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La parte che agisca per la risoluzione per inadempimento del contratto non può trattenere la caparra ma deve provare il danni nell'an e nel quantum

La caparra confirmatoria di cui all'art. 1385 cod. civ. assume la funzione di liquidazione convenzionale del danno da inadempimento qualora la parte non inadempiente abbia esercitato il potere di recesso conferitole dalla legge e in tal caso, essa è legittimata a ritenere la caparra ricevuta o ad esigere il doppio di quella versata; qualora, invece, detta parte abbia preferito agire per la risoluzione o l'esecuzione del contratto, il diritto al risarcimento del danno dovrà essere provato nell'"an" e nel "quantum". E' quanto stabilito dalla Corte di Cassazione, Sezione 2 Civile, con sentenza del 23 agosto 2007, n. 17923. La S.C. con detta pronuncia ha cassato la sentenza di merito che, una volta accertato l'inadempimento di una parte e dichiarata la risoluzione del contratto, aveva ritenuto la parte non inadempiente legittimata a trattenere la somma ricevuta a titolo di caparra confirmatoria senza alcuna prova del danno subito.
Sentenza del 23 agosto 2007, n. 17923



- Leggi la sentenza integrale -

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

SA. AG., CO. GI., elettivamente domiciliati in ROMA VIA L RIZZO 41, presso lo studio dell'avvocato VITTORIO OLIVIERI, difesi dall'avvocato GIANNITTO Nino, giusta delega in atti;

- ricorrenti -

contro

RO. RI.;

- intimato -

e sul 2 ricorso n. 18957/03 proposto da:

RO. RI., elettivamente domiciliato in ROMA P.ZZA CAVOUR, presso la CORTE di CASSAZIONE, difeso dall'avvocato CATANZARO LOMBARDO Antonino, giusta delega in atti;

- controricorrente e ricorrente incidentale -

e contro

CO. GI., SA. AG., elettivamente domiciliati in ROMA VIA L RIZZO 41, presso lo studio dell'avvocato VITTORIO OLIVIERI, difesi dall'avvocato NINO GIANNITTO, giusta delega in atti;

- controricorrenti al ricorso incidentale -

avverso la sentenza n. 25/03 della Corte d'Appello di CATANIA, depositata il 10/01/03;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del 06/12/06 dal Consigliere Dott. Salvatore BOGNANNI;

udito l'Avvocato OLIVIERI Vittorio con delega depositata in udienza dell'Avvocato GIANNITTO Nino, che si riporta agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MARINELLI Vincenzo, e ha concluso per rigetto del ricorso principale accoglimento per quanto di ragione del ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 19 maggio 1994 Ro.Ri. conveniva in giudizio dinanzi al tribunale di Catania i coniugi Co. Gi. ed Sa.Ag., e premesso:

che il 30.5.1992 gli stessi, con scrittura privata, avevano stipulato un contratto, mediante il quale l'attore si era impegnato ad acquistare, e i convenuti a vendere, un appartamento facente parte di un fabbricato in villa, di proprieta' del marito, e composto da sei vani, oltre accessori, e garage, sito nel Comune di (OMESSO), frazione (OMESSO);

che il prezzo era stato pattuito in complessive lire 350.000.000, da versare, quanto a lire 50.000.000 contestualmente a titolo di caparra confirmatoria e in conto prezzo, e la parte rimanente in rate mensili di lire 5.000.000 cadauna, e percio' per cinque annualita', senza interessi;

che sull'immobile gravava un mutuo bancario che parte venditrice si era obbligata ad estinguere;

che il possesso del bene sarebbe stato trasmesso dopo l'integrale pagamento del prezzo, con la stipula dell'atto pubblico di trasferimento della proprieta';

che, dopo avere versato ben 22 rate, con somme anche maggiori, e quindi sborsato in totale lire 170.000.000, era venuto a sapere che le unita' immobiliari oggetto del preliminare facevano parte di un edificio costruito dalla cooperativa denominata "Catira", di cui Co. faceva parte come socio, e che ancora era proprietaria dell'immobile;

che l'esponente aveva pure versato la somma di lire 20.000.000 al presidente della cooperativa medesima a titolo di spese straordinarie;

che successivamente al preliminare Ro. aveva saputo che Sa. era receduta dalla cooperativa per consentire ad altro soggetto, tale ing. S., di acquistarne la quota e divenire a sua volta socio della "Catira", versando l'intero prezzo dell'immobile;

tutto cio' premesso, l'attore chiedeva che il tribunale, espletata la necessaria istruttoria, pronunciasse la legittimita' del recesso esercitato dal promissario, per l'altruita' del bene e il subentro, come socio, del terzo, o in subordine la risoluzione del contratto, per fatto e colpa della controparte, e la condannasse alla restituzione del doppio della caparra, e delle diverse altre somme versate, e quindi per complessive lire 240.000.000, oltre agli interessi dai singoli versamenti al saldo e alla rivalutazione. In via subordinata per la risoluzione chiedeva il risarcimento del danno, con il rimborso delle spese.

