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L'Enel risponde dei danni patrimoniali subiti dall'utente per la mancata erogazione del servizio

Il negozio giuridico di utenza elettrica presenta la natura giuridica di contratto di somministrazione continuata, con la conseguenza che la società fornitrice è tenuta, secondo buona fede, all'esercizio del rapporto, e a fronte della mancata erogazione della prestazione contrattuale, ha l'onere di provare che l'interruzione dell'erogazione è dipesa da causa a essa non imputabile. La colpa del contraente inadempiente si presume, con la conseguenza che quest'ultimo, al fine di vincere la suddetta presunzione, deve fornire gli elementi di prova e di giudizio idonei a dimostrare, oltre che il dato obiettivo della sopravvenuta impossibilità della prestazione, l'assenza di colpa, ossia di aver fatto tutto il possibile per adempiere l'obbligazione. La società Enel che abbia interrotto la somministrazione di energia elettrica non è esente da responsabilità per il solo fatto che l'energia non sia stata consegnata dal proprio fornitore, perché c'è il rischio di impresa, e, comunque, risponde per la mancata riattivazione immediata del servizio. Non può essere liquidato il risarcimento del danno esistenziale, in quanto non si incide su diritti o interessi costituzionalmente protetti. (Tribunale Nocera Inferiore Civile, Sentenza del 10 gennaio 2008)



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Svolgimento del processo

(A), premessa la propria qualità di utente del servizio di fornitura di energia elettrica prestato dall'Enel Distribuzione spa, conveniva in giudizio, innanzi al Giudice di Pace di Nocera Inferiore, la propria società fornitrice, chiedendo di essere risarcito di tutti i danni (patrimoniali e non) subiti a seguito del black-out verificatosi il 28 settembre 2003, da quantificarsi nella misura di euro 25,82, pari all'indennizzo forfettario previsto dalla Carta dei Servizi introdotta con Direttiva del 27/01/94 ovvero in quell'importo, maggiore o minore, determinato dall'adita autorità giudiziaria, anche in via equitativa.
Si costituiva l'Enel Distribuzione spa, la quale contestava in fatto ed in diritto l'avversa domanda, all'uopo rilevando, per un verso, che l'interruzione del servizio era da addebitarsi a causa ad essa non imputabile e, per altro verso, che alcun rimborso forfettario era contemplato dalla Carta di Servizio ex adverso invocata.
Sulla base delle contrapposte conclusioni, il Giudice di Pace di Nocera Inferiore, con la sentenza in epigrafe indicata accoglieva la domanda attrice e condannava l'Enel Distribuzione spa al pagamento, a titolo di risarcimento del danno, della somma di euro 125,82, oltre interessi legali e spese di lite.
Con atto di citazione tempestivamente notificato l'Enel Distribuzione spa proponeva appello avverso la suindicata sentenza, lamentando: 1) la non imputabilità dell'inadempimento; 2) la mancanza di un danno risarcibile; 3) l'illegittima applicazione del criterio equitativo di cui all'art. 1226 c.c..
Sebbene ritualmente citata in giudizio, la parte appellata ometteva di costituirsi e all'esito della trattazione, la causa, previa precisazione delle conclusioni, veniva assegnata a sentenza all'udienza del 12 dicembre 2007 con espressa rinunzia ai termini di legge per il deposito degli atti conclusivi.


Motivi della decisione
I)
Preliminarmente va affermata l'ammissibilità del gravame, posto che: - a) la sentenza di primo grado è stata depositata in data 14 dicembre 2005 e la stessa, sulla base della documentazione in atti, non risulta notificata; - b) l'atto di appello è stato notificato, presso il procuratore costituito della parte, il 5 gennaio 2007 e, quindi, nel rispetto del termine di cui all'art. 327 cpc; - c) l'appellante si è costituito in giudizio tempestivamente mediante iscrizione della causa a ruolo avvenuta in data 12 gennaio 2007.
II)
Sempre in via preliminare, è opportuno dare atto che l'evento dannoso dedotto dall'utente (cioè, il black-out verificatosi il 28 settembre 2003), oltre a costituire un fatto notorio, è espressamente ammesso dalla stessa società appellante nei propri atti difensivi.
Può, dunque, ritenersi pacifico che alle ore 3,25 della notte fra il 27 ed il 28 settembre 2003 si è verificato un black-out generale della rete di trasmissione nazionale e quindi dell'intera rete di distribuzione di energia elettrica su tutto il territorio italiano (esclusa la Sardegna), protrattosi, almeno per quanto riguarda le regioni meridionali, per circa 15-18 ore. In tale situazione, il ripristino della fornitura di energia elettrica è stato ultimato solo nella serata del 28 settembre 2003.
Se ciò è certo, resta da valutare in questa sede l'eventuale responsabilità dell'Enel Distribuzione spa nella causazione dell'evento e, quindi, degli eventuali danni subiti dall'utente.
III)
Ai fini dell'indagine è bene prendere le mosse dall'attuale regolamentazione del servizio di fornitura dell'energia elettrica, che, stante l'innegabile coinvolgimento di interessi generali e collettivi, assume inequivocabilmente i caratteri del servizio pubblico tradizionalmente inteso.
È noto che l'avvento comunitario ed i connessi principi di libera circolazione e di concorrenza hanno determinato l'abbandono dei regimi protezionistici nazionali, generalmente caratterizzati da monopoli legali, attraverso i quali la filiera elettrica (dalla produzione alla vendita) era gestita da un unico operatore in maniera integrata (in Italia, l'Enel, che nella sua veste di monopolista legale si occupava di tutte le fasi, dalla produzione alla vendita).
A seguito dell'attuazione interna della direttiva n. 96/92/CE (19 dicembre 1996), avvenuta con il d.lgs. 16 marzo 1999 n. 79, l'assetto del mercato è radicalmente mutato, essendo stata realizzata una strutturale riorganizzazione del comparto.
