In tema di tutela dei marchi, il diritto di esclusiva vieta anche la semplice offerta di prodotti che indebitamente utilizzano il marchio altrui

In tema di tutela dei marchi, il diritto di esclusiva vieta, oltre all'immissione in commercio di prodotti contraffatti, anche la semplice offerta di prodotti che indebitamente utilizzano il marchio altrui (nella specie, tramite la distribuzione di listini e depliants), mentre l'effettiva distribuzione dei prodotti sul mercato e l'ampiezza della loro vendita possono essere considerate ai fini dell'eventuale risarcimento dei danni. In applicazione di tale principio, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, la quale aveva affermato la liceità dell'uso del marchio di una società produttrice di pezzi di ricambio per "go-karts" da parte di un'altra società per la commercializzazione di analoghi prodotti.

Corte di Cassazione Sezione 1 Civile, Sentenza del 30 luglio 2009, n. 17734



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REPUBBLICA ITALIANA

  IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CARNEVALE Corrado - Presidente

Dott. PANEBIANCO Ugo Riccardo - Consigliere

Dott. NAPPI Aniello - Consigliere

Dott. GIANCOLA Maria Cristina - Consigliere

Dott. TAVASSI Marina Anna - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:



SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C.R.G. S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PACUVIO 34, presso l'avvocato ROMANELLI GUIDO, che la rappresenta e difende unitamente all'avvocato LUPPI ALBERTO, giusta procura a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

2P. KA. S.R.L. (P.I. (OMESSO)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TUSCOLANA 841, presso l'avvocato PORCARI PIERO, che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;

- controricorrente -

avverso la sentenza n. 1312/2004 della CORTE D'APPELLO di FIRENZE, depositata il 20/09/2004;

udita la relazione della causa svolta nella Udienza pubblica del 07/04/2009 dal Consigliere Dott. TAVASSI Marina;

udito, per la ricorrente, l'Avvocato ROMANELLI che ha chiesto l'accoglimento del ricorse;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato in data 25.03.95 la C.R.G. s.r.l., societa' che si occupa della produzione e commercializzazione, all'ingrosso e al dettaglio, di telai e accessori per autoveicoli tipo "go - kart", asseriva di essere titolare del brevetto per marchio di impresa C.R.G. e del brevetto per marchio KALI. Tali marchi contraddistinguevano l'intera gamma di prodotti provenienti dalla societa' C.R.G. s.r.l.. Detta societa' conveniva in giudizio, avanti al Tribunale di Siena, la s.r.l. 2. P. KA. al fine di sentir accertare la responsabilita' della stessa per violazione dei brevetti per marchi C.R.G. e KALI, ovvero per concorrenza sleale ex articolo 2598 c.c., con conseguente condanna alla distruzione dei prodotti realizzati ad imitazione di quelli di C.R.G., al ritiro dal mercato dei listini e depliants pubblicizzanti i prodotti realizzati ad imitazione dei prodotto C.R.G., o recanti la denominazione TIPO C.R.G. o TIPO KALI, e al risarcimento dei danni patiti.

Deduceva, infatti, la s.r.l. C.R.G. che la 2P. KA. aveva distribuito listini prezzi e depliants a rivenditori e dettaglianti, in cui figuravano prodotti del tutto affini per dimensioni, forma e funzionalita' a quelli di C.R.G., ma con prezzo notevolmente piu' basso, accompagnando gli stessi prodotti con le denominazioni TIPO C.R.G. o TIPO KALI ovvero, direttamente, KALI o C.R.G..

Si costituiva in giudizio la 2P. KA. s.r.l. contestando tutte le pretese attoree.

In via preliminare affermava di non aver mai posto in vendita materiale a marchio C.R.G. o KALI, sostenendo altresi' di non aver mai posto in essere violazioni del brevetto di marchio o atti di concorrenza sleale ai danni dell'attrice.

La convenuta, in particolare, deduceva che i propri prodotti erano diversi dai prodotti originali di C.R.G. s.r.l., in quanto pezzi di ricambio intercambiabili ed adattabili ai telai, tra cui quelli di C.R.G..

