Un marchio registrato può essere utilizzato da un commerciante come denominazione del proprio esercizio se non provoca confusione

Il titolare di un negozio di abbigliamento può utilizzare, come denominazione dell'esercizio commerciale, un marchio registrato se non provoca alcuna confusione con i prodotti che vende rispetto a quelli fabbricati dal titolare del marchio. E' quanto ha affermato la Corte di Giustizia delle Comunità europee con sentenza n. 17/06 del 11 settembre 2007.
La Corte ha, infatti, precisato che la mancanza di un rischio di confusione nella percezione dei consumatori sulla provenienza del prodotto, che è l'interesse del titolare del marchio registrato, consente al terzo l'utilizzo del marchio come denominazione o come insegna a condizione che agisca in modo leale.



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Sentenza

1 La domanda di pronuncia pregiudiziale verte sull'interpretazione dell'art. 5, n. 1, della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa (GU 1989, L 40, pag. 1, in prosieguo: la "direttiva").

2 Tale domanda è stata presentata nell'ambito di una controversia pendente tra la Cé. SA e la Cé. SARL in merito all'uso, da parte di quest'ultima, della denominazione sociale " Cé. " e dell'insegna " Cé. ".

Contesto normativo

3 L'art. 5 della direttiva, intitolato "Diritti conferiti dal marchio di impresa", ai suoi nn. 1, 3 e 5, dispone quanto segue:

"1. Il marchio di impresa registrato conferisce al titolare un diritto esclusivo. II titolare ha il diritto di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio:

a) un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato;

b) un segno che, a motivo dell'identità o della somiglianza di detto segno col marchio di impresa e dell'identità o somiglianza dei prodotti o servizi contraddistinti dal marchio di impresa e dal segno, possa dare adito a un rischio di confusione per il pubblico, comportante anche un rischio di associazione tra il segno e il marchio di impresa.

(...)

3. Si può in particolare vietare, se le condizioni menzionate a[i] paragraf[i] 1 e 2 sono soddisfatte:

a) di apporre il segno sui prodotti o sul loro condizionamento;

b) di offrire i prodotti, di immetterli in commercio o di detenerli a tali fini, oppure di offrire o fornire servizi contraddistinti dal segno;

c) di importare o esportare prodotti contraddistinti dal segno;

d) di utilizzare il segno nella corrispondenza commerciale e nella pubblicità.

(...)

5. I paragrafi da 1 a 4 non pregiudicano le disposizioni applicabili in uno Stato membro per la tutela contro l'uso di un segno fatto a fini diversi da quello di contraddistinguere i prodotti o servizi, quando l'uso di tale segno senza giusto motivo consente di trarre indebitamente vantaggio dal carattere distintivo o d[a]lla notorietà del marchio di impresa o reca pregiudizio agli stessi".

4 L'art. 6 della direttiva, intitolato "Limitazione degli effetti del marchio di impresa", al suo n. 1, prevede quanto segue:

"Il diritto conferito dal marchio di impresa non permette al titolare dello stesso di vietare ai terzi l'uso nel commercio:

a) del loro nome e indirizzo;

(...)

purché l'uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale o commerciale".

Controversia principale e questione pregiudiziale

5 La Cé. SA è una società costituita con questa denominazione il 9 luglio 1928 e svolge come attività principale la creazione e la commercializzazione di articoli di abbigliamento nonché di accessori di moda.

6 Il 19 aprile 1948, tale società ha depositato il marchio denominativo CÈLINE, la cui registrazione è stata da allora costantemente rinnovata, da ultimo il 6 marzo 1998, per designare tutti i prodotti rientranti nelle classi da 1 a 42 dell'Accordo di Nizza 15 giugno 1957, relativo alla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi per la registrazione dei marchi, come riveduto e modificato, in particolare gli "indumenti e [le] calzature".

7 Il sig. Gr. si è fatto iscrivere il 25 settembre 1950 nel registro del commercio e delle società di Na., per gestire un negozio di confezioni per uomo e donna con l'insegna "Cé.".

8 La Cé. SARL ha dichiarato che il suo diritto all'uso dell'insegna " Cé." le proviene dal sig. Gr., tramite i gestori successivi di tale negozio. La detta società è stata immatricolata nel registro di commercio e delle società il 31 gennaio 1992, per gestire, con tale insegna, un negozio di prêt-à-porter, biancheria intima, confezioni, pellicce, abbigliamento e accessori diversi.

