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In tema di responsabilità dell'appaltatore per rovina e difetti di cose immobili la "scoperta" del vizio va valutata in relazione alla gravità dei difetti dell'edificio
Pubblicata il 11/10/2009
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Sezione distaccata di Adria
Sentenza 6 maggio 2009
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione, ritualmente notificato, N. T. e S. F. convenivano in giudizio G. C., la “X. s.a.s. di M. L. & C.” e M. P. e S. T. – rispettivamente quali progettista e direttore dei lavori, società costruttrice e parte venditrice - al fine di ottenere il risarcimento dei danni (dettagliatamente descritti dalla perizia dell’ing. P.) di natura strutturale, che avevano inciso sulla utilizzabilità del fabbricato ancora allo stato “grezzo” a causa dei difetti di costruzione evidenziati dal perito di parte.
Deducevano in particolare gli attori che:
con atto del notaio Penzo del 30 settembre 1999 avevano acquistato da M. P. e S. T. un immobile edificato “al grezzo” nel comune di Porto Viro, lottizzazione “Le Mimose”, censito al catasto al mapp. n. 1515 (foglio 6);
i precedenti proprietari avevano stipulato un contratto di prestazione professionale intellettuale con l’architetto C. avente ad oggetto sia la progettazione, sia la direzione dei lavori per la costruzione del predetto fabbricato ed un contratto di appalto con la “X. s.a.s. di M. L. & C.” per la realizzazione dei lavori di costruzione dell’abitazione;
nei primi giorni del mese di ottobre 2001, mentre erano in corso i lavori di ultimazione dell’immobile, a seguito della comunicazione da parte dei muratori, gli attori avevano avuto contezza del fatto che l’immobile presentava una inclinazione sul lato ovest, circostanza immediatamente contestata, con lettera del 16 ottobre 2001, alla direzione dei lavori, all’impresa appaltatrice ed ai venditori;
successivamente era stato incaricato l’ing. M. P. al fine di verificare la situazione statica del fabbricato e dal contenuto della perizia consegnata avevano avuto piena conoscenza della presenza di una rotazione del fabbricato in direzione est-ovest e un abbassamento di 11 cm sul lato ovest;
i vizi riscontrati nell’immobile non consentivano la ultimazione della realizzazione del fabbricato ed erano imputabili ad una inadeguata valutazione della portata del terreno, ovvero ad un errore di progettazione, nonché di controllo, nella fase di esecuzione dell’opera, da parte del direttore dei lavori e della società costruttrice;
per tali motivi vi era una responsabilità extracontrattuale solidale del direttore dei lavori e progettista, della società appaltatrice e dei venditori, nonché una responsabilità contrattuale dell’architetto C. e dei venditori.
Si costituivano tempestivamente M. P. e S. T. eccependo:
la totale mancanza di responsabilità nella causazione dei danni, ascrivibili in via esclusiva alle condotte del progettista e direttore dei lavori e della società appaltatrice, sotto il profilo della responsabilità extracontrattuale invocata;
la decadenza e descrizione dell’azione contrattualmente proposta, ai sensi dell’articolo 1495 c.c.
Si costituiva tempestivamente la “X. s.a.s. di M. L. & C.” deducendo la totale assenza di colpa, poiché i lamentati vizi strutturali traevano origine da una inesatta verifica geognostica e, dunque, erano ascrivibili alla condotta del progettista; veniva richiamata l’operatività dell’articolo 13 del contratto di appalto stipulato tra M. P. e S. T. da un lato e la “X. s.a.s. di M. L. & C.” dall’altro a mente del quale la società attrice si assumeva la piena responsabilità solamente per la esatta corrispondenza delle opere eseguite agli elaborati tecnici forniti e non anche alle soluzioni progettuali assunte dal progettista, direttore dei lavori o committente, precisando come il contratto fosse stato sottoscritto anche dall’arch. C..
Per tali motivi veniva chiesta la reiezione delle domande, nonché in via pregiudiziale la autorizzazione alla chiamata in giudizio dell’arch. C. e della “P. R. & C. s.n.c.” - con la quale era stato stipulato un contratto di subappalto avente ad oggetto la infissione dei pali di sostegno nel terreno - al fine di essere garantita nella ipotesi di soccombenza.
Si costituiva tempestivamente l’architetto C. rilevando come la progettazione fosse stata assolutamente adeguata in relazione agli elementi conoscitivi messi a disposizione del professionista, ovvero sulla base delle indagini geognostiche fornite dalla parte committente e fatte eseguire dalla società lottizzate alla “Sacchetto Padana Perforazioni s.r.l.” in diversi punti della lottizzazione, con anche una prova penetrometrica sul lotto ove era stata costruita l’abitazione; deduceva la mancanza di colpa e la riconducibilità al caso fortuito dei vizi riscontrati dalla parte attrice. Veniva, in altri termini, rilevato come la variazione repentina delle caratteristiche del sottosuolo non potesse essere prevista ex ante, ma soltanto ex post a cedimento avvenuto, attraverso una specifica prova penetrometrica mirata in corrispondenza del punto di M. sprofondamento dell’edificio.
In ogni caso veniva chiesta l’autorizzazione alla chiamata in causa della “P. R. & C. s.n.c.”, incaricata dalla società appaltatrice di infiggere i pali di costruzione, al fine di essere garantito nel caso di soccombenza.
Si costituiva la “P. R. & C. s.n.c.” deducendo di aver eseguito un’opera di palificazione in una area indicata dalla “X. s.a.s. di M. L. & C.”, previa individuazione dei punti ove tali pali dovevano essere piantati, asserendo che precedentemente erano stati collocati i picchetti per la individuazione dei punti di infissione da parte della società committente, chiedendo che fosse accertata la totale assenza di colpa.
