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Il comodatario non ha diritto al rimborso delle spese di manutenzione straordinarie sostenute

In tema di comodato, al comodatario non sono rimborsabili le spese straordinarie non necessarie ed urgenti, anche se comportano miglioramenti, né sotto il profilo dell'art. 1150 c.c. perché egli non è possessore, né sotto quello art. 936 c.c. perché non è terzo anche quando agisce oltre i limiti del contratto, né, infine, sotto quello dell'art. 1595 c.c. in via di richiamo analogico, perché un'indennità per i miglioramenti è negata anche al locatario la cui posizione è molto simile a quella comodatario. Deve riconoscersi al comodatario soltanto il "ius tollendi" per le addizioni.

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, Sentenza 27 gennaio 2012, n. 1216



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi - Presidente

Dott. MIGLIUCCI Emilio - Consigliere

Dott. MANNA Felice - rel. Consigliere

Dott. CORRENTI Vincenzo - Consigliere

Dott. CARRATO Aldo - Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso 6063/2006 proposto da:

CA. MA. (OMESSO), domiciliato in ROMA ex lege, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato CA. GI. ;

- ricorrenti -

contro

DI. GI. TE. , C. M. , elettivamente domiciliati in (OMESSO), presso lo studio dell'avvocato CO. ST. , rappresentati e difesi dall'avvocato BE. AN. ;

- controricorrenti -

avverso la sentenza n. 1517/2005 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 02/11/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/11/2011 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA;

udito l'Avvocato Le. MA. , con delega depositata in udienza dell'Avvocato Gi. CA. , difensore del ricorrente che ha chiesto di riportarsi agli atti;

udito l'Avvocato Be. RI. , con delega depositata in udienza dell'Avvocato An. BE. , difensore del resistente che ha chiesto di riportarsi agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. IANNELLI Domenico, che ha concluso per il rigetto del primo motivo, accoglimento del 2 motivo di ricorso, inammissibilita' degli altri motivi, in alternativa accoglimento del 5 motivo di ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Ca.Ma. conveniva in giudizio innanzi al Tribunale di Firenze gli ex suoceri C.M. e Di. Gi. Te. , per sentirli condannare al pagamento della somma 70 milioni di lire, quale rimborso, ex articolo 1150 c.c., della quota parte del 50% delle spese che egli, insieme con l'ex coniuge, aveva sostenuto per l'esecuzione di opere edilizie necessarie a rendere abitabile un immobile di proprieta' degli stessi convenuti, nel quale egli era andato a vivere con la sua famiglia. In subordine, domandava la stessa somma ai sensi dell'articolo 936 c.c., ovvero, ancora, in base all'articolo 2041 c.c..

I convenuti resistevano in giudizio.

La domanda era respinta sia in primo che in secondo grado.

In particolare, la Corte d'appello di Firenze, confermando anche la motivazione della sentenza di prime cure, riteneva che Ca. Ma. fosse stato soltanto detentore dell'immobile, ricorrendo i presupposti del comodato, quali la consegna del bene, la gratuita' del contratto e l'utilizzazione diretta da parte del comodatario della cosa consegnata. Peraltro, osservava la Corte, l'appellante non aveva fornito alcuna prova della dedotta qualita' di possessore, mentre gli appellati avevano negato tale qualificazione, avendo addirittura affermato che la consegna del bene era avvenuta successivamente all'esecuzione dei lavori oggetto di causa. Escludeva l'applicabilita' dell'articolo 936 c.c., per l'assenza di terzieta' fra le parti, in virtu' del rapporto di comodato sussistente con i proprietari del bene. Rilevava, quindi, che l'appellante non aveva neppure dimostrato l'esistenza delle condizioni previste dall'articolo 1808 c.c., comma 2, circa la straordinarieta', necessita' ed urgenza dei lavori di ristrutturazione eseguiti, ben potendo Ca. Ma. continuare ad abitare con la sua famiglia nel medesimo appartamento dei suoceri, nel quale aveva vissuto nei dodici anni precedenti. Negava, infine, l'applicabilita' anche dell'articolo 2041 c.c., identificando una giusta causa di arricchimento nel dotare il nucleo familiare del medesimo appellante di un autonomo luogo di residenza, nel quale la moglie e il figlio del Ca. , avevano continuato ad abitare dopo la separazione dei coniugi.

