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Risulta legittima la condanna inflitta al promissario acquirente inadempiente a versare

L'apprezzamento sulla eccessivita' dell'importo fissato con clausola penale dalle parti contraenti, per il caso di inadempimento o di ritardato adempimento, nonche' sulla misura della riduzione equitativa dell'importo medesimo, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito il cui esercizio e' incensurabile in sede di legittimita', se correttamente fondato, a norma dell'articolo 1384 c.c., sulla valutazione dell'interesse del creditore all'adempimento con riguardo all'effettiva incidenza dello stesso sull'equilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale, indipendentemente da una rigida ed esclusiva correlazione con l'entita' del danno subito (Cass. 16/2/2012 n. 2231; Cass. 16/3/2007 n. 6158; Cass. 18/3/2003 n. 3998; 26/6/2002 n. 9295; 8/5/2001 n. 6380; 14/4/1994 n. 3475).

Corte di Cassazione, Sezione 2 civile, Sentenza 10 maggio 2012, n. 7180



- Leggi la sentenza integrale -

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ODDO Massimo - Presidente

Dott. PROTO Cesare Antonio - rel. Consigliere

Dott. CORRENTI Vincenzo - Consigliere

Dott. BERTUZZI Mario - Consigliere

Dott. SCALISI Antonino - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30407-2006 proposto da:

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato (OMISSIS);

- ricorrente -

contro

(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell'avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 496/2006 della CORTE D'APPELLO di ANCONA, depositata il 20/10/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 14/03/2012 dal Consigliere Dott. CESARE ANTONIO PROTO;

udito l'Avvocato (OMISSIS), difensore del ricorrente che ha chiesto accoglimento del ricorso;

udito l'Avvocato (OMISSIS), difensore del resistente che ha chiesto rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione dell'8/10/1997 (OMISSIS) conveniva in giudizio (OMISSIS) e chiedeva la risoluzione di un contratto preliminare di compravendita di un immobile in costruzione; assumeva che il promissario acquirente, malgrado reiterate dilazioni, non aveva pagato il rateo di lire 200.000.000 e pertanto ne chiedeva la condanna al pagamento della penale fissata in lire 170.000.000, al netto della somma di lire 15.000.000 gia' versata quale acconto.

Il convenuto si costituiva e contestava la domanda sollevando due eccezioni (almeno secondo quanto si apprende sia dalla sentenza di appello, sia dal ricorso): la non imputabilita' dell'inadempimento perche' cagionato da difficolta' economiche e la nullita' e/o inefficacia della clausola penale perche' non approvata nelle forme di cui all'articolo 1341 c.c..

Il Tribunale di Ancona con sentenza del 30/4/2002 accoglieva la domanda attrice rigettando le eccezioni del convenuto il quale proponeva appello. La Corte di Appello di Ancona con sentenza del 20/10/2006 rigettava l'appello rilevando:

- quanto al primo motivo di appello, relativo alla non prevedibilita' e imputabilita' dell'inadempimento, che la causa non imputabile dell'inadempimento non puo' essere rappresentata da una personale difficolta' economica, dovendo consistere in un impedimento obiettivo e assoluto;

che il secondo motivo, relativo alla nullita' e inefficacia della clausola penale ex articolo 1341 c.c., era inammissibile perche' generico e non censurava le ragioni addotte dal primo giudice (mancanza di predisposizione unilaterale delle condizioni generali o insussistenza della fattispecie di contratto per adesione); la Corte ne rilevava anche l'infondatezza in quanto la clausola penale non aveva contenuto vessatorio;

quanto al terzo motivo, relativo alla pretesa eccessivita' della penale, che l'attore aveva uno specifico interesse alla penale nel suo ammontare (pari al 25% del prezzo di acquisto) perche', dovendo procedere alla costruzione dell'edificio, il rateo di prezzo (non pagato) assolveva la funzione di finanziamento dei costi;

- che il quarto motivo, relativo alla non cumulabilita' della caparra con la penale, era inammissibile in quanto l'eccezione era stata sollevata solo nelle difese finali del primo grado e che, comunque, la previsione della caparra non e' incompatibile con la previsione della penale, tenuto conto che era stata chiesta la risoluzione del contratto per inadempimento e che era applicabile la disposizione dell'articolo 1385 c.c., comma 3.

(OMISSIS) propone ricorso per Cassazione affidato a tre motivi e deposita memoria.

Resiste con controricorso (OMISSIS).