Tratti pregnanti della riforma sono, da un lato, la configurazione di un sistema di reti nazionali di trasmissione dell'energia interconnesse tra loro (sulle quali deve essere garantito l'accesso a tutti gli utenti senza discriminazioni) e, dall'altro, l'introduzione di una separazione giuridica delle diverse fasi in cui è naturalmente articolata la filiera industriale elettrica. Ciò ha costituito la base per il processo di liberalizzazione.
Distinguendo e disciplinando in maniera autonoma le varie fasi, sono state create le condizioni perché per ognuna di esse potesse essere introdotto un effettivo pluralismo.
In particolare sono state separate le fasi di: a) approvvigionamento energetico, inteso come generazione (ovvero realizzazione ed esercizio delle centrali e degli impianti dove avviene il processo di trasformazione di una fonte di energia primaria in energia elettrica) ed importazione dell'energia prodotta all'estero; b) trasmissione e dispacciamento (ossia il trasporto e la trasformazione dell'energia elettrica prodotta sulla rete interconnessa ad altissima ed alta tensione e il mantenimento dell'equilibrio tra immissioni e prelievi di energia nella rete elettrica e la gestione delle congestioni relative alle reti di trasmissione nazionale e alle reti di distribuzione in alta tensione direttamente connesse alle rete di trasmissione nazionale); c) distribuzione (ovvero trasporto e trasformazione dell'energia elettrica sulla rete interconnessa a media e bassa tensione per la fornitura ai clienti finali e nella gestione, esercizio, manutenzione e sviluppo della stessa rete); d) vendita ai clienti finali (stipulazione di contratti bilaterali e contrattazione borsistica).
A tale frammentazione della filiera elettrica ha fatto seguito l'ingresso all'interno del mercato di una pluralità di imprese operanti in uno o più segmenti di esso; ferma restando, ovviamente, l'esigenza di tutela degli interessi generali e collettivi affidati ad organi pubblici: Ministero per le Attività Produttive, Autorità per l'energia elettrica e il gas, enti locali.
In siffatto contesto si colloca, altresì, la ristrutturazione societaria dell'Enel, che assume le funzioni di indirizzo strategico e di coordinamento dell'assetto industriale e delle attività esercitate dalle società controllate, appositamente costituite. Si tratta di società separate per lo svolgimento delle attività di produzione, distribuzione e vendita ai clienti vincolati ed ai clienti idonei, oltre che per l'esercizio dei diritti di proprietà della rete di trasmissione, comprensiva delle linee di trasporto e delle stazioni di trasformazione, e le connesse attività di manutenzione e sviluppo. Su questa base sono state costituite dall'Enel le società per azioni Enel Produzione, Enel Distribuzione e Terna, alle quali si aggiunge la società per lo smantellamento delle centrali elettronucleari.
Il quadro degli operatori del settore è completato dalle tre società per azioni in pubblico comando incaricate di funzioni gestorie di tipo neutrale, necessarie ai fini del funzionamento del mercato elettrico.
La prima svolge le funzioni di «gestore della rete» di trasmissione nazionale (viene costituita dall'Enel, ma le azioni sono attribuite al Ministero dell'economia e delle finanze, il quale esercita i relativi diritti d'intesa con il Ministro delle attività produttive) ed è chiamata ad assicurare l'adempimento di ogni obbligo volto a garantire la sicurezza, l'affidabilità, l'efficienza e il minor costo del servizio e degli approvvigionamenti; a deliberare gli interventi di manutenzione e sviluppo della rete necessari alla sicurezza e continuità degli approvvigionamenti; ad adottare regole tecniche strumentali alla sicurezza e alla connessione operativa tra le reti; assume i diritti e gli obblighi gravanti sull'Enel relativi all'acquisto dell'energia elettrica comunque prodotta da altri operatori nazionali e, successivamente, cede l'energia così acquistata al mercato.
La seconda, costituita dal gestore della rete, svolge le funzioni di «acquirente unico», e garantisce ai clienti vincolati la disponibilità della capacità produttiva necessaria a una fornitura con caratteristiche di sicurezza e continuità, al qual fine elabora la previsione della domanda da soddisfare, comprensiva delle garanzie a riserva della fornitura, e, su questa base, stipula i contratti di fornitura.
La terza società, anch'essa istituita dal gestore della rete, svolge le funzioni di «gestore del mercato», il cui compito consiste nella gestione economica del mercato elettrico. A tale società è affidata, inoltre, l'organizzazione del mercato stesso secondo criteri di neutralità, trasparenza, obiettività, nonché di concorrenza tra produttori e la stessa è tenuta ad assicurare la gestione economica di un'adeguata riserva di potenza.
Gli utenti finali del sistema elettrico sono suddivisi fra gli utenti vincolati, ai quali è applicata una tariffa unica nazionale, e gli utenti idonei, che sono liberi di stipulare contratti di fornitura con i fornitori di energia.
In altri termini, la vendita agli utenti finali è assoggetta a un duplice regime: se gli utenti finali sono «clienti idonei», e, cioè, persone fisiche o giuridiche che hanno la capacità di stipulare contratti di fornitura con qualsiasi produttore, distributore o grossista, sia in Italia che all'estero, il mercato è libero; nel caso contrario, il mercato è vincolato, in quanto i piccoli consumatori, sul presupposto che non abbiano la forza negoziale necessaria per stipulare contratti di fornitura a condizioni vantaggiose direttamente con i produttori nazionali ed esteri, possono essere riforniti esclusivamente dal distributore locale (da notare che i criteri di idoneità inizialmente stabiliti con il c.d. decreto Bersani sono stati superati con la direttiva 2003/54/CE che, abrogando la precedente direttiva 96/92/CE, ha stabilito, tra l'altro, che a partire dal 1° luglio 2004 sono idonei tutti i clienti non civili e dal 1° luglio 2007 tutti i clienti).
