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Nel contratto preliminare stipulato da una persona fisica per sé o per persona da nominare lo stipulante può anche nominare una persona giuridica

Deve escludersi che in presenza di un contratto preliminare stipulato da una persona fisica per sé o per persona da nominare (senza altra precisazione), lo stipulante debba necessariamente nominare una persona fisica e sia, quindi, priva di effetti la nomina di una persona giuridica. Il riferimento a altra persona, infatti, non può escludere che detta persona sia una persona giuridica, nulla lasciando ipotizzare la volontà delle parti di limitare la possibilità del trasferimento dei beni oggetto di compromesso anche a una società munita di personalità giuridica.

Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, Sentenza del 30 ottobre 2009, n. 23066



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ELEFANTE Antonino - Presidente

Dott. ODDO Massimo - Consigliere

Dott. MAZZIOTTI Lucio - Consigliere

Dott. PETITTI Stefano - rel. Consigliere

Dott. SAN GIORGIO Maria Rosaria - Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso proposto da:

CA. AN. DO. , elettivamente domiciliata in Roma, via della Giuliana n. 44, presso lo studio dell'Avv. ANTONANGELI Luigi, dal quale e' rappresentata e difesa per procura speciale a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

CURATELA DEL FALLIMENTO " IL. SA. " s.r.l., in persona del curatore, elettivamente domiciliata in Roma, via Conca d'oro n. 300, presso lo studio dell'Avv. BAFILE Giovanni, rappresentata e difesa per procura speciale a margine del controricorso, previa autorizzazione del giudice delegato in data 27 settembre 2004;

- controricorrente -

e contro

BO. LU. ;

- intimato -

avverso la sentenza della Corte d'appello di L'Aquila n. 447/03, depositata il 3 luglio 2003;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 26 maggio 2009 dal Consigliere relatore Dott. Petitti Stefano;

udita, per la resistente, l'Avvocato Antonella Fantini, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice, che ha chiesto il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 16 dicembre 1992, la societa' Il. Sa. s.r.l., in persona dell'amministratore Bo. Lu. , citava Ca. An. Do. dinnanzi al Tribunale di Lanciano, per ottenere la convalida del sequestro conservativo, la liberazione da ipoteca degli immobili oggetto del preliminare di vendita dell'(OMESSO) e, in caso positivo, una sentenza costitutiva, ex articolo 2932 c.c., ovvero, in caso negativo, la risoluzione del preliminare, con restituzione del prezzo versato e il risarcimento del danno.

Si costituiva la convenuta, la quale, in via riconvenzionale, chiedeva la risoluzione del contratto per inadempimento del promissario acquirente, ovvero la rescissione del medesimo contratto per lesione.

Dichiarato il Fallimento della societa' attrice e proseguito il giudizio da parte della Curatela, il Tribunale di Lanciano, con sentenza non definitiva, convalidava il sequestro conservativo disposto dal Presidente del Tribunale, fissava alla convenuta il termine del 31 dicembre 1998 per la liberazione da ipoteca o da altri vincoli sugli immobili oggetto del preliminare di vendita e rigettava la domanda riconvenzionale, disponendo la prosecuzione del giudizio per la decisione sulle altre domande.

Con sentenza definitiva, il Tribunale dichiarava risolto il contratto preliminare di vendita dell'(OMESSO) per inadempimento della convenuta, che non aveva provveduto entro il termine del 31 dicembre 1998 a liberare l'immobile da ipoteche e altri vincoli, e condannava la convenuta alla restituzione del prezzo pagato, maggiorato di interessi, nonche' al rimborso delle spese di miglioria, quantificate in lire 54.000.000, oltre al pagamento delle spese di lite.

Avverso le due sentenze del Tribunale proponeva gravame la Ca. , cui resisteva la Curatela del Fallimento Il. Sa. s.r.l.; rimaneva contumace Bo. Lu. .

Con sentenza depositata il 3 luglio 2003, la Corte d'appello di L'Aquila rigettava il gravame, confermando le sentenze impugnate.

La Corte rigettava innanzitutto il primo motivo di gravame - nullita' della sentenza perche' la causa rientrava tra quelle che avrebbero dovuto essere assegnate alle sezioni stralcio e decise dal GOA -, rilevando che la questione della attribuzione della controversia ad una o ad altra sezione del Tribunale non integrava ipotesi di nullita' della sentenza, non essendo prevista da alcuna disposizione.

Quanto al secondo motivo di appello - nullita' delle sentenze per irregolarita' del contraddittorio ovvero improcedibilita' ovvero estinzione del giudizio perche' la sentenza gravata andava pronunciata anche nei confronti di Bo. Lu. , al quale invece l'atto di riassunzione del giudizio, a seguito di interruzione, non era stato notificato -, la Corte rilevava che nelle more del giudizio di primo grado era intervenuta la sentenza dichiarativa del fallimento della societa' Il. Sa. , di cui il Bo. era amministratore unico, e che, in conseguenza di cio', la causa era stata proseguita dal curatore, a tanto pienamente legittimato.

