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In tema di furto di merce rubata dal magazzino l'assicurazione è esente dall''obbligo di risarcimento solo se dimostra perché l'antifurto fosse inadeguato

In tema di deposito, la responsabilità "ex recepto" incombe sul depositario così che il medesimo ha l'obbligo di provare la non imputabilità della perdita della cosa, oltre che di aver fatto tutto il possibile per evitare l'evento: il relativo accertamento costituisce questione di fatto non sindacabile in sede di legittimità ove la motivazione sia immune da vizi logici e giuridici. In particolare, poi, nel caso di furto o rapina di cose affidate al depositario, quest'ultimo ha l'onere di fornire la prova della non imputabilità della perdita della merce, oltre che di avere prestato la sua attività con tutta la diligenza esigibile. In altri termini, il depositario non si libera della responsabilità "ex recepto" provando di avere usato nella custodia della "res" la diligenza del buon padre di famiglia prescritta dall'art. 1768 c.c., ma deve provare, ai sensi dell'art. 1218 c.c., che l'inadempimento sia derivato da causa a lui non imputabile.

Corte di Cassazione Sezione 3 Civile, Sentenza del 7 ottobre 2010, n. 20809



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIFONE Francesco - Presidente

Dott. PETTI Giovanni Battista - Consigliere

Dott. FILADORO Camillo - rel. Consigliere

Dott. FEDERICO Giovanni - Consigliere

Dott. AMATUCCI Alfonso - Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso proposto da:

AI. EU. S.A. (OMESSO) rappresentanza generale per l'Italia in persona del Dirigente Servizio Sinistri Dr. FA. Ro. , elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 107, presso lo studio dell'avvocato GELERA GIORGIO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato SOLLAZZO GAETANO giusta delega in calce al ricorso;

- ricorrente -

contro

YU. SE. DI. PI. DR. & C. S.N.C. (OMESSO) in persona del legale rappresentante pro tempore, considerata domiciliata "ex lege" in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati PERSICHETTI EMILIO, RUO REDDA MARISA giusta delega in atti;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 128/2005 della CORTE D'APPELLO di TORINO, SEZIONE TERZA CIVILE, emessa il 1/10/2004, depositata il 02/02/2005, R.G.N. 2226/2003;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 08/07/2010 dal Consigliere Dott. CAMILLO FILADORO;

udito l'Avvocato GIORGIO GELERA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CENICCOLA Raffaele che ha concluso per il rigetto.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza 1 ottobre 2004 - 2 febbraio 2005 la Corte di appello di Torino confermava la decisione del locale Tribunale sezione distaccata di Cirie' - del 29 novembre 2002 che aveva rigettato la domanda della compagnia di assicurazione s.a. AI. Eu. intesa ad ottenere la condanna della YU. se. sn. di. Pi. Dr. & c. al pagamento della somma di lire 80.000.000 "in forza del disposto dell'articolo 1916 c.c. o per la espressa somma dei diritti contenuti in quietanza" corrisposta alla assicurata IN. s.p.a. a titolo di indennizzo per un furto di merci subito, mentre le merci erano depositale nel magazzino YU. .

A sostegno della domanda, la societa' attrice deduceva:

di avere stipulato polizza assicurativa per le spedizioni in favore della IN. s.p.a.;

- che, a sua volta, la IN. aveva affidato alla YU. la spedizione di alcune merci;

che le merci in questione, depositate presso il magazzino della YU. , sito in (OMESSO), erano state sottratte da ignoti ladri nella notte tra l'(OMESSO);

- che era risultato che il magazzino, presso il quale la merce era depositata, non era protetta da antifurto e che non era stato neppure previsto un servizio di guardiania o di sorveglianza periodica;

che la AI. Eu. aveva indennizzato la propria assicurata IN. per il danno subito, erogando la somma complessiva di lire 80.000.000, a titolo di risarcimento per le merci sottratte.

Costituendosi in giudizio la YU. se. aveva contestato la domanda rilevando che il furto perpetrato nei suoi magazzini doveva considerarsi, per le sue modalita', dei tutto imprevedibile e inevitabile.

Con sentenza 29 novembre 2002 il Tribunale di Torino rigettava la domanda e condannava AI. Eu. a pagare le spese alla YU. se. .

Il primo giudice osservava che il fatto costitutivo della pretesa azionata (cioe' l'aver custodito la merce in un magazzino privo di sistemi antifurto) non era stato in alcun modo provato in giudizio, essendo risultato che la socio: La convenuta aveva installato un idoneo impianto antifurto, dotato di sensori volumetrici, collegato alla centrale della societa' di vigilanza, incaricata della sorveglianza.