Per la cassazione di detta sentenza ricorre Ca. Ma. , formulando cinque motivi di annullamento.

Resistono con controricorso gli intimati.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. - Con il primo motivo, articolato in tre censure, parte ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli112, 167 e 180 c.p.c., nonche' degli articoli 1141, 1150 e 1803 c.c. e ss., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3; la nullita' della sentenza di primo grado e, conseguentemente, del procedimento e della sentenza d'appello per violazione dei citati articoli 112, 167 e 180 c.p.c., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 4; nonche' l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 5.

Deduce, al riguardo, che la sentenza del Tribunale di Firenze era viziata da ultra ed extra petizione, avendo essa negato la qualifica di possessore del Ca. , e conseguentemente l'applicabilita' dell'articolo 1150 c.c., qualificando il rapporto fra le parti come comodato, senza che i convenuti avessero contestato nei termini di legge la qualita' di possessore del Ca. o eccepito, nella comparsa di risposta di primo grado, che il rapporto fra le parti dovesse qualificarsi in termini di contratto di comodato, essendosi essi limitati a contestare esclusivamente la data di inizio del possesso. Pertanto, il Tribunale non avrebbe potuto procedere d'ufficio alla qualificazione del rapporto, ne' conseguentemente avrebbe potuto negare l'applicabilita' alla fattispecie dell'articolo 1150 c.c..

Del tutto errata, prosegue parte ricorrente, e' la sentenza d'appello nella parte in cui afferma che l'appellante non avrebbe provato la dedotta qualita' di possessore, atteso che ai sensi dell'articolo 1141 c.c., non incombeva su di lui tale onere probatorio, essendo i convenuti a dover dimostrare l'inesistenza del dedotto possesso. Peraltro, la qualificazione del rapporto fra le parti come comodato contrasta con la stessa prospettazione dei convenuti, secondo cui il Ca. all'epoca dei lavori non aveva ancora ricevuto la consegna dell'immobile, atteso che il comodato e' contratto reale e, dunque, si perfeziona con la datio rei. Sotto tale profilo, prosegue parte ricorrente, la sentenza impugnata evidenzia anche una motivazione contraddittoria su un punto decisivo della controversia, poiche' se la consegna dell'immobile era avvenuta successivamente all'esecuzione dei lavori, deve coerentemente escludersi che i lavori stessi possano essere stati realizzati nell'ambito di un rapporto di comodato, il quale avrebbe potuto avere origine solo dopo la consegna del bene e dunque dopo che le opere erano gia' state eseguite.

Lamenta, infine, parte ricorrente, che la sentenza d'appello abbia ignorato, incorrendo nel denunciato vizio di omessa motivazione, sia il fatto che, avendo il Ca. investito nell'immobile tutti i suoi risparmi, doveva ritenersi "fin troppo emblematico" lo stato soggettivo e il convincimento di lui di possedere, a tutti gli effetti e in buona fede, l'immobile ristrutturato, sia la circostanza che in casi analoghi la giurisprudenza di legittimita' ha ritenuto che il coniuge, il quale in costanza di matrimonio abbia eseguito a proprie spese migliorie ed ampliamenti dell'immobile dell'altro per il godimento di entrambi, ha diritto ai rimborsi e alle indennita' previste dall'articolo 1150 c.c., per il possessore in buona fede.

2. - Con il secondo motivo e' dedotta la violazione o falsa applicazione degli articoli 936 e 1803 c.c., nonche' l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Posto che la sentenza d'appello ha ritenuto che le opere in oggetto sono state eseguite prima della consegna del bene e, dunque, prima che potesse sorgere un rapporto di comodato (data la natura reale di tale contratto), il Ca. nel momento in cui ha sostenuto le relative spese era terzo rispetto ai proprietari del fondo, per cui era perfettamente applicabile la disposizione dell'articolo 936 c.c..

3. - Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 1808 c.c., e dell'articolo 116 c.p.c., nonche' l'error in procedendo e l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, nonche' l'omessa valutazione e il conseguente travisamento delle risultanze istruttorie.

Sostiene, al riguardo, che, anche a ritenere inapplicabile sia l'articolo 1150, sia l'articolo 936 c.c., in favore del Ca. sarebbe spettata comunque l'indennita' o il rimborso previsto dall'articolo 1808 c.c.. Non vi e' dubbio, infatti, che le spese sostenute dal Ca. erano straordinarie, necessarie e urgenti, sia per lo stato precario in cui si trovava l'immobile, come accertato dal c.t.u., sia perche' quest'ultimo doveva essere destinato all'abitazione del Ca. e della sua famiglia. La Corte d'appello non ha valutato nessuna delle due suddette circostanze (salvo ritenere il solo carattere straordinario delle spese in questione). Inoltre, la sentenza impugnata e' incorsa in motivazione contraddittoria e insufficiente li' dove da un lato ha imputato al Ca. di non aver provato il carattere necessario e urgente delle spese, e dall'altro non gli ha consentito la prova negandogli il supplemento di c.t.u., chiesto per il caso di ritenuta insufficienza degli accertamenti tecnici gia' espletati in primo grado, volto a dimostrare ulteriormente la situazione di degrado e di fatiscenza in cui versava il bene.

4. - Il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1808, 1592 e 1593 c.c., e dell'articolo 112 c.p.c., nonche' la nullita' della sentenza del Tribunale e, conseguentemente, del procedimento e della sentenza della Corte d'appello per violazione dell'articolo112 c.p.c., e l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Sostiene, al riguardo, che l'articolo 1808 c.c. si riferisce alle spese non autorizzate, per cui non puo' valere per quelle che il comodatario abbia eseguito con l'espresso consenso del comodante che ne risulta beneficiario. Tale questione, espressamente dedotta dal Ca. in primo grado e ribadita "tra i motivi di appello", e' stata completamente ignorata sia dalla sentenza di primo grado, sia da quella d'appello.

Sostiene, quindi, che gli articoli 1592 e 1593 c.c., in tema di contratto di locazione sono applicabili analogicamente al comodato, ed afferma che il precedente di Cass. n. 7923/92, richiamato nella sentenza di prime cure per motivare l'esclusione del rimborso delle spese sostenute dal comodatario, si riferisce alle spese non autorizzate, per cui deve ritenersi esistente, invece, tale diritto per quelle autorizzate.

5. - Con il quinto motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2041 c.c., nonche' il connesso vizio motivazionale.

La Corte territoriale ha ritenuto esistente una giusta causa di arricchimento nel fatto che tuttora nell'immobile oggetto dei lavori effettuati dal Ca. abitano la moglie e il figlio di lui. Tale motivazione e' errata, si afferma, perche' la permanenza dell'ex coniuge dell'odierno ricorrente e del figlio in tale immobile scaturisce non dalle condizioni della separazione personale dei coniugi, nelle quali non si menziona alcuna assegnazione della casa coniugale, ma dal rapporto diretto tra l'ex moglie e i genitori di lei, proprietari del fondo, senza alcun collegamento con la posizione, i bisogni e gli interessi del Ca. .

6. - Il ricorso e' infondato in tutte le censure in cui si articola.

6.1. - La qualificazione del rapporto sostanziale dedotto (come dell'azione esercitata) e' oggetto di un precipuo potere-dovere del giudice, che non puo' essere inibito dall'inerzia delle parti nel prospettare le interpretazioni giuridiche della fattispecie; e le stesse parti, come non possono vincolare il giudice ad una data tesi giuridica, cosi' non possono neppure imporgli le alternative giuridiche cui ricondurre il rapporto.