Quanto al terzo motivo - nullita' della sentenza che aveva convalidato il sequestro per impossibilita' di determinazione dell'oggetto e per essere la convalida intervenuta quando il diritto a cautela del quale la misura era stata disposta non era ancora venuto ad esistenza, traendo origine dalla pronuncia di risoluzione del contratto -, la Corte osservava che l'oggetto della convalida era chiaro attraverso il richiamo al provvedimento del Presidente del Tribunale di Lanciano del 18 novembre 1992, e che, all'atto della convalida, il diritto a cautela del quale il sequestro era stato autorizzato risultava accertato, pur se bisognava decidere se si sarebbe dovuto fare luogo alla pronuncia ex articolo 2932 c.c., ovvero a risoluzione del contratto per inadempimento, nella certezza, comunque, che parte attrice avesse diritto all'una o all'altra delle pronunce: diritto, questo, che giustificava il sequestro.

Con riferimento al quarto motivo - nullita' del ricorso per sequestro e della citazione perche' gli atti introduttivi dei procedimenti cautelari e di merito erano stati proposti dalla societa' Il. Sa. in persona del suo amministratore unico, che agiva anche in proprio -, la Corte rilevava che la censura non risultava comprensibile non essendo chiaro cosa giuridicamente ostasse a quanto eccepito dall'appellante, posto che il fallimento era intervenuto in corso di causa.

Quanto al quinto motivo di appello - nullita' della sentenza non definitiva e di quella definitiva per contrasto tra le stesse -, la Corte d'appello riteneva che non sussistesse contrasto tra l'affermazione contenuta nella sentenza non definitiva (la effettuazione di opere di ristrutturazione non giustifica certo la risoluzione contrattuale, ma semplicemente la ritenzione di dette opere a titolo gratuito da parte della venditrice) e la successiva pronuncia contenuta nella sentenza definitiva, di condanna della convenuta al rimborso delle spese di miglioria, dal momento che la prima affermazione richiamava la clausola n. 5 del preliminare, mentre la seconda era statuizione dovuta in conseguenza della dichiarazione di risoluzione del contratto per inadempimento della convenuta. La Corte escludeva poi il denunciato difetto di motivazione delle sentenze di primo grado.

La Corte rigettava anche il sesto motivo di appello - nullita' della sentenza per irritualita' della fissazione del termine per la liberazione degli immobili -, osservando che ne' l'articolo 1482 c.c., ne' alcuna altra norma imponevano che il termine accordato dovesse decorrere dalla data di passaggio in giudicato della sentenza che lo aveva fissato, mentre l'assunto secondo cui il termine non sarebbe stato congruo risultava del tutto infondato, posto che il termine era stato fissato con sentenza depositata il 4 agosto 1998, con scadenza al successivo 31 dicembre.

Quanto al settimo motivo di gravame - non avere il giudice tenuto conto del fatto che le parti avevano pattuito il termine del gennaio 1992 per l'atto pubblico di trasferimento e che detto termine era trascorso senza alcuna richiesta di stipula, con la conseguenza che il preliminare avrebbe dovuto essere considerato risolto di diritto - , la Corte rilevava che con il preliminare la convenuta si era impegnata a cedere all'acquirente gli immobili liberi da trascrizioni pregiudizievoli, le quali invece erano presenti, sicche' si era verificato l'inadempimento della convenuta che aveva impedito la stipula del definitivo.

Quanto all'ulteriore censura, secondo cui il Tribunale aveva ignorato la clausola n. 5 del preliminare, la quale prevedeva l'acquisizione gratuita di ogni opera eventualmente eseguita sull'immobile ovvero la facolta' della convenuta di pretendere la rimessione in pristino, di guisa che, in ogni caso, la convenuta stessa non avrebbe dovuto corrispondere nulla alla controparte per le opere eseguite, per le quali ella era stata invece condannata al pagamento della somma di lire 54.000.000, la Corte d'appello osservava che, con l'invocata clausola, le parti avevano all'evidenza inteso attribuire le dette facolta' alla Ca. solo per l'ipotesi - non verificatasi nella specie - in cui il bene fosse stato da restituire ad essa per fatto imputabile alla controparte. Tale interpretazione, infatti, rilevava la Corte, non era contrastata dalla formula usata dalle parti (in caso di restituzione per qualsiasi causa), perche', certamente, questa non poteva essere la concorde volonta' delle parti che sarebbe stata del tutto illogica dal punto di vista del Bo. e priva di giustificazione dal punto di vista della Ca. . Quanto alla somma di lire 54.000.000, la Corte rilevava che il Tribunale aveva indicato non solo gli elementi di prova utilizzati, ma anche quelli disattesi.

Da ultimo, la Corte d'appello rigettava la censura con la quale la Ca. aveva dedotto la mancanza di prova del suo inadempimento, rilevando che su di essa gravava l'obbligo di trasferire il bene libero da ipoteche o altri vincoli, e il bene era invece gravato da ipoteca.

Per la cassazione di questa sentenza ricorre Ca. An. Do. sulla base di sette motivi; resiste con controricorso, la Curatela del Fallimento Il. Sa. s.r.l., la quale ha anche depositato memoria ex articolo 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la ricorrente lamenta violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto. La censura si riferisce al capo della sentenza con il quale e' stato rigettato il motivo di gravame relativo alla nullita' della sentenza di primo grado perche' decisa dal Tribunale in sede collegiale e non dalla sezione stralcio, e quindi dal GOA, come previsto dalla Legge n. 276 del 1997. In proposito, la ricorrente rileva che mentre la censura atteneva alla violazione del principio del giudice naturale, la risposta della Corte d'appello non e' stata pertinente perche' ha fatto applicazione di principi affermati in tema di competenza.