IV)
Alla luce di quanto sopra e del relativo quadro normativo di riferimento è certamente esatto il rilievo svolto dall'appellante, per il quale l'Enel Distribuzione spa opera e può legalmente operare solo nel campo della distribuzione di energia elettrica e di vendita ai clienti vincolati, essendole tassativamente precluso di svolgere attività di produzione di energia elettrica o di trasmissione della stessa.
A parere di questo Giudice, però, non è condivisibile l'ulteriore evenienza che da tale assunto se ne vorrebbe trarre e, cioè, l'esclusione di qualsivoglia responsabilità per i danni subiti dagli utenti in occasione del black-out verificatosi il 28 settembre 2003.
V)
La fornitura di energia elettrica si configura quale contratto (di diritto privato) di somministrazione.
Una risalente decisione della Suprema Corte così si è espressa al riguardo: «il contratto di utenza di energia elettrica e un vero e proprio contratto di somministrazione, destinato a soddisfare, ad intervallo di tempo costante, bisogni periodici e continuativi attraverso la costituzione di un rapporto durevole. L'essenza di tale contratto sta in ciò che il somministrante, con l'impegnarsi a soddisfare bisogni futuri del somministrato - il quale acquista correlativamente il diritto ad avere ai prezzi ed alle condizioni prestabilite, e con la dovuta regolarità, le prestazioni che gli sono state promesse -, assume su di sè, oltre che l'obbligo di apprestare i mezzi necessari per l'adempimento, anche i rischi della fornitura, costituendo questi - tranne che in polizza non ne sia stato espressamente convenuto lo spostamento a carico dell'utente - l'alea normale del contratto derivante dal proiettarsi delle prestazioni nel futuro» (Cass. 9 luglio 1968, n. 2359).
La giurisprudenza successiva ha confermato siffatta ricostruzione (cfr., Cass. 22 giugno 1972, n. 2054, Cass. 3 settembre 1993, n. 9312 e Cass. 9 giugno 1997, n. 5144), altresì precisando che le relative controversie aventi ad oggetto diritti di fonte contrattuale sono devolute alla giurisdizione del giudice ordinario (v., Cass. 21 dicembre 2004, n. 23645).
Conseguentemente, posto che il contratto di utenza ha la natura di contratto di somministrazione continuata di energia elettrica, la società fornitrice è tenuta, seconda buona fede, all'esecuzione del rapporto, e a fronte della mancata erogazione della prestazione contrattuale, ha l'onere di provare che l'interruzione dell'erogazione è dipesa da causa ad essa non imputabile.
VI)
Il fondamento normativo della c.d. responsabilità contrattuale è pacificamente individuato nell'art. 1218 c.c., per il quale il debitore è tenuto al risarcimento del danno se non prova che il mancato o inesatto adempimento è stato determinato da un'impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile.
Ad avviso della giurisprudenza - e prescindendo in questa sede da una più compiuta esposizione delle diverse teorie della responsabilità oggettiva, fondata sul combinato disposto degli artt. 1218 e 1256 c.c., e della responsabilità soggettiva imperniata sulla logica posta dall'art. 1176 c.c. - la non imputabilità alla quale allude il legislatore è costituita non già da ogni fattore a lui estraneo che lo abbia posto nell'impossibilità di adempiere in modo esatto e tempestivo, bensì solamente da quei fattori che, da un canto, non siano riconducibili a difetto della diligenza che il debitore è tenuto ad osservare per porsi nelle condizioni di poter adempiere, e, d'altro canto, siano tali che alle relative conseguenze il debitore non possa con eguale diligenza porre riparo (Cass. 8 novembre 2002, n. 15712).
Inoltre, la prova della non imputabilità dell'inadempimento - la quale non può consistere nella semplice difficoltà o nella sopravvenuta maggiore onerosità della prestazione - deve essere piena e completa e deve comprendere anche la dimostrazione della mancanza di colpa, sotto qualsiasi profilo, del debitore, dovendosi, in mancanza, presumere nel medesimo la sussistenza di tale elemento soggettivo (così, Cass. 19 agosto 1996, n. 7604).
Detto in altri termini, in tema di inadempimento delle obbligazioni del contratto, a norma degli artt. 1218 e 1256 cod. civ., la colpa del contraente inadempiente si presume, e, pertanto, al fine di vincere la presunzione di colpa, quest'ultimo deve fornire gli elementi di prova e di giudizio idonei a dimostrare, oltre che il dato obiettivo della sopravvenuta impossibilità della prestazione, l'assenza di colpa, ossia di avere fatto tutto il possibile per adempiere l'obbligazione (v., Cass. 26 agosto 2002, n. 12477).
Orbene, alla luce delle osservazioni che precedono, ritiene questo giudice di non ravvisare nel caso di specie risultanze positivamente apprezzabili, dedotte e provate dal debitore, le quali dimostrino che, nonostante l'uso della specifica diligenza nella fattispecie concreta, la società somministrante non sia stata in grado di eseguire correttamente la prestazione di erogazione continuativa di energia elettrica per cause ad essa non imputabili.
VII)
La prova della non imputabilità non può essere tratta, sic et simpliciter, dal fatto che la società appellante, limitandosi a distribuire ai cc.dd. clienti vincolati l'energia elettrica fornitale dalla rete nazionale, non sarebbe responsabile della mancata prestazione nei confronti dell'utente finale, laddove - come nel caso di specie - l'energia non le venga a sua volta consegnata dal proprio fornitore.
