La detenzione e l'utilizzo di illecitamente riprodotti costituisce reato quando sia provato il fine del profitto

A seguito della modifica del comma 1 dell'articolo 171-bis della legge 22 aprile 1941 n. 633, apportata dall'articolo 13 della legge 18 agosto 2000 n. 248, per la configurabilità del reato di riproduzione abusiva di programmi informatici non è più previsto il dolo specifico del «fine di lucro», ma quello del «fine di trarne profitto»: non è, quindi, più richiesto che la riproduzione dei programmi sia finalizzata al commercio, determinandosi un'accezione più vasta che non implica necessariamente una finalità direttamente patrimoniale e amplia conseguentemente i confini della responsabilità dell'autore (da queste premesse, è stato ritenuto correttamente ravvisato il reato de quo relativamente alla detenzione e all'utilizzo di numerosi programmi software, illecitamente riprodotti, nello studio professionale del prevenuto).



- Leggi la sentenza integrale -

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ALTIERI Enrico - Presidente

Dott. CORDOVA Agostino - Consigliere

Dott. PETTI Ciro - Consigliere

Dott. LOMBARDI Alfredo Maria - Consigliere

Dott. AMORESANO Silvio - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

1) ME. GI., N. IL (OMESSO);

avverso SENTENZA del 25/06/2007 GIP TRIBUNALE di LECCO;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. AMORESANO SILVIO;

lette le conclusioni del P.G. per la inammissibilita' del ricorso.

OSSERVA

1) Con sentenza del 25.6.2007 il GUP del Tribunale di Lecco applicava a Me. Gi., previa concessione delle circostanze attenuanti generiche e ritenuta la diminuente per la scelta del rito, la pena concordata ex articolo 444 c.p.p. di euro 9.400,00 di multa (di cui euro 5.400,00 in sostituzione di mesi 4 di reclusione) per il reato di cui alla Legge n. 633 del 1941 articolo 171 bis, comma 1, come modif. dalla Legge n. 248 del 2000 per avere, al fine di trame profitto, duplicato e riprodotto programmi software, di proprieta' della societa' Mi. It. spa ed Au. inc., Ad. Sy. In., Sy. Co., senza averne acquistato la licenza d'uso.

Propone ricorso per cassazione il Me., a mezzo del difensore, per violazione di legge (articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) in relazione alla mancata applicazione dell'articolo 129 c.p.p. stante l'insussistenza dell'ipotesi contestata a carico del ricorrente (dallo stesso tenore letterale della Legge n. 633 del 1941 articolo 171 bis risulta che la norma mira a colpire esclusivamente l'illecita riproduzione di software finalizzata al commercio, mentre il Mi. si avvaleva degli stessi nello studio privato e per scopi professionali interni allo studio medesimo); in via gradata era configurabile un'ipotesi di responsabilia' Legge n. 633 del 1941 ex articolo 174 ter,, che punisce con la sola sanzione amministrativa l'abusivo utilizzo, per esclusivi fini professionali, di prodotti informatici, privi della licenza d'uso.

Con il secondo motivo denuncia il difetto di motivazione in ordine al dolo specifico richiesto dalla norma, essendosi il GUP limitato a richiamare il fatto materiale dell'assenza di alcune licenze di software, attribuendo una sorta di responsabilita' oggettiva al titolare dello studio.

2) Va premesso che l'applicazione della pena su richiesta delle parti e' un meccanismo processuale in virtu' del quale l'imputato ed il pubblico ministero si accordano sulla qualificazione giuridica della condotta contestata, sulla concorrenza di circostanze, sulla comparazione delle stesse, sull'entita' della pena, su eventuali benefici. Da parte sua il giudice ha il potere-dovere di controllare l'esattezza dei menzionati aspetti giuridici e la congruita' della pena richiesta e di applicarla dopo aver accertato che non emerga in modo evidente una della cause di non punibilita' previste dall'articolo 129 c.p.p.. Ne consegue che, una volta ottenuta l'applicazione di una determinata pena ex articolo 444 c.p.p., l'imputato non puo' rimettere in discussione profili oggettivi o soggettivi della fattispecie perche' essi sono coperti dal patteggiamento.

Con il ricorso per cassazione, pertanto, possono essere fatti valere errores in procedendo ed il mancato proscioglimento ex articolo 129 c.p.p..

E' giurisprudenza consolidata di questa Corte che nell'ipotesi di concordato di applicazione pena ex articolo 444 c.p.p. o ex articolo 599 c.p.p. la motivazione del giudice sull'assenza dei presupposti che legittimano l'operativita' di una delle cause di non punibilita' previste dall'articolo 129 c.p.p. puo' essere anche meramente enunciativa o implicita. Il giudice e' tenuto, cioe', a controllare l'inesistenza di una delle cause di non punibilita', ma puo' enunciare, con motivazione anche implicita, che e' stata compiuta la verifica richiesta dalla legge (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 2 n. 14023 del 3.2.2004; conf. Cass. pen. sez. 6 n. 41712 del 2.10.2006).

2.1) Tanto premesso, osserva il Collegio che i motivi di ricorso appaiono manifestamente infondati, avendo il giudice, nell'applicare la pena concordata, congruamente, nei termini sopra indicati, e correttamente motivato in ordine alla insussistenza delle condizioni per l'applicabilita' dell'articolo 129 c.p.p..

Per la configurabilita' del reato del reato di cui all'articolo 171 bis non e' richiesto, infatti, che la riproduzione dei software sia finalizzata al commercio, essendo sufficiente il fine di profitto, come contestato, ne' il dolo specifico del fine di lucro.

Ha piu' volte affermato questa Corte che, a seguito della modifica della Legge 27 aprile 1941, n. 633, articolo 171 bis, comma 1 (apportata dalla Legge 18 agosto 2000, n. 248, articolo 13), non e' piu' previsto il dolo specifico del "fine di lucro" ma quello del "fine di trame profitto"; si e', quindi, determinata un'accezione piu' vasta che non richiede necessariamente una finalita' direttamente patrimoniale ed amplia quindi i confini della responsabilita' dell'autore (cfr. ex multis Cass. pen. sez. 3, del 6.9.2001 n. 33303; Cass. pen. sez. 3, 9.1.2007 n. 149).

La detenzione e l'utilizzo di numerosi programmi software, illecitamente riprodotti, nello studio professionale rende manifesta la sussistenza del reato contestato, sotto il profilo oggettivo e soggettivo.

Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilita', al versamento della somma che pare congruo determinare in euro 1.500,00 (articolo 616 c.p.p.).

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche' al versamento alla cassa delle ammende della somma di euro 1.500,00.

INDICE
DELLA GUIDA IN Registra Marchio

OPINIONI DEI CLIENTI

Vedi tutte

ONLINE ADESSO 732 UTENTI