La convenuta aggiungeva che la confondibilita' fra i marchi in questione doveva essere comunque esclusa, in quanto i listini e depliants si rivolgevano ad un pubblico particolarmente qualificato, non suscettibile di essere tratto in inganno.

Veniva ordinata CTU per verificare l'effettiva confondibilita' dei prodotti.

Il Tribunale di Siena, sez. stralcio, con sentenza n. 18 del 30.01.01, respingeva le domande attoree, ritenendo infondate le contestazioni sollevate dalla C.R.G. perche' non poteva ritenersi violato il diritto all'esclusiva del marchio altrui, quando il marchio stesso veniva utilizzato al solo fine di specificare la destinazione di impiego dei propri prodotti, senza possibilita' di ingenerare nel pubblico dubbi circa l'identita' del produttore.

Avverso tale sentenza interponeva appello la C.R.G. s.r.l. ritenendo la stessa ingiusta ed erronea e motivando esclusivamente in merito all'erronea o insufficiente valutazione effettuata dal giudice di primo grado in merito alla condotta illecita ex articolo 2598 c.c..

2P. KA. resisteva al gravame, assumendo che C.R.G. avesse ampliato le proprie difese alla seconda previsione dell'articolo 2598 c.c. (appropriazione dei pregi).

Con sentenza del 4.06.04/20.09.04, la Corte d'Appello di Firenze rigettava l'appello, ritenendolo infondato e condannando l'appellante al pagamento delle spese del giudizio.

Secondo il Collegio fiorentino, essendo stato premesso al marchio il termine "tipo", il consumatore era ben avvertito che non si trattava del prodotto originale. Al massimo si poteva contestare che premettendo tale termine, il prodotto di ricambio avrebbe potuto godere di vantaggi, valutabili su un piano strettamente psicologico, nel senso che i clienti avrebbero potuto ritenere la somiglianza con l'originale.

Per la Corte territoriale, alla societa' attrice premeva tenere disinformato il mercato sull'esistenza di prodotti di ricambio adattabili, a prezzi inferiori a quelli dalla stessa praticati.

In materia di pezzi di ricambio la Corte di Cassazione, con sent. n. 8442/00, aveva stabilito:

- che non si creava possibilita' di confusione riguardo alla identita' della casa produttrice e che l'indicare con il loro nome commerciale i prodotti cui i pezzi di ricambio potevano essere adattati non costituiva ne' violazione del diritto di marchio, ne' concorrenza sleale.

Sottolineava, infine, la Corte che era normale che una ditta produttrice di ricambi specificasse a quali prodotti fossero adattabili i ricambi dalla stessa realizzati.

Avverso tale sentenza C.R.G s.r.l. proponeva ricorso per Cassazione, notificato in data 7.02.05, esponendo quattro motivi di gravame, illustrati da memoria ex articolo 378 c.p.c..

2P. KA. s.r.l. proponeva controricorso, notificato in data 16.03.05.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. - Dopo aver riassunto lo svolgimento del processo, C.R.G. s.r.l., come primo motivo di ricorso, deduceva la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2598 c.c. e l'omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione sul punto decisivo della controversia in relazione all'articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Asseriva di aver sviluppato in primo grado il profilo della concorrenza sleale per appropriazione di pregi, nel fenomeno del c.d. agganciamento. La violazioni di legge e la carenza di motivazione in cui era incorsa la Corte d'Appello di Firenze erano palesi.

Il Collegio fiorentino, travisando le domande e le intenzioni dell'appellante, era giunto, con una motivazione contraddittoria, alla sostanziale abrogazione delle disposizioni di cui all'articolo 2598 c.c. e, conseguentemente, delle fattispecie di agganciamento ed appropriazione dei pregi del prodotto e della attivita' altrui. Seguendo l'impostazione data dal giudice di seconde cure, non sarebbe piu' stato possibile impedire l'utilizzo altrui, non confusorio, dei propri segni distintivi.

