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Il mandatario acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, i quali non hanno alcun rapporto con il mandante

Le norme in tema di mandato senza rappresentanza debbono essere interpretate nel senso che esse dettano una regola generale, secondo la quale il mandatario acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, i quali non hanno alcun rapporto con il mandante. Devono considerarsi eccezionali quelle disposizioni che, in deroga a tale regola, stabiliscano una sorte diversa, imperniata sulla reclamabilità del diritto da parte del mandante. L'espressione diritti di credito di cui all'articolo 1705 comma 2, del Cc va, pertanto, rigorosamente circoscritta all'esercizio dei diritti sostanziali acquistati dal mandatario, con conseguente esclusione delle azioni poste a loro tutela (annullamento, risoluzione, rescissione e risarcimento). Corte di Cassazione Sezioni Unite Civile, Sentenza del 8 ottobre 2008, n. 24772)



- Leggi la sentenza integrale -

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARBONE Vincenzo - Primo Presidente

Dott. VELLA Antonio - Presidente di sezione

Dott. TRIOLA Roberto Michele - Consigliere

Dott. CICALA Mario - Consigliere

Dott. FINOCCHIARO Mario - Consigliere

Dott. SALVAGO Salvatore - Consigliere

Dott. AMATUCCI Alfonso - Consigliere

Dott. TRAVAGLINO Giacomo - rel. Consigliere

Dott. TIRELLI Francesco - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

PA. GI., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA GALERIA 17, presso lo studio dell'avvocato TODARO Antoniofranco, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato PAOLO RIVA, giusta delega in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

FALLIMENTO DI SA. ED., in persona del curatore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA DELLA MARINA 1, presso lo studio dell'avvocato LONGO Lucio Filippo, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato ANDREA MARCINKIEWICZ, giusta delega a margine del controricorso;

- controricorrente -

e contro

LA. PR. SRL;

- intimata -

avverso la sentenza n. 1503/02 della Corte d'Appello di MILANO, depositata il 07/06/02;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 10/06/08 dal Consigliere Dott. Giacomo TRAVAGLINO;

udito l'Avvocato Lucio Filippo LONGO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARTONE Antonio, che ha concluso che venga affermato che ai sensi dell'articolo 1705 c.c., comma 2, il mandante, sostituendosi al mandatario, puo' esercitare soltanto i diritti di credito e non anche le azioni contrattuali quali ad esempio la risoluzione o l'annullamento; con conseguente rigetto del secondo motivo del ricorso; chiede anche il rigetto del quinto motivo sostenendo che l'azione di arricchimento senza causa e' esperibile soltanto nei confronti del soggetto con il quale si e' avuto un rapporto diretto in base a un nesso di causalita' tra arricchimento dell'uno e impoverimento dell'altro.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La s.r.l. La. Pr., nel convenire in giudizio dinanzi al tribunale di Como Sa.Ed., espose che, nel maggio del 1989, aveva stipulato con quest'ultimo (oltre che con la costituenda societa' immobiliare " An. de. Pa. ") un preliminare di vendita di edificio da ristrutturare, contratto poi risoltosi, a seguito dell'inadempimento parziale del promissario acquirente (dopo un iniziale versamento della somma di circa lire 162 milioni), per effetto di espressa clausola risolutiva.

Il giudice di primo grado, nel pronunciarsi sulla domanda promossa dall'attrice (diretta ad ottenere il pagamento di una somma a titolo di penale, di anticipo fatture e di risarcimento danni) dopo che Pa.Gi. - nella qualita' di soggetto finanziatore dell'acquisto e della ristrutturazione dell'immobile - aveva spiegato intervento in causa, la rigetto', accogliendo invece quella riconvenzionale del Sa., volta ad ottenere la restituzione delle somme da lui versate in conto prezzo. Il giudice comasco accogliera' altresi' una delle domande proposte dal Pa., quella contro il Sa. - condannato a corrispondere all'interveniente la somma di circa lire 200 milioni, a titolo di restituzione delle somme anticipate per l'acquisto dell'immobile - rigettando pero' quella avanzata nei confronti della La., rilevando, nella specie, la inconfigurabilita' di un rapporto diretto tra le parti (il Pa. doveva, difatti, qualificarsi mandante del Sa. ex articolo 1703 c.c. e segg., in mancanza di qualsivoglia contemplatio domini spesa dal mandatario nello svolgimento delle attivita' negoziali con la societa' terza).

La sentenza fu impugnata da Pa.Gi..

La Corte di Appello di Milano, nel rigettarne il gravame (salva riforma della disciplina delle spese processuali), osservo', per quanto ancora rileva nel presente giudizio di legittimita':

1) che, pur avendo il Sa. stipulato il preliminare di compravendita su mandato del Pa. (che si era conseguentemente obbligato a fornirgli i necessari capitali), il nome del mandante non era mai stato speso con il terzo contraente;

2) che, conseguentemente, dalla stipula del preliminare di vendita potevano derivare effetti in capo al solo mandatario, giusta disposto dell'articolo 1705 c.c., comma 1, essendosi in concreto realizzata la fattispecie dell'interposizione reale di persona, impeditiva tout court dell'insorgere di un rapporto negoziale diretto tra la La. e il Pa.;

3) che all'inadempimento dell'obbligazione di pagamento di due rate di prezzo da parte del promissario acquirente non poteva che conseguire la risoluzione del contratto; ne' il Pa. aveva provato il pur lamentato accordo fraudolento tra il Sa. e la La. (al di la' dell'assoluta assenza di motivazioni circa il favor per lui scaturente sul piano delle conseguenze giuridiche in ipotesi di efficace demonstratio di tale, presunta collusione ai suoi danni);

4) che, nella specie, non era legittimamente predicabile l'applicazione del disposto di cui all'articolo 1705 c.c., comma 2, posto che il Sa., chiedendo la condanna della La. alla restituzione delle somme corrisposte, non aveva agito per conseguire il soddisfacimento dei crediti sorti in suo favore in dipendenza delle obbligazioni assunte dal terzo con la stipula del contratto, ma aveva esercitato un'azione nascente dal contratto preliminare di vendita, alla quale il Pa. non era legittimato;

5) che, in punto di diritto, soltanto il mandatario, e non anche il mandante, poteva ritenersi investito dello status di legittimato passivo rispetto all'azione di risoluzione del contratto esperita dal terzo - e, di conseguenza, della speculare legittimazione attiva all'azione di restituzione delle somme versate in caso di accoglimento della domanda di risoluzione;

6) che, infine, il richiamo alla normativa dell'arricchimento senza causa era infondato poiche' non applicabile alla vicenda processuale in esame, riguardante, all'evidenza, una fattispecie di arricchimento c.d. "indiretto".

Il ricorso per cassazione con il quale la sentenza della Corte Territoriale e' stata ancora impugnata da Pa.Gi. e' sorretto da 6 motivi di gravame.

La curatela del fallimento Sa. (procedura instaurata nelle more del giudizio) ha resistito con controricorso, illustrato da memoria.

La s.r.l. La. non ha svolto attivita' difensiva in sede di legittimita'.

L'esame del ricorso e' stato rimesso a queste sezioni unite dal Primo Presidente a seguito di ordinanza interlocutoria della 2 sezione (provvedimento n. 4027/07, depositato il 21.2.2007), all'esito di un ravvisato, duplice contrasto di giurisprudenza: il primo, in ordine alla questione dei limiti del potere di sostituzione del mandante, se cioe' questi possa esercitare o meno i diritti di credito derivanti al mandatario dalla esecuzione del mandato, ivi ricomprese le azioni contrattuali (e tra esse, in particolare, l'azione di risoluzione per inadempimento e di risarcimento danni; il secondo, sul tema dei limiti dell'azione di arricchimento, se, cioe', essa possa essere esperita indipendentemente dalla circostanza che i fini al cui perseguimento la prestazione risulti diretta siano stati realizzati da un soggetto diverso da quello cui la medesima prestazione era ab origine destinata e che, di essa, non abbia direttamente beneficiato.

