di viaggio, espose che le clausole contrassegnate dai nn. 6 comma 2, 10 e 17 contrastavano con gli art. 1469 bis e segg. Codice civile introdotti dalla legge n. 52/1996 di recepimento della direttiva comunitaria 93/13/CEE.

Rappresentò, in particolare, che doveva ritenersi abusiva la clausola che statuiva, in caso di recesso del consumatore, il diritto del tour operator di trattenere la quota d'iscrizione ed altre somme differenziate in relazione al tempo in cui era esercitato il recesso - poiché analoga facoltà non era garantita al fruitore del viaggio allorché fosse stato l'organizzatore a recedere dal contratto.

Soggiunse inoltre che apparivano del pari vessatorie le disposizioni negoziali che consentivano all'organizzatore di accertare la conformità del servizio prestato a quello previsto nel contratto e che prevedevano la competenza esclusiva del foro giudiziario ove aveva sede il tour operator.

Evidenziò inoltre che con ricorso del 13 novembre 1996 aveva chiesto a questo Tribunale l'emissione di un provvedimento inibitorio ai sensi del combinato disposto degli artt. 1469 sexies Codice civile e 669 bis e segg. Codice di procedura civile e che il giudice designato, con provvedimento reso nel 23, 24 gennaio 1997, aveva parzialmente accolto le richieste, inibendo all'A. spa l'utilizzo delle clausole di cui ai nn. 6 e 17 delle condizioni generali di contratto per pacchetti turistici di cui all'opuscolo "Capodanno insieme" ed ordinando la pubblicazione per estratto e per una sola volta dell'ordinanza sul quotidiano "Corriere della Sera".

Soggiunse che il provvedimento cautelare era stato reclamato dall'A. e che pendeva in atto il reclamo innanzi al Collegio della III Sezione Civile del Tribunale.

Sulla base di tali premesse, l'A. chiese che il Tribunale dichiarasse vessatorie le clausole nn. 6, 10 e 17 delle condizioni generali di contratto e per l'effetto inibisse alla convenuta l'uso delle stesse in quanto inefficaci, confermando l'ordinanza resa nel 23, 24 gennaio 1997 e condannando la convenuta al pagamento delle spese processuali anche della fase cautelare.

Costituitasi in giudizio l'A. s.p.a. chiese il rigetto delle avverse domande, evidenziando che il Tribunale di P., in parziale accoglimento del reclamo proposto avverso l'ordinanza cautelare resa nel 23, 24 gennaio 1997, aveva revocato l'inibitoria disposta in ordine alla clausola n. 6 delle condizioni generali.

Evidenziò poi che l'attrice non possedeva i requisiti richiesti dall'art. 1469 sexies per esperire l'azione proposta e che in ogni caso non solo le clausole nn. 10 e 17 erano prive di attitudine vessatoria come già aveva avuto modo di chiarire il Collegio, ma anche la clausola derogativa della competenza territoriale si giustificava in relazione alla peculiare natura del servizio oggetto del contratto ed al costi competitivi offerti al pubblico, pure soggiungendo che il giudice del reclamo aveva ormai definitivamente compensato le spese della fase cautelare, sicché ogni diversa domanda avanzata dall'attrice doveva ritenersi inammissibile.

Indi la causa, compiuta l'istruzione, previa concessione del termine per il deposito di comparse conclusionali, veniva rinviata all'udienza del 12 maggio 1998 per la discussione richiesta dall'attrice e quindi introitata in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

L'odierna controversia richiede il preliminare esame della problematica concernente la legittimazione attiva dell'associazione regionale A. disconosciuta in modo articolato dall'A. spa ed invece motivamente affermata dalla parte attrice.

Va in proposito osservato che il procuratore dell'A., nel corso della discussione, ha ribadito che la legittimazione di tale associazione alla proposizione dell'azione inibitoria ex art. 1469 sexies Codice di procedura civile troverebbe idoneo supporto oltre che nella finalità del sodalizio specificata nello statuto, anche nel riconoscimento dell'associazione operato dalla Presidenza della Regione Siciliana in base alla legge regionale n. 7/1994 e ancora nell'azione svolta dall'A. anche a livello giudiziario a difesa dei consumatori.

Per converso il difensore dell'A. ha sostenuto che l'associazione attrice, per tabulas co stituita da associazioni sindacali, non avendo dimostrato di essere formata da consumatori né che questi avessero espressamente conferito una rappresentanza al sodalizio, era sfornita di legittimazione ex art. 1469 sexies Codice civile.

Ora, al fine di dirimere il superiore contrasto, appare utile ricordare che l'art. 7 della direttiva 93/13 CEE, nel demandare agli stati membri l'individuazione dei mezzi adeguati per impedire l'inserzione di clausole abusive nei contratti stipulati fra un professionista ed i consumatori, ha espressamente previsto che nell'ambito di tali mezzi dovevano rientrare "disposizioni che permettono a persone o organizzazioni che, a norma del diritto nazionale, abbiano un interesse legittimo a tutelare i consumatori".

Orbene, è stato unanimemente riconosciuto dai primi commentatori della legge di attuazione della menzionata direttiva CEE che l'art. 1469 sexies Codice civile, operando un generico riferimento alle "associazioni rappresentative di consumatori, alle associazioni di professionisti ed alle Camere di Commercio", se per un verso ha inteso ampliare la sfera di legittimazione ai rimedi generali preventivi introdotti dalla stessa legislazione, ha per altro verso omesso di individuare analiticamente gli "indici di rappresentatività" necessari a differenziare la posizione dei gruppi esponenziali di interessi superindividuali da quelli non rappresentativi.