Il motivo e' infondato.

Come questa Corte ha gia' avuto modo di precisare, "poiche' la sezione stralcio, istituita presso alcuni tribunali in base alla Legge 22 luglio 1997, n. 276, e al Decreto Ministeriale 18 novembre 1997, per la definizione delle cause pendenti al 30 aprile 1995 che non presentino riserva di collegialita', non costituisce, nell'ambito di tali uffici giudiziari, un diverso organo di giustizia, la mancata assegnazione ad essa costituisce irregolare distribuzione degli affari all'interno del medesimo ufficio giudiziario e non da luogo ad un problema di competenza funzionale" (Cass., n. 12663 del 2004). In motivazione, si e' poi chiarito che l'omessa assegnazione alla sezione - stralcio da luogo ad una nullita' relativa sanabile entro i rigorosi limiti dell'articolo 157 c.p.c. e, nella specie, dalla sentenza impugnata non risulta, ne' viene dedotto dalla ricorrente, che detta nullita' venne eccepita nella prima difesa successiva all'assegnazione della causa al collegio.

Deve quindi escludersi la fondatezza del proposto motivo.

Con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, "violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto. Nullita' della sentenza per violazione dei principi di integrita' del contraddittorio e di estinzione del processo. Omessa pronuncia ovvero motivazione omessa od insufficiente". La ricorrente rileva che mentre l'atto introduttivo era stato proposto da Bo. Lu. in proprio e quale amministratore unico della Il. Sa. s.r.l., l'atto di riassunzione e' stato proposto dalla Curatela nei soli confronti di essa ricorrente e non anche nei confronti di Bo. Lu. in proprio. La mancata notificazione dell'atto di riassunzione al Bo. in proprio avrebbe determinato, ad avviso della ricorrente, un difetto di integrita' del contraddittorio, non sanata nel giudizio di primo grado, e la risposta data sul punto dalla Corte d'appello sarebbe meramente apparente, non avendo detto giudice considerato la questione della posizione di Bo. Lu. e le conseguenze derivanti dalla mancata notificazione al medesimo dell'atto di riassunzione.

La censura e' infondata.

Dal ricorso, nel quale e' testualmente riportato l'atto di citazione introduttivo della presente controversia, emerge che effettivamente il Bo. agi' inizialmente in proprio e quale legale rappresentante della Il. Sa. s.r.l.; emerge altresi' che il Bo. sottoscrisse il preliminare per se' o per persona da nominare; risulta infine che con l'atto introduttivo egli sciolse la riserva relativa alla indicazione del promissario acquirente, nominando quale acquirente la societa' Il. Sa. s.r.l.. In tale situazione di fatto, risulta applicabile il principio per cui "nel contratto per persona da nominare, la riserva della nomina del terzo determina una parziale indeterminatezza soggettiva del contratto, ovvero una fattispecie di contratto a soggetto alternativo. A seguito dell'esercizio del potere di nomina, il terzo subentra poi nel contratto e, prendendo il posto della parte originaria, acquista i diritti ed assume gli obblighi correlativi nei rapporti con l'altro contraente, con effetto retroattivo, con la conseguenza per cui deve essere considerato fin dall'origine unica parte contraente contrapposta al promittente ed a questo legata dal rapporto costituito dallo stipulante" (Cass., n. 8410 del 1998). Invero, nel contratto per persona da nominare (nella specie preliminare di vendita di bene immobile) la dichiarazione di nomina e l'accettazione del terzo devono rivestire la stessa forma del contratto, ma cio' non va inteso nel senso che debbano necessariamente essere consacrate in una formale dichiarazione diretta all'altro contraente, essendo sufficiente che a costui pervenga una comunicazione scritta indicante la chiara volonta' di designazione del terzo, in capo al quale deve concludersi il contratto, e la sua accettazione; quanto, poi, a quest'ultima dichiarazione, la stessa puo' risultare anche dall'atto introduttivo del giudizio promosso dal terzo nei confronti dell'altro contraente" (Cass., n. 15164 del 2001).

Non vi era dunque alcuna necessita' di integrare il contraddittorio nei confronti del Bo. in proprio, giacche' la indicazione, nell'atto di citazione, dell'acquirente aveva reso quest'ultimo l'unico soggetto legittimato a sostenere in giudizio le domande scaturenti dal preliminare.

Con il terzo motivo, la ricorrente deduce, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, "violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto, omesso esame dell'eccezione di inammissibilita' del sequestro e nullita' della sentenza di convalida. Omessa ed insufficiente motivazione". La ricorrente ricorda di aver sostenuto la nullita' della sentenza non definitiva, nella parte in cui aveva convalidato il sequestro, perche' non era contenuto in essa alcun riferimento ai tre sequestri eseguiti dalla controparte e contestati quanto alla tempestivita' e alla esuberanza, sicche' la convalida sarebbe stata nulla per indeterminatezza dell'oggetto nonche' per omessa pronuncia sugli aspetti esecutivi da essa ricorrente prospettati. Inoltre, la convalida era stata pronunciata prima che venisse ad esistenza il diritto a cautela del quale era stato disposto il sequestro, in un momento in cui era ancora possibile l'esecuzione in forma specifica dato che il Tribunale, proprio con la sentenza di convalida, aveva fissato il termine per la liberazione dell'immobile dalle ipoteche e dagli altri vincoli. In relazione a tali questioni, ad avviso della ricorrente, la motivazione della sentenza impugnata sarebbe del tutto carente.

