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Il contratto di acquisto di titoli obbligazionari è annullabile per errore essenziale sull’identità della prestazione qaulora l’acquirente non venga reso edotto della loro provenienza estera e della non quotazione della società emittente sul mercato
Pubblicata il 20/02/2008
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nella causa civile di I Grado iscritta al N. 15633/2004 R.G. promossa da:
PE.CL. elettivamente domiciliato in C/O R.Bi. - BOLOGNA, presso e nello studio dell'avv. Fr.Gi. che lo rappresenta e difende;
ATTORE
Ci.Ma. elettivamente domiciliato in C/O R.Bi. - BOLOGNA, presso e nello studio dell'avv. Fr.Gi. che lo rappresenta e difende;
ATTORE
Pe.Pa. elettivamente domiciliato in C/O R.Bi. - BOLOGNA, presso e nello studio dell'avv. Fr.Gi. che lo rappresenta e difende;
ATTORE
Sa.Sa. elettivamente domiciliato in C/O R.Bi. - BOLOGNA, presso e nello studio dell'avv. Fr.Gi. che lo rappresenta e difende;
ATTORE
Sa.Si. elettivamente domiciliato in C/O R.Bi. - BOLOGNA, presso e nello studio dell'avv. Fr.Gi. che lo rappresenta e difende;
ATTORE
De. SPA
elettivamente domiciliato in BOLOGNA, presso e nello studio dell'avv. Ca.Vi.Gi. che lo rappresenta e difende;
CONVENUTO in punto a: "146231 - Intermed. mobiliare (servizi e contratti di invest.,)"
Svolgimento del processo
Con atto di citazione notificato a mezzo posta in data 28.10.2004, Pe.Cl., Ma.Ci., Pa.Pe., Si.Sa. e Sa.Sa. convenivano in giudizio la De. spa, esponendo di essersi resi acquirenti, con la intermediazione della banca, di obbligazioni emesse dal gruppo Pa., che la capogruppo aveva pubblicamente dichiarato, nel dicembre del 2003, di non essere in grado di onorare; in seguito la società era stata ammessa alla amministrazione straordinaria, con contestuale nomina di un commissario straordinario.
Ciò premesso, gli attori deducevano che i contratti stipulati erano nulli, perché carenti della forma scritta, necessaria ex art. 23 d.lgs. 58 del 1998; che erano comunque annullabili, perché la volontà negoziale era stata indotta in errore, circa la reale situazione patrimoniale del gruppo Pa., la individuazione esatta della società emittente le obbligazioni acquistate, che non era la Pa.Fi., bensì società finanziaria estera sottocapitalizzata, e la stessa individuazione dei titoli, e delle loro caratteristiche aleatorie; i titoli, tra l'altro, nelle situazioni contabili inviate dalla Banca venivano indicati con codici interni alla Banca, anziché con i codici ISIN. Deduceva, a questo riguardo, che l'errore cadeva sull'oggetto del contratto e sulla identità della prestazione, ovvero su di una qualità della stessa determinante il consenso, ed era riconoscibile, da parte della Banca.
Deducevano anche che la Banca aveva violato i principi di diligenza, corretta informazione, attiva e passiva, e tutela degli interessi dei clienti, imposti in via generale dal T.U. 58 del 1998 e dalla legislazione regolamentare in materia di intermediazione finanziaria, nonché gli obblighi specificamente previsti in materia di sollecitazione all'investimento, atteso che i titoli in oggetto erano privi del prospetto informativo, non erano stati sottoposti ai controlli necessari per offrirli sul mercato, e ciononostante erano di fatto stati distribuiti a privati investitori, dopo un primo collocamento presso un gruppo di banche, con il conseguente aggiramento sostanziale della normativa in materia. Aggiungevano che l'istituto di credito convenuto aveva agito in conflitto di interesse, perché aveva consistenti crediti nei confronti del Gruppo Pa., che le obbligazioni emesse così collocate presso il pubblico dei risparmiatori avevano contribuito a ripianare. Infine, rilevavano che parte dei titoli erano stati negoziati fuori dai mercati regolamentati, e che l'operazione deve essere espressamente autorizzata per iscritto, ove comporti che gli strumenti negoziati fuori dai mercati regolamentati superino il 25% del patrimonio dell'investitore; che, infine, ognuno degli strumenti così negoziati non può superare il 10% del patrimonio complessivo.