Quanto alla istanza di acquisizione del fascicolo del procedimento penale aperto a seguito della denuncia di furto, il Tribunale rigettava tale istanza confermando la ordinanza istruttoria del 16 luglio 2001.

Avverso la decisione della Corte territoriale, che conformava quella del primo giudice, AI. Eu. ha proposto ricorso per cassazione sorretto da quattro, distinti, motivi.

Resiste la YU. se. con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la ricorrente deduce la violazione e la falsa applicazione degli articoli 99 e 112 c.p.c. sostenendo che la decisione della Corte territoriale non aveva tenuto debito conto delle disposizioni di legge indicate, al fine di individuare la fattispecie sottoposta al suo esame (vale a dire il contratto di trasporto stipulato dalle parti, IN. e YU. ). Questa ultima societa' era il vettore incaricato del trasporto, avendo preso in consegna la merce affidatale da IN. .

In tale veste era stata appunto chiamata a rispondere dell'indennizzo corrisposto alla assicurata, per responsabilita' vettoriale aggravata, conseguente al furto di merce affidatale per il trasporto, avvenuta mentre la stessa si trovava nel suo magazzino.

Doveva dunque trovare applicazione, nel caso in esame, la disposizione dell'articolo 1693 c.c. con tutte le conseguenze relative all'onere della prova a carico del vettore.

Erroneamente, dapprima il Tribunale e poi il giudice di appello avevano ritenuto - invece - che l'aziono proposta fosse circoscritta solamente all'accertamento di una responsabilita' derivante da contratto di deposito e che il fatto dedotto fosse la circostanza che il magazzino era privo di sistema antifurto e di servizio di sorveglianza.

Nell'atto di citazione erano chiaramente indicati i fatti costitutivi del diritto fatto valere e dallo stesso non poteva dedursi affatto, come al contrario avevano fatto entrambi i giudici di merito, che le merci fossero state affidate alla YU. solo per il deposito e non per un diverso contratto (di trasporto).

Con il secondo motivo, la societa' ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell'articolo 1683 c.c. e seguenti. L'obbligazione di deposito, in questo caso, doveva considerarsi accessoria alla obbligazione principale di trasporto. Nel caso di specie sussisteva la colpa grave del vettore, perche' il magazzino dove ora ricoverata la merce, poi oggetto di furto, non era protetto da sistema antifurto ne' da guardiania o sorveglianza periodica.

Doveva, pertanto, concludersi che la resistente non aveva assolto all'onere probatorio posto a suo carico, posto che nel furto perpetrato nella notte tra l'(OMESSO), nel magazzino della YU. non erano ravvisabili i presupposti per la configurabilita' del caso fortuito, previsto quale unica esimente della responsabilita' del vettore.

Con il terzo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 112 e 116 c.p.c..

Dopo aver richiamato quanto gia' esposto nei procedenti motivi, la societa' ricorrente sottolinea che dalle risultanze istruttorie era emerso che il magazzino non era protetto da antifurto ne' da guardiania e sorveglianza periodica, idonei ad evitare eventi come quello dedotto.

Del tutto incomprensibile era i ragionamento seguito dalla Corte territoriale per escludere che nei caso di specie fosse ravvisabile, quanto meno, una colpa grave del vettore.

Invece di provvedere immediatamente alla consegna al destinatario della merce, YU. aveva ritenuto di ricoverare la stessa nel proprio magazzino sito al piano terreno, dal quale ora stata sottratta da ignoti ladri.

L'Impianto di allarme era del tutto inadeguato, come era dimostrato dalla circostanza che la stessa YU. aveva provveduto ad integrarlo e potenziarlo subito dopo la commissione del furto.

Neppure vi era prova che il servizio di guardiania - alla cui esistenza e vigenza alcuni testimoni avevano fatto generico riferimento - fosse stato effettuato realmente anche nella notte del furto.

Con il quarto, ed ultimo, motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli articoli 1768 e 1176 c.c..

In via del tutto subordinata, e solo per l'ipotesi in cui dovesse ritenersi che la "causa petendi" fosse circoscritta al contratto di deposito, la ricorrente richiama giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale - anche nel caso di deposito come nel contratto di trasporto per il vettore - spetta al depositario dimostrare la imprevedibilita' e la inevitabilita' della perdita della cosa, ovvero la estraneita' della perdita rispetto al comportamento da lui tenuto nella esecuzione del contratto.