Il motivo e' infondato.

La Corte d'appello ha correttamente ritenuto che il sequestro suscettibile di convalida fosse esattamente individuato nella sentenza non definitiva con riferimento al provvedimento del Presidente del Tribunale di Lanciano del 18 novembre 1992, il che consentiva di determinarne, sia pure per relationem, l'oggetto. Per altro verso, deve rilevarsi che le questioni agitate con riferimento alle modalita' esecutive e all'ampiezza del sequestro, attenevano alla fase esecutiva del disposto sequestro conservativo e non anche alla sussistenza dei requisiti del medesimo.

Sotto altro profilo, la Corte d'appello ha rigettato il gravame proposto avverso la sentenza non definitiva, che aveva ritenuto che il sequestro fosse convalidabile in ragione dell'accertato inadempimento della ricorrente - la quale aveva garantito l'immobile oggetto di compromesso libero da pesi e vincoli, risultati invece esistenti - e della conseguente sussistenza del diritto azionato, pur se al momento della pronuncia e proprio in considerazione del contenuto della stessa, che assegnava alla ricorrente un termine per la liberazione dei beni oggetto di compromesso dai vincoli su di essi gravanti, vi era ancora l'alternativa tra una pronuncia di esecuzione in forma specifica o di risoluzione per inadempimento. In ogni caso, ha osservato la Corte, il Tribunale aveva ritenuto "che parte attrice avesse diritto all'una o all'altra delle pronunce, e tale diritto giustificando appieno l'autorizzato, e, percio', convalidato, sequestro".

Risulta quindi chiaro che la Corte d'appello ha rigettato il gravame, e ha ritenuto legittima la convalida del sequestro disposta dal Tribunale, sul rilievo, non erroneo, della sussistenza di un diritto da cautelare, scaturente dalla domanda introduttiva del giudizio. Del resto, la necessita' della fissazione di un termine per la liberazione dei beni oggetto del preliminare da parte della ricorrente era stata determinata dall'inadempimento della stessa che aveva garantito detti beni liberi da iscrizioni e trascrizioni, laddove invece dette trascrizioni erano risultate esistenti. In questa prospettiva, la soluzione adottata dal Tribunale, lungi dall'apparire lesiva di posizioni soggettive della ricorrente, consentiva invece alla stessa di poter sanare il proprio inadempimento e dare quindi esecuzione al preliminare, garantendo ad un tempo le ragioni creditorie del Fallimento, per l'eventualita' - poi verificatasi - che la ricorrente non fosse riuscita, nel termine stabilito, a liberare i beni dalla iscrizioni pregiudizievoli.

La sentenza impugnata si sottrae dunque alle proposte censure.

Con il quarto motivo, Ca. An. Do. deduce, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, "violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Omessa pronuncia. Omessa ed insufficiente motivazione". Pur se la censura proposta in grado di appello era del tutto esplicita, la Corte d'appello ha ritenuto che la stessa fosse non comprensibile e ha quindi omesso di pronunciarsi sul merito della stessa.

Con il quarto motivo di appello, infatti, si era eccepita la nullita' del giudizio cautelare e di quello di primo grado nei quali avevano agito due soggetti, il Bo. in proprio e il. Sa. s.r.l., i quali si erano dichiarati entrambi legittimati senza peraltro specificare nelle conclusioni in favore di quale dei due si sarebbe dovuto verificare l'effetto delle domande proposte, se non per il trasferimento coattivo, richiesto a favore della societa'. Siffatta incertezza, ad avviso della ricorrente, avrebbe dovuto indurre la Corte d'appello alla dichiarazione del difetto di legittimazione di entrambi gli attori. Peraltro, si sarebbe dovuto anche escludere il trasferimento coattivo in favore della societa', traendo esso origine dalla nomina da parte del contraente, censurata da essa ricorrente perche' irrituale e tardiva, posto che il Bo. si era riservato di nominare altra persona e non una societa', entro il termine previsto per la stipula del contratto definitivo e cioe', al piu' tardi entro il gennaio 1992. Da ultimo, il Fallimento della societa' non aveva comunque mai dichiarato, ai sensi della L.F., articolo 72, comma 2, di voler subentrare nel contratto preliminare, sicche' il contratto, rimasto sospeso, non poteva essere eseguito e neanche risolto.

Il motivo e' in parte inammissibile e in parte infondato.

La ricorrente si duole infatti della incertezza in ordine al soggetto legittimato ad agire nei suoi confronti. La medesima ricorrente, peraltro, non deduce di aver mai sollevato in precedenza la relativa questione, se non per rilevare la non integrita' del contraddittorio nel giudizio proseguito a seguito di riassunzione proposta dalla sola Curatela fallimentare con atto non notificato al Bo. . La relativa questione, peraltro, e' gia' stata esaminata in sede di valutazione del secondo motivo di ricorso ed e' stata ritenuta inammissibile.