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo il ricorrente deduce il vizio di omessa pronuncia e di insufficiente motivazione sulla "eccezione di carenza di motivazione in cui e' incorso il giudice di primo grado su un punto essenziale" (cosi' testualmente); il ricorrente sostiene che il primo giudice non aveva motivato sull'eccezione di non cumulabilita' di caparra e clausola penale e che la Corte di Appello avrebbe dovuto motivare sull'eccezione e sulla censura di carenza di motivazione.

1.1 Il motivo e' manifestamente infondato perche' la Corte di Appello ha, invece, ben motivato sull'eccezione, sia rilevando che non poteva essere introdotta come motivo di gravame essendo stata sollevata solo nelle difese finali, sia per l'insussistenza della dedotta incompatibilita' con riferimento all'articolo 1385 c.c., comma 3, che attribuisce alla parte non inadempiente la facolta' di scegliere tra la ritenzione della caparra e il risarcimento del danno; cosi' motivando il giudice di appello ha correttamente fatto riferimento alle due diverse scelte di recedere o di chiedere la risoluzione per inadempimento alle quali consegue la ritenzione della caparra oppure il risarcimento del danno come da penale.

Ne' la sentenza impugnata puo' ritenersi affetta dal vizio di motivazione sulla censura di difetto di motivazione della sentenza di primo grado, posto che il motivo di nullita' si era convertito in motivo di gravame e quindi il giudice di appello era tenuto a decidere e motivare (come ha, infatti, deciso e motivato) sull'eccezione di incompatibilita' e non sulla nullita' della sentenza appellata perche' ai sensi dell'articolo 161 c.p.c., la nullita' della sentenza si converte in motivo di impugnazione.

2. Con il secondo motivo, cosi' testualmente formulato "violazione falsa applicazione di norme di diritto ex articolo 363 c.p.c., (rectius articolo 360 c.p.c.) comma 1, n. 3, della clausola penale non cumulabilita' con la caparra confirmatoria" il ricorrente assume che l'attore avrebbe chiesto sia la caparra che la penale, mentre le due modalita' satisfattorie non sarebbero tra loro cumulabili, specie dopo l'intervenuta diffida ad adempiere e formula il quesito di diritto domandando se ai fini del risarcimento del danno la caparra confirmatoria, trattenuta dal promittente venditore dopo il decorso del termine della diffida ad adempiere, sia cumulabile con la clausola penale.
  2.1 Il motivo e' manifestamente infondato in quanto risulta dalla sentenza di appello che la caparra versata era stata portata in detrazione dalla penale con la conseguenza che non sussiste il lamentato cumulo e il quesito, fondato su un presupposto di fatto insussistente, non e' pertinente alla fattispecie; in ordine alla rilevanza della diffida ad adempiere sul cumulo tra penale e caparra, valgono le stesse considerazioni circa l'insussistenza del lamentato cumulo e l'inapplicabilita' della caparra (infatti defalcata) laddove la parte non inadempiente opti per la risoluzione per inadempimento e non per il recesso.

3. Con il terzo motivo cosi' testualmente formulato: "ex articolo 360, comma 1, n. 3 - violazione e falsa applicazione degli articoli 1382 - 1384 c.c." il ricorrente lamenta l'eccessivita' della penale in quanto richiesta per una somma percentualmente maggiore rispetto al 25% del prezzo di lire 700.000.000 fissato per la vendita; lamenta inoltre che il criterio di equita' per la riduzione della penale non e' stato applicato, come a suo dire avrebbe dovuto essere applicato, con riferimento a "motivazioni di carattere oggettivo e di pubblico interesse" che potessero giustificare cosi' elevata penale, ma il giudice di appello si sarebbe limitato ad osservare che l'appellante non aveva congruamente motivato la sua richiesta, mentre la richiesta era motivata dalle esposte difficolta' economiche; l'illustrazione del motivo si conclude con un quesito con il quale il ricorrente domanda: - se e' legittima l'affermazione di congruita' della penale per omessa allegazione di motivi addotti a sostegno della richiesta di riduzione, mentre i motivi erano addotti;

se e' legittima la reiezione della domanda di riduzione della penale senza motivazione sulle ragioni di carattere oggettivo e di pubblico interesse che la giustifichino per l'importo pattuito e richiesto.