Veniva chiesta in ogni caso l’autorizzazione alla chiamata in causa della compagnia di assicurazione “Llyod Adriatico s.p.a.”, eccependo la decadenza e prescrizione dell’azione di garanzia invocata dalle parti in causa.
Si costituiva il “Llyod Adriatico s.p.a.”, il quale confermava che alcun addebito poteva essere mosso alla “P. R. & C. s.n.c.” e, in caso di accoglimento della domanda nei confronti del garantito, affermava la operatività del contratto di assicurazione in vigore nell’anno 1997 – epoca di realizzazione dei lavori appaltati alla terza chiamata – che prevedeva una franchigia pari al 10% dell’importo del sinistro, con minimo assoluto di £ 3.000.000 e con il limite M. di £ 40.000.000.
Svoltasi la prima udienza in data 22 novembre 2002, veniva disposta una consulenza tecnica d’ufficio sulla base degli esiti del procedimento di accertamento tecnico preventivo già effettuato nell’ottobre 2002, ed escussi i testi indicati dalle parti (M. P., W. C., V. M., C. M., D. P., S. G.), nonché interrogati formalmente l’arch. C., L. M., M. P. e R. P..
Infine all’udienza del 25 novembre 2008 le parti concludevano come riportato in epigrafe, ed il Giudice tratteneva la causa in decisione all’esito dei concessi termini di legge per il deposito delle difese finali.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Preliminarmente si ritiene opportuno ripercorrere brevemente i principi generali normativi che regolano la materia del contendere e richiamare gli insegnamenti della Suprema Corte utili ai fini decisori.
E’ noto che la giurisprudenza della Suprema Corte – avversata dalla prevalente e più autorevole dottrina – inquadra la responsabilità di cui all’art. 1669 c.c. nell’alveo aquiliano (Cass., 6 novembre 2008, n. 26609; Cass., 7 gennaio 2000, n. 81), affermando che la disciplina di stampo pubblicistico – perché volta a garantire l’incolumità personale dei cittadini, inderogabile e trascendente i confini ed i limiti dei rapporti negoziali tra le parti – non può essere rinunciata né limitata contrattualmente (Cass., 7 aprile 1999, n. 3338).
A fronte della affermazione della natura extracontrattuale, la Suprema Corte invoca una presunzione di colpa del danneggiante (cfr. Cass., 28 novembre 1998, n. 12106) e delimita con attenzione l’alveo dei soggetti passivi dell’azione (cfr. Cass. 16 febbraio 2006, n. 3406: “L'ipotesi di responsabilità regolata dall'art. 1669 cod. civ. in tema di rovina e difetti di immobili ha natura extracontrattuale e, conseguentemente, trova un ambito di applicazione più ampio di quello risultante dal tenore letterale della disposizione - che fa riferimento soltanto all'appaltatore nei confronti del committente e dei suoi aventi causa -, perché operante anche a carico del progettista, del direttore dei lavori e dello stesso committente che abbia provveduto alla costruzione dell'immobile con propria gestione diretta, ovvero sorvegliando personalmente l'esecuzione dell'opera, sì da rendere l'appaltatore un mero esecutore dei suoi ordini. Il suo presupposto risiede quindi, in ogni caso, nella partecipazione alla costruzione dell'immobile in posizione di "autonomia decisionale"; Cass., 9 febbraio 1993, n. 1590 e Cass., 29 marzo 2002, n. 4622).
In tal guisa la giurisprudenza di legittimità riconosce nella fattispecie de qua caratteristiche proprie della responsabilità contrattuale: l’individuazione del soggetto passivo in relazione alla fonte negoziale o alla sussistenza di un rapporto significativo, dato dall’aver eseguito la costruzione in autonomia operativa, e l’inversione dell’onere della prova (cui si aggiunge la prescrizione decennale indicata dalla disposizione in esame).
A ben vedere, dunque, la Suprema Corte – con un chiaro intento giustizialista – associa la disciplina della responsabilità contrattuale (più favorevole al danneggiato) con il più ampio spettro operativo della responsabilità extracontrattuale.
La stratificazione giurisprudenziale di principi regolanti la materia può ritenersi un inconsapevole avvicinamento a quella che autorevole dottrina definisce come “obbligazione senza prestazione”: una sorta di responsabilità quasi contrattuale, regolata dalla disciplina di cui all’art. 1218 c.c., pur non fondandosi su un contratto, bensì sulla instaurazione di un rapporto giuridico significativo dato, come detto, dall’aver costruito (o partecipato a costruire) il bene in piena autonomia gestionale (sulla applicazione di tale interpretazione estensiva oltre le ipotesi di responsabilità medica si veda la Cass., S.U., 26 giugno 2007, n. 14712 in materia bancaria).
Non parrà sterile dissertazione giuridica quanto testé detto allorché si osservi come l’azione proposta dalla parte attrice si fonda nei confronti della “X. s.a.s. ” e dell’arch. G. C. sul significativo rapporto giuridico dato dall’aver assunto l’obbligazione di progettare e costruire l’abitazione in oggetto, pur mancando un vincolo contrattuale tra le parti (nei confronti dell’arch. C. il rapporto contrattuale è intercorso in relazione all’attività di direzione dei lavori di completamento della costruzione “al grezzo”).