Per costante giurisprudenza della Suprema Corte, era chiaro che l'articolo 2598 c.c., commi 2 e 3 presupponevano, ai fini della loro applicazione, che non si potesse ricadere nell'ipotesi di confondibilita' di cui all'articolo 2598 c.c., comma 1 e, cioe', di concorrenza sleale.

L'appropriazione di pregi, prevista dal comma 2 dell'articolo citato, realizzava uno sviamento di clientela non gia' a seguito della confusione tra prodotti o attivita', bensi' ingenerando nel pubblico la convinzione che il prodotto o l'impresa avessero le stesse qualita' o gli stessi pregi di quelli del concorrente (Cass. n. 1310/86).

L'agganciamento ricorreva qualora il terzo avesse utilizzato il marchio, senza il consenso del titolare, per indicare prodotti propri, traendo un indebito vantaggio da una situazione ingannevole per i consumatori o, comunque, dall'affermazione e dall'avviamento del segno altrui sul mercato, situazione costituita dall'uso del marchio celebre in funzione pubblicitaria, avendo il marchio celebre funzione di richiamo o agganciamento della clientela (Cass. 10416/98).

Nella direttiva CE 97/55 e nei relativi decreti attuativi veniva espressamente posta la condizione di legittimita' secondo cui non si potesse trarre vantaggio dalla notorieta' connessa al marchio, alla denominazione commerciale o ad altro segno distintivo di un concorrente.

La giurisprudenza di merito aveva individuato un'ipotesi tipica di agganciamento o concorrenza parassitaria nella locuzione "tipo + marchio celebre concorrente".

Per costante giurisprudenza di legittimita' e di merito, la valutazione del comportamento anticoncorrenziale, ai fini della verifica di un'effettiva allusione a parita' di prestazione e qualita', doveva essere globale e non limitata al riscontro dell'utilizzo del marchio preceduto dalla locuzione "tipo".

Secondo la ricorrente, analizzando il comportamento di 2P. KA. , emergevano sia un intento decettivo del consumatore, sia quello di agganciamento alla notorieta' del marchio della C.R.G. presso gli specialisti. La 2P. KA. , infatti, nei propri listini e depliants, mai aveva indicato le caratteristiche dei propri prodotti, specificando solo rispetto a quali macchine gli stessi fossero compatibili, facendo riferimento alle caratteristiche tecniche dei medesimi.

Sottolineava la ricorrente che per alcuni prodotti la ditta concorrente utilizzava, addirittura, esclusivamente la dicitura del marchio originale (non "tipo KALI", ma solo "KALI").

Tale differenza poteva indurre il consumatore a pensare che, mentre alcuni prodotti erano solo simili, altri erano proprio quelli originali.

Per ricorrente, la 2P. KA. non poteva negare di essersi presentata al pubblico come rivenditrice di tali prodotti, cosi' come non poteva negare l'evidente intento di agganciamento consistente, anche, nell'indurre il consumatore a pensare che vi fosse un qualche tipo di collegamento economico - giuridico con il marchio celebre (Cass. nn. 10416/98; 2060/83; 914/70).

Presentando i prodotti come "tipo Kali" o "tipo C.R.G." e poi semplicemente come "Kali" o "C.R.G." aveva instillato nei clienti l'idea di un collegamento con la casa madre.

Inoltre, 2P. KA. non aveva consegnato i prodotti incriminati al CTU, affermando che i ricambi recanti i nomi Kali e C.R.G. non erano mai stati prodotti, poiche' si trattava di una mera operazione di marketing. Tali circostanza poteva solo rafforzare l'idea che i marchi Kali e C.R.G. fossero stati utilizzati come "specchietto per le allodole", attribuendo ancor maggiore solidita' alla tesi di sfruttamento della posizione di leader nel mercato di C.R.G. da parte di 2P. KA. ed a quella dell'agganciamento. "La vicinanza...tra prodotti... (puo') creare pericolo di confusione...sotto il profilo della violazione dei diritti di esclusiva o... della concorrenza sleale...circa la qualita' del venditore, ovvero...circa l'esistenza e la natura dei rapporti intercorrenti tra il venditore medesimo e fabbricante nel senso di un collegamento tra i due" (Cass. n. 10416/98).

