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La mancanza di un rapporto di debito-credito tra le parti del contratto esclude la sussistenza di un patto compromissorio

la vendita con patto di riscatto o di retrovendita, anche quando sia previsto il trasferimento effettivo del bene, e' nulla se stipulata per una causa di garanzia (piuttosto che per una causa di scambio) nell'ambito della quale il versamento del denaro, da parte del compratore, non costituisca pagamento del prezzo ma esecuzione di un mutuo ed il trasferimento del bene serva solo per costituire una posizione di garanzia provvisoria capace di evolversi a seconda che il debitore adempia o non l'obbligo di restituire le somme ricevute, atteso che la predetta vendita, in quanto caratterizzata dalla causa di garanzia propria del mutuo con patto commissorio, piuttosto che dalla causa di scambio propria della vendita, pur non integrando direttamente un patto commissorio vietato dall'articolo 2744 cod. civ., costituisce un mezzo per eludere tale norma imperativa ed esprime percio' una causa illecita che renda applicabile alL'intero contratto la sanzione dell'articolo 1344 cod. civ..
Ne consegue che la mancanza di un rapporto di debito-credito tra le parti del contratto esclude la sussistenza di un patto compromissorio nella compravendita.
(Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, Sentenza del 7 settembre 2009, n. 19288)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCHETTINO Olindo - Presidente

Dott. MALZONE Ennio - Consigliere

Dott. PICCIALLI Luigi - Consigliere

Dott. MIGLIUCCI Emilio - Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

CA. Lu. e C. U. , rappresentati e difesi, in forza di procura speciale a margine del ricorso, dagli Avv. FERRONI Ugo e Romolo Giuseppe Cipriani, elettivamente domiciliati presso lo studio di quest'ultimo in Roma, Viale delle Medaglie d'oro, n. 157;

- ricorrenti -

contro

FALLIMENTO SC. FI. S.r.l., in persona del curatore pro tempore, rappresentato e difeso, in forza di procura speciale in calce al controricorso, dagli Avv. AUDINO Andrea e Guido Orlando, elettivamente domiciliato nello studio di quest'ultimo in Roma, Via Cicerone, n. 28;

- controricorrente -

e contro

CA. DI. RI. DI. CE. S.p.a., in persona del presidente del consiglio di amministrazione pro tempore, rappresentata e difesa, in forza di procura speciale in calce al controricorso, dagli Avv. Giovanni Giorni, Ugo De Nunzio e Domenico D'Amato, elettivamente domiciliata nello studio di quest'ultimo in Roma, Via Cola di Rienzo, n. 111;

- controricorrente -

e contro

BN. -. BA. NA. DE. , ora BA. AN. S.p.a., e BN. , ora BA. NA. DE. LA. S.p.a.;

- intimate -

avverso la sentenza della Corte drappello di Bologna depositata l'8 giugno 2004.

Udita la relazione della causa svolta nell'udienza pubblica del 28 maggio 2009 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

uditi l'Avv. Giuseppe Romolo Cipriani per il ricorrente, l'Avv. Guido Orlando per il controricorrente fallimento e l'Avv. Domenico D'Amato per la controricorrente Ca. di. Ri. ;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VELARDI Maurizio, che ha concluso per l'inammissibilita' o, in subordine, per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. - Con atto di citazione ritualmente notificato, Ca. Lu. e C. U. convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Ferrara, il fallimento della Sc. Fi. S.r.l., in persona del curatore, la Ca. di. Ri. di. Ce. , la BN. -. Ba. Na. de. e la BN. -. Ba. Na. de. La. , per sentire dichiarare la nullita', ex articolo 2744 cod. civ., dell'atto pubblico di compravendita immobiliare in data (OMESSO) tra essi attori e la societa' Finanziaria Sc. in veste di acquirente (sul rilievo che esso era stato stipulato per garantire un debito di lire 62.500.000 che avrebbe dovuto essere restituito nel tempi di dieci anni, con versamento di lire 100.000.000), ovvero per sentirne dichiarare la rescissione, ovvero, per ottenerne l'annullamento, in quanto viziato da dolo, artifici e raggiri.