Da queste molteplici violazioni era derivata la nullità del contratto, per contrasto con norme imperative, dettate nel pubblico interesse, ovvero comunque la annullabilità del contratto e senz'altro la responsabilità della banca, per i danni causati agli investitori, sia sotto il profilo patrimoniale che come danno esistenziale.
Gli attori concludevano quindi come in epigrafe.
Si costituiva la Banca, contestando la fondatezza delle doglianze attoree: in primis rilevava che l'atto predisposto dalla difesa degli attori era stato formato evidentemente per essere utilizzato in una serie indefinita di cause, cosicché conteneva una ricostruzione del rapporto assolutamente generica ed imprecisa, e riferimenti a persone ed istituti estranei alla fattispecie.
Esponeva poi lo sviluppo dei rapporti tra la Banca ed i nuclei familiari Pe.-Ci. e Pe.-Sa., chiarendo che i clienti avevano sottoscritto regolari contratti di conto corrente, di deposito titoli in custodia ed amministrazione e di negoziazione di ordini, rifiutando peraltro di fornire alla banca informazioni circa la propria situazione patrimoniale, ed avevano scelto in seguito i prodotti finanziari in cui investire.
Contestava che l'errore sulle condizioni patrimoniali della società fosse un errore rilevante, ai fini dell'annullamento del contratto, atteso che non si trattava di errore sull'oggetto del contratto né sulla qualità della prestazione (costituito dai titoli effettivamente acquistati, e dalle loro caratteristiche intrinseche), bensì solo eventualmente di errore che incideva sulla convenienza della operazione e sui motivi a contrarre; escludeva comunque la riconoscibilità dell'errore, atteso che, da una parte, questi stessi clienti nel corso degli anni avevano investito in titoli obbligazionari dello stesso tipo, ed anche azionali, senza alcun problema, dall'altra, lo stato di dissesto del gruppo Pa. era sconosciuto ai più, ed alla banca.
Deduceva, inoltre, che il servizio era stato prestato dalla Banca, nell'ambito del contratto di prestazione di servizi di investimento, ed esulava da qualsiasi attività di sollecitazione al pubblico risparmio, ovvero di collocamento, atteso che la Banca non aveva alcun incarico dall'emittente in ordine al collocamento dei titoli negoziati, e li aveva acquistati sul mercato, a seguito della richiesta dei clienti.
Escludeva che la Banca avesse violato doveri e norme imperative in materia di intermediazione, e rilevava che, vista la complessiva situazione dei clienti, i prodotti erano da considerarsi adeguati, aggiungendo che comunque la Banca non poteva essere chiamata a rispondere della eventuale ritenuta inadeguatezza, dal momento che i clienti non avevano voluto fornire informazioni sulla loro situazione patrimoniale. Concludeva come in epigrafe, e dichiarava di volersi avvalere della facoltà di chiedere immediatamente la fissazione della udienza di discussione della causa.
Parte attrice depositava comunque una replica, allegando documenti, e formulando richieste istruttorie, di cui tuttavia il Giudice Relatore dichiarava la tardività; quindi, ritenuta la irrilevanza di una serie di richieste istruttorie, il Relatore ammetteva solo alcune delle prove di parte convenuta, con provvedimento confermato dal Collegio, a seguito della udienza del 22.11.2005; infine, assunte le prove ammesse, la causa passava in decisione alla udienza del 19.6.2007.
MOTIVI
Dalla documentazione in atti risulta che i signori Pe. e Ci. erano clienti della banca convenuta dal 1994, e non avevano inteso rilasciare informazioni alla Banca, al momento della sottoscrizione del contratto-quadro regolatore dei servizi di negoziazione, circa la propria situazione finanziaria; che al 31.1.2003 avevano in deposito presso la Banca titoli per Euro 82.943,13, divenuti poi Euro 114.964,69 nel marzo del 2003, Euro 135.314,20 nel giugno del 2003, costituiti in massima parte, a quella data, di fondi comuni DWS, in parte obbligazionari ed in parte azionari. Possedevano inoltre quote di una gestione, denominata Menhir, per circa 130.000,00 Euro; nel luglio 2003 acquistarono infine obbligazioni "Pa." per Euro 35.000,00.
