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In tema di clausole vessatorie, in presenza della doppia sottoscrizione è irrilevante che la firma sia stata apposta nella seconda facciata del contratto

L'esigenza della specifica approvazione scritta delle clausole particolarmente onerose per il contraente in adesione, è rispettata quando a tali clausole sia data autonoma e separata collocazione nel testo delle condizioni generali del contratto, e quando le clausole stesse siano seguite da una distinta sottoscrizione del contraente in adesione. Non è sufficiente, pertanto, al detto fine che la singola clausola risulti evidenziata nel contesto del contratto quando la sottoscrizione sia stata unica, e non rileva, in contrario, la collocazione della clausola immediatamente prima della sottoscrizione o la sua stampa in caratteri tipografici evidenziati. Ne consegue pertanto che qualora il contraente abbia apposto una doppia sottoscrizione, approvando espressamente le clausole vessatorie è irrilevante che essendo il contratto stampato su due facciate la seconda firma sia apposta sulla facciata seguente a quella in cui è contenuta l'accettazione della clausola onerosa, atteso che il contraente, approvando specificamente talune clausole delle condizioni generali, non può che essersi riferito anche alle clausole riportate sull'altra facciata del contratto. (Corte di Cassazione, Sezione 3 Civile,
Sentenza del 20 dicembre 2007, n. 26977)



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SENTENZA

sul ricorso proposto da:

D'. Sa., elettivamente domiciliato in Roma, viale Gorizia, presso l'avv. Sinagra - Sabatini - Sanci, difeso dall'avv. SABATINI Franco, giusta delega in atti;

- ricorrente -

contro

EN. Di. s.p.a., in proprio e quale procuratrice di EN. s.p.a., in persona del procuratore Dott. Ab. Mi., elettivamente domiciliato in Roma, via G. Pierluigi da Palestrina n. 19, presso l'avv. Fabio Francesco Franco, difeso dagli avvocati MARINELLI Fabrizio e Vincenzo Patrizzi, giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza della Corte d'appello dell'Aquila n. 1044/02 del 12 novembre - 11 dicembre 2002 (R.G. 391/98).

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 5 dicembre 2007 dal Relatore Cons. Dott. Mario Finocchiaro;

Udito l'avv. A. Spinoso per delega dell'avv. F. Sabatini per il ricorrente;

Lette le conclusioni del P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L'EN. s.p.a. ha convenuto in giudizio, innanzi al tribunale di L'Aquila D'. Sa. chiedendo fosse pronunziata la risoluzione del contratto di somministrazione elettrica inter partes, stante la grave morosita' del convenuto.

Costituitosi in giudizio il D'. ha eccepito, in limine, la incompetenza, ratione territorii del Giudice adito, essendo competente il tribunale di Pescara, luogo di residenza di esso concludente, mentre, nel merito, ha fatto presente la infondatezza della domanda avversaria, non essendo configurabile la sospensione o risoluzione di un contratto di somministrazione di energia elettrica, stante la natura di monopolista dell'En..

Svoltasi la istruttoria del caso l'adito tribunale con sentenza n. 107 del 1998 ha accolto la domanda attrice e dichiarato risolto il contratto inter partes, con condanna del convenuto al pagamento delle spese di lite.

Gravata tale pronunzia dal soccombente D'., nel contraddittorio dell'En. che, costituitosi in giudizio, ha chiesto il rigetto del gravame, la Corte di appello de l'Aquila con sentenza 12 novembre - 11 dicembre 2002 ha rigettato la impugnazione, con condanna di parte appellante al pagamento delle spese di lite.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia ha proposto ricorso, affidato a 7 motivi e illustrato da memoria D'. Sa..

Resiste, con controricorso l'En..

Il P.G. ha chiesto la trattazione della causa in Camera di consiglio ai sensi dell'articolo 375 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Rileva, in limine, il Collegio che giusta la testuale formulazione dell'articolo 375 c.p.c., comma 2, nel testo come sostituito dalla Legge 24 marzo 2001, n. 89 articolo 1 anteriormente alle modifiche introdotte dal Decreto Legislativo 26 febbraio 2006, n. 40, articolo 8, nella specie inapplicabili ratione temporis, essendo oggetto di ricorso una sentenza pubblicata prima del 2 marzo 200 6 "la Corte di (Cassazione) ... pronuncia sentenza in camera di consiglio... (tra l'altro) quando riconosce di dover pronunciare il rigetto di entrambi i ricorsi (id est quello principale e quello incidentale eventualmente proposto) .. per manifesta infondatezza degli stessi".