Secondo la giurisprudenza di merito l'uso di marchi altrui richiamati in unione alla parola "tipo" era lecito solo se tale marchio, presso il pubblico, ormai stesse ad indicare un genere di prodotti aventi caratteristiche comuni - ipotesi di decadenza per volgarizzazione del marchio - (Trib. Milano 28.01.1974).

1.2. - Come secondo motivo di gravame, la difesa di C.R.G. deduceva la contraddittorieta' della motivazione su un punto decisivo della controversia.

In primo luogo la sentenza della Suprema Corte citata dalla Corte fiorentina faceva riferimento ad un caso del tutto diverso da quello in esame.

Nel caso di specie, infatti, l'azienda concorrente non faceva espresso riferimento alla macchina, rispetto alla quale i ricambi erano compatibili, ma ad altri pezzi di ricambio della ditta concorrente, senza neppure indicare le caratteristiche tecniche degli stessi, posto che le stesse erano note al mercato.

Ad avviso della ricorrente, poi, il collegio fiorentino aveva posto a sostegno del proprio convincimento una sentenza di segno parzialmente contrario ai fatti di cui era causa.

La sentenza n. 8442/00 citata, infatti, poneva precise condizioni: cioe' che le modalita' concrete di esercizio del diritto dovevano "...essere tali da non ingenerare confusioni o ambiguita'...soprattutto nei casi in cui la forma di questi ultimi sia imposta dalla funzione...".

1.3. - Come terzo motivo di gravame la ricorrente deduceva l'omessa motivazione su un punto decisivo della controversia e la violazione dell'articolo 112 c.p.c..

La Corte territoriale non aveva dedicato neppure una parola all'integrazione o meno da parte del comportamento della 2P. Ka. dell'illecito previsto dalla clausola generale di cui all'articolo 2598 c.c., comma 3.

Tale omissione, oltre ad integrare il vizio di mancanza di motivazione, aveva leso il diritto dell'appellante alla pronuncia su tutta la domanda proposta.

1.4. - Come quarto ed ultimo motivo di ricorso la difesa ricorrente deduceva ancora l'omessa motivazione su un punto decisivo della controversia e la violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 112 c.p.c., rilevando come il collegio territoriale avesse, altresi', omesso di valutare il comportamento della convenuta di rifiuto di fornire alcuni pezzi, indicati nel proprio listino prezzi, per permettere al CTU di esperire il confronto tra i ricambi C.R.G., per la verifica sia della confondibilita' tra i prodotti, sia del riscontro dell'eventuale apposizione di marchi originali C.R.G..

Come evidenziato anche dal CTU, risultava difficile credere che gli stessi articoli riportati sui listini non fossero mai stati prodotti.

Concludeva chiedendo l'accoglimento del ricorso e la cassazione della sentenza, con ogni consequenziale statuizione e vittoria di spese ed onorari.

2.1 - Ritiene questo Collegio che il ricorso sia fondato.

Si deve innanzitutto disattendere l'eccezione di inammissibilita' del ricorso sollevata dalla difesa della s.r.l. 2P. Ka. per asserita mancanza di autosufficienza ovvero per riproporre nella presente sede di legittimita' una valutazione nel merito dei fatti di causa. Con riferimento al primo profilo, basti rilevare che alle pagg. 9/11 del ricorso risulta trascritto il contenuto del listino oggetto di contestazione, mentre nell'intero ricorso viene ripetutamente fatto riferimento agli atti del giudizio in cui sono contenute le deduzioni che si assume essere state trascurate dalla Corte d'appello di Firenze.