Per altro verso, si deve rilevare la carenza di interesse della ricorrente a dolersi della incertezza soggettiva conseguente alla originaria proposizione della domanda da parte del Bo. in proprio e quale amministratore della societa' Il. Sa. s.r.l.. Invero, posto che il Tribunale, nella sentenza definitiva, ha condannato la ricorrente alla restituzione del prezzo gia' pagato e al pagamento di quanto ritenuto dovuto a titolo di migliorie in favore della curatela del fallimento, che aveva riassunto il giudizio, risulta evidente la carenza di interesse della ricorrente ad eccepire la incertezza dal punto di vista soggettivo, avendo il Tribunale, prima, e la Corte d'appello, poi, ritenuto che destinatario del pagamento ad essa imposto fosse la curatela e non anche il Bo. in proprio.

La ricorrente, ulteriormente, si duole della mancata decisione, da parte della Corte d'appello, in ordine al corrispondente motivo di gravame. In realta', la Corte d'appello ha statuito sul quarto motivo di gravame, ritenendo le censure proposte non comprensibili. A fronte di tale affermazione contenuta nella sentenza impugnata, era onere della ricorrente riprodurre il testo del motivo di gravame, in applicazione del principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione. Trova infatti applicazione il principio secondo cui "perche' possa utilmente dedursi in sede di legittimita' un vizio di omessa pronunzia, ai sensi dell'articolo 112 c.p.c., riconducibile alla prospettazione di un'ipotesi di error in procedendo per il quale la Corte di Cassazione e' giudice anche del fatto processuale, detto vizio, non essendo rilevabile d'ufficio, comporta pur sempre che il potere - dovere del giudice di legittimita' di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilita', all'adempimento da parte del ricorrente, per il principio di autosufficienza del ricorso per Cassazione che non consente, tra l'altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito, dell'onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca ma solo ad una verifica degli stessi" (Cass., n. 6361 del 2007). Nel caso di specie, invero, la ricorrente, nel formulare il quarto motivo di ricorso, ha fornito la propria interpretazione del motivo di gravame, ma non ha provveduto a riprodurlo nella sua testualita'.

Con riferimento, poi, alla asserita carenza di legittimazione della societa' - e per essa, della curatela fallimentare - a chiedere il trasferimento coattivo, si deve rilevare che erroneamente la ricorrente ritiene che la riserva, contenuta nel preliminare, di nominare un altro contraente, non potesse operare a favore di una societa' perche' era stata formulata in favore di altra persona. Il riferimento ad altra persona, invero, non puo' escludere che detta persona sia una persona giuridica, nulla lasciando ipotizzare la volonta' delle parti di limitare la possibilita' del trasferimento dei beni oggetto di compromesso anche ad una societa' munita di personalita' giuridica. La relativa censura e' quindi infondata, cosi' come e' infondata quella concernente la mancata dichiarazione, da parte del curatore, della volonta' di subentrare nel contratto preliminare, dal momento che il fallimento e' intervenuto nel corso del giudizio che e' stato, anzi, riassunto ad istanza della curatela del fallimento, la quale ha quindi svolto un'attivita' finalizzata all'accoglimento delle originarie conclusioni, tra le quali quella di risoluzione contrattuale per l'ipotesi della mancata liberazione dei beni dalle iscrizioni.

Quanto, infine, al rilievo secondo cui la indicazione del contraente sarebbe avvenuta una volta che il termine per la stipulazione del contratto definitivo era gia' scaduto, la censura risulta inammissibile, dal momento che trattasi di questione che postula accertamenti di fatto circa la essenzialita' del termine nell'economia del contratto preliminare, il cui apprezzamento e' precluso in sede di legittimita'. Ne' puo' ritenersi che la Corte d'appello non si sia pronunciata sul punto, giacche' di tale aspetto si e' occupata, come si vedra', in sede di esame del sesto motivo di gravame.

Con il sesto motivo, l'esame del quale precede per ragioni di ordine logico quello degli altri motivi, Ca. An. Do. deduce, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, "violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Omessa pronuncia. Omessa ed insufficiente motivazione". La Corte territoriale avrebbe ritenuto che il termine per la liberazione delle ipoteche, peraltro incongruo, potesse decorrere pur non essendo la sentenza passata in giudicato, ma senza rispondere al rilievo secondo cui in tal modo si sarebbe attribuita efficacia definitiva ad un provvedimento non stabile. Inoltre, avrebbe omesso di esaminare l'eccezione di inefficacia della fissazione del termine per difetto di notifica del relativo provvedimento alla parte onerata degli adempimenti.

Il motivo e' infondato.

La Corte d'appello ha ritenuto che il corrispondente motivo di gravame dovesse essere rigettato perche' ne' l'articolo 1482 c.c., ne' alcuna altra norma impongono che il termine accordato debba decorrere dal passaggio in giudicato della sentenza che detto termine fissa.

Trattasi di affermazione immune dai denunciati vizi ed errori, e del resto la ricorrente non specifica in base a quale disposizione il suddetto termine dovrebbe decorrere solo dal momento del passaggio in giudicato della pronuncia giurisdizionale che lo fissa. Quanto, poi, alla denunciata incongruita' del termine, si deve rilevare che la Corte d'appello, con accertamento di fatto, insindacabile in questa sede, ne ha apprezzato la idoneita' allo scopo, che era quello di procedere alla liberazione dei beni dalla iscrizioni pregiudizievoli.