Co. e Sa. si costituivano con comparsa di risposta. Pregiudizialmente la seconda eccepiva la carenza di legittimazione passiva, e nel merito entrambi contestavano gli assunti "ex adverso" dedotti, chiedendo il rigetto delle domande proposte dall'attore. Contestualmente svolgevano riconvenzionale, con la quale domandavano il trasferimento della proprieta' dell'immobile in capo a Ro., previo pagamento del residuo prezzo. In subordine chiedevano declaratoria di risoluzione del contratto, oltre al risarcimento del danno.

Il tribunale, istruita la causa mediante l'acquisizione della documentazione prodotta, dopo avere rigettato l'istanza di ammissione di prova per testimoni richiesta dall'attore, con la sentenza che definiva il giudizio, in parziale accoglimento delle domande di Ro., dichiarava che il preliminare in questione andava risoluto per inadempimento di ambo le parti, e condannava i convenuti in solido al pagamento della somma di lire 190.000.000, oltre agli interessi dai singoli pagamenti, a favore dell'attore, compensando le spese.

Esso osservava che Sa. aveva comunque assunto l'obbligazione di trasferire la proprieta' dell'immobile a favore di Ro., con la sottoscrizione del preliminare. Inoltre aveva ricevuto il pagamento dei singoli ratei, e pertanto non poteva considerarsi estranea al rapporto intercorso con il promissario.

Avverso la relativa sentenza i promittenti proponevano appello principale con atti separati, e l'appellato quello incidentale, dinanzi alla Corte Territoriale della stessa sede, la quale, dopo averli riuniti, con sentenza del 31 maggio 2002, in parziale riforma di quella impugnata, ha dichiarato la risoluzione del contratto per inadempimento del promissario; ha condannato i primi alla restituzione delle somme ricevute a pagamento di parte del prezzo, e ha gravato per intero le spese del doppio grado sull'appellato.

Essa ha osservato che l'inadempimento dedotto reciprocamente dalle parti, era da riscontrare solo nel comportamento di Ro., il quale si era ingiustamente rifiutato di versare le rate del prezzo convenuto, atteso che, anche se l'immobile era di proprieta' della cooperativa, senza che il promissario lo sapesse, tuttavia il socio ben poteva promettere la vendita di un bene del terzo, dovendone solo procurare la proprieta' all'acquirente al momento del trasferimento, e quindi del definitivo. Conseguentemente ha rigettato l'appello incidentale.

Avverso questa sentenza i coniugi Co. e Sa. hanno proposto ricorso per Cassazione, sulla base di un unico motivo.

Ro. ha resistito con controricorso, proponendo a sua volta ricorso incidentale, a sostegno del quale ha indicato sei motivi, e ad esso i ricorrenti dal canto loro hanno resistito con altro controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via pregiudiziale va disposta la riunione dei ricorsi, ai sensi dell'articolo 335 c.p.c., atteso che essi sono stati proposti contro la stessa sentenza.

Dato il suo carattere preliminare, prima va esaminato il ricorso incidentale.

1) Col primo motivo il ricorrente per incidente denunzia violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, nonche' omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, giacche' la Corte di merito non avrebbe considerato che mai, ne' in primo ne' in secondo grado Sa. e Co. avevano prospettato la domanda e le eccezioni come fondate sull'ipotesi teorica di promessa di vendica di cosa altrui. Essi avevano sempre addotto che il bene in questione fosse gia' di proprieta' di Co., anche se avevano solo accennato all'eventualita' che si potesse trattare di immobile di terzi. Infatti avevano prodotto certificato catastale, ma si erano ben guardati dal produrre l'atto di acquisto della proprieta'. Che poi Co. si fosse dichiarato e fatto credere proprietario del bene, e non come colui che prometteva la vendita di cosa di un terzo, era dimostrato pure dal fatto che, con la comparsa di risposta in sede d costituzione, aveva svolto riconvenzionale, con cui chiedeva l'esecuzione in forma specifica del preliminare mediante il trasferimento coattivo della proprieta' in capo a Ro., previo pagamento dell'ulteriore parte del prezzo. Solo in un secondo momento entrambi i coniugi chiedevano invece la risoluzione per inadempimento a carico di controparte. Pertanto, posto che il Giudice dell'impugnazione ha basato il giudizio sulla vendita di un bene di terzi relativamente al preteso inadempimento del promissario, esso e' caduto nel vizio di ultrapetizione.