Le signore Pe.-Sa., invece, sono divenute clienti della Banca convenuta nel 2002; anche loro non risultano avere rilasciato informazioni, circa la loro situazione finanziaria; nel giugno 2003 dette clienti avevano in deposito presso la Banca valori mobiliari per Euro 49.019,26, ed avevano anche posseduto e venduto con profitto obbligazioni Pa.Fi.; successivamente, nel luglio 2003, acquistano obbligazioni "Pa." per Euro 25.000,00.
Entrambi gli acquisti avvengono con negoziazione in conto proprio, fuori mercato, come chiaramente riferito dai documenti ufficiali che la banca ha inviato ai clienti, come da contratto, dopo avere eseguito l'ordine.
A fronte di questa situazione fattuale, parte attrice chiede dichiararsi la nullità dei contratti ovvero l'annullamento, con conseguente risarcimento del danno.
Ora, per quanto attiene alla pretesa nullità per difetto di ¦ forma, ovvero per violazione dei doveri imposti all'intermediario finanziario dal testo unico d.lgs. 58 del 1998, si osserva che in atti vi sono i contratti quadro originariamente formati tra i clienti e la Banca per la ricezione di ordini di negoziazione di titoli; vi sono i documenti manoscritti, per ciascuno degli ordini impugnati, debitamente sottoscritti dai clienti; vi sono infine le successive conferme di esecuzione dell'ordine: non vi è quindi dubbio in ordine al fatto che sia stata rispettata la forma scritta, e questo sia per il contratto quadro, che sta a monte, sia per il singolo ordine.
Deve aggiungersi, poi, che gli ordini nel caso di specie sono stati eseguiti, nelle forme della negoziazione in conto proprio, da parte della banca, cosicché anche ad essi occorre riconoscere natura contrattuale: si tratta invero di vendite intervenute direttamente tra la banca ed i clienti, con la conseguente applicabilità di tutta la normativa sulla vendita.
Per quanto attiene alla invocata declaratoria di nullità, conseguente alla violazione di altre norme di condotta, richieste all'intermediario finanziario dagli artt. 21 e 23 T.U.F., e 26 ss regolamento Consob 11522 del 1998, il Collegio osserva - preliminarmente che la sanzione di nullità non può essere applicata generalmente ed estesa a tutti casi di violazioni riscontrate rispetto alle obblighi di diligenza, trasparenza ed informazione descritti dal legislatore.
Le norme di disciplina degli intermediari finanziari, disegnate dagli articoli di legge e regolamento richiamati nelle conclusioni della difesa attrice (artt. 21 e 23 T.U.F., 26 ss regolamento 11522 del 1998, che richiamano ai doveri di diligenza, informazione e trasparenza) non hanno, in linea di massima, e salvo limitate previsioni, un oggetto sufficientemente specifico, cosicché di fatto non individuano regole di comportamento precise a cui l'intermediario possa adeguarsi, ex ante, facendo affidamento sulla validità del proprio operato; pertanto, la sanzione di nullità, che è la più grave prevista dall'ordinamento, così estesa, violerebbe il principio di legalità e certezza del diritto, come ha osservato con ampia e convincente motivazione il Tribunale di Milano (vedi 7555 del 2005, est. Vanoni; e successiva in data 25.7.2005, est. Raineri).
Sul piano sistematico, poi, si osserva che da una parte, la previsione di tipiche e precise ipotesi di nullità contenute nello stesso T.U.F., (vedi artt. 23, 1°, 2° e 3° comma, art. 24 comma 2°, e art. 30 comma 7°); dall'altra l'ampia previsione della risarcibilità del danno, - rimedio conseguente all'inadempimento -, correlata tra l'altro all'inversione dell'onere della prova di cui all'art. 23 del T.U.F., che è posta a rafforzare la tutela, rimarrebbero prive di significato, e di incidenza pratica, se ogni violazione comportamentale fosse causa di nullità, con conseguenti obblighi restitutori.