6.1.1. - Ne' tanto meno ha fondamento la tesi di parte ricorrente, che vorrebbe confinata nella comparsa di risposta di primo grado "l'eccezione" del convenuto, il quale deduca una qualificazione del rapporto sostanziale diversa da quella dedotta dall'attore. E' di tutta evidenza che non di eccezione si tratta, ma di mera difesa. Invero, l'eccezione (sia o non rimessa alla disponibilita' della parte) puo' avere ad oggetto solo un "fatto" e non gia' un apprezzamento giuridico, "fatto" che, per di piu', dovendo essere impeditivo o estintivo del diritto azionato, deve di necessita' essere sopravvenuto al sorgere del diritto stesso.

6.2. - La giurisprudenza di questa Corte e' costante nell'affermare che il vizio di ultra o extra petizione della sentenza di primo grado non puo' essere prospettato per la prima volta nel ricorso per cassazione ove il ricorrente non l'abbia dedotto come specifico motivo di gravame nel giudizio d'appello, neppure se riferito alla sentenza di secondo grado confermativa della precedente (cfr. Cass. nn. 11382/11, S.U. 15277/01, 822/00, 6152/96 e 4623/87).

6.2.1. - Nella specie, la parte odierna ricorrente avrebbe dovuto dedurre in appello il vizio di ultra o extrapetizione della sentenza di primo grado con un apposito motivo di gravame, di cui non v'e' traccia nella sentenza impugnata e che lo stesso Ca. non deduce di aver formulato in quel giudizio in termini di violazione dell'articolo 112 c.p.c..

6.3. - Non risponde al vero, per l'esattezza, che la sentenza d'appello abbia ritenuto che le opere in oggetto fossero state eseguite prima della consegna dell'immobile. Si tratta di un'affermazione (v. pag. 5 sent. impugnata) che la Corte d'appello si e' limitata a riportare quale tesi espressa dalla parte appellata, allorche' quest'ultima ebbe a contestare la qualificazione in senso possessorio del godimento dell'immobile da parte del Ca. . In ogni caso si tratta di affermazione di carattere meramente avversativo e contenuta all'interno di un obiter dictum, tale essendo l'affermazione che "peraltro" il Ca. non aveva provato la dedotta qualita' di possessore.

6.3.1. - Cio' puntualizzato per sola chiarezza nella ricostruzione delle ragioni della decisione impugnata, va osservato che l'indiscussa natura reale del contratto non determina alcuna contraddittorieta' della motivazione della sentenza impugnata, li' dove in essa si afferma la natura di comodato del rapporto fra le parti, nonostante i lavori fossero stati eseguiti prima della "consegna" dell'immobile affinche' il Ca. andasse ad abitarvi con la propria famiglia. Infatti, pacifica, in quanto rientrante nella cornice di riferimento comune alle parti cosi' come ritenuta dal giudice d'appello, l'effettuazione dei lavori ad iniziativa, cura e spese dell'attore; e atteso che i beni immobili si consegnano in maniera simbolica (ad esempio mediante la rimessa delle chiavi o in altro modo che attesti la volonta' di effettuarne la traditio), nel caso di specie la consegna della res e con essa la conclusione del contratto di comodato si e' realizzata nel momento stesso in cui gli odierni resistenti ebbero a mettere il loro immobile a disposizione del Ca. , affinche' questi vi effettuasse le opere necessarie a renderlo abitabile per se' e per la propria famiglia.

6,3.2, - Va da se' che la traditio del bene in virtu' di un rapporto di carattere obbligatorio esclude in partenza ogni possibilita' di configurazione del possesso, di talche' parte ricorrente non puo' invocare a proprio favore la presunzione di possesso di cui all'articolo 1141 c.c., comma 1.

6.4. - L'assegnazione della casa coniugale ad un coniuge, in seguito alla separazione, non fa venir meno, in analogia a quanto dispone la Legge 27 luglio 1978, n. 392, articolo 6, il contratto di comodato, di guisa che permane l'applicazione della relativa disciplina. Pertanto, se un genitore concede un immobile in comodato per l'abitazione della costituenda famiglia non e' obbligato al rimborso delle spese, non necessarie ne' urgenti, sostenute da un coniuge durante la convivenza familiare per la migliore sistemazione dell'abitazione coniugale (v. Cass. n. 2407/98). Infatti, il comodatario il quale, al fine di utilizzare la cosa, debba affrontare spese di manutenzione anche straordinarie, puo' liberamente scegliere se provvedervi o meno, ma, se decide di affrontarle, lo fa nel suo esclusivo interesse e non puo', conseguentemente, pretenderne il rimborso dal comodante (cosi', Cass. n. 15543/02).