Da tutte le prove raccolte era risultata la assoluta insufficienza delle protezioni disposte al fine di evitare eventi come quelli dedotto in causa, con tutte le conseguenze in ordine alla imputabilita' alla YU. se. del danno di cui la societa' Ai. Eu. s.a. insisteva a richiedere la integra le refusione.

Osserva il Collegio:

I primi tre motivi, da esaminare congiuntamente in quanto connessi tra di loro, sono privi di qualsiasi fondamento.

Con motivazione adeguata, che sfugge a qualsiasi denuncia di violazione di legge, i giudici di appello hanno spiegato le ragioni per le quali hanno ritenuto che nell'atto introduttivo del giudizio la societa' attrice avesse dedotto quale unico fatto costitutivo della propria domanda la presenza di un insufficiente antifurto volumetrico collegato alla centrale di polizia e di un servizio di guardiania o sorveglianza periodica, nell'ambito di un rapporto di semplice deposito.

Anche successivamente, nella memoria dell'11 maggio 2001, la societa' attrice, replicando alla comparsa di costituzione e risposta della convenuta, aveva ribadito tale impostazione difensiva. Il primo giudice, cosi' come la Corte territoriale, avevano ritenuto che la societa' attrice non avesse fornito la prova dei fatto posto a base della domanda.

Il giudizio di appello avevano rilevato che il contraddittorio si era formato solo su tale questione, non essendosi mai fatto riferimento (almeno fino alla comparsa conclusionale) alla questione di una responsabilita' "ex recepto" del vettore di cui all'articolo 1693 c.c. e dunque ad un contratto di trasporto.

La ricorrente, con i primi tre motivi di ricorso, ritiene che la Corte territoriale - come gia' il primo giudice non abbia individuato correttamente la domanda proposta con l'atto introduttivo del giudizio.

Le censure formulate non colgono nel segno.

I giudici di appello hanno posto in evidenza che solo con la comparsa conclusionale nel giudizio, per la prima volta, era stata specificamente dedotta la esistenza di un contratto di trasporto.

Ora, le comparse conclusionali hanno soltanto la funzione di illustrare le ragioni di fatto e di diritto sulle quali si fondano le domande e le eccezioni gia' proposte e pertanto non possono certo contenere domande o eccezioni nuove che comportino un ampliamento del "thema decidendum" (Cass. 14 marzo 2006 n. 5478).

I tempi per la deduzione di un fatto o di una domanda nuovi sono dettati dalle regole riguardanti le preclusioni dettate dall'articolo 183 c.p.c..

Nel vigore del regime delle preclusioni di cui al nuovo testo degli articoli 183 e 184 c.p.c., introdotto dalla Legge n. 353 del 1990, la questione della novita' della domanda risulta del tutto sottratta alla disponibilita' delle parti - ed esclusivamente ricondotta al rilievo officioso del giudice - essendo l'intera trattazione improntata al perseguimento delle esigenze di concentrazione e speditezza che non tollerano l'ampliamento successivo del "thema decidendi" (Cass. 13 dicembre 2006 n. 26691, 16 maggio 2007 n. 11298, 12 giugno 2009 n. 13733).

Correttamente dunque - ha rilevato la Corte d'appello - il primo giudice aveva ritenuto che nel caso di specie non ponesse essere presa in considerazione la norma di cui all'articolo 1693 c.c. concernente la responsabilita' del vettore per perdita delle cose consegnategli per il trasporto, la quale indica quali cause esimenti della responsabilita' solo la imprevedibilita' e la inevitabilita' della perdita.

Il mutamento della "causa petendi" determina una "mutatio libelli" quando la diversa "causa petendi", essendo impostata su presupposti di fatto e su conseguenti situazioni giuridiche non prospettati in precedenza, comporti l'immutazione dei costitutivi del diritto fatto valere e, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione, alteri l'oggetto sostanziale dell'azione e i termini della controversia, tanto da porre in essere una pretesa diversa da quella fatta valere in precedenza. (Cass. 3 settembre 2007 n. 18513).

E' pur vero che nell'indagine diretta all'individuazione e qualificazione della domanda giudiziale, il giudice di merito non e' condizionato dalla formula adottata dalla parte, dovendo egli tener presente essenzialmente il contenuto sostanziale della pretesa, desumibile, oltre che dai tenore delle deduzioni svolte nell'atro introduttivo e nei successivi scritti difensiva, nei limiti indicati dalle norme in vigore, anche dallo scopo cui la parte mira con la sua richiesta. (Cass. 6 aprile 2006 n. 8107).