Quanto, infine, all'assunto secondo cui la Corte d'appello non avrebbe pronunciato sulla specifica censura concernente la mancata comunicazione della sentenza alla parte personalmente, lo stesso e' infondato, potendosi ritenere che lo specifico profilo di censura sia stato implicitamente respinto dalla Corte territoriale e dovendosi comunque rilevare che la stessa ricorrente non ha neanche dedotto che la comunicazione della sentenza non e' avvenuta nelle forme prescritte, e cioe' presso il procuratore costituito,ne' ha sostenuto la insufficienza del lasso di tempo intercorso tra la comunicazione della sentenza e il termine fissato nella stessa.

Con il quinto motivo, la ricorrente deduce, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, "violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Omessa pronuncia. Omessa ed insufficiente motivazione". La censura si riferisce all'eccepito contrasto tra la sentenza non definitiva e quella definitiva, nonche' alla omessa pronuncia in ordine alla risoluzione del preliminare per mancata stipula del definitivo nel termine essenziale pattuito o per fatti concludenti. In proposito, nell'atto di appello si era specificato che la scoperta della iscrizione ipotecaria, addotta dal Tribunale a giustificazione del decorso del termine per la stipula, si era verificata dopo detto termine e non poteva quindi essere assunta a giustificazione di un fatto verificatosi prima. Lamenta altresi' omessa pronuncia in ordine alle domande di restituzione dell'immobile e di pagamento della indennita' per l'occupazione dello stesso. Quanto all'eccepito contrasto - consistente in cio' che la sentenza non definitiva aveva ritenuto che l'effettuazione delle opere di ristrutturazione non giustificava la risoluzione contrattuale ma solo la ritenzione di dette opere a titolo gratuito da parte della venditrice, mentre la sentenza definitiva la aveva condannata al rimborso proprio delle spese di ristrutturazione -, la risposta della Corte d'appello sarebbe stata del tutto inappagante, giacche' dovevano ritenersi insussistenti i presupposti per l'applicazione del patto di ritenzione gratuita sulla base di argomentazioni contrastanti con i principi di autonomia contrattuale e con le regole di ermeneutica contrattuale. Quanto alle denunciate omesse pronunce, la Corte ha ricondotto le stesse ad una censura di difetto di motivazione e ha ritenuto che tale vizio non sussistesse, ma senza spiegare il perche'.

Con il settimo e ultimo motivo, la ricorrente denuncia ancora una volta, ai sensi dell'articolo 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, "violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Omessa pronuncia. Omessa ed insufficiente motivazione". La Corte, in violazione dei principi di ermenutica contrattuale non avrebbe, innanzitutto, motivato sufficientemente in ordine agli effetti risolutivi propri della scadenza del termine essenziale previsto per la stipula del definitivo nell'assoluta inerzia del compratore che non chiese la stipula ne' rilevo' l'iscrizione ipotecaria prima della scadenza del termine, cosa che invece fece successivamente quando il contratto doveva intendersi gia' risolto. La Corte d'appello, come prima il Tribunale, avrebbero poi male interpretato la chiara dizione della clausola n. 5, la quale, con formulazione letteralmente chiara, insuscettibile in quanto tale di diverse interpretazioni, vietava al Bo. , costituito custode dell'immobile dalla firma del preliminare, di compiere su di esso alcuna opera che non potesse essere tolta senza pregiudizio dell'immobile stesso, stabilendo che comunque, in caso di restituzione alla Ca. del bene promesso in vendita per qualsiasi causa, questa avrebbe avuto "facolta' di ritenere a titolo gratuito ogni opera eventualmente eseguita sull'immobile ovvero di pretendere dal Bo. la rimessione in pristino stato o di provvedervi a spese dello stesso anche mediante compensazione con quanto fosse eventualmente obbligata a restituirgli in dipendenza del presente contratto". Orbene, tale clausola, avrebbe giustificato la risoluzione per inadempimento da parte del Bo. , che aveva eseguito opere, anche abusive, sull'immobile oggetto del preliminare in violazione del divieto stabilito nel preliminare stesso e comunque non avrebbe in alcun modo consentito che potesse essere posto a carico della venditrice l'indennita' per le migliorie apportate dal Bo. , essendo espressamente stabilito il diritto di ritenzione gratuita in caso di restituzione del bene per qualsiasi ragione, e quindi anche per inadempimento della venditrice. In sostanza, all'accertamento della risoluzione del preliminare avrebbe dovuto fare seguito la condanna dell'attore alla restituzione del bene, mentre, essendo stabilita la facolta' di scelta della promittente venditrice tra la ritenzione delle opere o la richiesta di rimessione in pristino, la condanna alla restituzione del prezzo a carico della venditrice avrebbe dovuto essere subordinata a detta scelta, dovendo le spese necessario per la restituzione in pristino essere poste a carico del promissario acquirente.

Costituirebbe effetto di una forzatura interpretativa la decisione della Corte territoriale, la quale ha ritenuto che il diritto di ritenzione della promittente venditrice potesse operare solo in caso di restituzione dell'immobile per fatto imputabile al promissario acquirente, trovando invece giustificazione la detta clausola quanto meno a titolo di sanzione per la violazione del divieto posto a carico dell'acquirente, di effettuare lavori sull'immobile.

La condanna alle spese per miglioramenti, inoltre, sarebbe del tutto carente di prova nel quantum. La sentenza impugnata non ha infatti esplicitato quali fossero le risultanze istruttorie in base alle quali il Tribunale era pervenuto alla determinazione di quella somma, limitandosi a richiamare la sentenza di primo grado, del tutto arbitraria, non essendo in alcun modo desumibile dalle deposizioni testimoniali che la stessa ammontasse a lire 54.000.000.