Sara altresì opportuno ricordare che la Suprema Corte ha affermato che:
grava sul danneggiato la prova della sussistenza del vizio originario e del nesso di causalità tra il predetto vizio e l’evento dannoso (Cass., 11 luglio 1977, n. 3102), e sul danneggiante la prova della mancanza di responsabilità nella causazione del danno, circostanza integrata non solo attraverso la dimostrazione di aver diligentemente operato nella realizzazione dell’opera, bensì specificamente della mancanza di responsabilità conclamata da fatti positivi precisi e concordanti (Cass., 27 febbraio 1991, n. 2123; Cass., 15 aprile 1999, n. 3756);
la responsabilità disciplinata dall’art. 1669 c.c. si basa sul presupposto della partecipazione alla costruzione dell’immobile in posizione di autonomia decisoria: ciò determina una responsabilità risarcitoria a carico del progettista, del direttore dei lavori e dello stesso committente che abbia provveduto alla costruzione dell’immobile con propria gestione diretta, ovvero sorvegliando personalmente l’esecuzione dell’opera (Cass., 10 settembre 2002, n. 13158);
la responsabilità del progettista e del direttore dei lavori non discende esclusivamente dalla operatività dell’art. 1669 c.c., bensì da una rapporto contrattuale diretto disciplinato dagli articoli 2229 e ss. c.c.: tale responsabilità prescinde dall’onere di denuncia (Cass., 28 luglio 2005, n. 15781);
il progettista è tenuto a svolgere accuratamente l’attività di indagine sulla natura e consistenza del suolo sul quale deve essere realizzato un fabbricato (Cass., 7 settembre 2000, n. 11783);
il direttore dei lavori è tenuto ad accertare che l’attività di realizzazione dell’opera sia conforme al progetto, nonché alle regole della tecnica adottando tutti i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi, esercitando un’attiva vigilanza su tutte le fasi di realizzazione dell’opera, segnalando all’appaltatore tutte le situazioni anomale e gli inconvenienti che si verificano in corso d’opera (Cass., 20 luglio 2005, n. 15255);
rientra nei compiti del progettista e dell’appaltatore quello di verificare la consistenza del suolo (Cass., 7 settembre 2000, n. 11783);
gli autori di un illecito aquiliano rispondono in solido nei confronti del danneggiato anche quando le rispettive condotte siano state tra loro indipendenti, purché abbiano concorso in modo efficiente alla produzione dell’evento (Cass., 22 agosto 2002, n. 12367);
il committente dell’opera è tenuto a risarcire i danni, ai sensi dell’art. 1669 c.c., nei confronti del terzo danneggiato soltanto allorché abbia violato regole di cautela ai sensi dell’articolo 2043 c.c., ovvero nel caso di error in eligendo – per aver affidato l’opera ad una impresa assolutamente inidonea – oppure nel caso in cui, sulla base degli accordi contrattuali, si sia specificamente intromesso nella fase realizzativa dell’opera, materialmente cooperando con l’impresa appaltatrice nella esecuzione della stessa, rendendo la appaltatrice una mera esecutrice: non anche allorché gli si imputi di non aver sorvegliato l’attività dell’appaltatore, il quale ha agito quale imprenditore autonomo (Cass., 26 giugno 2000, n. 8686);
nella ipotesi in cui la figura del progettista sia estranea alla struttura d’impresa della società appaltatrice, quest’ultima non è tenuta soltanto ad eseguire il progetto a regola d’arte, ma anche a controllare, con la diligenza richiesta dal caso concreto e nell’ambito delle commissioni tecniche esigibili, la congruità e completezza del progetto stesso e dell’attività del direttore dei lavori, con l’obbligo di segnalare al committente eventuali errori riscontrati nella fase progettuale tali da incidere sulla idoneità dell’opera realizzata (Cass., 5 maggio 2003, n. 6754); in altri termini l’appaltatore, anche quando è chiamato a realizzare un progetto predisposto da altri, è sempre tenuto a rispettare le regole dell’arte ed è soggetto a responsabilità anche in caso di ingerenza da parte del committente o di altri soggetti e la propria responsabilità non viene meno neppure nel caso in cui si accerti che i vizi sono imputabili ad errori di progettazione o di direzione dei lavori, qualora l’appaltatore si sia accorto del vizio e non lo abbia tempestivamente denunciato al committente dissentendo ovvero non abbia rilevato i vizi, pur potendo e dovendo riconoscerli in relazione alla perizia e alla capacità tecniche da lui esigibili (Cass., 26 luglio 1999, n. 8075);
le responsabilità derivanti dall’omesso controllo da parte della società appaltatrice è esclusa nella sola ipotesi in cui quest’ultima sia riconducibile alla figura del nudus minister ovvero abbia svolto una attività passiva strumentale nelle mani del committente, senza alcuna possibilità di iniziativa e vaglio critico, in posizione di assoluta subordinazione: in ogni altro caso la prestazione dovuta dall’appaltatore implica anche il controllo della correzione degli eventuali errori del progetto fornitogli (Cass., 12 maggio 2000, n. 6088);
la responsabilità dell’appaltatore ovvero di altri soggetti che hanno concorso alla realizzazione dell’opera dà vita ad un debito di valore che deve essere liquidato avendo riguardo al potere di acquisto della moneta alla data della decisione (Cass., 4 gennaio 1993, n. 13); il risarcimento del danno non ha ad oggetto solo i costi di riparazione dell’edificio, ma anche l’eventuale svalutazione dell’immobile riparato e ogni altro diverso effetto pregiudizievole subito da questo e dal suo proprietario (Cass., 28 marzo 1970, n. 863).
Ciò premesso, ci si riporta agli esiti della CTU - svolta con perizia e diligenza ed immune da vizi logici e procedimentali - in ordine alla individuazione della responsabilità dei convenuti.
Si evidenzia come non possono trovare accoglimento le contestazioni sull’operato del consulente tecnico d’ufficio svolte dalla terza chiamata, nonché dall’architetto C. poiché non vi sono elementi concreti che inducano a ritenere che tale attività peritale non sia stata svolta con totale imparzialità e nelle rispetto delle regole dell’arte.