Peraltro, l'indirizzo recepito dal legislatore interno non si discosta da quello propalato attraverso altre normativa, anche attuative di direttiva comunitarie - vedasi, ad esempio art. 4 legge 29 dicembre 1990, n. 428 e art. 7 D.Lgs. 25 gennaio 1992, n. 74 in tema di pubblicità ingannevole ove viene riconosciuta la legittimazione ad agire per l'inibitoria innanzi al Garante ai consumatori "e alle loro associazioni" e anche art. 14 della legge 28 dicembre 1993, n. 549 recante misure a tutela dell'ozono stratosferico e dell'ambiente che riconosce una legittimazione processuale alle "associazioni di consumatori" - che finiscono col demandare all'autorità giudiziario l'accertamento di indici - stabilità, radicamento sul territorio, riconoscimento dell'autorità amministrativa, rappresentatività - idonei a conferire al gruppo la legittimazione ad agire per la tutela di interessi collettivi.

Sulla base di tali considerazioni, non può seriamente dubitarsi che nel caso di specie, diversamente che nell'ipotesi contemplata dalla legge n. 349/86 ove le associazioni legittimate ad intervenire nel giudizio di danno ambientale sono riconosciute con decreto del Ministro dell'ambiente, ricade sull'interprete il compito di individuare soluzioni che devono perseguire un equilibrato contemperamento fra la ratio ispiratrice della normativa comunitaria, all'interno della quale il riferimento al concetto di "interesse legittimo" sta ad indicare la necessaria individuazione di criteri che oltre a differenziare la posizione del sodalizio la qualifichino in modo adeguato rispetto alla tutela degli interessi superindividuali del consumatore, e la normativa di recepimento che attraverso l'utilizzazione del concetto di "rappresentatività" assolutamente sganciato da indici che ne specificano il contenuto, pur intendendo valorizzare le multiformi realtà in cui si atteggiano i raggruppamenti di singoli per il perseguimento dell'interesse collettivo potrebbe prestarsi, come ha correttamente evidenziato la società convenuta, a facili strumentalizzazioni consentendo azioni di disturbo ad enti che, con la semplice menzione tra i loro scopi della tutela dei consumatori, perseguano finalità di tutt'altra portata.

Va quindi escluso che l'associazione debba essere necessariamente costituita da "consumatori" o che questi ultimi debbano conferire espressa delega ai partecipanti al sodalizio, ove si consideri che il postulato da cui parte l'A., oltre a non trovare alcun conforto nella ratio legis, è stato già smentito da quella autorevole dottrina amministrativistica che a proposito della tematica generale della tutela degli interessi diffusi ebbe lucidamente ad affermare come ai fini dell'individuazione dei soggetti portatori di interessi collettivi non importa stabilire se fra la formazione sociale e i portatori di interessi diffusi si ponga un rapporto organico, di mandato o di gestione aliena, rilevando soltanto che il sodalizio sia portatore di un interesse originariamente allo stato diffuso.

Tanto premesso, occorre evidenziare, nel caso di specie, che dalla documentazione prodotta agli atti, mai disconosciuta dalla convenuta, l'A. regionale, che secondo statuto promuove l'informazione e l'educazione al consumo fra consumatori ed utenti stimolando l'associazionismo e la tutela anche giudiziale degli interessi del consumatore di cui si fa portatrice, risulta avere intrapreso con enti pubblici e privati una significativa azione di promozione degli interessi degli utenti e dei consumatori, come è dato evincersi dalle note dei Sindaci dei comuni di P. e T. inviate rispettivamente il 24 marzo 1997 (concernente la designazione di un componente della commissione per il rilascio delle autorizzazioni di pubblici esercizi) e il 5 giugno 1997 (relativa alle iniziative finalizzate a sensibilizzare la cittadinanza sui problemi della sicurezza degli impianti elettrici), dalla comunicazione dell'Enel - compartimento P. - del 21 maggio 1996 (concernente l'invio della "Carta del servizio elettrico"), nonché dalla organizzazione di convegni sul tema del turismo nel triennio 1991/1993 e dalla creazione di un consorzio, formato da enti di promozione turistica e dalle associazioni di categoria del settore, per la gestione del presidio turistico delle province di M., C. e P. la cui costituzione è stata proposta dalla stessa A. regionale alla Regione Siciliana - cfr. pag. 5 e progetto territorio in prod. n. 5 attrice -.

Non può allora dubitarsi che dalla documentazione anzidetta emerge univocamente che detta associazione, costituita nell'anno 1988 - v. atto in Notar P. del 4 novembre 1988, agli atti -, ha ormai raggiunto un significativo grado di continuità ed effettività nel conseguimento dei propri fini statutari percepito anche dalla comunità regionale di appartenenza, ponendosi così nel tempo come serio interlocutore delle problematiche concernenti la tutela del consumatore.

Mette poi conto osservare che la partecipazione di due confederazioni sindacali regionali di lavoratori operanti in distinti settori dell'economia alla costituzione originaria del gruppo associativo, da cui l'A. vorrebbe inferire la non rappresentatività del sodalizio, costituisce vieppiù conferma, già all'atto della sua creazione, del grado di diffusione e di radicamento dell'associazione nell'ambito in cui essa avrebbe operato, coinvolgendo organizzazioni associative che escludono ex se i pericoli di strumentalizzazioni pure palesati dalla società convenuta.

Né può ancora disconoscersi che la rappresentatività dell'associazione attrice è ulteriormente comprovata dal riconoscimento dell'A. operato dal Presidente della Regione Siciliana ai sensi dell'art. 5 della I.r. n. 7 del 23 maggio 1994 contenente norme per la tutela dei consumatori e degli utenti - cfr. decreto n. 69 del 20 marzo 1995, in prod. n. 4 attrice -.

Giova in proposito rammentare che la normativa regionale anzi cennata ha inteso predisporre, stando all'intenzione del legislatore resa palese nei lavori preparatori, un quadro normativo finalizzato ad applicare nella Regione Siciliana le leggi nazionali e comunitarie a tutela degli utenti e dei consumatori, creando così un canale preferenziale in grado di stimolare l'associazionismo dei cittadini in direzione della difesa e della salvaguardia dei diritti del cittadino in quanto consumatore.

In tale ottica è stato istituito il Consiglio regionale dei consumatori e degli utenti - art. 2 -, con funzioni consultive e di controllo in materia di difesa del consumatore, composto fra l'altro da dodici rappresentanti designati dalle associazioni dei consumatori che ottengono il riconoscimento regionale previa dimostrazione della "loro effettiva azione da almeno un anno e l'adesione di almeno cento persone a livello regionale" - cfr. art. 5 I.r. cit. -.