Ed ancora, la sentenza impugnata, come gia' prima quella del Tribunale, avrebbe omesso di statuire in ordine alla richiesta di pagamento delle somme dovute dal Bo. per l'occupazione del bene, iniziata l'(OMESSO) e alla data del ricorso ancora in atto.

La Corte avrebbe poi omesso di motivare compiutamente circa la dedotta inconsapevolezza dell'esistenza di un'iscrizione ipotecaria; l'articolo 1482 c.c., del resto, postula la consapevole e taciuta esistenza delle garanzie da parte del venditore e, ad un tempo, la ignoranza delle stesse da parte del compratore, il quale quindi avrebbe dovuto provare la ricorrenza dell'uno o dell'altro degli stati soggettivi. In ogni caso, la Corte avrebbe dovuto escludere la colpa di essa ricorrente, in quanto la buona fede si presume, la sentenza penale di condanna non era divenuta irrevocabile e le dichiarazioni rese da essa ricorrente in sede di interrogatorio avrebbero dovuto essere apprezzate nella loro interezza, ed ella aveva si' ammesso di avere assicurato l'acquirente che l'immobile era libero da ipoteche, ma aveva anche affermato di non sapere alcunche' della iscrizione.

Il settimo motivo, il quale censura la sentenza impugnata per l'interpretazione da essa data al contratto preliminare intercorso tra la ricorrente e il Bo. , e in particolare per l'interpretazione della clausola n. 5, assume carattere logicamente preliminare rispetto all'esame delle ulteriori questioni dedotte dalla medesima ricorrente con il quinto motivo.

Il motivo e' fondato nei termini di seguito indicati.

Con la indicata clausola, invero, il Bo. venne costituito custode dell'immobile sin dalla data di sottoscrizione del contratto, con il divieto di compiere sull'immobile opere che non potessero essere rimosse senza pregiudizio, prevedendosi, comunque, che, "in caso di restituzione alla Ca. del bene promesso in vendita per qualsiasi causa, questa avra' facolta' di ritenere a titolo gratuito ogni opera eventualmente eseguita sull'immobile ovvero di pretendere dal Bo. la rimessione in pristino stato o di provvedervi a spese dello stesso anche mediante compensazione con quanto fosse eventualmente obbligata a restituirgli in dipendenza del presente contratto".

La ricorrente si duole, con il motivo in esame, sia del fatto che la Corte d'appello, e prima il Tribunale, non abbiano valutato la portata della richiamata clausola ai fini della possibile valutazione dell'inadempimento del Bo. al divieto su di lui gravante di eseguire opere che non potessero essere rimosse senza arrecare danni all'immobile, sia del fatto che, comunque, la Corte d'appello, e prima il Tribunale, abbiano errato nel ritenere che l'attribuzione ad essa ricorrente, quale promittente venditrice, della facolta' di ritenere a titolo gratuito ogni opera eventualmente eseguita sull'immobile ovvero di pretendere dal Bo. la rimessione in pristino stato o di provvedervi a sue spese, potesse operare solo nel caso in cui il contratto definitivo non fosse stato stipulato per fatto imputabile al promissario acquirente.

Sotto entrambi i profili le censure meritano accoglimento. Non vi e' infatti nella sentenza impugnata alcuna valutazione della condotta del Bo. , immesso immediatamente nel possesso, con riferimento alla clausola che stabiliva nei suoi confronti il divieto di eseguire opere non rimuovibili senza danno dall'immobile oggetto del preliminare, ne' quindi della possibile configurazione di detta condotta come inadempimento, da valutare comparativamente all'inadempimento addebitato dal promissario acquirente alla venditrice.

Ne' la motivazione della sentenza in ordine alla individuazione della portata della clausola relativa al diritto di ritenzione appare idonea a giustificare l'interpretazione adottata dalla Corte d'appello.

Secondo un principio costituente diritto vivente nella giurisprudenza di questa Corte, l'interpretazione del contratto e degli atti di autonomia privata si traduce in una indagine di fatto affidata in via esclusiva al giudice del merito ed e' censurabile in questa sede per vizi di motivazione o per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale (Cass., n. 24866 del 2008; Cass., n. 7500 del 2007; Cass., n. 27168 del 2006; Cass., n. 8296 del 2005), vizi correttamente fatti valere dalla ricorrente, laddove, nel denunciare il vizio di violazione di legge, ha chiaramente dedotto la violazione del criterio letterale, di cui all'articolo 1362 c.c..

La Corte d'appello ha invero ritenuto che l'espressione "per qualsiasi causa", contenuta nella clausola n. 5 del contratto preliminare, riferita alla ipotesi di restituzione alla promittente venditrice del bene promesso in vendita, con attribuzione alla stessa della facolta' di ritenere a titolo gratuito le opere eseguite dal promissario acquirente, immesso nel possesso dell'immobile contestualmente alla sottoscrizione del preliminare, dovesse essere interpretata come idonea a fondare la facolta' della promittente venditrice di ritenere le opere solo nel caso in cui l'acquirente fosse stato tenuto a restituire il bene per fatto a se' imputabile; ipotesi, questa, che nella specie doveva escludersi. La Corte territoriale ha inoltre aggiunto che una simile interpretazione della clausola non era preclusa dalla formula letterale usata dalle parti "che pare attribuire tale facolta' "in caso di restituzione... per qualsiasi causa", perche', certamente, questa non pote' essere la concorde volonta' delle parti, posto che, riguardata dal punto di vista del Bo. , sarebbe fuor di logica, e, dal punto di vista della Ca. , priva di qualsivoglia giustificazione".