Peraltro qualsivoglia contestazione in ordine all’acquisizione di documenti in sede di accertamento tecnico preventivo doveva essere immediatamente formulata e non può trovare accoglimento in questa sede, secondo il costante orientamento espresso dalla Corte di Cassazione (cfr. Cass., 19 agosto 2002, n. 12231).
Ai fini della decisione si ritiene opportuno esaminare le considerazioni ed eccezioni formulate da ogni singola parte e verificare la responsabilità della stessa in relazione alle domande formulate dalla parte attrice.
Per quanto concerne l’architetto C., non pare seriamente dubitabile il fatto che il danno lamentato sia attribuibile alla sua attività di progettazione della erigenda costruzione e attività di direzione dei lavori, attività che, a prescindere dalla immediata imputazione di responsabilità sotto il profilo strettamente contrattuale per successione nel rapporto da parte degli odierni attori (cfr. doc. 6 del fascicolo di parte attrice), deriva indiscutibilmente dalla immediata precettività dell’articolo 1669 c.c., come sopra ricordato.
L’architetto C. ha contestato le pretese della parte attrice azionate nella presente causa sotto molteplici profili riassunti nella propria comparsa conclusionale e così sintetizzabili:
l’eventuale erroneità nella progettazione strutturale sarebbe attribuibile all’ingegner B., circostanza che determinerebbe un difetto di legittimazione passiva dell’architetto C.;
l’applicabilità al caso di specie dell’articolo 2236 c.c. e conseguentemente la totale assenza di colpa per aver progettato l’abitazione sulla base dei rilievi effettuati dalla “Sacchetto Perforazioni s.r.l.” per la lottizzazione “Le Mimose”, nonché sulla base di quanto disposto dal d.m. 11 marzo 1988;
in ogni caso il difetto di costruzione non sarebbe imputabile all’attività di progettazione svolta, bensì ad una ipotesi di “caso fortuito” idonea ad escludere qualsivoglia profilo di responsabilità colposa a carico del progettista, poiché dalla disamina delle prove penetometriche e dei carotaggi effettuati nei fondi limitrofi ed al centro di quello oggetto di costruzione emergeva l’esistenza di un banco di sabbia con capacità portante a partire dalla profondità di 5-6 metri;
vi sarebbe stata interruzione del nesso di causalità tra la condotta ascritta al progettista ed il danno lamentato a seguito del comportamento omissivo – consistito nel non segnalare la anomalia riscontrata nella fase di collocamento dei pali di fondazione – tenuto dalla “P. R. e A. s.n.c.”;
la inefficacia negoziale della sottoscrizione apposta dall’architetto C. al contratto di appalto stipulato tra i committenti (S. T. e M. P.) e la società appaltatrice (“X. s.a.s. ”).
Ritiene il Giudice che nessuna delle contestazioni ed osservazioni formulate dal convenuto C. sia dirimente ed idonea ad escludere la responsabilità di quest’ultimo, sia sotto il profilo dell’attività professionale svolta come progettista, sia sotto il profilo dell’attività professionale svolta come direttore dei lavori.
Innanzitutto si evidenzia come non vi sia stata una allegazione nella comparsa di costituzione e risposta del fatto posto alla base della eccezione di difetto di legittimazione passiva sostanziale, ovvero della attribuzione all’ing. B. dell’attività di progettazione strutturale, sicché la relativa eccezione deve ritenersi tardiva e non può essere oggetto di disamina, né di rilievo d’ufficio (cfr. ex multis Cass., 26 settembre 2006, n. 20819).
In ogni caso la responsabilità del convenuto residuerebbe per essersi avvalso di un ausiliario, ai sensi dell’art. 1228 c.c. (ovvero art. 2049 c.c.).
In secondo luogo si rileva come non sia applicabile l’articolo 2236 c.c., peraltro non invocato dalla parte attrice per fondare la responsabilità di natura contrattuale, poiché non è emerso dall’attività istruttoria che la prestazione implicasse la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà: non a caso nella comparsa di costituzione l’architetto C. non ha invocato operatività della predetta disposizione.
Si ricorda, inoltre, che era onere del convenuto dar prova della sussistenza dei presupposti di applicabilità della norma, di natura eccezionale perché derogatrice alla disciplina della responsabilità contrattuale, sopra menzionata (cfr. Cass., 22 aprile 2005, n. 8546).
In terzo luogo si deve contestare la sussistenza dei presupposti di applicabilità dell’istituto del “caso fortuito” posto che, alla luce dei rilievi operati dalla CTU, si può escludere la totale assenza di prevedibilità della disomogeneità di profondità dello strato sabbioso ove dovevano essere conficcati i pali destinati a sostenere le fondamenta dell’intera costruzione.
Ha infatti affermato il consulente tecnico che il “dissesto strutturale vero e proprio, caratterizzato da una sensibile rotazione rigida dell’intero immobile secondo la direzione est-ovest, accompagnata da altra più lieve secondo la direzione nord-sud” (p. 15) è riconducibile alla “diversa stratigrafia del sottosuolo rispetto alle previsioni” e che tale errata valutazione è attribuibile all’operato del progettista per essersi basato solo su una prova penetrometrica preesistente sul terreno in questione (p. 17, 18).
Ha dunque rilevato l’ausiliario del Giudice come l’andamento anomalo del terreno sia noto ai geologi locali perché l’area in questione ricade nella zona interessata dalle cosiddette “dune fossili, ossia gli antichi cordoni comunali litoranei, risalenti a quando il mare lambiva le paludi venete” (p.19).