Orbene, non può revocarsi in dubbio che il decreto presidenziale summenzionato, sulla cui legittimità non è invero dato dubitare ad onta di quanto sul punto genericamente dedotto dall'A., ben può essere valorizzato ai fini di cui qui si discute, ove si consideri che tale riconoscimento ha preso in considerazione l'estensione del sodalizio ed il suo radicamento nel territorio palesato dall'esercizio effettivo di attività da almeno un anno.

Ed ancorché l'individuazione degli indici di rappresentatività previsti dalla I.r. n. 7/1994 potrebbe non considerarsi esaustiva al fine di inferire l'effettività dell'azione svolta dalle associazioni regionali, bastando in proposito rammentare che già nell' iter parlamentare della legge non venne approvato un emendamento teso a riconnettere il riconoscimento amministrativo alla dimostrazione, da parte delle associazioni, di operare sull'intero territorio regionale, di avere sedi in almeno tre province e di avere svolto effettiva azione a tutela dei consumatori da almeno due anni, non può peraltro disconoscersi che il compendio degli elementi in possesso di questo giudice e fin qui menzionati esclude che l'A. sia un gruppo effimero costituito allo scopo di perseguire scopi estranei alla tutela collettiva dei consumatori e milita comunque a favore della rappresentatività dell'associazione oggi attrice che deve per l'effetto ritenersi legittimata alla proposizione dell'azione inibitoria di cui all'art. 1469 sexies Codice civile.

Ciò chiarito e prima di passare all'esame delle clausole predisposte dall'A. e contenute nelle condizioni generali di contratto di cui l'A. assume la vessatorietà, appare opportuno incontrare l'analisi sulla tematica relativa all'applicabilità alla fattispecie dei contratti di viaggio "tutto compreso" della legge n. 52/1996 di recepimento della direttiva 93/13/CEE.

Invero, il silenzio palesato su tale questione dalle parti e dai loro difensori nel corso del complesso iter del giudizio è sicuro indice rivelatore del fatto che le stesse hanno ritenuto incontroversa l'applicazione della normativa comunitaria alle condizioni generali di contratto relative ai pacchetti turistici disciplinati dal D.Lgs. n. 111/1995 e dalla legge n. 1084/1977 di ratifica della convenzione internazionale relativa al contratto di viaggio relativa al contratto di viaggio firmata a Bruxelles il 24 aprile 1970, richiamati espressamente dall'art. 2 delle c. g.c. - agli atti - come fonti di disciplina del rapporto.

Peraltro, la posizione assunta dalle parti non esime questo giudice dall'esaminare la correttezza di un simile argomentare, involgendo le stesse problematiche questioni di coordinamento fra legislazione interna, fonti convenzionali sovranazionali ratificate dallo stato italiano e fonti comunitarie anch’esse trasposte, in tempi diversi, nell'ordinamento interno.

Ed infatti, a ben vedere il legislatore nazionale, nel dare attuazione alla direttiva 90/314/CEE e ancor prima con la ratifica della convenzione dei contratti di viaggio - C.C.V. - ha sicuramente introdotto una disciplina specifica dei contratti di viaggio - rectius dei "pacchetti" turistici - correlata appunto alla peculiarità dell'operazione economica ad essi sottesa, disciplinando un compendio di elementi del rapporto che, ove recepiti nel testo negoziale predisposto dal tour operator, po trebbero ritenersi in sé compiuti e quindi impermeabili ad eventuali discipline "orizzontali" che, dirette ad attuare un controllo sostanziale di equità sulle modalità di contrattazione dei contratti conclusi con i consumatori, si disinteressano dello specifico tipo contrattuale, per modo che non sarebbe profilabile nemmeno in astratto alcun contrasto fra le due normative, essendo applicabile solo la legge "verticale". Se a ciò si aggiunge che la legislazione di recepimento della direttiva comunitaria 93/13/CEE è successiva alla direttiva recepita con il D.Lgs. n. 111/1995 apparirebbe quindi non peregrino, ed anzi necessario, sostenere che in ipotesi di contrasto fra fonti normativa comunitarie dello stesso tipo deve prevalere quella speciale secondo il noto brocardo "lex posterior generalis non derogat legi priori speciali".

Peraltro, tale argomentare non può sfuggire alla considerazione che all'atto della conclusione del contratto il turista altri non è che un consumatore il quale si trova a dovere concludere un rapporto il cui contenuto è stato di regola unilateralmente predisposto dall'altro contraente e che la normativa comunitaria adottata nel 1993 costituisce il punto culminante di una legislazione sovranazionale destinata non solo all'armonizzazione delle legislazioni degli stati membri in materia, ma soprattutto ad approntare un sistema di tutela "forte" in favore del contraente "debole" per riequilibrare in termini di equità la posizione deteriore in cui quest'ultimo si trova allorché contratta con la parte che ha predisposto, senza averlo negoziato, il contenuto del rapporto.

Le superiori argomentazioni inducono allora a considerare come possibile che la tutela approntata al turista-consumatore debba enuclearsi attraverso una ponderata analisi dei testi normativi, qualunque ne sia la fonte ed il grado, in modo da ottenere, nel rispetto della specificità del rapporto, il grado di tutela più elevato per l'aderente. Proprio partendo dalle superiori considerazioni l'analisi può quindi passare al contenuto della clausola n. 6 secondo comma delle condizioni generali di contratto predisposte dall'A. che secondo l'assunto dell'A., nel prevedere il pagamento di un corrispettivo per l'esercizio della facoltà di recesso del turista, non resisterebbe al vaglio di vessatorietà alla stregua dell'art. 1469 bis n. 5 Codice civile perché in ipotesi di recesso dell'organizzatore l'art. 8 delle medesime condizioni non prevede il diritto del turista a trattenere il doppio di quanto versato. L'A., per converso, anche nel corso della discussione orale, ha incentrato le proprie difese sulla circostanza che il menzionato art. 8 delle c. g.c. non conterrebbe alcuna facoltà di recesso per l'organizzatore, ma si limiterebbe piuttosto a prevedere, nella prima parte, l'ipotesi di estinzione dell'obbligazione alla stregua dell'art. 1256 Codice civile, per modo che il consumatore "se rilevasse la falsità delle affermazioni e dunque la insussistenza della dedotta impossibilità avrebbe tutto il diritto di agire per l'adempimento ovvero di chiedere la risoluzione ... " e nella seconda una clausola condizionale unilaterale "legata a fatti obiettivi" e "posta nell'esclusivo interesse dell'organizzatore" - cfr. pagg. 8 e 9 reclamo A., agli atti -.

