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E' reato decodificare ad uso privato i programmi televisivi ad accesso condizionato
Pubblicata il 30/10/2017
Corte di Cassazione, Sezione 3 penale, Sentenza 10 ottobre 2017, n. 46443
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IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAVALLO Aldo - Presidente
Dott. GALTERIO Donatella - rel. Consigliere
Dott. GENTILI Andrea - Consigliere
Dott. GAI Emanuela - Consigliere
Dott. CIRIELLO Antonella - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS) il (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 12.4.2016 della Corte di Appello di Palermo;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GALTERIO Donatella;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CORASANITI Giuseppe che ha concluso per l'inammissibilita' del ricorso;
udito il difensore, avv. (OMISSIS), sostituto processuale dell'avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza in data 12.4.2016 la Corte di Appello di Palermo ha confermato integralmente la sentenza di primo grado che aveva condannato (OMISSIS) alla pena di quattro mesi di reclusione ed Euro 2.000 di multa per avere in violazione della L. n. 633 del 1941, articolo 171 octies installato un apparecchio con decoder regolarmente alimentato alla rete LAN domestica ed internet collegato con apparato TV e connessione all'impianto satellitare cosi' rendendo visibili i canali televisivi del gruppo SKY Italia in assenza della relativa smart card.
Avverso la suddetta sentenza ricorre in Cassazione l'imputato affidando il proprio ricorso ad un unico motivo con il quale deduce, in relazione al vizio di violazione di legge ed al vizio motivazionale, l'erronea qualificazione del fatto ai sensi della L. n. 633 del 1941, articolo 171 octies, norma del tutto residuale riservata esclusivamente ad attivita' illecite a livello professionale, deponendo invece il riferimento ad un canone imposto per l'accesso alla visione dei programmi dell'emittente Sky e lo scopo di lucro sotto il profilo soggettivo da contrapporsi a quello fraudolento, assente nella fattispecie, per la riconducibilita' della condotta nell'alveo normativo della L. n. 633 del 1941, articolo 171 ter, comma 1, lettera f). Sostiene inoltre il ricorrente che nessuna spiegazione sia stata dalla sentenza, che fonda il verdetto di colpevolezza sul sistema del card sharing, ravvisabile in presenza del Kit sharing consistente in un decoder e in una smart card collegata, come l'imputato avesse potuto accedere alla visione dei canali Sky in assenza di una smart card, mai rinvenuta presso la propria abitazione, senza tenere conto della versione fornita dallo stesso, che aveva affermato di aver acquistato i codici di decodifica sul web.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso e' inammissibile.
Il ricorrente censura con l'unico motivo di ricorso svolto la sentenza impugnata sotto il profilo del vizio di violazione di legge e di carenza o illogicita' motivazionale, tra loro all'evidenza contraddittori posto che da un canto si duole dell'erronea qualificazione giuridica del fatto e dall'altro lamenta il salto logico effettuato dall'accertamento del fatto, consistito nella decodifica del segnale satellitare Sky nella propria abitazione, all'applicazione della fattispecie di reato ascrittagli. Il vizio di cui all'articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), riguarda l'erronea interpretazione della legge penale sostanziale (ossia, la sua inosservanza) ovvero l'erronea applicazione della stessa al caso concreto (e, dunque, l'erronea qualificazione giuridica del fatto o la sussunzione del caso concreto sotto la fattispecie astratta), mentre il vizio motivazionale presuppone un'erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta, ipotesi, questa, mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Sez. 5, n. 47575 del 07/10/2016 - dep. 10/11/2016, P.M. in proc. Altoe' e altri, Rv. 26840401). La ricostruzione in fatto operata dalla Corte territoriale non e' contestata dal ricorrente, che censura invece l'erronea applicazione della L. n. 633 del 1941, articolo 171-octies alla fattispecie concreta. Conseguentemente non e' profilabile alcun vizio motivazionale tenuto conto che nel giudizio di cassazione il vizio di motivazione non e' mai denunciabile con riferimento a questioni di diritto, poiche' queste, se sono fondate e disattese dal giudice, motivatamente o meno, danno luogo al diverso motivo di censura costituito dalla violazione di legge, mentre, se sono infondate, il loro mancato esame non determina alcun vizio di legittimita' della pronuncia (Sez. 1, n. 16372 del 20/03/2015 - dep. 20/04/2015, Rv. 263326).