Le questioni dianzi indicate risultano rispettivamente oggetto del secondo e del quinto motivo di ricorso.

IN DIRITTO

1) GLI ASPETTI FUNZIONALI DEL MANDATO.

Con il secondo motivo di ricorso, come gia' anticipato in narrativa, la difesa di Pa.Gi. denuncia testualmente: violazione e falsa applicazione di norme di diritto (articolo 1705 c.c., comma 2; articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5) in relazione alla domanda con la quale si era chiesto che la La. Pr. venisse condannata a restituire le somme relative agli acconti rateali pagati con gli assegni emessi dal Pa. direttamente a favore del Pa. e non del Sa..

Il motivo (espressamente subordinato al rigetto del primo mezzo di doglianza, peraltro destinato a cadere sotto la scure della inammissibilita', come in seguito meglio si specifichera') non puo' essere accolto.

Alla decisione del caso di specie, e alla conseguente composizione del segnalato contrasto, va premesso, in consonanza con quanto rilevato dal collegio remittente della seconda sezione di questa corte, come, nel tempo, si siano formati, in subiecta materia, due contrapposti orientamenti giurisprudenziali:

- alla stregua del primo di essi, la disposizione di cui all'articolo 1705 cod. civ., comma 2, prima parte, andrebbe interpretata - per ragioni di tutela dell'interesse del mandante - in guisa di eccezione al principio generale, di cui al comma 1 del medesimo articolo, secondo cui il mandatario che agisce in nome proprio acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato. La disposizione del comma 2, pertanto, attesone il carattere eccezionale e in forza del chiaro tenore dell'espressione diritti di credito derivanti dall'esercizio del mandato, sarebbe rigorosamente limitata alla facolta' di esercizio, da parte del mandante, dei soli diritti (sostanziali) di credito derivanti al mandatario dalla esecuzione dell'incarico gestorio, con esclusione della possibilita' di esperire, contro il terzo, le relative azioni contrattuali (in tal senso vengono citate le pronunce di cui a Cass. n. 1312 del 21.1.2005; n. 11118 del 5.11.1998, cui piu' di recente si sono conformate Cass. n. 18512 del 25.8.2006 e Cass. n. 13375 dell'8.6.2007 - la quale ha negato al mandante, in particolare, la possibilita' di esperire contro il terzo l'azione di risarcimento dei danni);

- secondo altro, contrapposto indirizzo (manifestatosi con le sentenze di cui a Cass. n. 11014 del 10.6.2004 e n. 7820 del 10.8.1998, secondo quanto ancora rilevato dall'ordinanza di rimessione), il mandante, per ragioni di tutela del proprio interesse, potrebbe viceversa agire direttamente in giudizio per il soddisfacimento del credito, anche se derivante da un contratto stipulato dal mandatario senza rappresentanza (dalla motivazione della prima delle pronunce citate si evince che la Corte ha in quel caso confermato la sussistenza della legittimazione ad agire di una parte, definita mandante, che aveva esercitato il diritto del locatore al risarcimento del danno ex articolo 1588 cod. civ.). In particolare, le sentenze predicative della legittimita' del potere del mandante di esercitare tutte le azioni scaturenti dal contratto di mandato (specie quelle relativa al contratto di leasing, come di recente affermato da Cass. n. 17145 del 27.7.2006) ne ricostruiscono il diritto a far propri, in via diretta, di fronte ai terzi, i diritti di credito sorti in testa al mandatario non in termini di eccezione alla regola, ma come conseguenza del suo integrale subingresso nella posizione contrattuale del mandatario, merce una vera e propria modificazione soggettiva del rapporto.

E' convincimento di queste sezioni unite che il primo, piu' restrittivo orientamento meriti conferma, con le precisazioni che di qui a breve seguiranno.

1.1 - Analisi, della giurisprudenza di legittimita': l'orientamento maggioritario.

In ragione dell'epoca (assai risalente) a partire dalla quale si dipana il contrasto, non sembra un fuor d'opera procedere ad una puntuale disamina delle originarie posizioni assunte dalla giurisprudenza, onde definire con certezza le linee di divaricazione tra i due orientamenti, le sottostanti motivazioni, gli attuali riflessi operativi.

Giovera' allora riprendere in sintesi i passi delle pronunzie che hanno maggiormente approfondito il tema (tralasciando i numerosi altri precedenti che, in epoca remota e non, si siano limitati a richiamare posizioni gia' acquisite, senza apportare alcun utile contributo ermeneutico all'approfondimento del problema), Cass. 11118/98 cosi' riassume, con indubbia efficacia, la questione di diritto ancor oggi dibattuta: "la disposizione del comma 2 - prima parte dell'articolo 1705 c.c., introduce, per ragioni di tutela dell'interesse del mandante, una eccezione al fondamentale principio di cui sopra enunciato nel comma 1 dell'articolo per il quale il mandatario che agisce in nome proprio acquista i diritti ed assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato, consentendo al mandante di esercitare i diritti di credito derivanti al mandatario dall'esecuzione del mandato.

Deve trattarsi di diritti che scaturiscono direttamente dal rapporto obbligatorio posto in essere dal mandatario nell'esplicazione dell'attivita' per conto del mandante; questi puo' agire contro il terzo in sostituzione del mandatario esclusivamente per esercitare tali diritti e cioe' per conseguire il soddisfacimento dei crediti sorti a favore del mandatario in dipendenza delle obbligazioni assunte dal terzo con la conclusione del contratto.

La natura eccezionale della norma, le finalita' di tutela del mandante, l'inequivocita' della espressione "diritti di credito derivanti dall'esercizio del mandato" inducono ad escludere, al di fuori dell'azione diretta al soddisfacimento di detti crediti, che il mandante possa esperire contro il terzo le azioni da contratto e, in particolare, com'e' avvenuto nella specie, quelle di risoluzione per inadempimento e di risarcimento dei danni; opinando diversamente la regola generale sancita dallo stesso articolo 1705 c.c., resterebbe svuotata di contenuto.

Cass. 2105/76, in motivazione, coglie lucidamente l'essenza della tesi maggioritaria, osservando che l'articolo 1705 c.c., comma 2, "concerie il subingresso nel credito e non genericamente nei rapporti giuridici e non elimina la distinzione tra la posizione del mandante e del mandatario: si vuole evitare, nell'ambito delle vicende successive alla conclusione del negozio tra mandatario e terzo, che il dominus, per conseguire gli effetti utili della gestione svolta per suo conto, debba necessariamente agire tramite l'intermediazione del mandatario".

Cass. 879/65 escludera', a sua volta, che l'azione ex articolo 1705 c.c., comma 2, abbia natura surrogatoria, aderendo all'indirizzo adottato dalla risalente Cass. 2082/50, secondo cui l'azione del mandante, di natura diretta, andava esaminata in combinato con l'articolo 1713 c.c. (predicativo dell'obbligo del mandatario "di rimettere al mandante cio' che ha ricevuto a causa del mandato"), con la conseguenza che, del patrimonio del mandante, entra far parte un diritto di credito avente contenuto identico a quello vantato dal mandatario verso il terzo.