In proposito, è opportuno sottolineare che - come già si è osservato in altri precedenti di questo Tribunale - l'evento dedotto a fondamento del danno non si puntualizza nel solo fatto istantaneo integrato dall'interruzione dell'erogazione di energia, ma più dettagliatamente si articola nella mancata riattivazione della stessa entro un tempo ragionevole. È indubbio, infatti, che l'impegno di potenza, consistente nel dovere da parte della società somministrante di erogare con continuità l'energia, concerne una prestazione continuativa, per modo che la temporanea sospensione comporta l'immediato dovere del distributore di procedere al ripristino della somministrazione.
Ebbene, pur volendosi condividere l'assunto secondo cui l'interruzione della fornitura di energia elettrica non sarebbe addebitale all'Enel Distribuzione spa, in quanto dipesa dal distacco della rete nazionale dalla rete europea a seguito di un guasto delle linee di alimentazione dalla Svizzera, ciò non è ancora sufficiente per escludere la responsabilità da inadempimento, occorrendo altresì che venga dimostrato che neppure il mancato ripristino immediato della fornitura sia imputabile alla società fornitrice.
Ebbene, da quest'ultimo punto di vista tale prova non può dirsi affatto raggiunta nella fattispecie in esame, né la si può ricavare dalla circostanza innanzi evidenziata, per la quale l'appellante limita la propria operatività al solo settore della distribuzione e della vendita, giacché come si è sottolineto nel «Rapporto della Commissione d'Indagine» istituita con decreto del Ministro delle Attività Produttive del 29 marzo 2003, la riaccensione del sistema, e cioè l'insieme delle operazioni che devono riportare in funzione il sistema dopo il suo collasso, è regolata da un Piano di Riaccensione organizzato dal GRTN, nel quale sono coinvolti tutti gli operatori della filiera elettrica (società di produzione per le manovre sulle centrali, società di trasmissione e di distribuzione per le manovre sulle rispettive reti) e, quindi, anche l'Enel Distribuzione spa.
Ciò che difetta, allora, è proprio la dimostrazione che alcuna negligenza sia addebitabile alla società appellante per quanto riguarda il ripristino della fornitura che, come già si è detto - non è avvenuto con immediatezza, ma dopo ben 15-18 ore.
A nulla rileva in tal sede che la stessa Commissione di Indagine abbia accertato che solo «Enel Distribuzione ha alleggerito in modo corretto sulla rete MT», trattandosi di un accertamento formatosi al di fuori del processo e, comunque, contraddetto, dal notorio procedimento successivamente avviato da parte dell'Autorità per l'energia elettrica ed il gas volto ad accertare eventuali responsabilità circa l'operato delle società distributrici (tra le quali la società odierna appellante) nella procedura di ripristino del servizio elettrico.
In conclusione, in considerazione del fatto che le caratteristiche fisiche e tecnologiche della filiera elettrica, così come innanzi sommariamente descritte, determinano un'accentuata interdipendenza fra le attività di ogni singolo operatore, deve ritenersi che l'inadempimento, pur se determinatosi per causa non imputabile al debitore, si è però procrastinato nel tempo per fatti per i quali non è stata adeguatamente dimostrata la non imputabilità alla società fornitrice, sì che quest'ultima, in applicazione della regola presuntiva posta dall'art. 1218 c.c., è tenuta al risarcimento del danno.
Il fatto, poi, che il danno possa essere stato prodotto da più soggetti appare privo di conseguenze ai fini della tutela risarcitoria qui invocata, posto che tutti debbono essere considerati corresponsabili in solido; ciò non tanto sulla base dell'estensione alla responsabilità contrattuale della norma dell'art. 2055 c.c., dettata per la responsabilità extracontrattuale, quanto perché, sia in tema di responsabilità contrattuale che di responsabilità extracontrattuale, se un unico evento dannoso è imputabile a più persone, al fine di ritenere la responsabilità di tutte nell'obbligo risarcitorio, è sufficiente, in base ai principi che regolano il nesso di causalità ed il concorso di più cause efficienti nella produzione dell'evento (dei quali, del resto, l'art. 2055 costituisce un'esplicitazione), che le azioni od omissioni di ciascuno abbiano concorso in modo efficiente a produrlo.
VIII)
Ma, a parere di questo Giudice, all'affermazione di responsabilità della società fornitrice è consentito pervenire, altresì, mediante un'adeguata valorizzazione della disposizione contenuta nell'art. 1228 c.c., oltre che della regola del c.d. rischio di impresa.
Invero, la complessità del sistema, così come venuta a delinearsi a seguito dell'apertura del settore alla concorrenza - che, in sostituzione di un'unica impresa pubblica vede attualmente impegnati nelle diverse fasi di cui si compone la filiera elettrica una pluralità di soggetti, ciascuno separatamente impegnato per il raggiungimento di un risultato unitario - proprio perché dettato da esigenze di tutela del consumatore, non può ritorcersi contro il soggetto che, paradossalmente, vuole tutelare.
Laddove, infatti, si dovesse sostenere che la società somministrante risponde esclusivamente del fatto proprio, il creditore, pur leso nel suo diritto di ricevere la prestazione per fatti addebitabili agli altri soggetti che compongono la filiera, si vedrebbe costretto a ricorrere al più gravoso regime della responsabilità extracontrattuale, in luogo di quello più favorevole previsto dal citato art. 1218 c.c. a cui gli darebbe diritto di accedere la propria posizione negoziale.
Di contro, deve ritenersi che, siccome il debitore è tenuto a garantire il conseguimento della prestazione, e poiché il creditore non ha alcun rapporto con gli altri soggetti che cooperano per il raggiungimento del risultato negoziale, quest'ultimo, in caso di inadempimento, deve poter esercitare in ogni caso la sua pretesa al risarcimento nei confronti del proprio diretto contraente.