"La Corte - prevede ancora il comma 3 della stessa disposizione - se ritiene che non ricorrano le ipotesi di cui al... comma 2, rinvia la causa alla pubblica udienza".

E' di palmare evidenza - questa essendo la testuale formulazione della norma positiva (cfr., articolo 12 preleggi) - che e' rimesso alla valutazione, esclusiva, della Corte rendere la propria pronunzia a seguito di un procedimento in Camera di consiglio, piuttosto che in pubblica udienza, senza essere in alcun modo vincolata dalle richieste (eventualmente difformi) del P.G. (tra le tantissime, in questo senso, ad esempio, Cass. 12 giugno 2007, n. 13748; Cass. 4 maggio 2007, n. 10212; Cass. 11 giugno 2005, n. 12384).

E' evidente, pertanto, concludendo sul punto, in termini opposti rispetto a quanto - del tutto apoditticamente invocato nella memoria ex articolo 378, da parte del ricorrente, totalmente prescindendo sia dal testo della normativa in materia, sia dalla costante interpretazione datane da questa Corte regolatrice - che la circostanza che il Procuratore Generale abbia invocato, nelle proprie conclusioni scritte, la "infondatezza" del ricorso proposto dal D'. e non la sua "manifesta infondatezza" non esclude ex se che il ricorso stesso possa essere deciso con il rito della Camera di consiglio, ove questa Corte ritenga i motivi esposto nel ricorso "manifestamente infondati", piuttosto che "infondati".

2. Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata denunziando "nullita' della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione dell'articolo 77 c.p.c., in relazione al Decreto del Presidente della Repubblica 15 dicembre 1962, n. 1670, articolo 7, e all'articolo 14 dello Statuto En. (articolo 360 c.p.c., n. 4) e omessa motivazione su un punto decisivo della controversia", atteso che le procure ad litem per l'En., in violazione delle disposizioni sopra richiamate "non sono state rilasciate dal direttore di Compartimento".

3. La deduzione e' inammissibile.

Come assolutamente pacifico (e ribadito, altresi', oltre che dalla difesa del ricorrente anche dalla sentenza impugnata) la legittimazione a stare in giudizio rappresentando l'En. e' attribuita, in base all'articolo 14, dello statuto dell'ente - approvato dal Decreto del Presidente della Repubblica 21 dicembre 1965, n. 1720 articolo 11 - non gia' ad un unico rappresentante facente capo alla direzione centrale, ma ai direttori di compartimento. Secondo i poteri da questi conferiti con apposita procura, ai sensi dell'articolo 16, dello statuto, i dirigenti di zona, che sono autorizzati a firmare con firma unica, nell'ambito territoriale di rispettiva competenza compiono gli atti nell'interesse dell'ente. Di fronte ai terzi, a norma del successivo articolo 17, gli atti muniti delle firme autorizzate in base allo statuto si intendono compiuti in conformita' delle deliberazioni ed approvazioni richieste dallo statuto stesso (Cass. 20 agosto 2004, n. 16452; Cass. 19 agosto 1998, n. 8222).

La rappresentanza processuale attiva e passiva dell'En., che il ricordato articolo 14, dello statuto dell'ente conferisce al direttore di compartimento nell'ambito della circoscrizione territoriale e in relazione agli affari di sua competenza, ancora, deve ritenersi automaticamente estesa al vice direttore di compartimento per il caso di assenza o impedimento del primo, integrando cio' una conseguenza naturale dell'attribuzione a detto vice direttore della qualita' di vicario per l'espletamento, sia pure in via secondaria e con il ruolo di supplenza, delle stesse funzioni del titolare dell'ufficio (Cass. 16 luglio 2002, n. 10285).

Pacifico quanto sopra si osserva che nella specie la sentenza gravata, nel rigettare il motivo di appello con il quale il D'. aveva reiterato la precedente eccezione di difetto di ius postulandi dell'En. per nullita' della procura al difensore, ha accertato, in linea di fatto, che questa era stata sottoscritta dal "direttore di compartimento".