9 Dopo essere stata informata di tale situazione di fatto, la Cé. SA ha promosso una causa nei confronti della Cé. SARL per farle inibire gli atti di contraffazione del marchio CÈLINE e quelli di concorrenza sleale per usurpazione della denominazione sociale " Cé." e dell'insegna " Cé.", nonché per ottenere il risarcimento del danno subito.

10 Con sentenza 27 giugno 2005, il Tribunal de grande instance di Nancy ha accolto le domande della Cé. SA ed ha inibito alla Cé. SARL qualsiasi uso del vocabolo " Cé.", solo o assieme ad altri, a qualsivoglia titolo, le ha ordinato di modificare la sua denominazione sociale adottando un vocabolo che non generasse confusione con il marchio anteriore CÈLINE e con l'insegna " Cé.", e l'ha condannata a versare alla Cé. SA una somma pari a EUR 25 000 a titolo di risarcimento.

11 Il 4 luglio 2005 la Cé. SARL ha interposto appello avverso tale sentenza dinanzi alla Cour d'appel di Nancy, facendo valere che l'uso di un segno identico al marchio denominativo anteriore in quanto denominazione sociale o insegna sfugge all'ambito della contraffazione, dal momento che la funzione di distinguere prodotti o servizi non spetta né alla denominazione sociale né all'insegna, e che, in ogni caso, non può esservi confusione presso il pubblico sull'origine dei prodotti di cui trattasi, considerato il posizionamento esclusivo della Cé. SA sul mercato dell'abbigliamento e degli accessori di lusso.

12 La Cour d'appel di Nancy ha deciso di sospendere il procedimento e di sottoporre alla Corte la seguente questione pregiudiziale:

"Se l'art. 5, n. 1, della direttiva (...) debba essere interpretato nel senso che l'adozione, da parte di un terzo che non vi è stato autorizzato, di un marchio nominativo registrato, a titolo di denominazione sociale, nome commerciale o insegna nell'ambito di un'attività di commercializzazione di prodotti identici costituisce un atto d'uso di tale marchio nella vita commerciale che il titolare può far cessare in forza del suo diritto esclusivo".

Sulla questione pregiudiziale

13 Con la sua questione, il giudice del rinvio chiede, in sostanza, se l'uso a titolo di denominazione sociale, nome commerciale o insegna, da parte di un terzo che non vi è stato autorizzato di un segno identico a un marchio denominativo anteriore, nell'ambito di un'attività di commercializzazione di prodotti identici a quelli per i quali il marchio è stato registrato, costituisca un uso che il titolare del marchio può far cessare ai sensi dell'art. 5, n. 1, della direttiva.

Sull'interpretazione dell'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva

14 Secondo l'art. 5, n. 1, prima frase, della direttiva, il marchio registrato conferisce al suo titolare un diritto esclusivo. Ai sensi dello stesso paragrafo, lett. a), tale diritto esclusivo consente al titolare di vietare ai terzi, salvo proprio consenso, di usare nel commercio un segno identico al marchio di impresa per prodotti o servizi identici a quelli per cui esso è stato registrato. Altre disposizioni della direttiva, come l'art. 6, definiscono taluni limiti degli effetti del marchio.

15 Al fine di evitare che la tutela concessa al titolare del marchio differisca da uno Stato membro all'altro, spetta alla Corte dare un'interpretazione uniforme dell'art. 5, n. 1, della direttiva, e in particolare della nozione di "uso" ivi contenuta (sentenze 12 novembre 2002, causa C-206/01, Arsenal Football Club, Racc. pag. I-10273, punto 45, e 25 gennaio 2007, causa C-48/05, Adam Opel, Racc. pag. I-00000, punto 17).

16 Come emerge dalla giurisprudenza della Corte (sentenze Arsenal Football Club, cit.; 16 novembre 2004, causa C-245/02, Anheuser-Busch, Racc. pag. I-10989, e Adam Opel, cit.), il titolare di un marchio registrato può vietare l'uso da parte di un terzo di un segno identico al suo marchio, conformemente all'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva, solo in presenza dei seguenti quattro requisiti:

- l'uso deve aver luogo nel commercio;

- deve essere fatto senza il consenso del titolare del marchio;

- deve essere fatto per prodotti o servizi identici a quelli per cui il marchio è stato registrato e

- deve pregiudicare ovvero essere idoneo a pregiudicare le funzioni del marchio, e in particolare la sua funzione essenziale, che consiste nel garantire ai consumatori l'origine dei prodotti o servizi.