Si costituirono in giudizio la curatela della Sc. Fi. , la Ca. di. Ri. di. Ce. e la BN. , resistendo alle domande attrici e la curatela instando, in via riconvenzionale, per la condanna degli attori al pagamento dell'indennita' di occupazione dell'immobile, da liquidarsi in separato giudizio.

Il Tribunale adito, con sentenza in data 8 marzo 2001, rigetto' le domande attrici e, in accoglimento della riconvenzionale, condanno' gli attori al risarcimento del danno in favore del fallimento e compenso' le spese del giudizio.

Il Tribunale osservo': che non esisteva una stipulazione in divieto del patto commissorio, perche' non vi era obbligo di restituzione del denaro ricevuto dal venditore; che non sussistevano i presupposti dell'azione di rescissione per lesione ultra demidium; che risultava infondata la domanda di annullamento del contratto per dolo; che la domanda riconvenzionale di condanna degli attori in forma generica trovava fondamento nella illegittima detenzione da parte degli attori e nella corrispondente impossibilita' di utilizzazione da parte della richiedente, con la conseguente mancata percezione del relativo reddito.

2. - La Corte d'appello di Bologna, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria l'8 giugno 2004, ha rigettato l'impugnazione proposta in via principale dal Ca. e dalla C. nonche' il gravame incidentale sulla compensazione delle spese interposto dal fallimento.

2.1. - Quanto alla nullita' del contratto di compravendita per la dedotta esistenza di un coevo patto di retrovendita, dissimulante un patto commissorio vietato, la Corte territoriale ha rilevato che l'infondatezza della doglianza riposa sull'inesistenza di un rapporto di debito-credito tra le parti (coniugi appellanti e societa' finanziaria), che il trasferimento immobiliare avrebbe dovuto garantire, a fronte di un passaggio di proprieta' operante immediatamente. Di qui la correttezza della dichiarata, da parte del Tribunale, inammissibilita' del ricorso alla prova per testi, fondata sul disposto dell'articolo 1417 cod. civ., atteso che la richiesta prova in ordine all'asserito patto verbale di retrovendita non era diretta a far valere un illecito.

In ordine al dolo (accampato sul rilievo che il contratto sarebbe stato stipulato "sottacendo il fatto che i venditori mai piu' avrebbero potuto riacquistare il bene in quanto lo stesso acquirente l'avrebbe ipotecato dopo qualche giorno, ed in quanto comunque sarebbero intervenute ipoteche giudiziali"), la Corte felsinea ha osservato che il raggiro prospettato avrebbe inciso sulla volonta' degli alienanti in relazione ad una circostanza rimasta estranea al contratto ed indimostrata, nulla essendo emerso in ordine all'asserita retrovendita, sia promessa che sperata.

3. - Per la cassazione della sentenza della Corte d'appello hanno interposto ricorso il Ca. e la C. , con atto notificato il 15 ottobre 2004, sulla base di tre motivi.

Hanno resistito, con separati atti di controricorso, la curatela del fallimento Sc. Fi. e la Ca. di. Ri. di. Ce. , mentre le altre intimate non hanno svolto attivita' difensiva in questa sede.

Tutte le parti hanno depositato memorie illustrative in prossimita' dell'udienza.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. - Con il primo mezzo (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa punti decisivi della controversia prospettati dalla parte e rilevabili d'ufficio, ai sensi dell'articolo 360 cod. proc. civ., n. 5), i ricorrenti si dolgono che la Corte d'appello abbia completamente omesso di motivare relativamente all'usura per essere stata concessa in garanzia una casa del valore di circa lire mezzo miliardo per lire 62.500.000.

Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli articoli 2744 e 1963 c.c., ed eventualmente articolo 1344 cod. civ., in relazione all'articolo 1417 cod. civ., ai sensi dell'articolo 360 cod. proc. civ., n. 3.