Infine, l'approfondita motivazione della sentenza di cui a Cass. 2877/76 muove dalla configurazione del mandato quale fattispecie di interposizione gestoria in cui gli effetti del negozio sono limitati alla persona interposta, pur dovendo essere riversati a fine gestione sulla persona interessata. Consegue che il terzo non entra in rapporto con il mandante, che non ha alcuna azione da contratto contro di lui, ma solo una tutela limitata ai crediti scaturenti dalla gestione del mandatario". Pertanto, all'infuori di tale sostituzione per la tutela di singoli diritti di credito, il mandante non puo' pretendere che il terzo lo riconosca soggetto interessato al buon fine contrattuale, giacche', in sede di conclusione e di esecuzione del contratto, l'interesse del mandante non viene in considerazione, ne' il terzo contraente deve tenerne conto in relazione ai suoi doveri di correttezza e di buona fede, dato che l'allenita dell'affare, anche se conosciuta e riconoscibile, non ha alcuna rilevanza per il terzo, il quale ha diritto di non avere di fronte a se' altro soggetto che il mandatario, quale parte del contratto in capo a cui si producono gli effetti giuridici di questo. In senso affatto speculare, si precisera' poi che neppure il mandatario puo' esigere che la controparte tenga conto dell'interesse del mandante, sicche', in caso di inadempimento da parte del terso contraente, costui non e' tenuto ad addossarsi le conseguenze della lesione dell'interesse del mandante prodotta dall'inadempimento, altrimenti si darebbe rilievo all'interesse del mandante, snaturando l'essenza del mandato senza rappresentanza, la cui natura esclude questo rapporto diretto. Non e' dunque ammissibile che il mandatario possa chiedere al terzo inadempiente il risarcimento dei danni costituiti dalla lesione dell'interesse del mandante, a meno che tale lesione non si traduca in una lesione dell'interesse proprio del mandatario, in coerenza con la facolta' di esercizio dell'azione diretta per i diritti di credito sorti a favore del mandatario in dipendenza delle obbligazioni assunte dal terzo con la conclusione del contratto cui l'articolo 1705 c.c., fa espresso riferimento ponendo l'eccezione rispetto alla regola generale. Il mandante, si conclude, non puo' dunque sperimentare contro il terzo le azioni da contratto, ed in particolare quelle di risoluzione e di risarcimento dei danni, perche' altrimenti la regola di cui al comma 2, della norma citata resterebbe svuotata di contenuto (richiamandosi espressamente a questi principi, Cass. 1312/05, relativa a fattispecie di risarcimento danni da trasporto marittimo in cui era stata negata al mandante-mittente la facolta' di agire per il risarcimento dei danni nei confronti del vettore terzo, riaffermera' la bonta' dell'interpretazione dominante, e la conseguente immunita' da vizi di costituzionalita' sotto il profilo dell'irragionevolezza, in quanto la previsione dell'articolo 1705 cod. civ., e' diretta ad ampliare la tutela del mandante, attribuendogli anche una legittimazione diretta nei confronti del terzo contraente, ferma restando la possibilita' di agire nei confronti del mandatario - nella specie, il mandatario spedizioniere -, tenuto ad eseguire il mandato con la diligenza del buon padre di famiglia).

1.2 - L'orientamento minoritario.

Premesso che nella poc'anzi ricordata sentenza del 11118/98 e' inesattamente citata, come aderente alla tesi restrittiva e maggioritaria, la pronuncia di cui a Cass. 2714/64 (che, letta integralmente, va viceversa collocata in seno all'opposto indirizzo, poiche' ricollega all'iniziativa del mandante di sostituirsi al mandatario una modificazione soggettiva del rapporto che escluderebbe ogni relazione tra terzo e mandatario e consentirebbe al terzo contraente di agire contro il mandante per l'adempimento di ogni obbligazione nascente dal negozio e per ogni altra azione derivante dalla conclusione dello stesso), va ribadito come entrambe le pronunce gia' indicate come predicative dell'indirizzo minoritario (Cass. 17145/06 e Cass. 11014/04) non risultino in realta' sorrette da adeguate motivazioni funzionali a legittimare l'interpretazione meno restrittiva dell'articolo 1705 c.c., al pari della pronuncia di cui a Cass. 7820/98, che riafferma, sic et simpliciter, la legittimazione del mandante ad interferire ex articolo 1705 c.c., nel rapporto tra mandatario senza rappresentanza e terzo.

Ampiamente approfondito appare, viceversa, l'impianto motivazionale della pronuncia di cui a Cass. n. 92 del 13.1.1990. Sulla premessa per la quale il problema centrale da risolvere non e' quello, di carattere generale, se la facolta' legislativamente attribuita al mandante di esercitare, in sostituzione del mandatario, i diritti di credito derivanti dalla esecuzione del mandato comporti anche la legittimazione attiva del mandante ad agire contro il terzo contraente, e passiva a resistere alla domanda del terzo contraente in ordine ad azioni di annullamento, di risoluzione o rescissione del contratto, la sentenza ritiene decisiva la ben piu' limitata questione di stabilire se, una volta che il mandante abbia effettivamente esercitato nei confronti del terzo contraente i diritti di credito sorti in esito all'attivita' del mandatario, a quest'ultimo sostituendosi nell'esecuzione dell'affare, venga a configurarsi una modificazione soggettiva in forza della quale il terzo possa, a sua volta, rivolgersi direttamente contro il mandante in esercizio di ogni azione derivante dalla conclusione del contratto, o quanto meno per l'adempimento delle obbligazioni nascenti dal negozio gestorio in corrispondenza ai diritti che verso di lui il mandante ha fatto valere. La pronuncia adottera' questo secondo orientamento giurisprudenziale non senza aver ricostruito alcuni snodi essenziali dell'istituto, specificando, in particolare, che il diritto di credito viene fatto valere dal mandante come titolare di esso e non gia' utendo juribus del mandatario, cosi' che la sostituzione, una volta fruttuosamente sperimentata, conduce a conseguenze ben piu' incisive di quelle normalmente riconducibili ad ogni altra ipotesi (articolo 1595 c.c., comma 1; articolo 1676 c.c., articolo 1911 c.c., comma 2, articolo 2867 cod. civ.) in cui e' concessa azione ad un soggetto per conseguire da un terzo, cui non e' legato da alcun rapporto obbligatorio, cio' che avrebbe potuto ottenere dal proprio debitore a sua volta creditore del terzo. Ecco che le finalita' perseguite dall'abilitazione eccezionale concessa al mandante dall'articolo 1705 c.c., devono allora essere individuate anche in correlazione con i risultati finali perseguiti attraverso il meccanismo gestorio, funzionali a consentire al mandante venditore di conseguire il prezzo e al terzo di acquistare il bene tramite il passaggio del bene e del corrispettivo attraverso il mandatario (e in questo quadro, secondo quanto gia' opinato da Cass. 90/92, la richiesta e la esazione diretta, da parte del mandante venditore, del prezzo della compravendita, per come consentiti dalla norma in esame, erano destinate a svolgere una funzione acceleratoria e semplificatoria della conduzione a buon fine dell'affare, nel senso di rendere superfluo il doppio trasferimento, con convergente vantaggio per il terzo e per il mandante, salvo pregiudizio dei diritti del mandatario).

La modificazione soggettiva del rapporto assume allora (come gia' rilevato anche da Cass. n. 1306 del 1969) valenza giuridica prima ancora che economica, nel senso che, per effetto della sostituzione del mandante al mandatario, quest'ultimo resta escluso dal rapporto negoziale e, come non ha piu' veste per richiedere al terzo l'adempimento della prestazione promessa, e cioe' il versamento del prezzo, cosi' non ha piu' titolo per resistere alla richiesta avanzata dal terzo che, assolto il suo debito, reclami la controprestazione e cioe' il trasferimento della titolarita' del bene, oppure la restituzione del prezzo, se quel trasferimento non sia piu' possibile. La tesi adottata dalle pronunce in esame e', dunque, in punto di diritto, quella che potrebbe oggi definirsi "della efficacia espansiva del disvelamento del mandante", espansione tale da comportare un esaurimento dei compiti gestori del mandatario, con conseguente negazione della dichiarata eccezionalita' del meccanismo sostitutivo previsto dall'articolo 1705 c.c., comma 2 (eccezionalita' ravvisata, come gia' evidenziato, nella limitazione dell'ingerenza del mandante, fermo il ruolo del mandatario per ogni altro aspetto).