Orbene, ritiene il giudicante che la clausola n. 6 delle c. g.c., la quale sotto la rubrica "Recesso del consumatore" riconosce al consumatore la facoltà di recedere dal contratto per fatti non ascrivibili all'organizzatore prevedendo l'addebito della quota iscrizione e, a titolo di corrispettivo per il recesso di ulteriori somme via via crescenti con l'approssimarsi della data della partenza, se correlata alla previsione negoziale contenuta al n. 8 delle condizioni generali, determina effettivamente un significativo squilibrio in danno del turista alla stregua dell'art. 1469 bis, terzo comma n. 5 Codice civile che presume l'abusività della clausola che consente "al professionista di trattenere una somma di denaro versata dal consumatore se quest'ultimo non conclude il contratto o ne recede, senza prevedere il diritto del consumatore di esigere dal professionista il doppio della somma corrisposta se è quest'ultimo a non concludere il contratto oppure a recedere", valendo all'uopo le seguenti considerazioni. Occorre anzitutto premettere, al fine di una più chiara comprensione della questione qui affrontata, che secondo lo schema negoziale prestabilito dalle condizioni generali dell'A. il turista, all'atto della prenotazione, è chiamato a versare il 25 per cento della quota di partecipazione a titolo di acconto e l'intero saldo trenta giorni prima della partenza - clausola n. 4 delle condizioni generali - e che il "recesso" del suddetto viene esercitato attraverso l'addebito delle somme già versate in precedenza all'organizzatore.

Ciò consente di ricondurre la fattispecie prevista dalla clausola n. 6 nell'istituto della multa penitenziale, ove si consideri che né l'acconto iniziale del 25 per cento né il versamento del saldo a cui è tenuto l'aderente sono finalizzati, all'atto della loro dazione, ad operare come caparra confirmatoria o penitenziale, non risultando dal testo negoziale alcun intento sanzionatorio o risarcitorio rispetto ai versamenti in parola.

In altri termini, pare evidente che lo schema negoziale anzidetto consente al turista di porre nel nulla il rapporto di viaggio sempreché questi accetti di sacrificare una parte delle somme precedentemente versate che assumono la veste di "prezzo" del recesso allorché il turista si determini in tal senso.

Passando quindi alla clausola n. 8 delle c. g.c. la stessa, sotto la rubrica "Mancata esecuzione" recita testualmente: "il consumatore può esercitare i diritti previsti dal precedente art. 6 commi 1° e 2°, anche nel caso in cui, prima della partenza, l'Organizzatore, per qualsiasi ragione, tranne un fatto proprio del consumatore, comunichi la impossibilità di effettuare le prestazioni oggetto del pacchetto. L'organizzatore può annullare il contratto quando non sia stato raggiunto il numero minimo previsto dei partecipanti e sempre che ciò sia portato a loro conoscenza nel termine precedente l'inizio dei servizi turistici indicato dall'organizzatore. In tal caso, come nell'ipotesi del recesso di cui al presente art. 6 commi 1° e 2°, l'organizzatore sarà tenuto al solo rimborso delle somme percepite entro 7 giorni lavorativi dal momento del recesso o della cancellazione, escluso ogni ulteriore rimborso".

Ora, ritiene questo giudice che tale disposizione, come già ritenuto dal giudice monocratico della cautela, consente all'organizzatore di recedere ad nutum dal rapporto e che l'inciso "per qualsiasi ragione", se correlato alla successiva espressione "tranne un fatto proprio del consumatore", come il predisponente abbia voluto determinare gli effetti dello scioglimento unilaterale adottato anche in relazione a discrezionali scelte commerciali, espressamente escludendo la facoltà del turista di ricevere il doppio di quanto da questi versato.

Appare dunque improprio ritenere che il concetto di impossibilità sia stato trasfuso nella previsione negoziale privo di "qualsiasi qualificazione o aggettivazione soggettiva riferita all'organizzatore" - cfr. pag. 7 ordinanza tribunale in sede di reclamo, agli atti -, ove si consideri che proprio la specifica assenza di espressioni quali quelle di "forza maggiore" o "fatto sopravvenuto non imputabile" lascia univocamente ritenere che la clausola contempli anche l'ipotesi del recesso dell'organizzatore non collegato ai fatti che determinano l'estinzione dell'obbligazione.

Nemmeno convincente appare la qualificazione giuridica offerta dalla società convenuta per spiegare la facoltà di "annullamento" del viaggio per mancato raggiungimento "del numero minimo previsto dei partecipanti" alla stessa riservata dalla seconda parte del patto avanti ricordato.