Il motivo e' infondato.

La corte di appello ha osservato che, il fatto che l'appartamento non fosse di proprieta' di Co., anche se tale elemento era ignorato da Ro., non giustificava la sospensione del pagamento delle rate da parte di quest'ultimo, e che la cessione della quota all'ing. S. da parte di Sa. era un fatto non piu' riproposto in appello.

L'assunto e' esatto.

La mancanza di valido titolo relativo all'acquisto della proprieta' del bene non costituiva giusto motivo di recesso del promissario, il quale era tenuto ad addivenire alla stipula del definitivo per l'acquisto dell'immobile, anche se non sapeva che esso era ancora di proprieta' della cooperativa al momento della conclusione del preliminare. D'altronde se e' noto il principio secondo cui il contratto con il quale il socio prenotatario di una cooperativa edilizia, fruente del concorso o del contributo statale, si impegni a stipulare, con il terzo promissario acquirente, l'atto di trasferimento dell'alloggio, e il successivo contratto con il quale la cooperativa assegni il bene al terzo medesimo, sono nulli, ai sensi dell'articolo 1418 cod. civ., perche' costituenti lo strumento con cui si realizza la violazione della norma imperativa contenuta nella Legge 2 luglio 1949, n. 408 articolo 9 comma 2, la quale, al fine di impedire atti speculativi e di garantire il perseguimento dello scopo della destinazione degli alloggi al soddisfacimento dell'interesse all'abitazione degli appartenenti a determinate categorie sociali, vieta l'alienazione prima del decorso di dieci anni dalla data della assegnazione (Cfr. anche Cass. N. 1334 del 1987 Rv. 450808, N. 9395 del 1999 Rv. 529662, N. 10602 del 1999 Rv. 530252, Sent. n. 12941 del 05/09/2003), tuttavia tale ipotesi non era dato riscontrare nella fattispecie in esame, per la quale si trattava invece di cooperativa semplice, e non sovvenzionata.

Ne' Ro., per il solo fatto che era in buona fede, e cioe' ignorava, al momento della stipula del contratto preliminare di vendita, che l'appartamento promesso non apparteneva al promittente Co., ma ad un terzo (la cooperativa "Catira"), quindi per cio' stesso poteva esercitare il recesso per inadempimento dell'altra parte e chiedere il doppio della caparra, ma poteva domandare, ai sensi dell'articolo 1479 cod. civ., la risoluzione del contratto per inadempimento. Tale diritto poteva essere fatto valere, a mente dell'articolo 1453 cod. civ., anche nel corso del giudizio che eventualmente fosse stato instaurato per l'adempimento (V. anche Sentenza n. 60 del 09/01/1970; 2044-69 massima 341296).

Sul punto percio' la sentenza impugnata risulta motivata in modo adeguato, oltre che giuridicamente e logicamente corretto.

2) Col secondo motivo il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione degli articoli 342 e 345 cod. proc. civ., in relazione all'articolo 360 c.p.c., n. 3, giacche' la Corte di merito non ha considerato che in primo grado Co. mai aveva accennato al fatto di non essere proprietario dell'immobile oggetto del preliminare. Solo con l'appello aveva fatto cenno alla validita' della vendita di cosa altrui, senza pero' nemmeno avere specificato la domanda in tal senso. In ogni caso questa sarebbe stata nuova, e percio' non deducibile in secondo grado, in quanto inammissibile.

La censura non ha pregio.

La corte di merito ha osservato che il fatto che il promittente non fosse ancora divenuto proprietario dell'immobile non poteva costituire un ostacolo per la regolarita' del preliminare. D'altronde in esso non si parlava direttamente di proprieta' del bene in testa al promittente, se non con riferimento alla quota millesimale dell'area destinata a parco, posteggio e altro.

L'assunto e' esatto.