Anche il precedente di cassazione, (Cass. 3272 del 2001) spesso citato, a sostegno della declaratoria di nullità per violazione di norme di carattere imperativo, poste a tutela di interessi di natura pubblicistica e preminenti, non vale, in realtà, ad inficiare le ragioni sopra esposte, che conducono a escludere invece, nel caso di generica violazione dei doveri dell'intermediario descritti dagli artt. 26 e ss del regolamento, la declaratoria di nullità: la sentenza richiamata ha confermato infatti la nullità del contratto, ex art. 1418 cc, primo comma, in un caso peculiare, e svolgendo un ragionamento pienamente compatibile - ad avviso del Collegio - con la odierna decisione. Nel caso deciso dalla Corte con la sentenza 3272 del 2001, infatti, si trattava di un contratto posto in essere da una società che aveva agito come intermediario finanziario in difetto di iscrizione all'apposito albo, con conseguente violazione di un ben preciso precetto, posta in essere con condotta omissiva, relativa ad un adempimento compiutamente descritto, (iscrizione all'albo) e con conseguente sottrazione alla disciplina delle autorizzazioni preventive e dei controlli successivi: la decisione resa dalla Cassazione non contrasta, quindi con il convincimento dianzi esposto, in merito alla necessaria specificità del precetto alla cui violazione può essere collegata la declaratoria di nullità, per rispetto del principio di legalità.
Si aggiunge poi che di recente la Suprema Corte, sempre in materia di intermediazione finanziaria, ha affermato che "la nullità del contratto per contrarietà a norme imperative, ex art. 1418 cc, comma 1, postula che siffatta violazione attenga ad elementi intrinseci della fattispecie negoziale, cioè relativi alla struttura e al contenuto del contratto, e quindi la illegittimità della condotta tenuta nel corso delle trattative per la formazione del contratto, ovvero durante la sua esecuzione, non determina la nullità del contratto, e questo indipendentemente dalla natura delle norme con cui questa sia in contrasto, a meno che questa sanzione non sia espressamente prevista anche in riferimento a detta ipotesi", mentre "la violazione dell'obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto ...(comporta n.d.r.) ...il risarcimento del danno, che deve essere commisurato al minor vantaggio ovvero al maggior aggravio economico prodotto dal comportamento tenuto in violazione dell'obbligo di buona fede, ..." (vedi Cass. n. 19024 del 2005).
In conclusione, non può essere ravvisata, nel caso portato alla attenzione del Collegio, nullità conseguente alla violazione di norme imperative, per eventuale difetto di informazione, ovvero di trasparenza e diligenza.
Deve invece essere accolta, ad avviso del Collegio, la domanda di annullamento dei contratti di acquisto per errore essenziale sull'identità dell'oggetto della prestazione, ovvero una sua qualità determinante del consenso.
E invero, ai clienti è stato prospettato l'acquisto di "obbligazioni Pa.", senza migliore specificazione, cosicché i clienti hanno ritenuto, a tutti gli effetti; di acquistare titoli obbligazionari emessi in Italia, dalla Pa.Fi. spa, quotata nella borsa italiana, e dotata di rating.
A questa conclusione si giunge, esaminando la documentazione contrattuale prodotta, in cui mai viene espressa per intero la denominazione della società estera emittente, e la capitolazione stessa articolata dalla difesa della banca convenuta, che perpetua la ambiguità nei riferimenti, esclusivamente fatti alla "Pa." ed al rating di cui godeva all'epoca.
Lo stesso teste Is., di parte convenuta, nella sua deposizione, ha dichiarato: "E' vero, offrii varie ipotesi alternative, tra cui sicuramente anche Pa., che all'epoca veniva trattata dal nostro ufficio titoli, perché la banca non ha mai diramato informazioni negative, e non erano disponibili sul mercato... i Pe. avevano già acquistato obbligazioni corporate, lei anche specificamente obbligazioni Pa.."