Dal suo canto, Cass. n. 3626/80, nell'identificare e tratteggiare una peculiare fattispecie di mandato senza rappresentanza, descrive il potere del mandante di agire in giudizio per i diritti di credito come "un temperamento" dei poteri/doveri incombenti sul mandatario, con conseguente modificazione soggettiva del rapporto, annoverando, tra i diritti di credito azionabili in forza dell'articolo 1705 c.c., comma 2, anche quello al diniego della proroga legale per propria necessita', dacche' l'espressione "diritti di credito" esprime i diritti nascenti da un rapporto obbligatorio in contrapposizione ai diritti reali, contrapposizione ben chiara al legislatore che, per l'ipotesi parallela di azione di rivendica da parte del mandante, ha previsto una diversa norma, l'articolo 1706 c.c., comma 1. Cosi', se il binomio prefigurato dal legislatore e' quello diritti di credito/diritti reali, la prima delle due nozioni concerne qualsivoglia categoria di diritti derivanti da un rapporto obbligatorio posto in essere dal mandatario (in tali sensi, e in un lontano passato, gia' Cass. 2 agosto 1955 n. 2504).

1.3 - Le posizioni della dottrina.

Nell'intendimento di dare continuita' ad un recente indirizzo accolto da queste sezioni unite, che, in numerose pronunce, hanno esaminato, dato conto e sovente fatte proprie non poche riflessioni della migliore dottrina giuscivilistica italiana, in un fecondo e sempre piu' intenso rapporto di sinergia di pensiero destinato a tradursi in diritto vivente, sembra opportuno procedere ad una (sia pur sintetica e inevitabilmente incompleta) analisi delle posizioni espresse, nel tempo, dagli autori che si sono occupati funditus della complessa tematica relativa agli aspetti funzionali ed effettuali del contratto di mandato.

a) La dottrina italiana si e' appassionata al tema sin dall'entrata in vigore del codice, e, in un primo approccio al peculiare meccanismo funzionale di cui all'articolo 1705 c.c., comma 2 (che gli autori classici non a torto definirono "assai oscuro"), ritenne inaccettabile l'opinione - espressa dal guardasigilli nella Relazione al codice - secondo cui l'articolo 1705 c.c., comma 2 e l'articolo 1707 c.c., prima parte, attribuivano al mandante un'azione in via diretta contro il terzo contraente, ravvisandovi piuttosto (salva l'assenza del requisito della trascuratezza da parte del mandatario) gli estremi dall'azione surrogatoria, fondata sulla titolarita' sostanziale del credito in capo al mandatario, mentre il mandante, sostituendovisi, eserciterebbe pur sempre un diritto altrui.

La tesi dell'azione surrogatoria incontro', peraltro, illustri oppositori, proprio per la mancanza di un requisito essenziale della fattispecie (la trascuratezza da parte del mandatario), e lascio' spazio a quella della generica legittimazione ad agire riconosciuta al mandante in luogo del mandatario (che non priverebbe quest'ultimo della titolarita' dei diritti di credito e non trasformerebbe il mandante in un diretto debitore del terzo contraente, salva la possibilita' di costui, ove convenuto in giudizio, di agire in via riconvenzionale nei confronti del mandante stesso).

La difficolta' dell'inquadramento teorico del potere di sostituzione del mandante emergera', in tutta la sua portata, tra la fine degli anni â€Ü50 e gli anni â€Ü60, ad opera di un autore che tante pagine ha dedicato allo studio della rappresentanza. Sulla premessa per cui l'espressione sostituendosi al mandatario sarebbe ingannevole, inducendo l'idea di uno dei protagonisti della vicenda negoziale che entra inopinatamente in possesso di quanto e' dell'altro, si fa strada il fondamentale rilievo di una sostituzione destinata ad attivarsi soltanto nell'esercizio del diritto, in nome e nell'interesse proprio: l'iniziativa del mandante non darebbe luogo, cosi', ad atti costituenti cause o titoli dell'acquisto, perche' l'effetto traslativo viene presupposto come gia' effettuato, in forza di una efficacia (non diretta ma) automatica dell'acquisto da parte del mandante dei beni o dei crediti acquisiti dal mandatario (che "acquista e perde" al tempo stesso), producendo un'espansione del rapporto di gestione analoga a quella che, nella rappresentanza diretta, si verifica per effetto della contemplano domini, cioe' con l'agire in nome altrui. La differenza tra mandato con rappresentanza e mandato senza rappresentanza consisterebbe, allora, nel fatto che solo in questo secondo caso il mandatario resta obbligato, e "contemporaneamente" acquisterebbero sia il mandatario che il mandante.

Gli studi della dottrina contrari alla ricostruzione della facultas agendi del mandante ex articolo 1705 c.c., comma 2, in termini di azione diretta proseguiranno, pervenendo, dopo accurate analisi, ad ammettere che la funzione del mandato senza rappresentanza si sostanzierebbe nel riconoscere al mandante il potere di appropriarsi della titolarita' dei crediti sulla base di una cessio legis, cessione, cioe', di fonte legale, ma rimessa all'iniziativa dell'interessato: un diritto potestativo alla surrogazione, dunque, merce il quale il mandante subentra nella titolarita' del credito del mandatario. La principale obiezione mossa a tale tesi - quella per cui il disposto della prima parte dell'articolo 1705 c.c., comma 2, predicando il generale principio che i terzi non hanno alcun rapporto con il mandante, sicche' i due rapporti non possono confluire in uno, non ammette in alcun modo e sotto nessuna forma una successione di soggetti - indusse, peraltro, a riconoscere che, della sostituzione, non si potessero predicare letture in chiave traslativa, dovendo essa ricondursi piuttosto ad un peculiare mezzo di tutela del mandante.

Negli anni â€Ü80, gli autori piu' avvertiti non si nasconderanno che, della fattispecie, molteplici apparivano, sul piano concettuale, le possibilita' ricostruttive. L'attenzione si sposta, cosi', dall'aspetto genetico/morfologico a quello (storico e) funzionale dell'istituto, onde indagare funditus sulle ragioni ispiratrici della norma, identificate in quelle "di garantire tutela all'interesse del mandante alla segretezza verso i terzi e per altro verso quella di assicurare al mandante una sostituzione da parte del mandatario anche nella fase di esecuzione del negozio gestorio": si spiegherebbe, cosi', la ratio della disposizione legislativa che lascia all'iniziativa del mandante la scelta se rivelarsi o meno ai terzi mediante la sostituzione ex articolo 1705 cpv. c.c., proteggendolo, inoltre, dal rischio di eventuali abusi o infedelta' del mandatario (risultato conseguibile, peraltro, privando il mandatario della legittimazione a ricevere il pagamento non appena il mandante opera la sostituzione).

Alla luce del carattere eventuale dell'acquisto del credito verso il terzo da parte del mandante e del valore programmatico del mandato, questa attenta dottrina esclude ogni ipotesi di effetto traslativo immediato del credito in favore del mandante, discorrendo espressamente di condicio iuris meramente potestativa inerente al mandato (tanto che il mandatario, in difetto di relevatio del mandante, rimarrebbe tenuto ad esercitare il credito nei confronti del terzo e a rimettere al mandante la prestazione ricevuta). La sostituzione sarebbe quindi, da un lato, avveramento della condizione sospensiva, dall'altro, formalita' equivalente alla notificazione della cessione al debitore ceduto, secondo il paradigma, esportabile in parte qua alla fattispecie, dell'articolo 1264 c.c., comma 1.

b) Altrettanto nutrita appare, dal suo canto, la corrente dottrinale, cui ha inteso in larga misura aderire la stessa giurisprudenza di questa corte, che qualifica l'azione del mandante come azione diretta.

Gia' nei primi anni â€Ü50 si sostenne che il legislatore, con la previsione di cui all'articolo 1705 c.c., comma 2, aveva preferito al meccanismo della surrogazione legale quello dell'azione diretta, onde consentire al mandante di appropriarsi dei crediti in speculare simmetria con l'azione di revindica di cui al successivo articolo 1706 c.c..

Non si e' mancato di rilevare, in seguito, come il maggior pregio di tale teoria consista indiscutibilmente nel contemperare il principio sancito nell'articolo 1705 c.c., comma 1, con quello della inidoneita' del mandato come titolo traslativo del dominium, pur nel riconoscimento di una circoscritta efficacia esterna del rapporto gestorio, nei limiti in cui esso, peraltro, non pregiudichi gli interessi legittimi dei terzi (che solo accidentalmente, ma comunque ininfluentemente, possono essere a conoscenza di detto rapporto).