Tuttavia, il potere - dovere del giudice di qualificare giuridicamente l'azione e di attribuire il "nomen iuris" al rapporto giuridico sostanziale dedotto in giudizio, anche in difformita' rispetto alle deduzioni delle parti, trova un limite - la cui violazione determina il vizio di ultrapetizione - nel divieto di sostituire l'azione proposta con una diversa, perche' fondata su fatti diversi o su una diversa "causa petendi" con la conseguente introduzione di un diverso titolo accanto a quello posto a fondamento della domanda, e di un nuovo tema di indagine.

Deve escludersi, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, che il giudice possa basare la propria decisione su un fatto che nessuna delle parti (ed in particolar modo neppure quella interessata) abbia mai in alcun modo dedotto in causa (sia pure ad altri fini).

E' infatti evidente che in tal caso, operando in tal senso, il giudice finirebbe inevitabilmente per violare il principio dispositivo tradizionalmente considerato uno dei piu' basilari principi del processo civile - e tuttora pienamente valido nel processo civile ordinario - oltre che quello del contraddittorio. (Cass. 14531 del 2007).

Nel caso di specie, entrambi i giudici di merito avevano riconosciuto che l'unico fatto dedotto dalla societa' attrice era costituito dalla mancata predisposizione di un idoneo servizio di allarme antifurto installato nel magazzino YU. , presso il quale la merce era depositata.

La societa' attrice non aveva formulato alcuna precisazione in ordine alla natura ed al contenuto delle pattuizioni intercorse tra la propria assicurata IN. spa e la YU. se. , relativamente all'eventuale trasporto della merce immagazzinata a destinatari diversi.

In pratica l'unico rapporto dedotto in causa - come e' stato accertato dai giudici di merito - era stato quello relativo al deposito della merce, non anche il trasporto della stessa.

Tra l'altro, la polizza assicurativa, dalla quale avrebbe potuto desumersi l'ambito del rischio assicurato (sottrazione di merce affidata per trasporto o deposito), era stata precotta solo nel giudizio di appello.

Da ultimo, e con riferimento alle censure svolte con il terzo motivo di ricorso, la Corte territoriale (con motivazione non specificamente contestata in questa sede), ha sottolineato che la societa' attrice non aveva mai allegato la inadeguatezza o la incompletezza dell'impianto d'allarme installato all'epoca del furto.

In particolare, la AI. Eu. non aveva spiegato le caratteristiche che avrebbe dovuto possedere l'impianto stesso in rapporto alla struttura dei locali, si' da evidenziarne la eventuale inidoneita' in base ai criteri tecnici diretti ad assicurare una normale funzionalita' ed affidabilita' dell'impianto.

invece, la societa' attrice si era limitata a sostenere, sin dal primo atto del giudizio, e tra l'altro infondatamente (come sottolinea la stessa Corte d'appello), che il capannone non era protetto da antifurto ne' da servizio continuo di guardiania.

La circostanza, accertata in corso di causa, secondo la quale il sistema installato era stato successivamente potenziato, non induceva affatto a ritenere che al momento del furto lo stesso fosse inadeguato ed inidoneo al suo scopo.

La sorveglianza del deposito era stata confermata dalle testimonianze raccolte, oltre che dalla documentazione prodotta (relativo al contratto stipulato con Te. , dal quale risultava un collegamento con la centrale) documentazione in ordine alla quale la societa' appellante non aveva formulato alcuna censura.

Il quarto motivo di ricorso e' invece inammissibile.

Costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, quello secondo il quale la responsabilita' "ex recepto" incombe sul depositario cosi' che il medesimo ha l'onere di provare la non imputabilita' della perdita della cosa, oltre che di aver fatto tutto il possibile per evitare l'evento: il relativo accertamento costituisce questione di fatto non sindacabile in sede di legittimita' ove la motivazione sia immune da vizi logici e giuridici.

Nel caso di furto o rapina di cose affidate al depositario, secondo la prevalente giurisprudenza di questa Corte, questo ultimo ha l'onere di fornire la prova della non imputabilita' della perdita della merce, oltre che di avere prestato la sua attivita' con tutta la diligenza esigibile (Cass. 10 marzo 2009 n. 5736, 24 novembre 2007 n. 1510, 12 aprile 2006 n. 18629).