Per tali ragioni il perito ha ritenuto che l’errore progettuale sia stato quello di utilizzare una sola prova preesistente in luogo di effettuare ulteriori rilievi scegliendo, di conseguenza, pali troppo corti per sorreggere il fabbricato nella zona ovest; ha rilevato come le palificazioni siano rimaste sospese ovvero appena appoggiate alla sommità dello strato di sabbia diminuendo in modo sensibile il loro effetto portante o vanificando del tutto la trasmissione dei carichi agli stati resistenti profondi (p. 21).
Né può ritenersi che i rilievi a disposizione del progettista potessero considerarsi indiscutibilmente sufficienti, alla luce della natura del terreno sul quale l’abitazione doveva essere costruita: ciò avrebbe dovuto indurre il progettista a effettuare degli accertamenti sulla profondità dello strato sabbioso sia sul lato est dell’abitazione dove dovevano essere conficcati i pali, sia sul lato ovest, nonché ovviamente sui lati nord e sud.
In altri termini il progettista avrebbe dovuto verificare che tutta l’area interessata dalla installazione della palificazione presentasse una omogenea profondità dello strato sabbioso ove dovevano essere conficcati i pali di sostegno (cfr. anche a p. 49 e 52 della CTU).
Non si ritiene, in conclusione, che l’architetto C. sia stato capace di provare la assenza di responsabilità e la imprevedibilità di quanto avvenuto.
E’ la stessa difesa della parte convenuta ad asseverare quanto sopra detto, ovvero che i pali utilizzati, della lunghezza di metri sette, potevano essere indiscutibilmente inidonei allo scopo: a pagina 24 della comparsa conclusionale viene infatti affermato che tutte le prove di rilievo effettuate nell’area interessata dalla costruzione per l’attività di lottizzazione “dicevano che a partire dalla profondità di m. 5-6 fino a m. 8 si sarebbe dovuto incontrare un banco sabbioso compatto che offriva valori di resistenza-portanza pur variabili ma sempre adeguati all’immorsamento dei pali” sicché è di tutta evidenza che la scelta di utilizzare pali di metri sette non sarebbe comunque stata adeguata laddove il banco sabbioso avesse raggiunto i predetti 8 metri evincibili anche dai documenti a disposizione del progettista.
Dello stesso tenore è l’asserzione contenuta a pagina 27 della comparsa conclusionale, ove si afferma che leggendo il grafico di cui al rilievo CPT7 del 1993 si poteva evidenziare come diventasse elevatissima la portata dei pali intorno a 7 metri-7,50 metri.
Quanto fin’ora evidenziato è corroborato dalle dichiarazioni del teste qualificato P., il quale ha asserito che i proprietari delle abitazioni delle zone limitrofe hanno utilizzato palificazioni di 12 metri per la costruzione delle fondamenta degli immobili.
Neppure condivisibile è la affermazione che la responsabilità omissiva della “P. R. e A. s.n.c.” avrebbe interrotto il nesso di causalità.
Da un lato, infatti, si è chiarito come il danno sia strettamente correlato alla scelta progettuale di utilizzare palificazioni inidonee perché troppo corte per ancorarsi alla zona di stabilità del terreno sottostante, sicché l’eventuale imputazione colposa alla condotta della società che ha materialmente apposto la palificazione non potrebbe in nessun caso interrompere il nesso di causa; dall’altro la responsabilità dell’architetto C. nella fase di installazione della palificazione è configurabile sotto il profilo della diversa veste di direttore dei lavori che aveva assunto, poiché, come ricordato nel preambolo della presente motivazione, era suo onere verificare ed accertarsi che durante tale attività non emergessero circostanze che inducessero a ritenere errata la prodromica attività di progettazione.
Si tratta, dunque, di una responsabilità concorrente, temporalmente sfalsata, ascrivibile al convenuto sia quale progettista, sia quale direttore dei lavori.
Per quanto attiene la posizione giuridica dei venditori (S. T. e M. P.) si ritiene che difetti di qualsivoglia elemento idoneo a determinarne una responsabilità concorrente nella causazione del danno lamentato.
L’inapplicabilità della responsabilità prevista e disciplinata dall’art. 1669 c.c. discende, come anticipato nel preambolo, dalla totale mancanza di partecipazione diretta allo svolgimento dell’attività di costruzione dell’immobile; né può affermarsi che l’aver fornito, attraverso l’ausilio del mediatore, la documentazione attinente la indagine geognostica svolta nell’aprile del 1993 ed inerente la lottizzazione “Le Mimose” comporti l’assunzione di una responsabilità di natura extracontrattuale a carico dei committenti. Tale attività infatti è esclusivamente inquadrabile nella collaborazione “di cortesia” allo svolgimento dell’attività del professionista incaricato di progettare la costruzione della abitazione e in nessun modo è idonea ad escludere o diminuire la responsabilità del progettista, nonché alla attribuzione di una qualche posizione di garanzia in capo ai committenti.
Peraltro si deve rilevare come la domanda formulata dall’architetto C. nei confronti dei convenuti S. T. e M. P. sia stata tardivamente proposta con la memoria autorizzata ai sensi dell’articolo 183,V comma c.p.c., poiché tale domanda non deriva dalle difese dei convenuti, ma si fonda su una causa petendi già conosciuta ab origine – quantunque ritenuta infondata – così che la relativa domanda doveva essere tempestivamente proposta con la comparsa di costituzione e risposta.
È invece prescritta l’azione contrattuale proposta dagli attori nei confronti dei venditori per decorrenza del termine annuale previsto dall’articolo 1495 c.c., posto che l’immobile è stato consegnato nel 1999 e la prima denuncia dei vizi risale all’ottobre 2001.