3.1 Occorre preliminarmente richiamare i principi costantemente affermati da questa Corte in merito al sindacato del giudice sull'entita' della penale:

la pattuizione di una penale non si sottrae alla disciplina generale delle obbligazioni, per cui deve escludersi la responsabilita' del debitore quando costui prova che l'inadempimento od il ritardo dell'adempimento dell'obbligazione cui accede la clausola penale, sia determinato dall'impossibilita' della prestazione derivante da causa a lui non imputabile; infatti connotato essenziale della clausola penale e' la sua connessione con l'inadempimento colpevole di una delle parti e pertanto essa non e' configurabile allorche' sia collegata all'avverarsi di un fatto fortuito o, comunque, non imputabile alla parte obbligata (Cass. 1/8/2003 n. 11748; 30/1/1995 n. 1097);

l'apprezzamento del giudice di merito sull'imputabilita' dell'inadempimento contrattuale costituisce un accertamento di fatto non sindacabile in sede di legittimita' se congruamente e correttamente motivato (Cass. 1/8/2003 n. 11748 cit.; 10/1/2000 n. 170; 28/7/1987 n. 6538);

l'apprezzamento sulla eccessivita' dell'importo fissato con clausola penale dalle parti contraenti, per il caso di inadempimento o di ritardato adempimento, nonche' sulla misura della riduzione equitativa dell'importo medesimo, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito il cui esercizio e' incensurabile in sede di legittimita', se correttamente fondato, a norma dell'articolo 1384 c.c., sulla valutazione dell'interesse del creditore all'adempimento con riguardo all'effettiva incidenza dello stesso sull'equilibrio delle prestazioni e sulla concreta situazione contrattuale, indipendentemente da una rigida ed esclusiva correlazione con l'entita' del danno subito (Cass. 16/2/2012 n. 2231; Cass. 16/3/2007 n. 6158; Cass. 18/3/2003 n. 3998; 26/6/2002 n. 9295; 8/5/2001 n. 6380; 14/4/1994 n. 3475).

3.2. Premesso, in fatto, che dalla sentenza di appello risulta che il prezzo convenuto non era di lire 700.000.000 (come si sostiene nel motivo di ricorso), ma di lire 740.000.000 e pertanto il rapporto percentuale tra il prezzo e la penale (lire 170.000.000)e' del 25% e sulla base dei principi giurisprudenziali sopra richiamati, risulta evidente la manifesta infondatezza del motivo.

Infatti La Corte territoriale, inoltre, ha preso in considerazione l'interesse del creditore all'adempimento in funzione della necessita' di autofinanziamento della costruzione e pertanto ha utilizzato un criterio conforme ai principi affermati da questa Corte secondo i quali la penale "puo'" ma non "deve" essere ridotta dal giudice, avuto riguardo all'interesse che il creditore aveva all'adempimento.

Il criterio che il giudice deve utilizzare per valutare se una penale sia eccessiva ha natura oggettiva, ma non nel senso, sostenuto dal ricorrente, secondo il quale occorrano ragioni di pubblico interesse che ne giustifichino l'ammontare; la natura "oggettiva" del criterio discende, invece, dal fatto che il giudice non deve tenere conto della posizione soggettiva del debitore e del riflesso che la penale puo' avere sul suo patrimonio ma solo dello squilibrio tra le posizioni delle parti; il riferimento all'interesse del creditore ha, poi, la funzione di indicare lo strumento per mezzo del quale valutare se la penale sia manifestamente eccessiva o meno; la difficolta' del debitore nell'eseguire la prestazione risarcitoria deve essere a sua volta oggettiva perche' tale difficolta' non riguarda, come detto, la situazione economica del debitore, ma l'esecuzione stessa della prestazione, ad esempio quando venga a mancare una proporzione tra danno, costo ed utilita' (cfr., in motivazione, Cass. S.U. 13/9/2005 n. 18128).

I quesiti, sopra sinteticamente richiamati, risultano, quindi, del tutto privi di pertinenza rispetto alla concreta fattispecie, essendovi adeguata motivazione sull'inesistenza di ragioni di carattere oggettivo che possano giustificare la riduzione ed essendo irrilevante una indagine su un pubblico interesse che dovrebbe giustificare la riduzione.

3.3 Con la memoria difensiva il ricorrente deduce la vessatorieta' della clausola penale e l'inefficacia della clausola penale in quanto non specificamente approvata per iscritto (eccezione gia' respinta sia in primo che in secondo grado), ma la censura e' inammissibile in quanto non proposta quale motivo di ricorso e, quindi, non piu' proponibile con la memoria illustrativa dei motivi gia' proposti; per le stesse ragioni sono inammissibili, le censure, in memoria difensiva, attinenti all'assenza di pregiudizio del promittente venditore, neppure pertinenti rispetto alla ratio decidendi della sentenza appellata che ha ravvisato la giustificazione della penale nel danno conseguente al venir meno della fonte di finanziamento costituita dagli acconti.

4. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna (OMISSIS) a pagare a (OMISSIS) le spese di questo giudizio di cassazione che si liquidano in euro 3.700,00 di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
 

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