Assumendo, il ricorrente, con il primo motivo, che in realta' tale qualita' faceva difetto in capo a quanti avevano conferito, in primo grado, mandato ad litem per rappresentare l'ente, lo stesso non prospetta, palesemente, un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all'articolo 360 c.p.c. n. 4, o n. 5, ma un vizio che doveva essere dedotto, se del caso, invocando la diversa tutela di cui all'articolo 395 c.p.c..

Giusta la testuale previsione di cui all'articolo 395 c.p.c., n. 4, le sentenze pronunziate in grado di appello possono essere impugnate per revocazione qualora la sentenza stessa si "l'effetto di un errore di fatto risultante dagli atti o documenti della causa".

"Vi e' questo errore - in particolare - quando la decisione e' fondata sulla supposizione di un fatto la cui verita' e' incontestabilmente esclusa".

Pacifico quanto sopra e non controverso che la denuncia di un travisamento di fatto quando attiene non alla motivazione della sentenza impugnata, ma ad un fatto che sarebbe stato affermato in contrasto con la prova acquisita, costituisce motivo non di ricorso per cassazione ma di revocazione ai sensi dell'articolo 395 c.p.c., importando essa un accertamento di merito non consentito al giudice di legittimita' (cfr. Cass., 27 marzo 1999, n. 2932), e' palese la inammissibilita' - come anticipato - della censura in esame.

Il denunciato travisamento, in particolare, risolvendosi nell'inesatta percezione da parte del Giudice, di circostanze presupposte come sicura base del suo ragionamento in contrasto con quanto risulta dagli atti del processo in pratica, nel caso di specie la qualita' di "direttore del compartimento" in colui che ha sottoscritto per l'En. la procura ad litem nel giudizio di primo grado, costituisce un errore denunciabile con il mezzo della revocazione ex articolo 395 c.p.c., n. 4, (tra le tantissime, Cass. 9 gennaio 2007, n. 213; Cass. 25 agosto 2006, n. 18498; Cass., sez. un., 20 giugno 2006, n. 14100; Cass. 18 gennaio 2006, n. 830; Cass. 30 novembre 2005, n. 26091).

Ne', ancora, al fine di ritenere la nullita' della procura puo' ritenersi rilevante - come del tutto apoditticamente si invoca in ricorso - che l'ing. Ve. che anche il ricorrente ammette fosse, all'epoca, il direttore di compartimento legittimato a rilasciare il mandato ad litem nel rilasciare il mandato anziche' spendere la propria qualita' di direttore di compartimento si sia definito "procuratore".

4. Con il secondo motivo il ricorrente censura la sentenza gravata denunziando "nullita' della sentenza e del procedimento per violazione falsa applicazione dell'articolo 1469 bis, (articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4) (e) omessa motivazione su un punto decisivo della controversia (articolo 360 c.p.c., n. 5) tenuto presente che nelle more del processo dopo la precisazione delle conclusioni in primo grado e' intervenuto l' articolo 1469 bis c.c., si che - come eccepito nella comparsa conclusionale di appello - nella specie doveva trovare applicazione tale disposizione sopravvenuta alla luce del quale sono i-nefficaci le clausole vessatorie e, tra queste, in particolare quelle che stabiliscono per le controversia un foro diverso da quello di residenza o domicilio elettivo del consumatore.

5. La deduzione e' manifestamente infondata.

E' sufficiente, al riguardo, considerare la giurisprudenza ricordata sul punto dalla difesa del ricorrente.

Tale giurisprudenza, in particolare, e' costante nell'affermare che la disposizione dettata dall'articolo 1469 bis c.c., comma 3, n. 19, avendo natura di norma processuale, si applica nelle cause iniziate dopo la sua entrata in vigore, anche se relative a controversie derivanti da contratti stipulati prima (cfr. Cass. 11 gennaio 2007, n. 377; Cass. 29 settembre 2004, n. 19594; Cass., sez. un., 1 ottobre 2003, n. 14669).