In altre parole, il depositario non si libera della responsabilita' "ex recepto" provando di avere usato nella custodia della "res" la diligenza del buon padre di famiglia prescritta dall'articolo 1218 c.c. che l'inadempimento sia derivato da causa a lui non imputabile (Cass. 8 agosto 1997, n. 7363; Cass. n. 12 giugno 1995 n. 6592).

Il principio, indubbiamente esatto, va condiviso per ogni obbligazione di custodire per quanto il combinato disposto degli articoli 1176 e 1177 c.c. faccia riferimento solo all'uso della diligenza del buon padre di famiglia.

Cio' non comporta, pero', che il fatto esterno debba avere necessariamente i requisiti del caso fortuito o della forza maggiore, poiche' in questo caso si finirebbe in un'ipotesi di presunzione di responsabilita', mentre nella fattispecie si versa solo in ipotesi di presunzione di colpa, ponendo l'articolo 1218 c.c. a carico del debitore la prova che l'inadempimento e' stato determinato da impossibilita' a lui non imputabile e cioe', come sostiene correntemente la dottrina, che egli non sia colpevole dell'inadempimento (cfr., tuttavia, Cass. 29 luglio 2004 n. 14470, 28 maggio 2001 n. 7226).

Nello stesso contratto di deposito la responsabilita' per inadempimento dell'obbligo di custodia e' sempre fondata sulla colpa l'articolo 1768 c.c., comma 2).

Le differenze tra il contratto di trasporto e quello di deposito, per quanto riguarda la responsabilita' del vettore - depositario ed il relativo regime probatorio, sono state poste in evidenza dalla giurisprudenza di questa Corte.

E' stato cosi' affermato che, ad integrare l'esimente del fortuito di cui all'articolo 1176 c.c., comma 2, ed assolutamente inevitabile, tenendo conto di tutte circostanze del caso concreto e delle possibili misure idonee ad elidere o attenuare il rischio concreto della perdita del carico (Cass. 13 maggio 2009 n. 11024, 27 marzo 2009 n. 7533, 10 marzo 2009 n. 5736, 9 agosto 2007 n. 17478, 8 agosto 2007 n. 17398, 14 novembre 2006 n. 24209; cfr. anche Cass., 10980 del 14 luglio 2003; v. inoltre, Cass. 23 marzo 2001 n. 4236, 21 dicembre 1999 n. 14397, 7 ottobre 1996 n. 8750, 8 agosto 1996 n. 7293, 18 ottobre 1991 n. 11004, 4 ottobre 1991 n. 10392, 10 aprile 1986 n. 2515).

La sentenza impugnata ha spiegato, in modo adeguato, le ragioni per le quali ha ritenuto che l'inadempimento di YU. se. fosse dipeso da causa a lei non imputabile, e cioe' che la stessa non fosse colpevole dell'inadempimento.

Le particolari modalita' del furto, rese possibili dalla qualita' della merce sottratta (materiale informatico) - ha sottolineato la Corte territoriale - avevano di fatto reso inefficace il sistema di impianto antifurto a sensori volumetrici, collegato direttamente con la sala operativa di vigilanza della Te. , senza colpa del depositario.

Quanto allo censure relative al ritardo nella consegna della merce (che ad avviso della ricorrente non avrebbe dovuto essere depositata in magazzino, ma immediatamente inoltrata al destinatario finale) si tratta - all'evidenza - di censure di merito, inammissibili in questa sede di legittimita'.

A questa ineccepibile conclusione, di aperto riconoscimento di non imputabilita' del furto perpetrato nei magazzino della YU. se. , nonostante l'efficiente sistema di allarme antifurto ed il servizio di controllo direttamente collegato con la centrale operativa della societa' di vigilanza, la ricorrente, sotto la apparente denuncia di vizi di violazione di legge, finisce per contrapporre, in realta', una propria personale valutazione delle prove raccolte, sollecitandone, nel senso da essa auspicato, una nuova lettura critica, cosi' introducemmo, nella presente fase di legittimita', un'inammissibile istanza di riesame del merito della causa.

Del tutto irrilevanti, infine, ai fini della decisione del caso di specie, sono le argomentazioni formulate dalla ricorrente relative al potenziamento del sistema di antifurto, posto in essere dopo gli eventi di causa.

Conclusivamente il ricorso deve essere rigettato, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE

rigetta il ricorso.

Condanna la societa' ricorrente al pagamento delle spese che liquida in euro 2.800,00 (duemilaottocento/00) di cui euro 2.600,00 (duemilaseicento/00) per onorari di avvocato, oltre spese generali ed accessori di legge.
 

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