Infatti la Corte Territoriale non doveva accertare la posizione di buona fede dell'acquirente (promissario), come questi aveva richiesto di provare. Infatti essa ha affermato un principio, che costituisce un arresto ormai assodato, peraltro in linea col dettato legislativo, secondo cui in tema di contratto preliminare di vendita, il promittente venditore di una cosa che non gli appartiene, anche nel caso di buona fede dell'altra parte, puo' adempiere la propria obbligazione procurando l'acquisto del promissario direttamente dall'effettivo proprietario. Pertanto, il promissario acquirente, il quale ignori che il bene, all'atto della stipula del preliminare, appartenga in tutto od in parte ad altri, non puo' agire per la risoluzione prima della scadenza del termine per la conclusione del contratto definitivo, in quanto il promittente venditore, fino a tale momento, puo' adempiere all'obbligazione di fargli acquistare la proprieta' del bene, acquistandola egli stesso dal terzo proprietario o inducendo quest'ultimo a trasferirgliela (Cfr. anche Sentenze N. 21179 del 2004, N. 24782 del 2005, N. 11624 del 2006).

Quanto poi alla dedotta novita' della questione proposta in sede di appello, va rilevato che essa era gia' implicita nella difesa opposta dai convenuti anche in primo grado, allorquando avevano eccepito l'inadempimento dell'attore, dichiarandosi disponibili al trasferimento della proprieta' del bene.

3) Col terzo motivo il ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione di diverse norme di diritto, nonche' omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in quanto la Corte di Appello non ha considerato che da tutto il contesto del preliminare si ricava che Co. era indicato come proprietario dell'appartamento, anche attraverso le sue pertinenze. Inoltre in esso stesso era specificato che l'alloggio veniva "venduto", e quindi si intendeva da parte del proprietario. Aveva prodotto certificato catastale, e aveva domandato inizialmente l'esecuzione in forma specifica per il trasferimento della proprieta' da lui in testa a Ro., proprio in quanto si era qualificato proprietario dell'immobile. Ma a parte cio', la sospensione dei pagamenti delle rate da parte del promissario era giustificata dal fatto che Ro. non conosceva l'altruita' del bene; ne' Co. se ne era tempestivamente procurato la proprieta'; inoltre non aveva evocato in giudizio la cooperativa "Catira", onde raccoglierne l'assenso al trasferimento. In ogni caso la disciplina di cui all'articolo 1478 c.c., non era applicabile nella fattispecie in esame, posto che tale tipo di societa' non e' un terzo qualsiasi. Infatti la quota del socio non puo' essere trasferita dallo stesso a chicchessia; il rapporto semmai si instaura direttamente tra la cooperativa e il socio che ne faccia domanda, il quale abbia determinati requisiti, di reddito; residenza; prima casa etc., previa delibera dell'assemblea dei soci. Sicche' nel caso in esame era proprio il promittente l'inadempiente, e quindi giustamente il promissario aveva sospeso i pagamenti, esercitando poi il recesso.

Il motivo e' privo di fondamento.

Va osservato che anche se la cooperativa non era un soggetto qualsiasi, che costituisse terzo, ma era disciplinata da tutta una normativa legislativa particolare e dallo statuto, per cui ad un socio non poteva certamente subentrare un altro solo per cessione della quota del primo e per un patto tra i due, senza una previa delibera di ammissione dell'assemblea, o, a seconda, del consiglio di amministrazione dell'ente, tuttavia cio' non escludeva che il promissario dovesse ugualmente onorare gli impegni assunti con il preliminare, dal momento che comunque era preciso obbligo dei promittenti fare si che alla scadenza pattuita la proprieta' del bene in questione sarebbe stata trasferita in capo al primo, pena - in mancanza di cio' - evidentemente l'esercizio legittimo del recesso, ovvero la risoluzione del contratto col risarcimento del danno da parte sua nei confronti di Co. e Sa..

Infatti e' noto che in tema di contratto preliminare di vendita, il promittente venditore di una cosa che non gli appartiene, anche nel caso di buona fede dell'altra parte, puo' adempiere la propria obbligazione procurando l'acquisto del promissario direttamente dall'effettivo proprietario. Pertanto, il promisserio acquirente, il quale ignori che il bene, all'atto della stipula del preliminare, appartenga in tutto od in parte ad altri, non puo' agire per la risoluzione prima della scadenza del termine per la conclusione del contratto definitivo, in quanto il promittente venditore, fino a tale momento, puo' adempiere all'obbligazione di fargli acquistare la proprieta' del bene, acquistandola egli stesso dal terzo proprietario o inducendo quest'ultimo a trasferirgliela, anche nel caso in cui il terzo sia una cooperativa (V. pure Cass. Sentenze n. 24782 del 24/11/2005 n. 15035 del 2001, Sez. U, n. 11624 del 18/05/2006).