I motivi di ricorso non appaiono poi risolversi nella richiesta di riesame da parte di questa Corte degli elementi di fatto a base della controversia, coinvolgendo invece valutazioni circa il rispetto delle norme di legge e dell'interpretazione data alle stesse dalla giurisprudenza e circa la sufficienza e logicita' della motivazione espressa dalla Corte territoriale. Procedendo, quindi, all'esame congiunto (per ragioni di logicita' di esposizione) dei primi due motivi di ricorso, deve ritenersi che la sentenza impugnata sia incorsa nei denunciati vizi di violazione di legge e di contraddittorieta' della motivazione, con particolare riferimento alla fattispecie di cui alla tutela dei marchi ed alla seconda previsione di cui all'articolo 2598 c.c..

Con riferimento ai marchi, infatti, la normativa nazionale (articoli 1 e 12 Legge marchi, ora trasfusi nell'articolo 20 Codice Proprieta' Industriale) e comunitaria (vedi in particolare le Direttive n. 2004/48/Ce, n. 89/104/CEE, n. 84/450/CEE e n. 97/55/CE) conferisce al titolare di un marchio di impresa registrato il diritto esclusivo di farne uso; tale diritto esclusivo comporta, in particolare, il diritto di vietare ai terzi di utilizzare nel commercio un segno identico o simile per prodotti o servizi identici, ovvero, in caso di marchio celebre o di elevata rinomanza, anche per altri prodotti.

L'articolo 1 bis legge marchi (ora articolo 21 CPI) sancisce espressamente la liceita' dell'uso del marchio altrui solo quando sia necessario per indicare la destinazione di un prodotto, inquadrando in tale previsione espressamente i "pezzi di ricambio". Deve, quindi, trattarsi di pezzi di ricambio destinati ad una macchina, il cui marchio o la cui denominazione siano quindi utilizzati allo specifico scopo di indicare la destinazione del pezzo di ricambio.

Tale ipotesi si differenzia comunque in modo sostanziale da quella del caso di specie. Infatti, come bene ha sottolineato la difesa ricorrente con il secondo motivo di censura, i giudici del merito si sono fermati alla caratteristica dei prodotti di essere "pezzi di ricambio". Si trattava tuttavia di pezzi di ricambio prodotti (o comunque offerti in vendita) in modo paritetico da entrambe le societa' in causa, genericamente destinati ai go karts, ma non di pezzi di ricambio prodotti dalla 2P. Ka. per le macchine realizzate da C.R.G.. L'uso dei marchi di quest'ultima, quindi, non appariva giustificato dalla destinazione dei pezzi offerti in vendita rispetto ad una macchina (un go kart) realizzata da C.R.G., essendo al contrario i marchi C.R.G. e Kali utilizzati per contraddistinguere prodotti identici a quelli realizzati e commercializzati da C.R.G.. La circostanza che per entrambe le societa' si trattasse di "pezzi di ricambi" appare poi assolutamente contingente e del tutto ininfluente rispetto all'applicazione della previsione in esame (lettera c, dell'articolo 1 bis Legge Marchi).

Ed allora il caso di specie puo' essere posto in relazione, non tanto alla giurisprudenza in tema di "pezzi di ricambio", quanto ad un'altra fattispecie di cui questa Corte gia' si e' occupata: il caso SMT c. Rieter Ingolstadt Spinnermaschinenbau (sent. n. 22495 del 19.6.2006, rv. 594611). Quivi la Corte ha ritenuto che costituisse contraffazione del brevetto per invenzione industriale il produrre e commercializzare anche solo le componenti di un macchinario brevettato, ove queste fossero destinate univocamente a far parte di detto macchinario, con la precisazione che per aversi contraffazione in siffatte ipotesi occorreva che le componenti del macchinario riprodotte e commercializzate fossero quelle in cui essenzialmente si esplicava la valenza inventiva di quanto brevettato.