A ben vedere, infatti, ed al di là del poco tecnicismo delle espressioni da ultimo menzionate, la predisposizione da parte dell'organizzatore di una condizione unilaterale dalla quale deriverebbe l'inefficacia del rapporto, lungi dall'essere legata a fatti obiettivi come ha postulato la convenuta, ha in sé un contenuto che si determina solo in relazione a libere scelte del predisponente, omettendo infatti di specificare in termini chiari e precisi e nella dovuta forma scritta - cfr. art. 6 D.Lgs. n. 111/1995 - non tanto uno degli elementi dell'evento accidentale dedotto in condizione id est il numero di partecipanti che, a ben vedere, potrebbe essere individuato volta per volta nel singolo viaggio organizzato - ma quel che più rileva il tempo entro il quale detto numero minimo deve essere fissato dal tour operator è infatti incontrovertibile che nelle suddette condizioni generali non solo è omesso qualsivoglia elemento dal quale desumere chiaramente che la prefissione del numero debba avvenire all'atto della conclusione del contratto - né negli opuscoli informativi dell'A. prodotti agli atti risulta alcuna indicazione in proposito, in spregio a quanto disposto dall'art. 9 primo comma lett. g) del D.Lgs. n. 111/1995 - ma è addirittura esplicitato che "le indicazioni relative al pacchetto turistico non contenute nei documenti contrattuali, negli opuscoli ovvero in altri mezzi di comunicazione, saranno fornite dall'organizzatore ... in tempo utile "prima" dell'inizio del viaggio" cfr. clausola n. 3 c. g.c. -, il che lascia intendere che il tour operator si sia riservato la facoltà di determinare tale elemento in un momento successivo alla conclusione del rapporto.

Ne consegue che anche la previsione negoziale di cui alla seconda parte della clausola n. 8 delle c. g.c. consente all'organizzatore di recedere dal viaggio, poiché l'annullamento - o cancellazione che dir si voglia - del viaggio non è ancorato ad un evento determinato futuro ed indipendente dalla volontà dei contraenti ma piuttosto ad una libera manifestazione di volontà di una delle parti (cfr. Cass. 7 agosto 1989, n. 3626).

Il che si coglie ancor più ove si consideri che il modo con cui è stata negozialmente congegnata dall'A. la conclusione dei rapporti di viaggio - cfr. art. 3 c. g.c. -, correlata alla "conferma" della prenotazione del turista - che assume la veste di proponente - da parte dell'organizzatore - oblato - consente allo stesso tour operator di determinare unilateralmente, in qualsiasi momento, attraverso l'accettazione - o meno - delle singole prenotazioni, il numero dei partecipanti al singolo viaggio e quindi lo svolgimento del viaggio medesimo.

Orbene, se non è certo questa la sede per approfondire l'eventuale vessatorietà di una clausola che contenga una condizione unilaterale risolutiva in favore del professionista alla stregua dell'art. 1469 bis terzo comma nn. 4 e 20 Codice civile - ove si presumono vessatorie le clausole che prevedono "un impegno definitivo del consumatore mentre l'esecuzione della prestazione del professionista è subordinata ad una condizione il cui adempimento dipende unicamente dalla sua volontà" o "l'assunzione di un obbligo come subordinati ad una condizione sospensiva dipendente dalla mera volontà del professionista a fronte di un'obbligazione immediatamente efficace del consumatore" - non può però disconoscersi che il contenuto letterale della clausola 8 delle c. g.c., comunque voglia interpretarsi, è di tale portata da legittimare il tour operator a porre nel nulla il contratto di viaggio precedentemente organizzato e concluso, sulla base di determinazioni unilaterali indeterminate ed aliene al turista - perché riservate al predisponente - che nemme no è messo in condizione di conoscere all'atto della conclusione del rapporto.

Fatte le superiori premesse, ritiene questo giudice che dal compendio delle previsioni negoziali dianzi ricordate emerga quel sostanziale squilibrio fra la posizione del turista aderente e quella dell'A. in danno del primo che l'art. 1469 bis terzo comma n. 5 Codice civile ha invece inteso evitare.

In proposito, occorre ricordare che la menzionata disposizione, il cui tenore letterale - "contratto concluso" - esclude di considerare al fini della sua operatività lo stato di esecutività delle prestazioni, non ha fatto altro che trasporre nell'ordinamento interno la previsione comunitaria che riconduceva la possibile vessatorietà alle clausole che permettono al professionista di trattenere somme versate dal consumatore qualora quest'ultimo rinunci a concludere o a eseguire il contratto qualora non fosse stato previsto un indennizzo per un importo equivalente in favore del consumatore in caso di recesso del professionista - lett. d) all. dir. CEE 93/13.

E se è incontroverso che la norma "copra" le ipotesi in cui il professionista ha prefissato una caparra penitenziale a carico dell'aderente, non può dei pari dubitarsi che la fattispecie negoziale qui all'esame del Tribunale persegua le medesime finalità di quella correlata al versamento anticipato - al professionista - di una somma per il futuro recesso e non possa dunque sottrarsi al vaglio di vessatorietà proprio perché determina una significativa disparità laddove al diritto riconosciuto al professionista di trattenere le somme versate dal turista non fa da pendant il diritto del consumatore a ricevere il doppio in caso di recesso dell'organizzatore.

Ciò è ancor più vero se si consideri che la corrispondente previsione comunitaria - lett. d) all. dir. CEE 93/13 - idonea a costituire sicuro canone interpretativo della norma interna, riconduce la presunta abusività al fatto che il professionista possa "trattenere somme versate dal consumatore qualora quest'ultimo rinunci a concludere o eseguire il contratto senza prevedere il diritto per il consumatore di ottenere dal professionista un indennizzo per un importo equivalente qualora sia questi che recede dal contratto", intendendo così contemplare, come già detto senza alcun riferimento ai fini della sua operatività allo stato di esecutività delle prestazioni, ogni ipotesi in cui il predisponente sia abilitato a trattenere somme versate dal consumatore qualora quest'ultimo receda dal rapporto.

Va poi soggiunto che di nessun rilievo è la circostanza che il potere di recesso dell'organizzatore sia previsto in una disposizione delle c. g.c. separata da quella concernente la facoltà di scioglimento unilaterale riconosciuta al consumatore, sol che si consideri che la tecnica redazionale con cui sono state predisposte le condizioni generali di contratto non può certo incidere sul contenuto omogeneo delle singole clausole, bastando all'uopo rammentare che proprio dalla fotocopia di altro catalogo predisposto da un diverso tour operator - prodotta agli atti dall'A. - il contenuto delle clausole nn. 6 e 8 delle c. g.c. predisposte dall'A. risulta trasfuso in un'unica disposizione sotto il titolo "Recesso e annullamento" - cfr. doc. t) carpetta 4 prod. attrice -.