A prescindere dalla operatività dell’articolo 13 del contratto di appalto, di cui si dirà in seguito, deve rilevarsi altresì il concorso di responsabilità a carico della “X. s.a.s. ”.
La convenuta non ha infatti provato di essere stata un mero nudus minister, ma ha mantenuto un potere di controllo ed esecuzione della prestazione che le era stato attribuito con il contratto di appalto.
Se, dunque, è vero che l’errore essenziale e principale causa del danno lamentato è imputabile al progettista (circostanza debitamente soppesata in sede di ripartizione delle responsabilità concorrenti), è altresì vero che la società appaltatrice aveva l’obbligo di controllare nella fase di esecuzione che tali determinazioni fossero idonee allo scopo.
La società appaltatrice non solo non ha correttamente operato la attività di verifica e controllo durante la fase di installazione della palificazione – circostanza che avrebbe potuto evitare il danno riscontrato qualora la società appaltatrice avesse segnalato l’anomalia – ma altresì non si è accorta della errata realizzazione della fondazione, attraverso la predetta palificazione, nella successiva fase di realizzazione del fabbricato, quantunque, secondo i canoni di diligenza imposti al costruttore, fosse suo preciso onere accorgersi e verificare il difetto che ha originato la presente controversia.
La difesa della “P. R. e A. s.n.c.” ha eccepito la totale assenza di colpa, affermando di non aver eseguito i rilievi geognostici, la mancata contestazione della propria opera da parte della società appaltatrice, nonché da parte dei committenti e degli acquirenti e di avere eseguito la prestazione conformemente alle direttive date dalla “X. s.a.s. ” e dall’ architetto C., direttore dei lavori.
Ha altresì evidenziato come non vi sia alcuna prova della atipicità della situazione creatasi nell’attività di installazione dei pali, individuata quale causa di responsabilità da parte del CTU.
L’ausiliario del Giudice, in effetti, ha affermato che nella attività di infissione dei pali la “P. R. e A. s.n.c.” “non può non essersi accorta della difformità di comportamento nella infissione dei pali sul lato est (della fondazione) rispetto a quelli sul lato ovest […] poiché si tratta di pali battuti è impensabile che l’operatore del battipalo non si sia accorto di nulla” (p. 48) configurando una negligenza professionale della terza chiamata per omessa segnalazione del diverso comportamento del terreno sul lato est rispetto quello sul lato ovest nella fase di infissione dei pali.
Tali considerazioni inducono a individuare una responsabilità concorrente della terza chiamata, indipendentemente dall’assolvimento della prova del numero di colpi necessari per l’infissione dei pali, modalità e tempi dell’attività svolta dalla “P. R. e A. s.n.c.”.
E’, infatti, elemento oggettivo desunto dal CTU quello per cui l’operatore diligente si sarebbe accorto (o dovuto accorgere) del fatto che i pali piantati sul lato ovest non potevano essersi infissi nello strato sabbioso, al fine di costituire un valido punto di appoggio per le fondazioni dell’abitazione.
Tali considerazioni appaiono condivisibili si ripete, pur in assenza della prova delle modalità con le quali l’attività di palificazione è avvenuta, per la logica considerazione che la corretta infissione dei pali sul lato est - con necessario incontro dell’attrito rappresentante la penetrazione della striscia di terreno sabbioso - avrebbe dovuto mettere in allerta gli operatori della “P. R. e A. s.n.c.” nella fase di infissione dei pali sul lato ovest per una difforme reazione del terreno.
Da ciò sarebbe dovuto conseguire l’obbligo di informazione del direttore dei lavori e della società appaltatrice ai fini dello svolgimento degli accertamenti necessari e predisposizione dei rimedi opportuni ad evitare l’erezione di un fabbricato con fondazioni oblique.
Non può ritenersi, anche in questo caso, che la terza chiamata abbia dimostrato di essere stata un nudus minister per il fatto che i punti di infissione dei pali erano stati determinati dalla società appaltatrice.
A prescindere dalla individuazione del soggetto che ha fornito i pali - circostanza che alla luce degli esiti della consulenza tecnica non appare rilevante sotto nessun profilo - si deve, infatti, evidenziare come le peculiari capacità tecniche della società fossero state determinanti nella scelta operata dalla “X. s.a.s. ” e nella stipulazione del contratto di subappalto; d’altronde se la società fosse un nudus minister ogni qualvolta vi è un direttore dei lavori ed un progettista esterno alla organizzazione aziendale verrebbe di fatto creata un’illegittima situazione di impunità nei confronti della società appaltatrice (o subappaltatrice) le cui competenze professionali sono, invece, state determinanti per i conferimento dell’incarico, con ciò svuotando la ratio della creazione giurisprudenziale del c.d. nudus minister, finalizzata all’esenzione di responsabilità del solo soggetto privo di qualsiasi potere decisionale ed operativo, per mancanza di possibilità di muovergli un giudizio di rimprovero.
La negligenza professionale - connessa alla sola fase di infissione dei pali secondo progetti predisposti dall’architetto C. e le direttive date dalla “X. s.a.s. ” - è esclusivamente ravvisabile nella omessa segnalazione della irregolarità della penetrazione dei pali sul lato ovest dell’abitazione, senza forme di attrito idonee a dimostrare il raggiungimento della fascia sabbiosa necessaria alla stabilità strutturale delle fondazioni.
La violazione degli obblighi di diligenza scaturisce sia nell’ipotesi in cui gli operatori della terza chiamata abbiano ravvisato tale anomalia senza segnalarla al direttore dei lavori e alla società appaltatrice, sia nel caso in cui questi non si siano accorti di tale situazione, posto che le competenze tecniche della “P. R. e A. s.n.c.” avrebbero dovuto indurla ad accorgersi della inidoneità della lunghezza dei pali al raggiungimento dello scopo, alla luce anche della documentazione progettuale fornita.