Certo che nella specie come ammette anche parte ricorrente il giudizio e' stato instaurato con citazione del febbraio 1991 (cioe' cinque anni prima della promulgazione della legge 6 febbraio 1996 n. 52 che ha introdotto l' articolo 1469 bis c.c.) e' evidente che correttamente i Giudici del merito hanno escluso anche tenuta presente, del resto la formulazione dell'articolo 5 c.p.c., da cui totalmente prescinde parte ricorrente possa trovare applicazione la normativa sopravvenuta in corso di causa.

6. Con il terzo motivo il ricorrente denunzia "nullita' della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione dell'articolo 134 c.c., (articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4), (e) insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (articolo 360 c.p.c., n. 5) ", per avere la Corte di appello negato la nullita' della clausola n. 13 del contratto di somministrazione, relativa alla competenza per territorio delle controversie relative, ancorche' non sottoscritta autonomamente dal contraente.

Si osserva, infatti, che il remoto precedente invocato nella sentenza impugnata (Cass. 29 dicembre 1970 n. 2773) e' frutto di un contesto economico sociale ben diverso da quello attuale, segnato da una crescente esigenza di tutela del consumatore e, comunque, del contraente ed e' stato superato dalla giurisprudenza successiva.

Si invoca, al riguardo, l'autorita' di Cass. 6 febbraio 2002, n. 1637; Cass. 19 dicembre 1997, n. 12455; Cass. 11 ottobre 1990, n. 9998.

7. Al pari dei precedenti il motivo e' manifestamente infondato.

La giurisprudenza ricordata in ricorso - sopra richiamata - e' costante nell'affermare che l'esigenza della specifica approvazione scritta delle clausole particolarmente onerose per il contraente in adesione, e' rispettata quando a tali clausole sia data autonoma e separata collocazione nel testo delle condizioni generali del contratto, e quando le»clausole stesse siano seguite da una distinta sottoscrizione del contraente in adesione.

Pertanto a tale fine non e' sufficiente che la singola clausola risulti evidenziata nel contesto del contratto quando la sottoscrizione sia stata unica, e non rileva, in contrario, la collocazione della clausola immediatamente prima della sottoscrizione o la sua stampa in caratteri tipografici evidenziati (In questo senso, ad esempio, Cass. 6 febbraio 2002, n. 1637, nonche' Cass. 9 dicembre 1997, n. 12455).

Pacifico quanto precede si osserva - in termini opposti rispetto a quanto, ancora una volta, del tutto apoditticamente invocato da parte ricorrente - che il principio applicato, e' stato fatto proprio dai Giudici a quibus, o che in alcun modo contrasta con il detto insegnamento.

Nel caso concreto, infatti, e' fuori di ogni dubbio che il ricorrente ha apposto una doppia sottoscrizione, approvando espressamente le clausole vessatorie.

La circostanza che essendo il contratto stampato su due facciate e che la seconda firma sia apposta sulla facciata "seguente" a quella in cui e' contenuta la accettazione della deroga quanto alla competenza, e' palesemente irrilevante certo essendo - come evidenzia la sentenza impugnata - che "il contraente, approvando specificamente talune clausole delle condizioni generali, non puo' che essersi riferito anche alle clausole riportate sull'altra facciata del contratto".

8. Con il quarto motivo il ricorrente denunzia, ancora, "nullita' della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'articolo 2712 c.c., in relazione all'articolo 215 c.p.c., n. 2, e articolo 2697 c.c., (articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4) " per avere i giudici del merito ritenuto tardivo il disconoscimento della apparentemente propria sottoscrizione da parte di esso concludente senza considerare che sin dall'udienza del 18 novembre 1991, che aveva seguito la prima udienza del 20 maggio 1991, il procuratore di esso ricorrente aveva "contestato la difformita' della copia all'originale del contratto di somministrazione esibito dall'En. nonche' la relativa sottoscrizione di esso da parte del D'. ".

9. Anche tale deduzione e' manifestamente infondata.

Come assolutamente pacifico presso una giurisprudenza piu' che consolidata di questa Corte regolatrice, da cui totalmente prescinde parte ricorrente, il disconoscimento della conformita' di una copia fotografica o fotostatica all'originale di una scrittura, di cui all'articolo 2719 c.c., e' diversa dal disconoscimento della scrittura privata e non ha gli stessi effetti di questo (previsto dall'articolo 215 c.p.c., comma 1, n. 2).