Non sarebbe dunque necessario immorare ulteriormente sulla natura vessatoria della clausola n. 6 delle c. g.c., ove tra l'altro si ponga mente alla circostanza che la stessa impone inequivocabilmente a carico del turista che recede la perdita di somme che possono arrivare fino all'intero costo del viaggio mentre in ipotesi di recesso dell'organizzatore non prevede che questi versi il doppio delle somme ricevute dal turista. Ora, in tanto è possibile giustificare il sacrificio richiesto al turista-consumatore per l'esercizio del suo diritto allo scioglimento unilaterale del contratto, in quanto il predisponente sia specularmente chiamato a corrispondere il doppio di quanto ricevuto in ipotesi di suo recesso, ciò in base al principio di reciprocità affermato dall'art. 1469 bis n. 5 Codice civile.

Né può escludersi l'abusività della clausola in relazione alla natura del bene o del servizio oggetto del contratto alla stregua dell'art. 1469 ter primo comma.

Sul punto non pare inutile premettere che l'art. 4 n. 1 della direttiva CEE 13/93, proprio per evidenziare l'ottica astratta in cui deve svolgersi la tutela collettiva general-preventiva, esclude che il giudice investito dai soggetti legittimati alla proposizione dell'inibitoria debba tenere in considerazione la natura dei beni o servizi oggetto del contratto o considerare le circostanze rilevanti all'atto della conclusione del contratto e le clausole del contratto o di un altro contratto da cui questo dipende.

Peraltro, non è di poco momento la circostanza [che] l'art. 1469 sexies Codice civile non faccia alcun riferimento a tale esclusione né a quella prevista dall'art. 5 ultima parte dir. CEE ult. cit. in tema di interpretazione più favorevole al consumatore ma anzi demandi al giudice il compito di accertare l'abusività "ai sensi del presente capo". Ora, senza volere in questa sede approfondire i delicati problemi di coordinamento fra fonte interna di recepimento e norma comunitaria già in parte affrontati da questo Tribunale - cfr. sent. n. 1192/98 R. c. E. - in altra controversia in cui la accertata natura self-executing della direttiva CEE 93/13 rispetto ad un ente ritenuto assimilabile allo Stato ha consentito di affermare anche ai fini interpretativi la prevalenza del testo comunitario - sovraordinato - rispetto a quello di recepimento, risultato quest'ultimo che potrebbe essere agevolmente trasposto nel caso di specie concernente un rapporto interprivato solo se si accedesse a quell'indirizzo dottrinario, ormai prevalente, teso a riconoscere l'immediata efficacia delle direttiva comunitarie self executing an che fra i privati, può comunque ritenersi che se la ratio espressa sul punto dal legislatore comunitario impone, in ogni caso, di ritenere che non si concilia con una valutazione in astratto della vessatorietà il riferimento ad un diverso rapporto stipulato fra "parti" non ancora individuate, non può peraltro escludersi, ma anzi si deve ritenere possibile, che nel giudizio inibitorio l'abusività sia accertata avuto riguardo alla natura del bene o del servizio ed anche al compendio di tutte le clausole che compongono il futuro contratto, attenendo tali vicende non alla concreta attuazione del singolo rapporto, ma piuttosto alla sua tipizzazione generale.

Fatte le superiori premesse e tornando alla fattispecie concreta, è in effetti vero che la previsione del corrispettivo per il recesso a carico del turista potrebbe perdere i connotati di iniquità astratta superiormente evidenziati - anche se tale evenienza non è stata nemmeno prospettata dall'A. - se correlata all'obbligo del tour operator, che organizza servizi offerti da terzi, di acquistare con largo anticipo i servizi stessi e di pagare ai terzi eventuali penali in caso di disdetta provocata dallo scioglimento del rapporto voluto dal turista che, per converso, in caso di annullamento non sarebbe tenuto a sopportare alcuna conseguenza patrimoniale rilevante.

Ma tale argomentazione omette anzitutto di considerare che la vessatorietà che l' art. 1469 bis n. 5 Codice civile, intende escludere deve essere valutata con riguardo all'altro contraente - e non in relazione a soggetti o contratti non collegati a quello concluso - e che in ogni caso lo squilibrio contrattuale in parte qua non è integrato dalla previsione della multa penitenziale a carico del turista, ma dalla circostanza che al significativo sacrificio imposto al medesimo dalla clausola n. 6 non corrisponde analogo impegno del predisponente organizzatore allorché sia questi a porre nel nulla il rapporto, cagionando all'aderente un prevedibile disagio, anche economico, allorché l'impossibilità o l'annullamento siano comunicati nel termine precedente l'inizio dei servizi turistici indicato dall'Organizzatore che, invero, non risulta fissato in forma scritta dall'A. nelle condizioni generali di contratto - né negli opuscoli illustrativi agli atti - (cfr. art. 9 primo comma lett. g) e art. 13 terzo comma D.Lgs. n. 111/1995 cit.).

Va infine evidenziato che la clausola in oggetto non può nemmeno andare esente dal controllo di vessatorietà perché riproduttiva dell'art. 9 della legge n. 1084/1977 (C.C.V.) - e/o dell'art. 13 D.Lgs. n. 111/1995 - secondo quanto previsto dall'art. 1469 ter terzo comma Codice civile, come sostenuto dall'A. nel corso della fase cautelare.

Ed invero, mette conto rilevare che la disposizione negoziale di cui si discute, come già evidenziato dal giudice monocratico della cautela, riproduce solo parzialmente il contenuto dell'art. 9 della C.C.V mancando ogni riferimento al diritto del turista all'"indennizzo" spettante in caso di annullamento del viaggio, poi qualificato come "risarcimento" dall'art. 13 secondo comma del D.Lgs. n. 111/1995.