Tale essendo la motivazione che ha indotto la Corte d'appello a dare della riportata clausola una interpretazione contraria al suo tenore letterale, sulla base di una ricostruzione parziale del complessivo assetto di rapporti convenuto tra le parti - si e' gia' visto che per il promissario acquirente era stabilito il divieto di realizzare opere non rimuovibili senza danni dall'immobile -, appare evidente la violazione del canone letterale di interpretazione del contratto, puntualmente denunciata dalla ricorrente.

Le regole legali di ermeneutica contrattuale sono elencate negli articoli 1362 e 1371 c.c., secondo un ordine gerarchico, con la conseguenza che le norme degli articoli 1362 e 1365 c.c., precedono quelle integrative recate dagli articoli 1366 e 1371 c.c., escludendone l'applicabilita' quando le prime rendano palese la comune volonta' dei contraenti. Pertanto, qualora il senso letterale delle espressioni impiegate riveli con chiarezza e univocita' la volonta' comune e non sussistano residue ragioni di divergenza tra il tenore letterale del negozio e l'intento effettivo avuto di mira, il giudice del merito deve arrestarsi al significato letterale delle parole e non puo' fare ricorso agli ulteriori criteri ermeneutici, se non (fuori dell'ipotesi dell'ambiguita' della clausola) previa rigorosa dimostrazione dell'insufficienza del mero dato letterale ad evidenziare in modo soddisfacente la volonta' contrattuale (Cass., n. 24866 del 2008; Cass., n. 415 del 2006; Cass., n. 19475 del 2005; Cass., n. 20791 del 204).

La individuazione di una comune intenzione delle parti, in contrasto con la chiara lettera della clausola, comporta la denunciata violazione, dovendosi altresi' rilevare la insufficienza della motivazione quanto alla ritenuta insussistenza di una "qualsivoglia giustificazione" a sostegno della letteralita' della clausola. La Corte d'appello, infatti, ha omesso di considerare il divieto posto a carico dell'acquirente di eseguire opere non agevolmente rimuovibili e quindi di verificare se la clausola che prevedeva il diritto di ritenzione gratuita fosse da porre in relazione con la imposizione di un simile divieto.

Per questi aspetti e' dunque necessario che la Corte d'appello proceda a nuovo esame del complessivo assetto negoziale convenuto tra le parti.

Il settimo motivo va dunque accolto, con conseguente assorbimento delle ulteriori censure svolte nel medesimo motivo, sia quelle concernenti la determinazione del valore delle migliorie, essendo evidente che la questione dovra' essere nuovamente esaminata dal giudice del rinvio all'esito del rinnovato esame delle clausole contrattuali, sia quelle concernenti la denunciata omessa pronuncia sulla domanda di restituzione dell'immobile e di pagamento di una indennita' per l'occupazione dell'immobile stesso (domande che, deve qui evidenziarsi, non sono nuove, come eccepito dalla resistente curatela nel controricorso, risultando proposte sin dalla comparsa di costituzione e risposta e nuovamente nell'atto di appello).

Sono invece inammissibili le censure relative alla omessa valutazione della essenzialita' del termine previsto nel preliminare per la stipula del definitivo, per le medesime ragioni esposte in precedenza, con riferimento al quarto motivo di ricorso, mentre e' infondata l'ulteriore doglianza della ricorrente circa la mancata valutazione, da parte della Corte d'appello, della imputabilita' dell'inadempimento a se', sotto il profilo della mancanza di prova della conoscenza, da parte sua, della esistenza della iscrizione ipotecaria al momento della conclusione del preliminare. La questione e' infatti stata affrontata dalla Corte d'appello in sede di esame del sesto motivo di gravame, laddove ha affermato che "l'appellante si era impegnata a cedere all'acquirente gli immobili liberi da trascrizioni pregiudizievoli, che queste trascrizioni pregiudizievoli, invece, ci erano e che furono esse, e l'inadempimento, percio', proprio di essa Ca. , ad impedire la stipula del definitivo nei termini cui si era essa obbligata". Si deve solo aggiungere che, per il resto, il motivo si risolve nella richiesta di nuovo apprezzamento delle circostanze di fatto e delle prove, orali e documentali, al fine di ottenere una decisione diversa sul punto, il che e' precluso in sede di legittimita'.

Risultano altresi' assorbite le censure svolte nel quinto motivo, con il quale viene posta una questione di rapporto tra sentenza non definitiva e sentenza definitiva, la cui soluzione dipende dalla interpretazione delle clausole contrattuali alla quale perverra', all'esito del rinnovato esame il giudice di rinvio.

Al giudice del rinvio, che si designa nella Corte d'appello di L'Aquila, in diversa composizione, e' altresi' demandata la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimita'.

P.Q.M.

LA CORTE

Accoglie nei sensi di cui in motivazione il settimo motivo di ricorso, assorbito il quinto e rigettati gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimita', alla Corte d'appello di L'Aquila, in diversa composizione.
 

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