Sul punto percio' la sentenza impugnata risulta motivata in modo adeguato, oltre che giuridicamente e logicamente corretto.

4) Col quarto motivo il ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione di diverse norme di diritto, oltre che omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, dal momento che la Corte di merito non ha considerato che non poteva contemporaneamente applicare la disciplina della risoluzione del contratto per inadempimento dell'altra parte, e l'altra relativa al recesso da inadempimento con la ritenzione della caparra. Peraltro essa e' caduta nel vizio di extra o ultrapetizione, atteso che Co., dopo avere mutato la domanda iniziale ex articolo 2932 c.c., aveva chiesto solamente la risoluzione per preteso inadempimento di controparte, e il risarcimento del danno, che non aveva mai provato ne' sull'"an", ne' sul "quantum", e quindi tale domanda specifica non poteva essere accolta, come pure non poteva essere disposta la perdita della caparra, che consegue solamente all'esercizio del recesso per giusta causa.

La doglianza va condivisa.

E' noto che la caparra confirmatoria ai sensi (dell'articolo 1385 cod. civ., assume la funzione di liquidazione convenzionale del danno da inadempimento qualora la parte non inadempiente abbia esercitato il potere di recesso conferitole dalla legge, e, in tal caso, e' legittimata a ritenere la caparra ricevuta o ad esigere il doppio di quella versata. Qualora, invece, detta parte abbia preferito domandare la risoluzione o l'esecuzione del contratto, il diritto al risarcimento del danno rimane regolato dalle norme generali, onde il pregiudizio subito dovra' in tal caso essere provato nell'"an" e nel "quantum", giacche' la caparra conserva solo la funzione di garanzia dell'obbligazione risarcitoria.

Pertanto non e' conforme a diritto ritenere che, accertato l'inadempimento di una parte, e dichiarata la risoluzione del contratto, con la conseguente cessazione del vincolo contrattuale, la parte, ritenuta (a torto come sopra specificato) non inadempiente, potesse trattenere la somma recepita a titolo di caparra confirmatoria, ancorche' non avesse provato il danno (V. pure Cass. Sent. N. 18850 del 2004, N. 26232 del 2005, N. 9040 del 19/04/2006).

5) Col quinto motivo il ricorrente denunzia violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 244 c.p.c. e segg., e articolo 346 c.p.c., oltre che omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, posto che la Corte catanese non ha ammesso la prova per testimoni dedotta gia' in primo grado, ritenendo che le questioni connesse alle circostanze da provare non fossero state riproposte con l'appello.

La censura rimane assorbita da quanto enunciato relativamente ai motivi come sopra esaminati.

6) Il sesto motivo, che concerne le spese, che sarebbero state poste in misura esagerata, e per di piu' a favore di ciascuno degli appellanti in modo autonomo, nonostante la difesa fosse stata unica, rimane anch'esso assorbito da quelli gia' delibati.

Ne deriva che il ricorso incidentale va accolto.

Ricorso principale.

Esso rimane assorbito da quello incidentale per la preliminarita' di tutte le questioni sollevate ed esaminate.

Ne discende che il ricorso incidentale va accolto per quanto di ragione; quello principale va dichiarato assorbito, e la sentenza impugnata va cassata in relazione al quarto motivo di ricorso accolto.

Poiche' non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, e la causa percio' va decisa nel merito, non ne va disposto conseguentemente il rinvio, e per l'effetto i ricorrenti principali vanno condannati in solido al pagamento della somma di euro 87.797,67, pari a lire 170.000.000, corrispondente a tutti gli importi percepiti, oltre agli interessi e alla rivalutazione, dai singoli pagamenti al saldo, a favore del controricorrente.

Infine per quanto concerne le spese dell'intero giudizio, sussistono giusti motivi per compensarle tra le parti.

P.Q.M.

La Corte, riconvocato il collegio, riunisce i ricorsi; rigetta il primo, il secondo e il terzo motivo del ricorso incidentale; accoglie il quarto; dichiara assorbiti il quinto e il sesto, come pure il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e, decidendo nel merito, condanna Co. e Sa. in solido al pagamento della somma di euro 87.797,67 (ottantasettemilasettecentonovantasette/67), pari a lire 170.000.000, oltre agli interessi e alla rivalutazione, dai versamenti dei singoli importi al saldo, a favore di Ro., e compensa le spese dell'intero giudizio.

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