Orbene, siffatta circostanza induce a ritenere che il recepimento negoziale "parziale" vuoi della norma di ratifica di una convenzione internazionale, vuoi della legge di attuazione di una direttiva comunitaria o più in generale della legge interna, non può escludere il test di vessatorietà del patto predisposto unilateralmente, poiché l'equo contemperamento di interessi che deve ritenersi perseguito dal legislatore nazionale o sovranazionale viene reciso dalla riproduzione frammentaria dal testo normativo, depurata di quei contenuti idonei a dare compiutezza al sistema disciplinato.

E poiché nel caso di specie la clausola negoziale non contempla il diritto del turista all'indennizzo - o al risarcimento del danno - ciò consente agevolmente di affermare che l'originario equilibrio perseguito con la normativa di settore dal legislatore non sia stato affatto trasfuso nel testo negoziale delle c. g.c. che dunque, limitandosi a prevedere il diritto del turista ad usufruire di un viaggio predisposto in alternativa dal tour operator, non si sottraggono al test di vessatorietà nella parte in cui autorizzano l'organizzatore a trattenere le somme indicate nel terzo comma della clausola n. 6 in caso di recesso del turista non dipendente da fatto del tour operator.

Va dunque dichiarata la vessatorietà della clausola n. 6 delle condizioni generate predisposte dall'A. nel punto in cui prevede a carico del turista il pagamento di corrispettivi per il recesso.

Passando quindi all'esame della clausola n. 10 che sotto il titolo "Classificazione alberghiera" dispone che "la sistemazione alberghiera, in assenza di classificazioni ufficiali riconosciute dalle competenti Pubbliche Autorità dei paesi anche membri della CEE cui il relativo servizio si riferisce è stabilita dall'organizzatore in base a propri criteri di valutazione degli standard di qualità ", mette conto ricordare che l'A. ha sostenuto la vessatorietà di siffatta disposizione alla stregua dell'art. 1469 bis terzo comma n. 14 Codice civile, che presume l'abusività del patto che riservi al professionista il potere di accertare la conformità del bene venduto o del servizio prestato a quello previsto nel contratto o gli conferisce il diritto esclusivo di interpretare una clausola qualsiasi del contratto.

L'A., per converso, si è limitata a richiamare quanto evidenziato durante la fase cautelare sostenendo, nel corso della discussione, che la dimostrazione della concreta utilizzabilità della clausola in oggetto da parte di esso tour operator sarebbe spettata all'A. che, non avendo fornito alcun elemento dal quale inferire che tale patto era concretamente applicato nei contratti di viaggio da questa organizzati, non poteva certo allegare la vessatorietà della clausola riproduttiva di accordi predisposti da organizzazioni a cui detto tour aveva aderito senza mai concretamente utilizzare quella stessa disposizione negoziale. Orbene, rileva questo giudice che la tesi della convenuta, ancorché suggestiva, non può essere condivisa per la semplice considerazione, espressa dal difensore dell'A. nella discussione orale, che il giudizio inibitorio dalla stessa intentato attiene, secondo quanto disposto dall'art. 1469 septies Codice civile, alla astratta utilizzazione delle clausole abusive e prescinde totalmente dalla loro applicazione concreta al singolo rapporto da parte del tour operator.

Sicché appare evidente la differenza fra l'odierno giudizio di cognizione, in cui il thema decidendi è correlato alla utilizzazione generalizzata di clausole sicuramente predisposte dall'A. e trasposte nelle condizioni generali, e quello proposto in sede cautelare nel quale l'imminenza di un viaggio organizzato dall'A. aveva indotto il giudice della cautela a disattendere la chiesta inibitoria sul presupposto, incontroverso fra le parti, che la clausola di cui si discute non trovasse specifica applicazione per il pacchetto turistico pubblicizzato nel depliant "Capodanno insieme" - all'epoca in corso di svolgimento concernente viaggi di fine anno organizzati dall'A. in Francia e Italia.

Tanto chiarito, ritiene il giudicante che la clausola anzidetta riserva effettivamente all'organizzatore il potere di determinare lo standard di qualità degli alberghi offerti alla utenza per i paesi in cui manchi una classificazione ufficiale.

Ora non può seriamente contestarsi che il potere che l'organizzatore si riserva in tale occasione determina una significativo squilibrio rispetto alla posizione del turista il quale, messo in condizione di accettare un viaggio nel quale la sistemazione alberghiera è stata classificata dal tour operator, non potrebbe dolersi in alcun modo delle qualità del servizio concretamente ricevuto né degli standard che l'organizzatore ha ritenuto di adottare per la classificazione.

Appare quindi evidente che la disposizione in parola permette al professionista-organizzatore di stabilire se il servizio prestato è conforme a quanto stipulato nel contratto - cfr. testualmente lett. m) dell'allegato alla direttiva CEE 93/13 determinando in buona sostanza una limitazione di responsabilità in favore del tour operator, connessa al potere di accertamento della conformità dei servizio prestato a quello proposto, sicché la stessa, attribuendo altresì allo stesso tour operator l'interpretazione del contenuto del contratto dal medesimo predisposto, si inscrive a pieno titolo fra le clausole vessatorie alla stregua dell'art. 1469 bis terzo comma n. 14 Codice civile, ed il relativo uso deve essere inibito all'A.. Passando infine all'esame della clausola n. 17 che sotto il titolo "Foro competente" prevede che " per ogni controversia sarà competente il foro ove ha sede il tour operator", osserva questo giudice che già in altra occasione (sent. Trib. P. n. 1192/1998 cit.) si è avuto modo di evidenziare che detta clausola stabilisce come foro esclusivo per ogni controversia nascente dal rapporto quella ove ha sede l'organizzatore.

Appare quindi provata la vessatorietà di tale patto sulla base di quanto previsto dal n. 19 dell'art. 1469 bis Codice civile e dalla lettera q) dell'elenco annesso alla direttiva 93/13/CEE ove si consideri che detto patto, addossando in modo irragionevole sul turista i notevoli costi per la tutela giurisdizione in sede diversa da quelle di residenza e domicilio incide in modo irragionevole, comprimendola, sulla scelta dell'utente di tutelare giudizialmente i propri diritti senza che tale situazione possa in alcun modo giustificarsi, ad onta di quanto sul punto sostenuto dalla società convenuta, in relazione alla natura del rapporto.