Del resto, pur da parte di qualificata dottrina si è sostenuto che quando il debitore si avvale di una propria organizzazione di mezzi materiali e di lavoratori dipendenti, inserita in una rete di rapporti con fornitori e con ausiliari di vario genere, i quali pure cooperano, più o meno direttamente, a produrre il risultato atteso dal creditore, non vi è dubbio che le responsabilità dei singoli siano occultate o che gli esiti negativi dipendano dalla disfunzioni organizzative piuttosto che dalla negligenza di singoli esecutori materiali. Ne segue, allora, che tanto più è complessa l'organizzazione e l'esecuzione di certe prestazioni, tanto più il titolare del credito deve poter contare sull'estensione della responsabilità del debitore in modo da comprendere l'inadempimento di tutti coloro che, in un modo o nell'altro, sono chiamati a produrre il risultato contrattualmente promesso. Con l'ulteriore conseguenza che sul soggetto che promette la prestazione deve gravare il rischio di eventi non colpevoli che rientrino sulla sua organizzazione economica e che, comunque, costituiscano un rischio tipico della sua attività.
In quest'ottica, allora, l'art. 1228 c.c. - che, ad avviso della giurisprudenza, trova applicazione, a differenza dell'art. 2049 c.c., anche quando l'ausiliario riveste la qualità di imprenditore che agisce a proprio rischio ed in condizioni di piena autonomia - va letto in una più ampia prospettiva afferente alla mancata attuazione del rapporto obbligatorio da parte del debitore, trattandosi di disposizione che - come ha sottolineato un insigne Autore - ben può essere considerata espressione di un più generale principio secondo il quale il soggetto che attua o crea un rapporto giuridico con il terzo attraverso l'attività di un cooperatore che rimane estraneo al rapporto obbligatorio, assume nei confronti del terzo i risultati positivi e le conseguenze dannose di tale attività.
Ne segue, in conclusione, che nella fattispecie in esame, la mancata erogazione dell'energia elettrica, quand'anche imputabile in via esclusiva ad altri soggetti della filiera, ricade comunque a carico dell'Enel Distribuzione spa, quale soggetto che ha promesso la prestazione.
IX)
Pur affermata la responsabilità della società somministrante, la domanda risarcitoria ex adverso avanzata non può, però, trovare accoglimento, stante la fondatezza degli ulteriori motivi di gravame fatti valere dall'appellante.
Alla luce dei principi che regolano la ripartizione dell'onere della prova, il soggetto danneggiato avrebbe dovuto fornire la prova dei fatti costitutivi del diritto dedotto in giudizio, secondo il noto canone «onus probandi incumbit ei qui dicit», all'uopo dimostrando il pregiudizio (patrimoniale o non patrimoniale) effettivamente subito.
Il Giudice di Pace, in proposito, ha ritenuto, seppur sulla base di regole presuntive, che il disagio derivato all'utente dalla mancanza di energia elettrica per ben quindici ore abbia determinato un «danno esistenziale», in quanto il soggetto sarebbe stato impedito nello svolgimento delle proprie normali attività quotidiane, quali quelle familiari, sociali, di svago, culturali, di intrattenimento, di riposo, ecc., che costituiscono le estrinsecazioni della personalità dell'individuo.
Ebbene, a parere di questo Giudice, tale conclusione non è in alcun modo condivisibile.
X)
È indubbio che, a partire dai recenti arresti della giurisprudenza di legittimità nel 2003, il risarcimento del danno alla persona di carattere non patrimoniale abbia perso l'originaria connotazione sanzionatoria e sia stato sottratto alle strettoie derivanti dal coordinamento dell'art. 2059 c.c. con l'art. 185 cp., essendo risarcibile anche in assenza della commissione di un reato. Detto pregiudizio non ha però disperso la connotazione di tipicità imposta dall'art. 2059 c.c., intendendosi sotteso un rinvio non solo alle ipotesi tipizzate per legge, quanto piuttosto alla tutela di valori primari incarnati di volta in volte in determinazione essenziali della persona, sintetizzate nella formula dell'art. 2 della Costituzione.
Su tale presupposto la connotazione tipizzante opera in funzione selettiva del risarcimento e quindi non ogni pregiudizio di carattere non patrimoniale potrà trovare riparazione attraverso l'art. 2059 c.c., ma solo quelli che pregiudicano valori della persona costituzionalmente garantiti.
Tali principi restano validi nelle controversie devolute dal giudice di pace e da questi decise secondo diritto. Difatti solo nell'ambito dell'equità formativa non sono vincolanti le norme sostanziali e quindi non opera la limitazione del risarcimento del danno non patrimoniale ai soli casi determinati dalla legge, come sancita dall'art. 2059 c.c. nell'interpretazione costituzionalmente corretta cui si è prima accennato.
Nel caso che si esamina, vertendosi nell'ambito di un giudizio obbligatoriamente vincolato al rispetto delle norme di diritto (l'art. 1 d.l. 8 febbraio 2003 n. 18, conv., con modificazioni, in L. 7 aprile 2003 n. 63, infatti, modificando l'art. 113 comma 2 c.p.c., sottrae alla valutazione secondo equità tutti i giudizi pendenti innanzi agli uffici del giudice di pace e relativi ai contratti c.d. di massa di cui all'art. 1342 c.c. e ciò con effetto per i giudizi instaurati con citazione notificata dal 10 febbraio 2003), la riparazione di pregiudizi di carattere non patrimoniale può essere ammessa solo dopo aver riscontrato la lesione di un interesse costituzionalmente protetto.
Ebbene, a parere di questo giudice, deve escludersi che l'interruzione di energia elettrica durata alcune ore sia riconducibile ad una fattispecie di danno esistenziale consequenziale alla lesione di un interesse costituzionalmente protetto; ciò soprattutto se si considera che, proprio di recente, il danno esistenziale è stato negato in una fattispecie (quella della morte dell'animale d'affezione: cfr., Cass. 14846/07) certamente più incisiva rispetto ad esigenze di tutela della persona umana.