Mentre questo ultimo, infatti, in mancanza di richiesta di verificazione, preclude l'utilizzabilita' della scrittura, la contestazione ai sensi dell'articolo 2719 c.c., non impedisce al Giudice di accertare la conformita' all'originale anche mediante altri mezzi di prova, comprese le presunzioni (Cass. 3 febbraio 2006, n. 2419).

Pacifico quanto precede e' evidente che e' irrilevante che, eventualmente tempestivamente, il D'. abbia contestato la non conformita' della copia fotostatica all'originale qualora non abbia, altresi', nel rispetto dei termini dell'articolo 215 c.p.c., altresi', negato la autenticita' della propria sottoscrizione.

10. Con il quinto motivo il ricorrente denunzia, ancora, "nullita' della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'articolo 39 c.p.c.. Insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (articolo 360 c.p.c., n. 5) " per avere i giudici di secondo grado negato la sussistenza di una ipotesi di litispendenza tra questo giudizio e altro, tra le stesse parti, pendente innanzi alla stessa Corte di appello.

11. Al pari dei precedenti il motivo e' manifestamente infondato.

Come pacifico in causa l'altra controversia, pendente innanzi alla Corte di appello de l'Aquila riguarda un giudizio ex articolo 700 c.p.c., promosso dal D'. a seguito del distacco, da parte dell'En., della energia elettrica.

Pacifico quanto precede non puo' che ribadirsi, ulteriormente, che ne' la litispendenza ne' la continenza di cause possono configurarsi tra un procedimento per la adozione di provvedimenti d'urgenza a norma dell'articolo 700 c.p.c., ed un giudizio ordinario di merito, in quanto l'insuscettibilita' dei richiamati provvedimenti d'urgenza di costituire giudicato - essendo essi idonei ad assicurare provvisoriamente gli effetti della decisione sul merito e presentandosi l'introduzione del relativo giudizio solo come successiva ed eventuale - esclude la ragione stessa di una pronuncia di litispendenza o di continenza di cause (Cass., sez. un., 9 agosto 1996, n. 7337).

12. Con il sesto motivo il ricorrente denunzia la sentenza gravata lamentando nullita' della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione dell'articolo 297 c.c., (articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 4). Insufficiente e contraddittoria motivazione, su un punto decisivo della controversia (articolo 360 c.p.c., n. 5) ".

Si duole il ricorrente, in particolare, che non sia stata pronunziata l'estinzione del giudizio, atteso che l'ordinanza di rigetto della istanza di ricusazione e' stata comunicata all'En. il 12 novembre 1992 e che da tale data decorre il termine di sei mesi per la riassunzione, scaduto il 12 maggio 1993, si che del tutto irritualmente la causa e' stata riassunta con ricorso depositato il 18 maggio 1994, allorquando il termine di sei mesi era gia' scaduto, attesa la inidoneita', allo scopo della citazione notificata il 5 marzo 1993 con il quale era stato intimato al convenuto a "comparire dinanzi al tribunale... g.i. designando alla udienza del 6 maggio 1993", atteso che il processo sospeso si riassume esclusivamente con ricorso, giusta la previsione di cui all'articolo 297 c.p.c..

13. A pari dei precedenti il motivo e' manifestamente infondato.

Deve ribadirsi, infatti, in conformita' a quanto assolutamente pacifico in giurisprudenza, che al fine della valida riassunzione del processo sospeso o interrotto, non e' influente che la parte istante vi abbia provveduto, anziche' con comparsa o ricorso al giudice per la fissazione dell'udienza di prosecuzione, con citazione della parte ad udienza fissa, la quale possiede tutti i requisiti formali indispensabili per il raggiungimento dello scopo previsto nell'articolo 297 c.p.c., consistente nel compimento di un atto di parte prima che sia trascorso il termine perentorio entro il quale va promossa la prosecuzione del giudizio, che puo' essere perseguito anche attraverso un atto di citazione che sia notificato alla controparte prima della scadenza del termine medesimo (Cass. 9 novembre 2001, n. 13857; Cass. 20 febbraio 1998, n. 1838, tra le tantissime).