Da questa deposizione deriva la conferma che un evidente errore ha inficiato la volontà degli acquirenti, che ritenevano semplicemente si trattasse di titoli "Pa.", e non hanno colto la molteplicità di identità societarie del gruppo, né hanno compreso che i titoli che venivano loro ceduti erano emessi da società estera. Ora, è vero che i titoli ceduti erano comunque garantiti dalla Pa. italiana, tuttavia non può ritenersi, in modo affrettato e superficiale, che la circostanza che altra fosse la emittente sia priva di rilievo, per i clienti, atteso che la emissione da parte di società estera, e non quotata alla nostra Borsa, comportava la esclusione di limiti quantitativi alle emissione e la sottrazione ai controlli disciplinati dalla normativa interna, con il conseguente venir meno di una serie di garanzie per gli obbligazionisti.
Si trattava, inoltre, come rileva parte attrice, di emissione non assistita dal prospetto informativo che in via generale deve accompagnare una sollecitazione all'investimento (vedi in proposito art. 94 ss del T.U. 58 del 1998, secondo cui il prospetto contiene le informazioni ...necessarie affinché gli investitori possano pervenire ad un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria e sulla evoluzione della attività dell'emittente...).
Va detto che la norma di legge consente che manchi il prospetto, qualora gli strumenti siano acquisiti in prima battuta da investitori professionali, e che del pari è pienamente legittima, da parte di costoro, la successiva negoziazione dei titoli così emessi: si tratta invero di due forme ben diverse di compravendita di strumenti finanziari, entrambe previste all'art. 1 del testo unico, e diversamente disciplinate in ragion della differente modalità di penetrazione nel mercato. La prima è una offerta, diffusamente rivolta al pubblico, al fine di raccogliere le sottoscrizioni, mentre la seconda è una negoziazione su base individuale, che avviene attraverso l'intermediario finanziario, operatore professionale, chiamato a rispondere del suo operato, tenuto ai molti doveri di informazione, trasparenza e diligenza previsti dal testo unico.
In buona sostanza, il fatto che il prospetto informativo possa mancare, nel momento in cui i titoli vengono negoziati in forma individuale, si giustifica proprio perché in questo ambito l'acquirente trova tutte le informazioni necessarie presso l'intermediario professionale, che conosce il titolo che vende, e gliene descrive tutte le caratteristiche rilevanti, (vedi art. 21 Testo unico, integrato dalle norme regolamentari) così sostituendo, alla impersonalità del prospetto, il carattere personale ed individualizzato della propria consulenza.
Entrambe le caratteristiche evidenziate, ossia il fatto che si. trattasse di un titolo emesso all'estero, da una società del gruppo Pa., la Pa.Co. B.V., e la assenza di prospetto informativo, che rendeva obbligatoria la collocazione del prodotto presso investitori istituzionali, dovevano peraltro essere rese note alle parti acquirenti, perché costituiscono elementi identificativi dell'obbligazione e delle sue caratteristiche intrinseche più rilevanti: poiché l'obbligazione rappresenta una quota di un prestito, e quindi di un credito, rimborsabile alla scadenza, è ovvio che è la identificazione e la solvibilità del debitore che determina la identità e le qualità fondamentale dello strumento finanziario, e che in difetto di questi elementi non può darsi alcuna volontà contrattuale validamente formata.
Il tale situazione informativa i risparmiatori, nel momento in cui hanno deciso di acquistare, lo hanno fatto senza avere gli strumenti minimi per rappresentarsi le caratteristiche fondamentali, intrinseche ed oggettive dei titoli, e quindi con volontà necessariamente viziata da errore, su elementi essenziali del contratto.
Ora, l'art. 1427 c.c. prevede l'annullamento del contratto, ove il consenso di uno dei contraenti sia stato dato per errore, in forza di una rappresentazione alterata della realtà, avuto riguardo alle particolari circostanze di fatto, che agisca come causa decisiva e determinante della volontà, nel senso che senza di essa il contraente che ne è restato vittima non avrebbe concluso il negozio; questa affermazione di principio, che concerne l'applicazione della disciplina dell'annullamento, deve essere letta ed integrata con le disposizioni speciali che concernono i contratti di intermediazione finanziaria: in particolare si deve fare riferimento al già citato art. 21 d.lgs. 58/98 ed agli artt. 26, 28, 29 Reg. CONSOB 117/98 n. 11522 e successive modifiche, che complessivamente disegnano un obbligo legislativamente stabilito di fornire determinate informazioni, che, essendo la Banca un soggetto altamente qualificato, dovrà essere adempiuto con la diligenza prevista dal 11° comma dell'art. 1176 c.c.