La dottrina che, in seguito, approfondira' il tema dell'azione diretta si mostra incline a equipararla alle simmetriche azioni regolate dagli articoli 1595, 1676 e 2867 c.c.. Anche per tali autori e' lecito discorrere di trasferimento automatico, dal terzo al mandante, della titolarita' dei diritti acquistati dal mandatario in nome proprio, cosi' che l'attivita' del mandante ex articolo 1705 c.c., risulterebbe esercizio di questo diritto gia' acquistato, secondo alcuni addirittura merce il ricorso ad una lettura in chiave consensualistica dell'istituto (il riferimento e' all'articolo 1376 cod. civ., nel senso che, come le parti possono consensualmente trasferire un diritto, cosi' possono, d'accordo, determinarne a priori lo "spostamento" da una sfera giuridica ad un'altra, attribuendosi, in definitiva, all'atto di sostituzione la funzione di vera e propria notifica della titolarita' del credito).

Sempre nell'orbita degli studi sull'azione diretta, piu' di recente si osservera' ancora che, limitando il campo di indagine alla sola esigenza di individuare la titolarita' formale del diritto acquistato, non si coglie il peculiare aspetto dinamico dell'intera fattispecie, mentre, ricostruendone i tratti essenziali con riferimento all'interesse sottostante, che e' quello del mandante, si perviene invece ad evidenziare che e' l'interesse alieno a qualificare la gestione dell'interposto, trascendendo il rapporto interno per assumere contestuale rilevanza esterna: stabilire allora se l'acquisto del mandante e' diretto, senza alcun contemporaneo acquisto del mandatario, ovvero automatico, previa acquisizione della titolarita' del diritto da parte del mandatario, sarebbe "una sfumatura" che non coglie il cambiamento che si attua nella posizione del mandatario allorche' agisce in nome proprio. Quest'ultimo si colloca, difatti, in una posizione "di vantaggio ex lege", che si esplica, in caso di acquisto di beni mobili, attraverso la facolta' di esercizio delle azioni possessorie e di quelle a difesa della proprieta', salvo il coordinamento con l'esercizio ex articolo 1706 c.c., da parte del mandante), ed un potere di esercitare i diritti di credito identico a quello che secondo l'articolo 1705 c.c., comma 2, il mandante vanta a sua volta, e) L'interesse per la questione non si attenua negli anni â€Ü90, merce il contributo di autori che, ciascuno seguendo una propria autonoma linea di pensiero, riterranno (quantomeno) non del tutto convincente la teoria dell'azione diretta.

Si afferma, cosi', da un canto, che l'intima ratio della facolta' di cui al 1705 c.c., comma 2 - la cui funzione consiste nell'attribuire al mandante un rimedio idoneo all'emanazione di una sentenza che trasferisca a suo favore il credito appartenente al debitore principale - conduce alla conclusione che, pur mancando una "immediatezza di contatto" tra mandante e terzo, l'eccezionale forma di sostituzione in parola non potrebbe da sola giustificare una eteromodificazione di un contratto rispetto a cui il mandante continua ad essere terzo (cosi' ripudiandosi la tesi della modifica ex lege del contratto come conseguenza della mera esteriorizzazione del rapporto interno mandante-mandatario, con la conseguente ipotesi di annettere alla esteriorizzazione del mandante il solo risultato di attribuire al debitore un nuovo avente titolo al pagamento, in concorso con il precedente destinatario); dall'altro, che la titolarita' dei crediti resta ferma in testa al mandatario mentre, con la sostituzione nell'esercizio del suo diritto, il mandatario perde la sua originaria legittimazione, senza che il mandante possa avere azione diretta, perche' non diventa parte contraente del rapporto gestorio; dall'altro ancora previa individuazione di tre posizioni relative all'oggetto della sostituzione (quella che contempla la sostituzione in tutte le posizioni attive e passive facenti capo al mandatario - come opinato da Cass. n. 92 del 1990 -; quella che implica sostituzione nei soli diritti di credito - cosi' Cass. n. 11118 del 1998 -; quella che comprende nella facolta' di sostituzione i poteri contrattuali di annullamento, risoluzione, rescissione), che il criterio di selezione gravita' intorno alla natura del diritto, con conseguente estensione della sostituzione a tutti i diritti di natura patrimoniale, purche' non personali (azionabili merce il ricorso all'azione surrogatoria di cui all'articolo 2900), anche se - si soggiunge - la conclusione dovrebbe essere diversa per l'azione di risarcimento dei danni, "perche' la sostituzione del mandante non influirebbe in alcun modo sulla dinamica del rapporto contrattuale in vita tra il mandatario e il terzo" (con la fondamentale precisazione secondo cui il mandante potrebbe richiedere a titolo risarcitorio non il danno da lui medesimo risentito, ma quello sofferto dal mandatario, perche' "il mandante non e' controparte del terzo e quest'ultimo non puo' essere costretto a rifondere le perdite di estranei").

d) La disamina delle posizioni assunte dalla giuscivilistica italiana non puo', infine, prescindere dalle lucide riflessioni di un autore prematuramente scomparso, autorevole esponente della scuola messinese degli anni â€Ü60, che piu' di tutti ha approfondito il tema del mandato nell'ottica (di ben piu' ampio e affascinante respiro) della cooperazione nell'attivita' negoziale nelle varie forme di attivita' svolte nell'interesse altrui.

Premessa una (ancor oggi attuale e condivisibile) denuncia dell'incapacita', da parte della dottrina e della giurisprudenza, di liberarsi di alcune "abitudini mentali della dogmatica europea", tra le quali l'idea, palpabile in tema di mandato, che il diritto soggettivo costituisca un'entita' reale, quasi corporea, che esiste in concreto nel mondo della fenomenologia giuridica, l'autore accentra inizialmente la sua attenzione sul fenomeno della dissociazione fra il soggetto dell'atto e il soggetto dell'interesse, qualificandolo come carattere connaturato a tutte le attivita' interpositorie (ivi compresa quella c.d. "fittizia", che viene coerentemente - e forse non incondivisibilmente - estrapolata dall'alveo della simulazione). Si critica poi l'adozione del criterio formale della spendita del nome come chiave selettiva dell'effetto del trasferimento diretto dal terzo al titolare dell'interesse, qualificando, viceversa, proprio il criterio sostanziale della titolarita' dell'interesse come idoneo a fondare il meccanismo effettuale (e precisando che l'adozione di un criterio formale comporterebbe non pochi interrogativi in ordine all'elemento causale dell'atto compiuto dall'interposto). Viene poi rappresentata la necessita' di analizzare, oltre all'aspetto strutturale, il meccanismo funzionale della fattispecie interpositoria, senza aver riguardo al sottostante rapporto di cooperazione, che diviene allora lo scopo pratico (e giuridico) del procedimento di interposizione, attribuendo all'interposto la qualita' di titolare di un diritto nell'interesse altrui, e si evidenzia ancora come la "titolarita'" in capo all'interposto sia diversa da qualsiasi altra forma di titolarita' del diritto, atteso che, nella specie, si assiste ad un pressoche' totale svuotamento del contenuto del diritto soggettivo, sotto il profilo economico (l'interesse) e giuridico (la facolta' di goderne e di disporne). Si delinea con sempre maggiore chiarezza la precarieta' della figura dell'interposto (che, a tutto concedere, assume il carattere della temporaneita' senza alcuna possibilita' nemmeno ipotetica di consolidazione della situazione di diritto, salvo agire contra mandatum), e con essa la necessita' di trasformare la (non predicabile) titolarita' del mandatario in mera legittimazione (diversamente da quella riconosciuta al fiduciario, che acquista la titolarita' piena e non soltanto formale sul bene). Il problema del fatto costitutivo dell'effetto traslativo viene poi risolto facendo ricorso al concetto di fattispecie complessa, caratterizzata da una sua causa concreta, costituita dalla sinergia mandato+negozio stipulato con il terzo dal mandatario, dove il mandato, oltre agli effetti obbligatori suoi propri inter partes, spiega, in combinazione con il successivo negozio, altresi' un effetto reale sotto il profilo della immediata produzione dell'effetto traslativo in capo al mandante. Il trasferimento degli effetti sara', allora, non diretto ma automatico, senza necessita' di un atto traslativo ad hoc da compiersi da parte del mandatario: l'acquisto del diritto, contemporaneo in capo al mandante e al mandatario, si riflette automaticamente e senza soluzione di continuita' temporale in capo al primo (scandito sincronicamente secondo la successione temporale acquisto/perdita in capo al mandatario) : la differenza con la rappresentanza diretta - che risulta fortemente attenuata, giusta la premessa della unitarieta' della fattispecie della cooperazione - si riduce cosi' a cio' che, in essa, il cooperatore rappresentante non acquista affatto, mentre nella rappresentanza indiretta egli acquista e perde nello stesso istante. L'ostacolo - apparentemente insuperabile - dell'acquisto dei beni immobili, in cui la necessita' del doppio trasferimento appare testuale (articolo 1706 c.c., comma 2), e' destinato a sua volta a risolversi considerando che la differenza di disciplina ripete la sua genesi non da un differente assetto di interesse sostanziale, ma esclusivamente dall'esistenza di profili formali che regolano la circolazione immobiliare: l'atto di ritrasferimento non e', dunque, un negozio realmente traslativo (per essersi gia' verificato quel medesimo effetto in via automatica), ma un atto funzionale (soltanto) alle esigenze della trascrizione, cosi' che anche un dichiarazione unilaterale ricognitiva dell'appartenenza del bene al mandante resa al pubblico ufficiale potrebbe essere legittimante trascritta, pur se totalmente priva dei connotati del negozio traslativo.