Nella specie la Corte aveva, quindi, confermato la sussistenza della contraffazione nella produzione e commercializzazione di particolari dischi, costituenti la parte caratterizzante - "il cuore" - dell'invenzione di un piu' complesso macchinario, da altri brevettata, e dichiaratamente destinati dal contraffattore alla vendita quali pezzi di ricambio di quel macchinario. La sentenza della Corte di Giustizia CE, che solitamente viene indicata come fondamentale per la disciplina del marchio per i pezzi di ricambio, nel caso BMW (sentenza del 23 febbraio 1999, C - 63/97), ha precisato i termini entro i quali possa essere considerato lecito l'uso del marchio di un terzo a fini promozionali, nell'ambito degli articoli 5 - 7 della Direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, n. 89/104/CEE, sul riavvicinamento delle legislazioni degli Stati Membri in materia di marchi d'impresa. E' noto che gli indicati principi della Direttiva comunitaria sono stati recepiti nel nostro ordinamento con il Decreto Legislativo 4 dicembre 1992, n. 480, che ha introdotto nella Legge Marchi l'articolo 1 bis. La lettera c) del comma 1 di tale articolo esclude che il titolare possa vietare a terzi l'uso, nell'attivita' economica, del proprio marchio "se esso e' necessario per indicare la destinazione di un prodotto o servizio, in particolare come accessori o pezzi di ricambio; purche' l'uso sia conforme ai principi della correttezza professionale, e quindi non in funzione di marchio, ma solo in funzione descrittiva". Autorevole dottrina e la giurisprudenza di questa Corte (vedi la citata sent. n. 22495 del 2006) hanno osservato che la Legge Marchi, nella modifica di cui al Decreto Legislativo 4 dicembre 1992, n. 480, ha mutuato dalla Direttiva comunitaria un ambito di tutela del marchio che comprende, non solo il rischio di confusione rappresentato dalla somiglianza dei segni (oltre che naturalmente dalla loro identita'), accompagnato dalla identita' o affinita' dei prodotti o servizi contrassegnati, ma anche nell'affermazione che quel rischio possa consistere in un rischio di semplice associazione fra i due segni, inducendo cosi' a pensare che alla tradizionale confusione circa l'origine del prodotto (credo di acquistare il prodotto di quella certa azienda ed invece compro quello della concorrente) si possa affiancare il rischio che il pubblico sia tratto in errore circa la sussistenza, tra il titolare ed il contraffattore o l'usurpatore, di rapporti contrattuali o di gruppo.

E' ormai principio acquisito che il rischio di confusione si realizza anche come rischio di associazione.

Il problema di evitare che il riferimento al marchio altrui divenga strumento di indebito sfruttamento della fama che spetta al titolare di quel marchio, evitando il rischio di agganciamento al prestigio altrui, tipicamente connesso alla ripresa del segno del terzo, va affrontato alla luce dei criteri indicati dall'articolo 1 bis lettera c), e cioe': necessita' dell'uso del marchio altrui per indicare la destinazione di un prodotto o servizio; rispetto dei principi della correttezza professionale; utilizzo del marchio in funzione descrittiva e non distintiva.

La previsione di cui alla lettera c) dell'articolo 1 bis, infatti, consente l'uso atipico del marchio altrui, ma precisa che detto uso debba essere necessario per indicare la destinazione di un prodotto o servizio, in una mera funzione descrittiva, ed essere conforme ai principi della correttezza professionale. Puo' essere utilizzato solo negli stretti limiti in cui cio' sia indispensabile per indicare la destinazione dei propri prodotti; ogni uso che vada al di la' di questi limiti e' per definizione contrario a correttezza (principi ribaditi nell'attuale testo dell'articolo 21 CPI). In tale ottica, va osservato che anche l'avvalersi di espressioni quali "tipo", accostate al marchio altrui, per se' non legittima l'uso di detto marchio, dovendo comunque tale uso essere valutato entro i limiti segnati dalla previsione di cui alla lettera c) dell'articolo 1 bis Legge Marchi.