14. Con il settimo e ultimo motivo il ricorrente lamenta, infine, «omessa e/o insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia (articolo 360 c.p.c., n. 5) ".

Si afferma, in buona sostanza, che e' mancata da parte del giudice di secondo grado - che si e' limitato a richiamare genericamente la motivazione della sentenza del primo giudice - l'esame delle specifiche censure mosse alla sentenza di primo grado, vuoi quanto alla mancata prova dell'erogazione dell'energia elettrica, sia in ordine al divieto di pronunziare la risoluzione per inadempimento dei contratti di somministrazione qualora il somministrante sia un monopolista, sia infine, quanto alla scarsa importanza del contestato inadempimento.

15. Al pari dei precedenti il motivo non puo' trovare accoglimento.

Sia perche' inammissibile sia perche', comunque, manifestamente infondato.

15.1. Quanto alla rilevata inammissibilita' si osserva che nella specie, giusta la stessa prospettazione di parte ricorrente, era, configurabile - eventualmente la violazione, da parte del giudice di appello, dell'articolo 112 c.p.c., cioe' la omessa pronunzia su un motivo di appello e, non certamente omessa e/o insufficiente motivazione, rilevante sotto il profilo di cui all'articolo 360 c.p.c., n. 5.

Pacifico quanto precede deve ribadirsi, ulteriormente, in conformita', del resto, a una giurisprudenza piu' che consolidata di questa Corte regolatrice, da cui totalmente prescinde parte ricorrente, che la omessa pronuncia su una domanda, ovvero su specifiche eccezioni fatte valere dalla parte, integra una violazione dell'articolo 112 c.p.c., che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell'articolo 360 c.p.c., n. 4, e, conseguentemente, e' inammissibile il motivo di ricorso con il quale la relativa censura sia proposta sotto il profilo della violazione di norme di diritto, ovvero come vizio della motivazione (Tra le tantissime, Cass. 27 gennaio 2006, n. 1755; Cass. 26 gennaio 2006, n. 1701; Cass. 11 novembre 2005, n. 22897).

15.2. Anche a prescindere da quanto precede, non puo' tacersi la manifesta infondatezza delle deduzioni svolte dal ricorrente al fine di dimostrare che erroneamente il Giudice di primo grado aveva accolto la domanda di risoluzione per inadempimento di controparte:

- la sottoscrizione, da parte del D'. del contratto di somministrazione, l'emissione periodica, da parte dell'En. delle fatture, tutte non pagate dal ricorrente, la circostanza che a seguito della sospensione della somministrazione dell'energia il D'., come e' pacifico, abbia instaurato un procedimento ex articolo 700 c.p.c., costituiscono elementi indiziari piu' che sufficienti a fare ritenere che vi sia stata, nella specie, la somministrazione dell'energia elettrica;

- deve escludersi, ancora, che l' articolo 1453 c.c., sia inapplicabile qualora la parte adempiente operi in regime di monopolio, atteso che se in favore dell'imprenditore che somministri beni o presti servizi in regime di monopolio legale, trovano applicazione, in assenza di espressa deroga, non solo l' articolo 1460 c.c., sull'eccezione di inadempimento, ma anche l' articolo 1461 c.c., sulla facolta' di sospendere l'esecuzione della prestazione dovuta quando sussista un evidente pericolo di non ricevere il corrispettivo in ragione delle condizioni patrimoniali dell'altro contraente, trattandosi di previsioni compatibili con l'obbligo, posto dall'articolo 2597 c.c., di contrattare e di osservare parita' di trattamento (Cass., sez. un., 23 gennaio 2004, n. 1232) a maggiore ragione sono applicabili le altre disposizioni in tema di inadempimento contrattuale;

- quanto, da ultimo, alla gravita' dell'inadempimento e' sufficiente tenere presente che e' pacifico in causa che il D'. non ha pagato alcuna fattura, emessa dall'ente erogante per oltre 10 (dieci) anni.

16. Risultato infondato in ogni sua parte il proposto ricorso deve rigettarsi, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE

rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimita' liquidate in euro 100,00 per spese, euro 2.000,00 per onorar, e oltre rimborso forfetario delle spese generali e accessori come per legge.

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