1.4 - La soluzione del contrasto.

E' convincimento di questo collegio che una seria e meditata adesione all'orientamento piu' restrittivo, cosi' come la speculare scelta di una soluzione ermeneutica ben piu' "elastica", non avrebbero comunque potuto prescindere dalla ricognizione, sin qui compiuta, delle diverse, dissonanti ricostruzioni dell'intero istituto della rappresentanza del mandatario: l'esclusione, o meno, del mandante dalla facolta' di esperire le azioni contrattuali derivanti dal negozio stipulato per suo conto dipende, difatti, dall'adozione di una piu' generale "teoria della rappresentanza indiretta" quantomeno sotto il suo profilo funzionale, quello, cioe', della esatta ricostruzione del dipanarsi dell'effetto traslativo tra i tre soggetti protagonisti della complessa fattispecie interpositoria, il mandante, il mandatario, il terzo contraente.

Prima ancora di esprimere la conclusiva opzione tra il privilegiare l'esegesi tradizionale e la dominante dogmatica giuridica (restando cosi' fedeli a una nozione restrittiva dei poteri di sostituzione del mandante) piuttosto che favorire la snellezza dei circuiti di relazione tra soggetti del mercato (individuando conseguentemente il fondamento normativo di tale scelta in extensum), e' obbligo (come sempre) dell'interprete procedere ad una attenta e puntuale disamina del dato normativo positivo, onde da esso cautamente procedere verso una soddisfacente e credibile soluzione in diritto. Le norme che vengono in considerazione sono, da un canto:

a) L'articolo 1705 c.c., comma 1: Il mandatario che agisce in nome proprio acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, anche se questi hanno avuto conoscenza del mandato;

b) L'articolo 1705 c.c., comma 2, prima parte: I terzi non hanno alcun rapporto con il mandante;

c) L'articolo 1706 c.c., comma 2: Se le cose acquistate dal mandatario sono beni immobili o beni mobili iscritti in pubblici registri, il mandatario e' obbligato a ritrasferirle al mandante. In caso di inadempimento, si osservano le norme sull'esecuzione dell'obbligo a contrarre;

d) L'articolo 1707 c.c., seconda parte: i creditori del mandatario non possono far valere le proprie ragioni....sui beni immobili o sui mobili iscritti in pubblici registri se la trascrizione dell'atto di ritrasferimento, o della domanda giudiziale diretta conseguirla, sia anteriore al pignoramento. Dall'altro:

a-b.1) L'articolo 1705 c.c., comma 2: Tuttavia il mandante, sostituendosi al mandatario, puo' esercitare i diritti di credito derivanti dall'esecuzione del mandato (salvo pregiudizio dei diritti del mandatario);

c.1) L'articolo 1706 c.c., comma 1: Il mandante puo' rivendicare le cose mobili acquistate per suo conto dal mandatario che ha agito in nome proprio, salvi i diritti acquistati dai terzi per effetto del possesso di buona fede;

d.1) L'articolo 1707 c.c., prima parte: I creditori del mandatario non possono far valer le loro ragioni sui beni che, in esecuzione del mandato, il mandatario ha acquistato in nome proprio purche', trattandosi di beni mobili o di crediti, il mandato risulti da scrittura avente data certa anteriore al pignoramento.

Non sembra seriamente contestabile che una lettura "logica" della normativa in tema di mandato, cosi' come emerge dalla scomposizione "funzionale" delle disposizioni teste' operata, conduce ad un primo, inquietante risultato, quello, cioe', di una insanabile contraddizione tra la disciplina normativa degli acquisti mobiliari e quella dei trasferimenti dei diritti immobiliari, che ripete la sua origine dalla piu' generale difficolta', tipica del meccanismo interpositorio, di coniugare l'esigenza (avvertita come primaria dal legislatore che, non a caso, esclude, ex articolo 1705 c.c., comma 2, prima parte, il rapporto tra i terzi e il mandante, ma non postula altrettanto esplicitamente la speculare esclusione mandante/terzi) di tutelare la scelta di riservatezza del mandante interponente con le regole negoziale sulla tutela dell'affidamento. Ne deriva un apparentemente ossimoro legislativo, un ibrido proteiforme che miscela momenti puri di tutela (articolo 1705 c.c., comma 2, articolo 1706 c.c., comma 1, articolo 1707 c.c., prima parte), accentuati al punto da configurare il mandatario evidentemente come "non titolare" dei beni acquistati (si pensi, in particolare, oltre che alla rivendica concessa al mandante, alla disciplina degli acquisti di beni mobili da parte dei terzi di cui all'articolo 1706 c.c., comma 1, ultima parte: il farne salva la legittimita' per effetto del possesso di buona fede riproduce esattamente la disciplina dell'acquisto a non domino di cui all'articolo 1153 c.c.) a momenti di tutela soltanto mediata, in cui, peraltro, prevalgono inevitabilmente le norme sulla pubblicita' degli acquisti immobiliari (il cui carattere, molto meno "dichiarativo" di quanto non sia dato apprendere dalla manualistica tradizionale, non puo' essere in questa sede utilmente approfondito).

Dovendosi evidentemente escludere una interpretazione (che suonerebbe inaccettabilmente grossolana) dell'intero coacervo normativo sin qui evidenziato che fondi una radicale differenza morfologica e funzionale (destinata a ripercuotersi sul piano dell'effetto traslativo) sulla natura del bene (mobile-immobile), per predicare, rispettivamente, in capo al mandante, l'esistenza di una situazione ab origine proprietaria, ovvero di mera "aspettativa" (quantunque tutelata ex lege) di ritrasferimento su di un piano meramente obbligatorio, forti appaiono le suggestioni della teoria del trasferimento automatico tout court, operante sia in caso di alienazione di mobili che di immobili, che ha l'indubitabile pregio di ricondurre ad unita' l'intera fattispecie, annettendo effetti soltanto formalistico/pubblicitari all'atto (non negoziale, o non necessariamente negoziale) di "ritrasferimento" nelle alienazioni immobiliari (fortemente suggestiva, in proposito, appare l'idea di un atto unilaterale ricognitivo dell'esistenza del mandato da parte del mandatario, di per se' idoneo alla trascrizione, da redigere con snellezza ed economia di mezzi dinanzi al pubblico ufficiale); teoria che, a giudizio del collegio, potrebbe oggi eventualmente arricchirsi e in parte modificarsi ritenendo, fintanto perduri la situazione iniziale di "segretezza", che la disciplina applicabile alla fattispecie sia quella dell'articolo 1705 c.c., comma 1 e comma 2, prima parte, mentre, caduta (per volonta' del titolare dell'interesse) ogni esigenza di tutela (perche' quegli ritiene, in qualsiasi momento funzionale del rapporto di mandato, di manifestare la propria, reale posizione di titolare dell'interesse), la stessa ratio dell'istituto della interposizione reale viene meno (cosi', piuttosto che di acquisto diretto o automatico del mandante, potrebbe allora non infondatamente discorrersi di un acquisto condizionale da condizione potestativa semplice unilaterale ex lege: a seguito della manifestazione di volonta' del mandante - il cui contenuto si esprimerebbe, all'incirca, nella proposizione "non intendo piu' avvalermi della facolta' di tener celata la mia posizione di titolare dell'interesse negoziale, e intendo ricondurre ad unita le posizioni di titolare formale e portatore dell'interesse sostanziale" -, il meccanismo legislativo si spoglia di ogni ambiguita', consentendo la retroattiva assegnazione degli effetti del negozio al mandante all'esito dell'avverarsi della condizione).