Come gia' precisato da questo Collegio in casi analoghi (vedi oltre alle sentenze gia' citate anche le sent. n. 1820 del 200, rv. 534030, n. 15096 del 2005, rv. 583042), dovendo i medesimi principi essere ribaditi nel caso di specie, ove l'impiego del segno creasse la possibilita' di un collegamento dell'impresa terza con il marchio registrato, nell'ampio significato desumibile dall'articolo 1 della Legge Marchi, l'uso non sarebbe consentito, tornando a prevalere il regime di esclusiva accordato dalla legge al titolare del marchio. Come gia' si e' rilevato, infatti, a seguito delle modifiche apportate dal Decreto Legislativo n. 480 del 1992, la tutela del marchio comprende non soltanto il rischio di confusione, determinato dalla identita' o dalla somiglianza dei segni utilizzati per contrassegnare prodotti identici o affini; ma anche quello relativo alla semplice associazione fra i due segni, tale da poter indurre in errore il pubblico circa la sussistenza di un particolare legame commerciale o di gruppo tra l'impresa terza ed il titolare del marchio. Anche l'esempio portato dalla sentenza impugnata di cui alla richiamata sentenza n. 8442 del 2 000 non si attaglia all'ipotesi di specie: si trattava, infatti, in quel caso della tutela di un brevetto invocata dalla ditta produttrice di aspirapolvere nei confronti di una ditta che produceva sacchetti di ricambio per aspirapolvere, espressamente di quella marca. Si era, quindi, esattamente di fronte ad un'ipotesi di messa in vendita di pezzi di ricambio per un macchinario realizzato da chi si doleva della violazione. Eppure anche in quel caso la Corte di cassazione perveniva alla conferma della sentenza di merito che aveva condannato alcune societa' produttrici di sacchetti per aspirapolvere al risarcimento del danno per concorrenza sleale nei confronti della S.a.s. Vo. Fo. , atteso che la scritta riproducente il marchio altrui "sacchetti filtro per Vo. Fo. " adoperata dai ricambisti, seppure idonea ad indicare la destinazione del prodotto, era invece equivoca in ordine alla provenienza di esso, soprattutto atteso il contesto grafico e l'assoluta similitudine dei pezzi di ricambio offerti con quelli prodotti dalla stessa societa' Vo. . Questa Corte, con la sentenza indicata, asseriva che "al fabbricante di pezzi di ricambio e' consentito l'uso del marchio al fine di indicare la destinazione del bene che offre, ma le modalita' concrete di esercizio di tale diritto devono essere tali da non ingenerare confusioni o ambiguita' in ordine alla provenienza del ricambio stesso, con la conseguente necessita' di una chiara indicazione del produttore dei pezzi di ricambio, soprattutto nelle ipotesi in cui la forma di questi ultimi sia imposta dalla funzione e non consenta percio' di differenziarli adeguatamente da quelli prodotti dal fabbricante della macchina cui i ricambi stessi sono destinati". La circostanza che, secondo quanto affermato dalla resistente, i prodotti cosi' contrassegnati non fossero stati materialmente realizzati ed immessi in commercio non incide sulla illiceita' dell'uso del marchio altrui con le modalita' evidenziate, tramite i listini e i depliants distribuiti sul mercato, posto che il diritto di esclusiva sul marchio vieta, oltre all'immissione in commercio, anche la semplice offerta di prodotti che indebitamente utilizzino il marchio altrui, offerta realizzata nella specie tramite la distribuzione dei listini e depliants in questione (vedi i gia' citati articolo 20 CPI e, prima, articoli 1 e 12 Legge Marchi). L'effettiva distribuzione o meno dei prodotti sul mercato e l'ampiezza della loro vendita potranno essere considerati ai fini dell'eventuale risarcimento dei danni.

2.2 - E' vero, poi, che la Corte d'appello di Firenze non ha preso in alcuna considerazione il profilo della concorrenza sleale per appropriazione di pregi, nel fenomeno del c.d. agganciamento (articolo 2598 c.c., n. 2), profilo che, pure, in base ai rilievi svolti, meritava di essere separatamente considerato. Infatti, da un lato, per le ricordate norme della legge marchi, avrebbe dovuto essere verificato se l'uso del marchio altrui, nell'eventuale funzione descrittiva sopra indicata, apparisse assolutamente necessario per indicare la destinazione dei prodotti; dall'altro, per le regole che disciplinano la concorrenza, avrebbe dovuto essere verificato se, al contrario, l'uso dei marchi altrui non fosse realizzato al fine di appropriarsi dei pregi dei prodotti o dell'impresa della concorrente.