Oltretutto, la parte che domanda la tutela di tale danno, ha l'onere della prova sia per l'an che per il quantum debatur, e non è sufficiente la deduzione di un danno in re ipsa, con generico riferimento alla alterazione (peraltro temporanea) delle proprie abitudini di vita.
XI)
Deve aggiungersi, poi, che secondo l'opinione alla quale in questa sede si aderisce, nel sistema del c.d. bipolarismo risarcitorio (danni patrimoniali e danni non patrimoniali) previsto dalla legge, al di là della questione puramente nominalistica, non è possibile creare nuove categorie di danno, ma solo adottare per chiarezza del percorso liquidatorio, voci o profili di danno, con contenuto descrittivo, per modo che solo in questo senso ed a questo fine può essere utilizzata la locuzione di «danno esistenziale».
A differenza del danno morale (che ha natura emotiva ed interiore) e del danno biologico (subordinato alla lesione dell'integrità psico-fisica del danneggiato medicalmente accertabile), il danno esistenziale consiste nel pregiudizio (anch'esso oggettivamente verificabile), che l'illecito, proiettandosi nel futuro, abbia mutato abitudini di vita ed assetti relazionali del soggetto, sconvolgendone la vita quotidiana e privandolo di occasioni per l'espressione e la realizzazione della sua personalità nel modo esterno.
In tal senso, allora, il danno esistenziale ha natura di «danno-conseguenza» e consiste, non già nella violazione dell'interesse protetto, ma nella conseguenza che da quella violazione deriva sul piano personale ed interpersonale.
Come si è correttamente osservato in dottrina, la costruzione del danno esistenziale, inteso come impedimento all'esercizio di attività realizzatrici della persona, è per sua natura attento alle conseguenze, alle ricadute effettivamente subite dalla vittima della lesione: non poter più fare, in conseguenza della lesione dell'interesse, questo o quello che di appagante si faceva; dover fare questo o quello che di frustante, doloroso, amaro, penoso si è costretti a fare in conseguenza della lesione dell'interesse.
Il danno esistenziale, in altri termini, è costituito generalmente dai concreti impedimenti allo svolgimento delle attività realizzatrici della persona (danno-conseguenza) prodotti dalla lesione dell'interesse tutelato dall'ordinamento (danno-evento); per modo che può anche esservi lesione dell'interesse protetto, ma, in mancanza di concrete ricadute sulle attività realizzatrici del soggetto, difetta il danno esistenziale (così, ad esempio, nel caso deciso da Cass. Pen. 2050/04, in cui si è detto che «la privazione della libertà personale per un solo giorno può provocare un gravissimo danno morale, ma il danno esistenziale, in questi casi, può anche mancare»).
L'errore commesso dal primo giudice è proprio quello di aver limitato la propria indagine sul piano del danno-evento, cioè del pregiudizio (per il creditore) implicito nello stesso inadempimento.
È evidente, infatti, che la mancata attuazione del rapporto obbligatorio determina sempre per il creditore una lesione dell'aspettativa riposta dal soggetto nel raggiungimento dell'interesse sperato e può anche incidere su aspetti propri della persona. Ciò, tuttavia, non è ancora danno esistenziale, il quale sarà concretamente accertabile solo laddove il pregiudizio derivante dal mancato raggiungimento del risultato contrattuale abbia determinato, sul piano delle conseguenze future, un'effettiva e durevole lesione di interessi costituzionalmente protetti.
Il che non è oggettivamente riscontrabile nella fattispecie concreta oggetto di giudizio.
XII)
Neppure convince, infine, la presunzione utilizzata dal giudicante per pervenire all'accertamento del danno di cui si discute.
Se, infatti, deve certamente ammettersi in subiecta materia il ricorso alla prova presuntiva (purché, secondo le regole di cui all'art. 2727 c.c., venga offerta una serie concatenata di fatti noti, ossia di tutti gli elementi che puntualmente e nella fattispecie concreta - e non in astratto - descrivano la durata e la gravità del danno), è altresì vero che ciò può valere per eventi di particolare gravità, quale, ad esempio, la morte del congiunto.
Come si è sostenuto da parte di alcuni, infatti, se può convenirsi sul fatto che ci sono eventi particolarmente gravi, dinanzi ai quali è senz'altro ragionevole ritenere che la vittima, secondo l'id quod plerumque accidit abbia subito un danno esistenziale, ve se sono altri (come, per l'appunto, quello per il quale si controverte), in cui la prova per presunzioni non è più sufficiente.
Invero, aderendo all'opinione manifestata da tale dottrina, vi è da dire che l'impedimento alla realizzazione personale deve essere un impedimento certo, secondo i parametri di relativa certezza offerti dall'ordinamento giuridico, sicché non è lecito presumere un danno esistenziale in presenza di momentanei ostacoli allo svolgimento di alcune generiche, comuni, fungibili attività di svago, la cui transitoria perdita è nella coscienza comune intesa non come un danno, ma tutt'al più come un fastidio, quando, per i più, altrettante attività rimangono invece concretamente possibili.
Ne segue, allora, che con riguardo alla fattispecie in esame va certamente negata la configurabilità di un danno esistenziale, così come riconosciuto dal primo giudice e, pertanto, la domanda avanzata nel precedente grado di giudizio non può trovare accoglimento.
XIII)
Neppur si giustifica, alla luce dei motivi di gravame, dedotti dall'appellante, la condanna a titolo risarcitorio al pagamento della somma di euro 25,82, non essendo stata offerta alcuna prova da parte dell'utente di aver subito un danno (patrimoniale o non) di tale entità.
Né siffatta statuizione di condanna potrebbe giustificarsi in ragione del regime della c.d. «Carta dei Servizi Pubblici» richiamato nell'atto di citazione introduttivo del precedente grado di giudizio.