Tale ricostruzione dell'intera fattispecie della rappresentanza indiretta, benche' intrisa di intense suggestioni e apparentemente appagamente sul piano dogmatico, non sembra, peraltro, poter allo stato essere adottata.

Difatti, nel procedere alla verifica funzionale della sua bonta' applicativa, appare innegabile che il mandante, automaticamente (o condizionalmente) destinatario dell'effetto traslativo del negozio intercorso tra mandatario e terzo, sarebbe necessariamente legittimato ad agire in giudizio a tutela del diritto cosi' acquisito, sarebbe, cioe', legittimato ad esperire tutte le azioni ex contractu nella sua posizione di titolare dell'interesse sostanziale, ivi compresa l'azione risarcitoria da inadempimento del terzo. Ma l'an e il quantum di tale azione, in concreto, non potra' in alcun modo rapportarsi ai danni che lui stesso (piuttosto che il mandatario, controparte formale e soggetto autore dell'atto) potrebbe in astratto lamentare, giusta disposto dell'articolo 1225 c.c. - norma che, nel limitare al danno prevedibile l'obbligo risarcitorio della parte inadempiente, esclude tout court che danni (ipoteticamente maggiori), reclamati da chi controparte negoziale non e' possano essergli legittimamente richiesti (salvo non voler ipotizzare una surreale "condizione non espressa" da ritenersi immanente ad ogni convenzione negoziale, in ossequio alla quale ciascuna delle parti potrebbe o addirittura dovrebbe prospettarsi la possibilita' che dietro ogni negozio traslativo possa celarsi un rapporto di mandato).

Il vero, insuperabile ostacolo che si frappone all'accoglimento della tesi poco sopra descritta e', dunque, quello che vede totalmente pretermessa l'analisi della posizione contrattuale del terzo. Se, nell'ottica del rapporto mandante/mandatario, la rilevanza sostanziale dell'interesse puo' far premio sulla titolarita' (soltanto) formale (oltre che "istantanea") del mandatario, non puo' per converso trascurarsi che il terzo, nel contrattare con quest'ultimo (e soltanto con quest'ultimo), ripone un legittimo affidamento nel fatto che tutte le vicende successive al contratto, sul piano della fisiologia come della patologia degli effetti, andranno a dipanarsi tra esse parti, senza alcun intervento ipotetici di terzi-mandanti (in assenza di un suo espresso consenso).

Proprio l'aspetto del difetto assoluto di consenso del terzo disvela l'ulteriore momento di debolezza della teoria dell'effetto (diretto, automatico, condizionale che si voglia) costituitosi in capo al mandante: ammettere la legittimita' di tale traslatio non soltanto sotto il profilo attivo del credito (sicuramente cedibile senza consenso), ma dell'intera posizione contrattuale formalmente costituitasi in capo al mandatario si risolve, nella sostanza, se valutata non piu' nell'ottica del rapporto interno, ma in quella del terzo contraente, nell'ipotizzare una fattispecie di cessione senza, consenso del contraente ceduto, in evidente spregio al disposto dell'articolo 1406 c.c. (non a caso, le sentenze predicative dell'orientamento meno restrittivo si limitano a discorrere, pudicamente, di modificazione soggettiva del rapporto, senza ulteriori approfondimenti).

Le norme in tema di mandato di cui dianzi si e' espressamente ricordato il contenuto vanno, pertanto, interpretate nel senso che esse disegnano un complesso (anche se non del tutto coerente) sistema diacronico imperniato su di un evidente rapporto di regola/eccezione: regola generale sara', pertanto, quella, di cui all'articolo 1705 c.c., secondo la quale il mandatario acquista i diritti e assume gli obblighi derivanti dagli atti compiuti con i terzi, i quali non hanno alcun rapporto con il mandante. Eccezionali risulteranno, per converso, quelle disposizioni che, in deroga a tale, generale meccanismo effettuale, ne prevedano, sul piano processuale, una sorte diversa, imperniata sulla immediata reclamabilita' del diritto (di credito o reale) da parte del mandante. Queste regole operazionali, tanto sostanziali quanto processuali, nel porsi come eccezioni rispetto alla disciplina generale del mandato, sono pertanto di stretta interpretazione, e non consentono alcuna integrazione di tipo analogico, ne' possono, nella specie, essere interpretate estensivamente, nella gia' rilevata ottica della tutela della posizione del terzo contraente. L'espressione "diritti di credito" di cui all'articolo 1705 c.c., comma 2, va, pertanto, rigorosamente circoscritta all'esercizio (fisiologico) dei diritti sostanziali acquistati dal mandatario, con conseguente esclusione delle azioni poste a loro tutela (annullamento, risoluzione, rescissione, risarcimento).

2) I LIMITI SOGGETTIVI DELL'AZIONE DI ARRICCHIMENTO.

Con il quinto motivo di ricorso, la difesa del Pa. lamenta, testualmente la violazione dell'articolo 112. c.p.c., nonche' dell'articolo 2042 c.c., in relazione alla richiesta con la quale si era domandato che quantomeno la La. Pr. venisse dichiarata tenuta a restituire al Pa. le somme anticipate per la ristrutturazione dell'immobile e per il pagamento degli oneri di urbanizzazione, nonche' in relazione all'articolo 360 c.p.c. nn. 3 e 5.

Il motivo (al di la' e a prescindere da non lievi profili di inammissibilita' sub specie della sua autosufficienza, attesa la mancata indicazione di tempi, contenuti e mezzi di prova attinenti alla specifica domanda proposta) appare comunque infondato nel merito. Va premesso che il lamentato vizio di omessa pronuncia risulta del tutto insussistente, avendo la corte di appello specificamente e analiticamente esaminato l'analogo motivo di doglianza svolto in quel grado di giudizio (ff. 15-16 della sentenza), rigettandolo alla stregua della dominante giurisprudenza di questa corte con motivazione sicuramente incensurabile sotto il profilo della sufficienza.

Come ulteriormente rilevato nell'ordinanza di rimessione della seconda sezione, anche in relazione a tale motivo pare ravvisabile un contrasto di giurisprudenza in ordine ai limiti soggettivi dell'azione di arricchimento esperita dall'odierno ricorrente nei confronti del terzo contraente La. Pr..

Precisa, difatti, l'ordinanza, che questa stessa corte, con la sentenza n. 6201/2004, ha ritenuto che l'azione di arricchimento possa legittimamente essere esperita indipendentemente dalla circostanza che i fini al cui perseguimento la prestazione era diretta fossero stati realizzati da un soggetto diverso da quello cui la prestazione medesima era destinata, giacche' il vantaggio goduto dall'arricchito non deve necessariamente risolversi in un diretto e immediato incremento patrimoniale ma puo' consistere in qualsiasi forma di utilizzazione della prestazione consapevolmente attuata.