6.5. - L'articolo 1808 c.c.non distingue tra spese autorizzate e spese ad iniziativa del comodatario, ma fra spese sostenute per il godimento della cosa e spese straordinarie, necessarie ed urgenti affrontate per conservarla, con la conseguenza che l'eventuale autorizzazione del comodante non e' in nessuno dei due casi discrimine per la ripetibilita' degli esborsi effettuati dal comodatario.

6.6. - Non scalfita dalle censure di cui sopra la qualificazione giuridica in termini di comodato data al rapporto dalla sentenza impugnata, resta esclusa l'applicabilita' alla fattispecie dell'articolo 936 c.c.. Infatti, al comodatario non sono rimborsabili le spese straordinarie non necessarie ed urgenti, anche se comportano miglioramenti, ne' sotto il profilo dell'articolo 1150 c.c., perche egli non e' possessore, ne' sotto quello dell'articolo 936 c.c., perche' non e' terzo anche quando agisce oltre i limiti del contratto, ne' infine sotto quello dell'articolo1595 c.c., in via di richiamo analogico, perche' un'indennita' per i miglioramenti e' negata anche al locatario la cui posizione e' molto simile a quella comodatario. Deve riconoscersi al comodatario soltanto l'ius tollendi per le addizioni (Cass. nn. 1575/63,7923/92).

6.6.1. - Nella specie si trattava di spese soggettivamente necessarie e urgenti, mentre la norma fa riferimento implicitamente a spese per la conservazione del bene, e dunque a una necessita' e urgenza di tipo oggettivo, per evitare o la perdita della res o danni a terzi.

6.6.2. - E a fronte della genericita' dell'allegazione di parte ricorrente, non e' neppure censurabile la mancata nomina di un c.t.u. da parte del giudice di merito per meglio chiarire e distinguere quali interventi, tra quelli posti in essere, fossero necessari per sopperire allo stato di degrado dell'immobile e quali, invece, fossero funzionali alla sua trasformazione abitativa.

6.7. - Infine, anche l'ultima censura, mirante a negare l'esistenza di una giusta causa di arricchimento allo scopo di fondare l'azione di cui all'articolo 2041 c.c., e' destituita di pregio, sebbene per ragioni diverse da quelle espresse nella sentenza impugnata, che dichiarandola infondata per difetto di una giusta causa di arricchimento, ne ha implicitamente ammesso l'astratta esercitabilita' nella fattispecie.

6.7.1. - Il requisito di sussidiarieta' evocato dalla rubrica dell'articolo 2041 c.c., (e del tutto pacifico sia in dottrina che in giurisprudenza), non predica che detta azione possa essere esperita in alternativa subordinata a quella contrattuale per eluderne gli esiti sfavorevoli, ogni qual volta, cioe', quest'ultima, sebbene astrattamente configurabile, non consenta in concreto, per ragioni di fatto o di diritto, il recupero dell'utilita' trasferita da una parte all'altra; ma al contrario sta a significare soltanto che tra soggetti fra loro terzi, per l'inesistenza o la nullita' di un rapporto contrattuale, gli spostamenti patrimoniali non sorretti da giusta causa devono essere retrattati nei limiti del minor valore tra arricchimento a danno. Pertanto, tale azione non puo' essere riconosciuta in favore del comodatario per recuperare dal comodante spese che, a termini dell'articolo 1808 c.c., comma 1, siano state giudicate irripetibili.

In tal senso, pertanto, s'impone l'esercizio del potere di correzione della motivazione della sentenza d'appello, in base all'articolo 384 c.p.c..

7. - In conclusione il ricorso va respinto.

8. - Le spese di giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza del ricorrente.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in euro 2.200,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese generali di studio, IVA e CPA come per legge.

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