Cosi' delimitato il perimetro dell'impugnazione, la censura svolta si appalesa, anche in punto di violazione di legge, manifestamente infondata.
Va al riguardo rilevato che la L. 22 aprile 1941, n. 633, articolo 171 ter, lettera f) bis, punisce colui il quale "fabbrica, importa, distribuisce, vende, noleggia, cede a qualsiasi titolo, pubblicizza per la vendita o il noleggio o detiene per scopi commerciali, attrezzature, prodotti o componenti, ovvero presta servizi che abbiano la prevalente finalita' o l'uso commerciale di eludere efficaci misure tecnologiche di cui all'articolo 102 quater, ovvero siano principalmente progettati, prodotti, adattati o realizzati con la finalita' di rendere possibile o facilitare l'elusione di predette misure...."; e che, invece, la L. n. 633 del 1941, articolo 171 octies sanziona chi "a fini fraudolenti produce, pone in vendita, importa, promuove, installa, modifica, utilizza, per uso pubblico e privato, apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato, effettuate via etere, via satellite o via cavo, in forma sia analogica, che digitale". Invero i fatti previsti dalla norma di legge da ultimo riportata, introdotta dalla L. 18 agosto 2000, n. 248, articolo 17, depenalizzati dalla successiva emanazione del Decreto Legislativo 15 novembre 2000, n. 373 (entrato in vigore il 30/12/'00), hanno riacquistato rilievo penale a seguito della modifica apportata, dalla L. 7 febbraio 2003, n. 22, articolo 1, all'articolo 6, comma 1 del detto decreto legislativo, con la previsione dell'applicabilita' anche delle sanzioni penali e delle altre misure accessorie di cui alla L. n. 633 del 1941, articoli 171 bis e 171 octies e successive modifiche.
Il raffronto tra le due norme rende palese che le condotte incriminate dall'articolo 171, lettera f sono tra loro accomunate dalla finalita' commerciale concretandosi l'illecito nella immissione sul mercato di prodotti o servizi atti ad eludere le misure tecnologiche di cui all'articolo 102-quater, non essendo ivi compresa la condotta di chi invece utilizza i dispositivi che consentono l'accesso ad un servizio criptato senza il pagamento del dovuto corrispettivo, condotta questa che e' invece espressamente sanzionata dall'articolo 171 octies, indipendentemente dall'utilizzo pubblico o privato che venga fatto dell'apparecchio atto alla decodificazione di trasmissioni audiovisive.
Non ricorre, all'evidenza, nessun vizio integrante la violazione di legge: ne' sotto il profilo dell'inosservanza, non avendo il giudice a quo applicato una determinata disposizione in relazione all'operata rappresentazione della norma, o applicato la norma sul presupposto dell'accertamento di un fatto diverso da quello contemplato dalla fattispecie incriminatrice; ne' sotto il profilo della erronea applicazione, avendo la Corte di merito esattamente interpretato, alla luce dei principi fissati da questa Corte, la disposizione applicata. Correttamente i giudici palermitani hanno, invero, ricondotto nell'ambito della L. n. 633 del 1941, articolo 171-octies la condotta incriminata, pacificamente consistita nella decodificazione ad uso privato di programmi televisivi ad accesso condizionato e, dunque, protetto, eludendo le misure tecnologiche destinate ad impedire l'accesso posto in essere da parte dell'emittente, senza che assumano rilievo le concrete modalita' con cui l'elusione venga attuata, evidenziandone la finalita' fraudolenta nel mancato pagamento del canone applicato agli utenti per l'accesso ai suddetti programmi. E' poi evidente cha dalla ricondotta rilevanza penale del fatto nell'alveo della norma cosi' individuata discenda, de plano, l'antigiuridicita' della condotta ascritta all'imputato, non potendosi prendere in esame per le ragioni sopra esposte le ulteriori doglianze svolte sul piano motivazionale, peraltro sviluppate nell'orbita delle mere censure di merito.
Non sussistendo pertanto i presupposti per invocare l'intervento di questa Corte, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell'articolo 616 c.p.p. al pagamento delle spese processuali e di una somma equitativamente liquidata in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.