Di converso, le sentenze 11835/2003 e 11051/2002 avrebbero specularmente condizionato (dando continuita' ad un orientamento largamente maggioritario) l'esperibilita' dell'azione di arricchimento senza causa al presupposto che l'incremento e la correlativa diminuzione del patrimonio dipendano da un unico fatto costitutivo -, conseguentemente negandola tutte le volte in cui il soggetto arricchito sia diverso da quello con il quale colui che compie la prestazione ha un rapporto diretto (nella parte motiva delle pronunce citate si precisera' ancora che, in tale ipotesi, l'eventuale arricchimento costituisce soltanto un effetto indiretto o riflesso della prestazione eseguita, sicche' viene meno il nesso di causalita' tra l'impoverimento di un soggetto e l'arricchimento dell'altro, con conseguente venir meno del fondamento dell'invocato indennizzo).

Questo collegio ritiene che il segnalato contrasto vada composto dando sostanziale continuita' all'orientamento maggioritario, pur se nei limiti e con le precisazioni che seguiranno.

2.1. - Analisi della giurisprudenza di legittimita': gli orientamenti segnalati come contrastanti.

a) la sentenza n. 6201 del 29/03/2004.

La pronuncia risulta massimata nei termini che seguono: L'azione di arricchimento ex articolo 2041 cod. civ., ben puo' essere esperita indipendentemente dalla circostanza che i fini, al cui perseguimento la prestazione era diretta, siano stati realizzati da soggetto diverso da quello cui la medesima era destinata, giacche' il vantaggio goduto dall'arricchito non deve necessariamente risolversi in un diretto ed immediato incremento patrimoniale ma puo' consistere in qualsiasi forma di utilizzazione della prestazione consapevolmente attuata.

Nella parte motiva della sentenza viene, peraltro, specificato che il principio e' limitato all'arricchimento "indiretto", da valutarsi sotto il profilo del risparmio di spesa, conseguito da un ente pubblico (nella specie, un Comune), quando la prestazione (nella specie, progettazione di alcuni alloggi da parte di un privato) venga poi utilizzata in concreto da altro ente pubblico (nella specie, quello deputato ex lege alla materiale costruzione degli immobili).

Si legge, difatti, in sentenza: Quanto, infine all'ulteriore profilo adombrato nel motivo di ricorso, quello, cioe', per cui il destinatario dell'arricchimento andrebbe identificato in un soggetto diverso dalla parte pubblica in giudizio, e' sufficiente ricordare il principio di fungibilita' dell'ente beneficiario, piu' volte affermato da questa Corte (ex multis, Cass. SS.UU. n. 1025 del 1996), per ritenere predicabile la legittimita' della proposizione di un'azione di indebito arricchimento.

Nella citata sentenza a sezioni unite n. 1025 del 1996 si legge, difatti: come questa Corte ha chiarito anche in precedenti sue decisioni, il riconoscimento, da parte di enti pubblici, dell'utilita' di una prestazione professionale, con conseguente loro arricchimento, si realizza con la mera utilizzazione della stessa, indipendentemente dal fatto che i fini alla cui realizzazione la prestazione poteva essere diretta non fossero stati realizzati dall'ente cui il progetto era stato destinato (Cass. 12 luglio 1974 n. 2090; Cass. 8 gennaio 1979 n. 64; Cass. 27 gennaio 1982 n. 530; Cass. 19 luglio 1982 n. 4198; Cass. 9 novembre 1993 n. 11061). E cio' significa (conformemente a quanto ritenuto dalla quasi totalita' della dottrina - nonche' dalla Redazione al codice civile - Libro delle Obbligazioni, n. 262 - secondo la quale non e' stato e non poteva essere chiarito ex lege il concetto di arricchimento), che il vantaggio goduto dall'arricchito non deve avere necessariamente un contenuto di diretto incremento patrimoniale, ma soltanto che esso puo' rinvenirsi in una qualsiasi forma di utilizzazione della prestazione consapevolmente attuata dalla P.A., e, quindi, anche in una mera sua mancata diminuzione patrimoniale (intesa come risparmio di spesa).

b) la sentenza n. 11835 del 5/08/2003.

Di segno (apparentemente) opposto il dictum della sentenza 11835/2003, la quale, in conformita' con un orientamento largamente maggioritario, riafferma un principio di diritto secondo il quale:

L'azione generale di arricchimento non puo' essere proposta quando il soggetto che si e' arricchito sia diverso da quello con il quale chi compie la prestazione ha un rapporto diretto, in quanto l'eventuale arricchimento costituisce, in tal caso, un effetto soltanto indiretto o riflesso della prestazione eseguita, essendo altresi' carente anche il requisito della sussidiarieta' (articolo 2042 cod. civ.), la cui sussistenza e' esclusa qualora il danneggiato possa esperire un'azione tipica nei confronti dell'arricchito o di altri soggetti che siano obbligati nei suoi confronti ex lege o in virtu' di contratto. (Nella specie, la S.C. confermera' la sentenza di merito che aveva escluso l'esperibilita' dell'azione di arricchimento nei confronti del proprietario di un suolo da parte di un soggetto che vi aveva realizzato delle opere su incarico conferitogli da un terzo).

Si legge nella parte motiva della sentenza:

Secondo l'insegnamento ripetutamente affermato da questa Corte in tema di azione generale di arricchimento ex articolo 2041 c.c., affinche' si verifichi l'ipotesi dell'ingiustificato arricchimento senza causa e' necessario il concorso simultaneo di due elementi: l'arricchimento di un soggetto e la diminuzione patrimoniale a carico di un altro soggetto, provocate da un unico fatto costitutivo; la mancanza di una causa giustificatrice nell'arricchimento dell'uno e nella perdita patrimoniale subita dall'altro. Ne consegue che l'azione non puo' essere esercitata quando il soggetto arricchito e' diverso da quello con il quale chi compie la prestazione ha un rapporto diretto, dal momento che, in questo caso, l'eventuale arricchimento costituisce solo un effetto indiretto o riflesso della prestazione eseguita (in termini, Cass. 26 luglio 2002, n. 11051).

Peraltro, l'azione di indebito arricchimento, per il suo carattere di sussidiarieta' ai sensi dell'articolo 2042 cod. civ., non e' esercitatile quando il danneggiato possa esperire un'altra azione tipica nei confronti dell'arricchito o di altri soggetti che siano obbligati per legge o per contratto nei confronti dell'impoverito, sempre che ricorra l'unicita' del fatto costitutivo dell'arricchimento e dell'impoverimento (cosi', tra le altre, Cass. 9 maggio 2002, n. 6647; Cass. 21 giugno 1998, n. 6355).

c) la sentenza n. 11656 del 3/08/2002.

Prima di affrontare funditus la questione sollevata dall'ordinanza di rimessione, questo collegio ritiene opportuno rilevare ancora come la sentenza 11656/2002 abbia, a sua volta, espresso, in argomento, un orientamento che puo' ben definirsi in termini di tertium genus rispetto alle soluzioni astrattamente predicabili con riferimento ai limiti soggettivi dell'azione di arricchimento, discostandosi - sia pur in parte qua dall'orientamento giurisprudenziale maggioritario in tema di arricchimento c.d. "indiretto" o "mediato", specie con riferimento ai problemi centrale del nesso causale che deve intercorrere fra la locupletazione e la correlativa diminuzione patrimoniale e del c.d. "principio di sussidiarieta'".

La sentenza e' cosi' massimata:

In tema di "arricchimento indiretto", l'azione ex articolo 2041 c.c., e' esperibile contro il terzo che abbia conseguito l'indebita locupletazione in danno dell'istante quando l'arricchimento stesso sia stato conseguito dal terzo in via meramente di fatto e percio' gratuita nei rapporti con il soggetto obbligato per legge o per contratto nei confronti del "depauperato", e resosi insolvente nei riguardi di quest'ultimo. La predetta azione e' invece inammissibile ove la prestazione sia stata conseguita dal terzo in virtu' di un atto a titolo oneroso. (La vicenda definita con la pronuncia in esame puo' essere cosi' sintetizzata: una societa' aveva eseguito opere e forniture presso i cantieri della RAI in alcune

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