Né il riferimento operato dall'A., tanto nel corso della fase cautelare che in comparsa conclusionale, alla modicità dei prezzi dei soggiorni in Francia e Italia offerti ai turisti ed alla postulata gravosità degli oneri che verrebbero accollati all'organizzatore ove questi fosse costretto ad affrontare in fori diversi un numero indefinito di controversie, coglie nel segno per due diversi ordini di considerazioni.

Ed invero, nell'odierno giudizio inibitorio appare assolutamente inconducente qualsiasi riferimento ai corrispettivi dei viaggi proposti nei depliant prodotti agli atti, controvertendosi, come già si è avuto modo di chiarire, sulla vessatorietà astratta della clausola.

In ogni caso, va sottolineato che le prospettazioni difensive dell'A. a tenore delle quali "il tour operator (ove tale clausola fosse mancata) non avrebbe neppure organizzato il viaggio, per evidente antieconomicità" e comunque "avrebbe indotto l'organizzatore a tenerne conto nella determinazione del prezzo del pacchetto turistico" cfr. pag. 4 comp. conclusionale A. omettono esse stesse di prendere atto della posizione di disfavore nella quale si trova il turista di fronte al contraente-predisponente-organizzatore, tralasciando inoltre di considerare che l'art. 17 delle c. g.c. "disvela un'attitudine vessatoria notevolissima a scapito... del consumatore" - cfr. pag. 9 ord. reclamo già citata - proprio perché l'individuazione del foro esclusivo coincidente con la sede dell'organizzatore finisce col limitare l'esercizio di azioni legali del consumatore - cfr. lett. q) dell'allegato alla direttiva 93/13 CEE - rendendo palese l'inammissibile squilibrio negoziale in cui viene a trovarsi il turista che proprio in relazione alla peculiarità ed alle finalità del servizio turistico difficilmente sarebbe indotto ad intraprendere presso un foro diverso da quello di residenza un’azione giudiziaria nei confronti dell'organizzatore per lamentare inadempimenti o disservizi, come è pienamente dimostrato dall'esiguo contenzioso sviluppatosi finora nella materia. Quanto poi alla possibilità che il tour operator decida, nell'ambito delle proprie libere scelte di politica imprenditoriale, di aumentare i prezzi dei pacchetti di viaggio in relazione al venir meno di una o più clausole delle condizioni generali di contratto di cui si discute, finendo così per pregiudicare gli interessi economici del turista consumatore sul quale verrebbero scaricati i maggiori costi, è sufficiente evidenziare che l'ottica in cui sembra muoversi la normativa in tema di clausole abusive è quella di perseguire un riequilibrio in termini di equità normativa del rapporto nel quale l'aderente, non incidendo menomamente sul contenuto negoziale, si trova in posizione di svantaggio rispetto al predisponente, ma è appunto garantito attraverso il divieto per il professionista di inserire clausole che renderebbero oltremodo gravosa la sua partecipazione al rapporto negoziale.

Ed allora, se non è qui in discussione la libertà dell'organizzatore di fissare, secondo indici di remuneratività dallo stesso prestabiliti, il prezzo del servizio offerto, prezzo che peraltro non dovrebbe prescindere, anche per l'A., dal principio della domanda e dell'offerta dei viaggi offerti dalla concorrenza, né può seriamente disconoscersi che il giudizio di vessatorietà non riguarda lo squilibrio "economico" fra le posizioni contrattuali del professionista e del consumatore, fuori dalle marginali ipotesi in cui il sacrificio imposto al consumatore è di tale portata da divenire espressione di uno squilibrio dei diritti e degli obblighi di cui all'art. 1469 bis primo comma Codice civile, ne consegue che la garanzia di un'effettiva tutela giurisdizionale per il turista che stipula un contratto con un tour operator di un'altra città o di un'altra nazione assume una valenza di bilanciamento irrinunziabile, impedendo essa stessa l'effetto indiretto, ma inevitabile, costituito dalla irresponsabilità di cui verrebbe a godere il professionista tour operator.

Né può disconoscersi che ben diversa è la posizione in cui viene a trovarsi l'organizzatore rispetto al turista, se solo si ponga mente alla circostanza che il primo, necessariamente dotato di una rete di collegamenti ramificata su uno o più territori nei quali sono organizzati i singoli viaggi o vengono pubblicizzati, è certamente in grado di ammortizzare il sacrificio imposto, onere che in ogni caso non è nemmeno lontanamente comparabile con quello che dovrebbe per converso sopportare il turista - italiano o straniero - per adire il giudice palermitano, il luogo non coincidente con la propria residenza o con il proprio Paese.

Sulla scorta delle superiori considerazioni, deve essere inibito all'A. s.p.a., in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, l'utilizzazione delle clausole abusive nn. 6, nel punto in cui prevede a carico del turista il pagamento di corrispettivi per il recesso, 10 e 17 contenute nelle condizioni generali di contratto dalla stessa predisposte.

Le spese del giudizio di merito seguono la soccombenza della convenuta e si liquidano come da dispositivo in favore dell'A. mentre nessun'altra statuizione può essere adottata da questo giudice sulla spesa della fase cautelare dopo che il tribunale del reclamo ha compensato le spese fra le parti ed a tale statuizione queste hanno prestato acquiescenza.

P.Q.M.

Il Tribunale di Palermo, uditi i procuratori delle parti, respinta ogni altra domanda eccezione e difesa.

Inibisce all'A. s.p.a. l'uso delle clausole abusive nn. 6, nel punto in cui prevede a carico del turista il pagamento di corrispettivi per il recesso, 10 e 17 contenute nelle condizioni generali di contratto dalla stessa predisposte.

Pone a carico della società convenuta le spese del giudizio di merito che liquida in favore dell'attrice in complessive £. 8.588.000 di cui £. 588.000 per spese, £. 2.000.000 per diritti di Procuratore e £. 6.000.000 per onorari di Avvocato, oltre I.V.A. e C.P.A.

Rigetta ogni altra domanda avanzata dalla parte attrice.

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