I ricorrenti premettono che e' nullo, costituendo illecito patto commissorio, ogni contratto avente lo scopo di garantire il pagamento di un debito tramite la preventiva cessione di un bene in proprieta'.

Secondo la Corte territoriale, affinche' vendita e patto di retrovendita ricadano nell'illiceita', sarebbe necessario che l'operazione sia volta a garantire un debito gia' esistente.

In realta', i ricorrenti si dolgono che non sia stato dato ingresso alla prova tendente a dimostrare: (a) che il debito esisteva, anche se verso terzi (banche) e non verso l'acquirente; (b) che al momento e contestualmente alla stipulazione e' stato convenuto che la finanziaria avrebbe fatto fronte a quel debito per estinguere verso gli istituti di credito le passivita' del venditore; (c) che non e' stato accollato un prezzo, ma si sono accollati debiti.

Sostengono i ricorrenti che, cio' che conta, non sono i tempi del debito e della vendita, ma la funzione o la causa della compravendita, la quale, anziche' trasferire verso un corrispettivo un bene, era volta a garantire il pagamento che la parte acquirente sarebbe andata ad effettuare, nonche' ad evitare, con tale operazione, di costringere in futuro il creditore a ricorrere ad esecuzioni immobiliari, essendo il bene gia' nel di lui patrimonio.

Pertanto, sarebbe necessario considerare il negozio sottostante una violazione diretta delle disposizioni di legge che vietano il patto commissorio, o, quanto meno, costituente un procedimento indiretto in frode a tali articoli, giacche' la "preventivata" non atterrebbe alla preesistenza del debito rispetto alla compravendita-retrovendita, bensi' alla accettazione del trasferimento rispetto alla mancata estinzione del pagamento.

Con il terzo mezzo si deduce violazione degli articoli 1439 e 1417 cod. civ., non essendo stato consentito di dimostrare il raggiro effettuato dalla societa' finanziaria con un comportamento doloso. L'annullamento per questo motiva sarebbe conseguenza all'esito favorevole della prova ammessa ex articolo 1417 cod. civ.. E la prova della usurarieta' era ammissibile, trattandosi di nullita' per illiceita' della causa.

2. - I tre motivi in cui si articola il ricorso - i quali, stante la loro stretta connessione, possono essere esaminati unitariamente - sono infondati, per la parte in cui non sono inammissibili.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la vendita con patto di riscatto o di retrovendita, anche quando sia previsto il trasferimento effettivo del bene, e' nulla se stipulata per una causa di garanzia (piuttosto che per una causa di scambio) nell'ambito della quale il versamento del denaro, da parte del compratore, non costituisca pagamento del prezzo ma esecuzione di un mutuo ed il trasferimento del bene serva solo per costituire una posizione di garanzia provvisoria capace di evolversi a seconda che il debitore adempia o non l'obbligo di restituire le somme ricevute, atteso che la predetta vendita, in quanto caratterizzata dalla causa di garanzia propria del mutuo con patto commissorio, piuttosto che dalla causa di scambio propria della vendita, pur non integrando direttamente un patto commissorio vietato dall'articolo 2744 cod. civ., costituisce un mezzo per eludere tale norma imperativa ed esprime percio' una causa illecita che renda applicabile alL'intero contratto la sanzione dell'articolo 1344 cod. civ. (Sez. Un., 3 aprile 1989, n. 1611; Sez. 2 , 4 marzo 1996, n. 1657; Sez. 2 , 20 luglio 2001, n. 9900; Sez. 3 , 15 marzo 2005, n. 5635; Sez. 2 , 8 febbraio 2007, n. 2725; Sez. 2 , 11 giugno 2007, n. 13621).

Facendo applicazione di questo principio, la Corte di merito ha ritenuto che la stipulata compravendita immobiliare non incorresse nel divieto di patto commissorio, avendo accertato, con congrua e logica motivazione, l'inesistenza, a base del trasferimento, di uno scopo di garanzia, stante l'assoluta mancanza di un rapporto di debito-credito tra le parti del contratto.