Per quanto concerne la individuazione della polizza operante nel caso di specie si deve rilevare come il momento rilevante per individuare la polizza operativa sia quello della determinazione del danno – ovvero di realizzazione della palificazione (settembre 1997) – e non quello della epifania dello stesso agli attori, sicché deve ritenersi operativa la polizza n. 42939676 con decorrenza dal 14 febbraio 1989 fino al 1999 (doc. 3 del fascicolo del “Llyod Adriatico s.p.a.”) e non la polizza n. 85378904 del 23 maggio 2000.
A suffragio di quanto detto si rileva come nella denuncia del sinistro (doc. 4 del fascicolo del “Llyod Adriatico s.p.a.”) si faccia riferimento all’attività svolta nel settembre del 1997.
Ne consegue che ai sensi della clausola lettera I) delle condizioni aggiuntive della polizza assicurativa la copertura contrattuale è operante previa deduzione del 10% a titolo di franchigia del danno imputato alla “P. R. & C. s.n.c.” e nei limiti di € 20.658,27.
In riferimento alle eccezioni di decadenza e prescrizione dell’azione proposta ai sensi dell’art. 1669 c.c., deve in generale affermarsi che il dies a quo corrisponde alla piena consapevolezza della esistenza dei vizi lamentati, ovvero il 9 gennaio 2002 allorché stata asseverata la perizia di parte predisposta dall’ingegner P. (doc. 9 del fascicolo degli attori) richiesta sulla base delle segnalazioni fatte dagli operai nell’ottobre del 2001 allorché stavano cercando di porre in opera le casse morte di alcuni serramenti (cfr. p.10 e 11 della CTU; cfr. ex multis Cass., 1 agosto 2003, n. 11740: “in tema di responsabilità dell'appaltatore per rovina e difetti di cose immobili ai sensi dell'art.1669 cod. civ., l'identificazione degli elementi conoscitivi necessari e sufficienti perché possa individuarsi la "scoperta" del vizio ai fini del computo dei termini annuali posti dalla norma - il primo di decadenza per effettuare la "denunzia" ed il secondo, che dalla denunzia stessa inizia a decorrere, di prescrizione per promuovere l'azione - deve effettuarsi sia con riguardo alla gravità dei difetti dell'edificio che con riguardo al collegamento causale dei dissesti all'attività progettuale e costruttiva espletata, sicché, non potendosi onerare il danneggiato della proposizione di azioni generiche a carattere esplorativo, la conoscenza completa idonea a provocare la decorrenza del doppio termine (decadenziale e prescrizionale) deve ritenersi acquisita, in assenza di anteriori esaustivi elementi, solo all'atto dell'acquisizione delle disposte relazioni peritali”).
Ne consegue che le eccezioni di prescrizione e decadenza dell’azione extracontrattuale (rectius contrattuale da contatto sociale) proposte sono infondate alla luce delle denunce notificate ai convenuti in modo generico il 19 ottobre 2001 ed in modo più analitico il 9 gennaio 2002 (doc. 8 e 10 del fascicolo di parte attrice).
In relazione alla clausola n. 13 del contratto di appalto intercorso tra M. P. e S. T. e la “X. s.a.s. di M. L. & C.” si osserva come tale esenzione di responsabilità non sia opponibile ai terzi ovvero gli attori, ma neppure al direttore dei lavori e progettista architetto C., il quale non può essere considerato alla stregua di una parte contrattuale, avendo solo apposto la propria firma nell’ultima pagina del contratto con la locuzione “visto”, espressione che non si può ritenere abbia natura negoziale, bensì dichiarativa cioè di avvenuta conoscenza della stipulazione del contratto tra le parti.
Poiché si è affermato che non vi è imputabilità della responsabilità extracontrattuale a carico di M. P. e S. T., per non essere intervenuti personalmente e direttamente con poteri di autonomia nella attività di costruzione dell’immobile, la predetta clausola è destinata a non produrre effetti giuridici ai fini della presente decisione.
Richiamato quanto esposto in precedenza si rende necessario graduare il concorso eziologico e colposo nella causazione del danno patrimoniale subito dagli attori, al cui risarcimento tutte le parti sopra indicate sono tenute in solido.
Alla luce della constatazione che il difetto di costruzione è immediatamente imputabile ad un vizio di progettazione per omessa accurata verifica delle caratteristiche morfologiche del terreno si deve ritenere che preponderante sia la responsabilità del progettista G. C., responsabilità aggravata dalla colpevole omissione di controllo durante la fase di realizzazione della qualificazione.
Per tale motivo si ritiene che la responsabilità dell’architetto C. sia quantificabile nella misura del 60%.
Il restante 40% viene imputato nella misura del 20% alla “X. s.a.s. di M. L. & C.”, sulla base di una responsabilità omissiva sopra descritta ed alla “P. R. & C. s.n.c.” nella misura del 20% con conseguente obbligo di rifusione alla “X. s.a.s. di M. L. & C.” e a G. C. della corrispondente quota.
Il “Llyod Adriatico s.p.a.”, nei limiti detti di operatività della polizza assicurativa, è tenuto a rifondere alla “P. R. & C. s.n.c.” quanto versato alla “X. s.a.s. di M. L. & C.” e a G. C..
Il danno viene quantificato in complessivi € 178.000,00 secondo la soluzione n. II indicata dal CTU (raddrizzamento, consolidamento, ripristino parziale, deprezzamento dell’immobile perché non equivalente a quello costruito secondo le regole dell’arte, danni materiali), oltre IVA secondo quanto disposto dalla legge.