L'errore in cui sono incorsi gli attori era ben riconoscibile, dalla banca, atteso che era il frutto diretto della disinformazione che la stessa Banca convenuta aveva mantenuto in capo ai risparmiatori. Tra l'altro, la De. (secondo quanto riferisce ampiamente il consulente tecnico che su incarico della Procura di Milano ha redatto la relazione depositata nel fascicolo attoreo, relazione che non è stata contestata dalla difesa dell'istituto di credito, in alcun modo) figura tra gli istituti che hanno concesso importanti linee di finanziamento al Gruppo Pa., partecipando ai consorzi di collocamento dei bond emessi dal gruppo, ed acquisendo u rapporto preferenziale, proprio all'epoca in cui vennero sottoscritti gli ordini oggetto della lite, il che conferma e ribadisce una situazione di evidente asimmetria informativa, e la consapevolezza piena dell'errore in cui i risparmiatori, odierni attori, incorrevano, nel momento in cui sottoscrivevano gli ordini. Né vale l'eventuale "buona fede" o mancanza di consapevolezza dell'errore in capo ai dipendenti della banca che hanno trattato, atteso il disposto dell'art. 1391 c.c., ultimo capoverso, che esclude la possibilità per il rappresentato (la Banca) di avvalersi degli stati soggettivi del proprio rappresentante (il dipendente, che rappresenta la banca in virtù del rapporto organico).
Dall'annullamento del contratto discende l'obbligo di restituzione del capitale investito, e degli interessi al tasso legale, trattandosi di debito di valuta: non è stato provato il maggior danno, né, d'altra parte, l'avvenuto incasso di cedole da parte degli attori, di cui debba tenersi qui conto; del pari, alla banca debbono essere restituiti i titoli.
A seguito delle restituzioni, viene meno il pregiudizio patrimoniale conseguente all'acquisto dei titoli oggetto della causa; non vi è invece prova di un danno esistenziale e va pertanto respinta la relativa domanda.
Le spese della lite si compensano, per un terzo, in ragione del fatto che la domanda è stata accolta solo per uno dei molti profili dedotti; i restanti due terzi delle spese sostenute dagli attori, liquidate come in dispositivo, si pongono a carico della banca convenuta.
P.Q.M.
Il Tribunale di Bologna, definitivamente pronunciando sulle domande formulate con atto di citazione notificato a mezzo posta in data 28.10.2004, da Pe.Cl., Ma.Ci., Pa.Pe., Si.Sa. e Sa.Sa. nei confronti della De. spa, ogni ulteriore domanda e/o eccezione
disattesa, ha così provveduto:
- annulla i contratti di acquisto oggetto della controversia, in data 21 luglio 2003, e 15 luglio 2003, e condanna conseguentemente la De. spa alla restituzione di Euro 35.351,42 in favore dei signori Pe.Cl. e Ci.Ma.; di Euro 25.130,06 in favore delle signore Pe.Pa., Sa.Si. e Sa.Sa., oltre agli interessi legali dalla data dell'addebito alla data della restituzione;
- ordina agli attori di restituire alla banca i titoli acquisiti con i suddetti ordini;
- compensa per un terzo le spese della lite, e condanna la Banca convenuta alla rifusione in favore dei procuratori degli attori, antistatali, dei restanti due terzi delle spese, che si liquidano equitativamente, in difetto di nota, a parziale compensazione già operata, in Euro 3.200,00 per onorari, Euro 1.800,00 per diritti, oltre spese generali, iva e cpa, ed esborsi per Euro 400,00.
Così deciso in data 19 giugno 2007 dal TRIBUNALE CIVILE DI BOLOGNA.