All'uopo, però, si rende necessaria una premessa.
XIV)
Le carte dei servizi, adottate dai singoli soggetti erogatori di servizi pubblici, trovano attualmente il proprio fondamento giuridico nell'art. 11, d.lg. n. 286 del 1999 e costituiscono strumenti fondanti obbligazioni, unilateralmente assunte, in relazione ad un risultato da perseguire (e raggiungere) nell'attività di espletamento del servizio.
L'ente erogatore, infatti, assume (unilateralmente) una serie di impegni diretti a garantire predeterminati e controllabili livelli di qualità delle prestazioni, la cui esatta esecuzione può ben costituire oggetto di pretesa da parte degli utenti.
Più specificamente, in base all'art. 11 cit l'adozione di carte dei servizi specifiche da parte dei soggetti (pubblici o privati) erogatori costituisce un obbligo di legge, stabilito in via generale, ed avente, tra l'altro, anche la finalità di rendere concreto il diritto fondamentale (rectius: essenziale) degli utenti all'erogazione di servizi secondo standard di qualità e di efficienza, sancito dalla lett. g) dell'art. 1 comma 2, L. n. 281 del 1998 (attualmente trasfuso nell'art. 2 del D.Lgs. 06/09/05, n. 206).
Circa la natura giuridica, parte della dottrina ritiene che, almeno per quanto riguarda l'ipotesi in cui il servizio sia prestato mediante l'ausilio dello schema del c.d. contratto di utenza pubblica, il contenuto delle carte dei servizi è destinato a riflettere i suoi effetti sul rapporto contrattuale sottostante, integrandolo ab externo. Difatti, la finalità precipua di siffatto nuovo meccanismo di tutela è proprio quella di completare, in favore del consumatore-utente, la regolamentazione negoziale, attraverso la predisposizione di una disciplina diversa, di matrice pubblicistica, che va ad aggiungersi a quella scaturente dall'autonomia privata, avente essenzialmente ad oggetto la qualità del servizio, obiettivo di norma non rientrante necessariamente tra le obbligazioni contrattualmente assunte. Si tratta - secondo l'opinione dottrinale qui in esame - di regole che si pongono su un piano nettamente differente da quello delle condizioni generali di contratto, le quali ultime hanno l'esclusiva finalità di regolare in modo uniforme soltanto sul piano privatistico negoziale i rapporti tra enti erogatori ed utenti. Si afferma, infatti, che al contrario delle condizioni generali di contratto (e del fenomeno delle clausole abusive) dirette ad imporre obbligazioni agli utenti predisposte unilateralmente nell'interesse dell'impresa (pur se negozialmente e bilateralmente accettate), le disposizioni contenute nelle carte dei servizi vincolano l'ente erogatore a rispettare determinati livelli nell'erogazione del servizio a favore degli utenti. Pertanto, appare più confacente alla natura di forma di tutela di derivazione pubblicistica rivestita da dette carte, ritenere che esse si risolvano in promesse unilaterali, pure integratrici del contratto di utenza, volte ad assicurare una serie di diritti perfetti oppure di interessi legittimi, a seconda del contenuto, all'utente del servizio. In tal senso, quindi, si afferma che le regole contenute nella carta dei servizi non sono regole contrattuali, ma atto di autoregolamentazione vincolante per il promittente per espressa disposizione di legge (art. 1987 c.c.) ed efficaci nei confronti dei destinatari dal momento in cui la singola carta dei servizi viene resa pubblica; segnatamente, si tratterebbe di norme dirette a creare uno statuto dell'utente di pubblici servizi, come tali ascrivibili al fenomeno della c.d. integrazione contrattuale.
Pur al di là di una completa adesione all'orientamento testè riassunto, nel caso che si sta esaminando si fuoriesce certamente dall'ambito del danno risarcitorio, sì che, con riguardo alla fattispecie in esame, non essendo stata esercitata una specifica domanda di pagamento (ma solo quella risarcitoria), alcun indennizzo può essere riconosciuto all'utente, giusta il principio dettato dall'art. 112 cpc in tema di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato.
Come si afferma in dottrina, infatti, il riconoscimento in favore dell'utenza della forma di indennizzo di cui qui si discorre va tenuta distinta dal rimedio risarcitorio, rispetto al quale rappresenta uno strumento non sostitutivo, per sua natura, ma diverso ed aggiuntivo, avente come obiettivo quello di promuovere e rinsaldare l'osservanza degli standard di qualità ed efficienza del servizio.
Conseguentemente, deve concludersi nel senso che il riconoscimento da parte del primo giudice della somma di euro 25,82, in favore dell'utente, è viziata da ultrapetizione.
XVI)
Pur a voler ritenere che la domanda di cui si discute sia stata avanzata non a titolo risarcitorio, ma, per l'appunto, come esercizio di una specifica azione di pagamento, la stessa comunque non poteva trovare accoglimento.
Il sistema normativo che impone l'adozione delle carte dei servizi ai soggetti erogatori di servizi pubblici, prevede - quale elemento di rafforzamento dell'obbligo di osservare standard qualitativi specifici - il pagamento di «indennizzi automatici forfettari» in caso di mancato rispetto degli impegni (giuridicamente) assunti. Più specificamente, l'art. 11 comma 2, d.lg. n. 286 del 1999 dispone, tra l'altro, che i casi (e le modalità) di indennizzo all'utenza siano stabiliti con direttive del Presidente del Consiglio; mentre, per i settori dei servizi di pubblica utilità, ove siano state istituite autorità indipendenti di regolazione, la competenza in materia spetta (secondo il tenore letterale dell'art. 2 comma 12 lett. g, L. n. 481 del 1995), appunto, a tali organismi.
La prima regolamentazione dell'istituto è certamente contenuta nella direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri 27 gennaio 1994 (cosiddetta direttiva Ciampi).