Non può, invece, riconoscersi l’ulteriore somma indicata in modo generico dal CTU a p. 57 bis, da un lato perché si riferisce a spese di lite che vengono disciplinate in separata sede, dall’altra perché sembra duplicare l’attività progettuale da intendersi già ricompresa nell’opera dell’appaltatore remunerato nei termini sopra indicati.
Il quantum liquidato – trattandosi di debito di valore – dovrà essere rivalutato secondo gli indici ISTAT dal 25 luglio 2005 alla data di pubblicazione della sentenza.
In relazione alle spese di lite si osserva che:
G. C. e la “X. s.a.s. di M. L. & C.” sono tenuti a rifondere quanto anticipato da N. T. e S. F.;
N. T. e S. F. dovranno rifondere le spese di lite sostenute da M. P. e S. T.;
la “P. R. & C. s.n.c.” dovrà rifondere il 10% delle spese sostenute dalla “X. s.a.s. di M. L. & C.” e da G. C.;
Il “Llyod Adriatico s.p.a.” è tenuto a rifondere alla “P. R. & C. s.n.c.” le spese di lite sostenute.
Le spese di CTU e di ATP sono definitivamente poste a carico di G. C. nella misura del 60%, “P. R. & C. s.n.c.” nella misura del 20% e “X. s.a.s. di M. L. & C.” nella misura del 20%, con obbligo di rifusione di quanto eventualmente anticipato dalle altre parti processuali.
P.Q.M.
Il Tribunale di Rovigo – sezione distaccata di Adria – nella persona del Giudice Unico dott. Mauro Martinelli, definitivamente pronunciando sulla causa n. 43/2002 R.G., ogni diversa istanza, eccezione e domanda disattesa, così provvede:
CONDANNA G. C. (ritenuto responsabile nella misura del 70%, salvo quanto precisato al seguente capo B) del presente dispositivo) e la “X. s.a.s. di M. L. & C.”, in persona del legale rappresentante pro tempore, (ritenuta responsabile nella misura del 30%, salvo quanto precisato al seguente capo B) del presente dispositivo) - in solido tra loro - al pagamento a favore di N. T. e S. F. di € 178.000,00, oltre rivalutazione monetaria (per attualizzare il debito di valore) dal 25 luglio 2005 (data di deposito della CTU) al saldo ed IVA (nella misura dovuta per legge) a titolo di risarcimento del danno ex art. 1669 c.c.;
CONDANNA la “P. R. & C. s.n.c.”, in persona del legale rappresentante pro tempore, a rifondere a G. C. e alla “X. s.a.s. di M. L. & C.” rispettivamente il 10% ciascuno di quanto versato in esecuzione del capo A) del presente dispositivo;
CONDANNA il “Llyod Adriatico s.p.a.”, in persona del legale rappresentante pro tempore, a rifondere quanto la garantita “P. R. & C. s.n.c.” sarà tenuta a versare in virtù del capo B) del presente dispositivo con il limite della franchigia del 10% dell’importo complessivo dovuto ed entro il limite di massimale pari ad € 20.658,27;
DICHIARA la prescrizione dell’azione di responsabilità contrattuale proposta da N. T. e S. F. nei confronti di M. P. e S. T.;
RESPINGE le domande formulate da N. T. e S. F. nei confronti di M. P. e S. T., ai sensi dell’art. 1669 c.c.;
CONDANNA G. C., la “X. s.a.s. di M. L. & C.”, in persona del legale rappresentante pro tempore, – in solido tra loro - alla rifusione delle spese di lite sostenute da N. T. e S. F., quantificate in € 226,85 per spese non imponibili, € 2.500,00 per diritti ed € 8.500,00 per onorari, oltre alle spese generali, IVA e CPA come per legge;
CONDANNA N. T. e S. F., in solido tra loro, a rifondere a M. P. e S. T. le spese di lite, quantificate in € 2.500,00 per diritti ed € 6.500,00 per onorari, oltre alle spese generali, IVA e CPA come per legge;
CONDANNA la “P. R. & C. s.n.c.”, in persona del legale rappresentante pro tempore, alla rifusione del 10% delle spese di lite sostenute da G. C. (pari ad € 900,00, oltre accessori come per legge), complessivamente liquidate in € 2.500,00 per diritti ed € 6.500,00 per onorari, oltre alle spese generali, IVA e CPA come per legge;
CONDANNA la “P. R. & C. s.n.c.”, in persona del legale rappresentante pro tempore, alla rifusione del 10% delle spese di lite sostenute dalla “X. s.a.s. di M. L. & C.” (pari ad € 900,00, oltre accessori come per legge), complessivamente liquidate in € 2.500,00 per diritti ed € 6.500,00 per onorari, oltre alle spese generali, IVA e CPA come per legge;
CONDANNA il “Llyod Adriatico s.p.a.” a rifondere le spese di lite sostenute dalla “P. R. & C. s.n.c.”, quantificate € 2.500,00 per diritti ed € 6.500,00 per onorari, oltre alle spese generali, IVA e CPA come per legge, nonché a rifonderla di quanto sarà tenuta a versare in virtù dei capi G), H) ed I);
PONE definitivamente le spese della CTU e della ATP a carico di a carico di G. C. nella misura del 60%, “P. R. & C. s.n.c.” nella misura del 20% e “X. s.a.s. di M. L. & C.” nella misura del 20%, con conseguente obbligo di rifusione di quanto eventualmente anticipato dalle altre parti;
RESPINGE nel resto.
Adria, 6 maggio 2009 IL GIUDICE
Dott. Mauro Martinelli