Contrariamente a quanto opinano i ricorrenti, la sentenza impugnata non ha affatto richiesto - affinche' vendita e patto di retrovendita ricadano nell'illiceita' - che L'operazione sia volta a garantire un debito gia' esistente, ma si e' limitata a rilevare che risultava inesistente proprio il rapporto debito-credito che, secondo l'assunto degli appellanti, il trasferimento immobiliare avrebbe dovuto garantire: e cio', in continuita' con la pronuncia di primo grado, che gia' aveva affermato come, non essendovi alcun obbligo di restituzione del denaro ricevuto dal venditore, non si potesse inquadrare l'intervenuta stipulazione nel divieto di patto commissorio.

I motivi, oltre a non cogliere l'intima ratio decidendi che sostiene la decisione impugnata, prospettano una censura priva di autosufficienza, perche' - la' dove ci si duole, con la denuncia del vizio sia di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, sia di violazione o falsa applicazione di legge, che non sia stato dato ingresso alla prova orale, tendente a dimostrare il patto di retrovendita, ovvero, ancora, l'usurarieta' della stipulazione o i raggiri - si omette di riportare in ricorso i capitoli di prova non ammessi ed asseritamente concludenti e decisivi al fine di pervenire a soluzioni diverse da quelle raggiunte nell'impugnata sentenza.

Nel loro complesso, pertanto, i motivi di ricorso finiscono con il sollecitare questa Corte a svolgere un nuovo esame, che fuoriesce dai confini del giudizio di legittimita', delle stesse risultanze gia' valutate, con congruo e motivato apprezzamento, dal giudice del merito.

Ne' puo' trovare ingresso in questa sede la censura con cui si lamenta - sotto il profilo del vizio di motivazione - che la Corte di merito abbia completamente omesso di motivare in ordina alla usura per essere stata concessa in garanzia per appena lire 62.500.000 una casa di valore molto superiore.

Invero, per costante giurisprudenza, in tema di ricorso per cassazione, la denuncia di un error in indicando per vizi della motivazione, presuppone che il giudice abbia preso in esame la questione prospettatagli e l'abbia risolta in modo giuridicamente non corretto, e consente alla parte di chiedere, ed al giudice di legittimita' di effettuare, una verifica in ordine alla sufficienza ed alla logicita' della motivazione, sulla base del solo esame della sentenza impugnata; tale censura non puo' pertanto riguardare l'omessa pronuncia del giudice di secondo grado in ordine ad uno dei motivi dedotti nell'atto di appello, la quale postula la denuncia di un error in procedendo, ai sensi dell'articolo 360 cod. proc. civ., n. 4) in riferimento al quale il giudice di legittimita' puo' esaminare anche gli atti del giudizio di merito, essendo giudice anche del fatto inteso in senso processuale (tra le tante, Cass., Sez. 3 , 26 gennaio 2006, n. 1701; Cass., Sez. 1 , 27 gennaio 2006, n. 1755; Cass., Sez. 3 , 14 febbraio 2006, n. 3190; Cass., Sez. 1 , 22 novembre 2006, n. 24856; Cass., Sez. 3 , 17 luglio 2007, n. 15882).

Nella specie i ricorrenti lamentano il mancato esame della questione di nullita' derivante da usurarieta' "chiesta nelle conclusioni e motivata a pag. 8 ultime righe dell'appello", ma formulano una denuncia di vizio di motivazione, anziche' di omessa pronuncia.

La mancata deduzione del vizio nei termini indicati, evidenziando il difetto di identificazione del preteso errore del giudice del merito ed impedendo il riscontro ex actis dell'assunta omissione, rende non scrutinabile la censura.

3. - Il ricorso e' rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al rimborso delle spese processuali sostenute dalle parti controricorrenti, liquidate, per ciascuna, in complessivi euro 3.700,00 di cui euro 3.500,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori di legge.

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