Con lo scopo di far acquisire alla direttiva quella consistenza giuridica di cui era risultata priva, il legislatore ha successivamente emanato l'art. 2 del decreto legge 12 maggio 1995, n. 163, convertito, con modificazioni, nella legge 11 luglio 1995, n. 273 (articolo poi, abrogato dall'art. 11 del D.Lgs. 286/99).
In virtù di tale contesto normativo, le imprese erogatrici di energia elettrica, sulla base dello schema generale predisposto specificamente per questo settore, avevano proceduto ad approntare proprie carte dei servizi, definendo standard di qualità ed individuando, tra questi, standard specifici, ovvero riferiti a singole prestazioni, al cui mancato rispetto conseguisse un rimborso.
L'impianto normativo è stato, poi, ulteriormente arricchito, con l'entrata in vigore di ulteriori disposizioni, contenute nella legge 14 novembre 1995, n. 481, che ha istituito le Autorità di regolazione di servizi di pubblica utilità, competenti, rispettivamente, per l'energia elettrica e il gas e per le telecomunicazioni, e nell'art. 11 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286 (quest'ultima norma, anche in ragione dell'abrogazione in essa stabilita dell'art. 2 della legge 11 luglio 1995, n. 273, rappresenta attualmente, insieme ai principi contenuti nella direttiva 27 gennaio 1994, la disciplina di riferimento in tema di carte dei servizi e ancor prima in tema di qualità dei servizi pubblici).
Il legislatore, dunque, nello specifico settore di riferimento di cui trattasi, ha attribuito all'Autorità per l'energia elettrica e il gas (AEEG), tra le altre finalità istituzionali, anche quella di garantire adeguati livelli di qualità dei servizi in condizioni di economicità e di redditività per le imprese esercenti e la promozione della tutela degli interessi di utenti e consumatori.
La nuova regolazione della qualità introdotta dall'Autorità ha, quindi, superato la pregressa disciplina della carta dei servizi. Con le nuove direttive emanate dall'Autorità ai sensi dell'articolo 2, comma 12, lettera h) della legge 14 novembre 1995, n. 481, è stata quindi data attuazione all'articolo 11 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 286, che prevede l'emanazione di nuove direttive in materia di qualità del servizio, facendo salve le funzioni delle autorità indipendenti.
Dunque, prima dell'introduzione delle nuove direttive dell'Autorità in materia di qualità, questa era disciplinata da norme che trovano origine nella direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri del 27 gennaio 1994, rivolta ai soggetti pubblici e privati erogatori di servizi pubblici. Le norme sono state integrate e modificate dalla legge 11 luglio 1995 n. 273, a cui sono seguiti i decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri del 18 settembre 1995, con i quali sono stati emanati gli schemi generali di riferimento della Carta dei servizi per il settore elettrico e il settore gas.
L'Autorità, in attuazione dell'articolo 2 comma 12, lettera p) della legge n. 481/95, ha, quindi, monitorato il grado di attuazione della Carta dei servizi, pubblicando appositi rapporti e direttive sulla qualità del servizio.
Ciò posto, alcun «indennizzo automatico» può essere riconosciuto nel caso di specie, giacché l'utente ha del tutto omesso di (indicare e) dimostrare la fonte del diritto invocato, vale a dire lo specifico provvedimento di riferimento emesso dell'Autorità per l'energia elettrica ed il gas, con il quale sarebbe stato promesso il pagamento della somma richiesta.
Conseguentemente, non avendo la parte interessata adempiuto ai propri oneri probatori, la domanda di pagamento non può essere accolta.
Ancor più, infine, deve sottolinearsi - come notoriamente risaputo - che a seguito del black-out del 28 settembre 2003 l'Autorità ebbe modo di precisare in propri comunicati ufficiali che alcuna delibera contemplava il diritto degli utenti ad ottenere un indennizzo automatico per eventi del tipo di quello dedotto in giudizio, tant'è che a tale carenza si è provveduto solo di recente con la delibera n. 127/07 adottata il 12 luglio 2007.
XVII)
Deve pertanto concludersi nel senso che la domanda risarcitoria proposta dall'utente innanzi al Giudice di Pace non era meritevole di accoglimento.
Resta assorbito ogni ulteriore motivo di gravame.
In ragione dell'affermata responsabilità della società appellante e della problematicità delle questioni trattate, le spese di lite, del doppio grado di giudizio, restano compensate per la metà e vengono poste a carico della parte soccombente nella misura del 50% che, in tal parte si liquidano in euro 365,00, così come di seguito determinato: - a) per il primo grado di giudizio: euro 90,00 per diritti ed euro 30,00 per onorari; - b) per la presente fase di appello: euro 22,00 per esborsi, euro 83,00 per diritti ed euro 140,00 per onorari; il tutto, oltre IVA, CPA e rimborso spese generali, come per legge.


P.Q.M.


il Tribunale di Nocera Inferiore, in composizione monocratica, in persona del dott. Salvatore Di Lonardo, definitivamente pronunciando nel giudizio di appello avverso la sentenza n. 2626/05 resa dal Giudice di Pace di Nocera Inferiore in data 22 luglio 2005, depositata il 14 dicembre 2005, instaurato da Enel Distribuzione spa contro (A), iscritto al numero 243/07 RG, ogni altra istanza disattesa, così provvede:
1) accoglie, nei limiti di parte motiva, l'appello proposto dall'Enel Distribuzione spa e, per l'effetto, rigetta la domanda proposta da (A) nel precedente grado di giudizio;
2) condanna (A) al pagamento, in favore della società appellante, delle spese di lite del doppio grado di giudizio che liquida nella misura complessiva di euro 365,00 così come determinata in parte motiva, oltre IVA, CPA e rimborso spese generali.


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