Costituisce infatti fattispecie tipica di concorrenza sleale, ai sensi dell'ultima previsione del n. 2) della norma citata, l'utilizzo del marchio altrui teso a sfruttare la rinomanza commerciale assunta dall'azienda del concorrente o ad ingenerare nel pubblico dei consumatori l'idea dell'esistenza di un collegamento tra le imprese ovvero dell'equivalenza qualitativa dei prodotti.

Inoltre, sia per il richiamo dell'atto d'appello, oggi invocato da parte ricorrente con il terzo motivo di ricorso, sia per l'espressa previsione di cui all'articolo 1 bis (ultima parte del comma 1) della Legge Marchi, avrebbe dovuto essere altresi' accertato che l'uso dei marchi altrui fosse conforme ai principi della correttezza professionale.

E' vero che la Corte territoriale non si e' soffermata su tale aspetto, ne' nell'ottica di verificare i presupposti per la deroga di cui all'articolo 1 bis Legge Marchi, ne' per valutare la ricorrenza o meno di un autonomo profilo di concorrenza sleale. La Corte, al contrario, si e' soffermata a valutare il comportamento della C.R.G. in termini negativi, finendo cosi' per trascurare, da un lato, i diritti connessi all'esclusiva del marchio ed i limiti imposti per legge all'uso eccezionale del marchio altrui, dall'altro, la necessita' di verificare la ricorrenza nella specie di comportamenti contrari ai principi della correttezza professionale, addebitabili alla 2P. Ka. .

2.3 - Il quarto motivo di ricorso (omessa motivazione su un punto decisivo della controversia, violazione e/o falsa applicazione dell'articolo 112 c.p.c., per avere il collegio territoriale omesso di valutare il comportamento della convenuta di rifiuto di fornire alcuni pezzi per permettere al CTU di esperire il confronto tra i ricambi C.R.G., al fine di verificare la confondibilita' tra i prodotti ed eventualmente riscontrare l'apposizione di marchi originali C.R.G.) deve essere considerato assorbito, posto che la Corte di rinvio sara' investita di un nuovo giudizio su tutti gli elementi che potranno contribuire a valutare il comportamento tenuto dalla 2P. Ka. .

In conclusione in base ai principi enunciati, deve essere cassata la sentenza impugnata, che ha ritenuto lecito l'uso dei marchi della C.R.G. (societa' produttrice di pezzi di ricambio) da parte di un'impresa concorrente, che offrendo sul mercato gli identici prodotti (pezzi di ricambio), al fine di pubblicizzare i propri prodotti abbia utilizzato i marchi registrati dalla ricorrente, da soli o accompagnati dall'espressione "tipo". La Corte territoriale, infatti, ha, da un lato, omesso di verificare se l'uso di detti marchi fosse "necessario" ai fini della descrizione del prodotto, o non fosse sufficiente, invece, ad esempio, il semplice impiego della denominazione del veicolo cui detti pezzi di ricambio erano destinati; dall'altro, se l'utilizzazione dei medesimi marchi, nel contesto grafico in cui erano inseriti, eccedesse la semplice funzione descrittiva, suggerendo l'idea di un collegamento tra le due imprese attraverso l'associazione dei segni e ponendosi in una posizione di agganciamento rispetto ai pregi dei prodotti da altri contrassegnati con detti marchi ed alla notorieta' acquisita sul mercato. Infine, il comportamento per cui e' causa avrebbe dovuto essere valutato anche al fine di verificare se le modalita' utilizzate fossero o meno conformi ai principi della correttezza professionale. Non essendovi sufficienti elementi per la decisione nel merito, ai sensi dell'articolo 384 c.p.c., deve disporsi il rinvio alla Corte d'appello di Firenze, che decidera', in diversa composizione, anche in relazione alle spese processuali.

P.Q.M.

LA CORTE

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d'appello di Firenze in diversa composizione, anche per le spese.
 

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