17 E' pacifico che, nella causa principale, l'uso del segno identico al marchio di cui trattasi ha luogo nell'ambito di un'attività commerciale diretta ad un vantaggio economico e non nella sfera privata. Di conseguenza, è nel commercio che si fa uso di tale segno (v., analogamente, citate sentenze Arsenal Football Club, punto 40, e Adam Opel, punto 18).

18 E' altresì pacifico che il detto segno è stato usato senza il consenso del titolare del marchio di cui trattasi nella causa principale.

19 La Cé. SARL contesta invece che vi sia stato uso del segno identico al marchio di cui trattasi "per prodotti", ai sensi dell'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva.

20 Dalla struttura dell'art. 5 della direttiva emerge che l'uso di un segno per prodotti o servizi ai sensi dei nn. 1 e 2 di tale articolo è un uso diretto a distinguere i detti prodotti o servizi, mentre il n. 5 dello stesso articolo riguarda, dal canto suo, "l'uso di un segno fatto a fini diversi da quello di contraddistinguere i prodotti o servizi" (sentenza 23 febbraio 1999, causa C-63/97, BMW, Racc. pag. I-905, punto 38).

21 Ora, una denominazione sociale, un nome commerciale o un'insegna non ha, di per sé, la finalità di distinguere prodotti o servizi (v., in tal senso, sentenze 21 novembre 2002, causa C-23/01, Robelco, Racc. pag. I-10913, punto 34, e Anheuser-Busch, cit., punto 64). Infatti, una denominazione sociale è diretta a identificare una società, mentre un nome commerciale o un'insegna ha lo scopo di segnalare un negozio. Di conseguenza, quando l'uso di una denominazione sociale, di un nome commerciale o di un'insegna si limita a identificare una società o a segnalare un negozio, non si può considerare che esso sia fatto "per prodotti o servizi", ai sensi dell'art. 5, n. 1, della direttiva.

22 Vi è invece uso "per prodotti" ai sensi dell'art. 5, n. 1, della direttiva quando un terzo appone il segno che costituisce la sua denominazione sociale, il suo nome commerciale o la sua insegna sui prodotti che immette in commercio (v., in tal senso, citate sentenze Arsenal Football Club, punto 41, e Adam Opel, punto 20).

23 Inoltre, anche in assenza di apposizione, si ha uso "per prodotti o servizi" ai sensi della detta disposizione quando il terzo impiega il detto segno in modo da creare un nesso tra il segno che rappresenta la denominazione sociale, il nome commerciale o l'insegna del terzo e i prodotti commercializzati o i servizi forniti dal terzo.

24 Nella causa principale spetta al giudice del rinvio verificare se l'uso fatto dalla Cé. SARL del segno " Cé." costituisca un uso per i detti prodotti ai sensi dell'art. 5, n. 1, della direttiva.

25 Infine, la Cé. SARL sostiene che non può esservi confusione nel pubblico circa l'origine dei prodotti di cui trattasi.

26 Come rammentato al punto 16 della presente sentenza, l'uso, da parte di un terzo che non vi sia stato autorizzato, di un segno identico ad un marchio registrato per prodotti o servizi identici a quelli per cui tale marchio è stato registrato può essere vietato, conformemente all'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva, solo se pregiudica o è idoneo a pregiudicare le funzioni del detto marchio e in particolare la sua funzione essenziale, che è di garantire ai consumatori l'origine dei prodotti o dei servizi.

27 Ciò si verifica quando il segno è usato dal terzo per i suoi prodotti o servizi in modo che i consumatori possano interpretarlo nel senso che esso designa l'origine dei prodotti o dei servizi di cui trattasi. Infatti, in tal caso, l'uso del detto segno può mettere a rischio la funzione essenziale del marchio, in quanto, affinché il marchio possa svolgere il suo ruolo di elemento essenziale del sistema di concorrenza non falsato che il Trattato CE intende creare e mantenere, esso deve costituire la garanzia che tutti i prodotti o servizi da esso designati sono stati fabbricati o forniti sotto il controllo di un'unica impresa alla quale può essere attribuita la responsabilità della loro qualità (v., in tal senso, sentenza Arsenal Football Club, cit., punto 48 e giurisprudenza ivi citata, nonché punti 56-59).

28 Nella causa principale spetta al giudice del rinvio verificare se l'uso da parte della Cé. SARL del segno " Cé." pregiudichi o possa pregiudicare le funzioni del marchio CÈLINE, e in particolare la sua funzione essenziale.

Sull'interpretazione dell'art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva

29 Secondo una costante giurisprudenza, spetta alla Corte fornire al giudice del rinvio tutti gli elementi di interpretazione rilevanti nell'ambito del diritto comunitario che possano essere utili per la soluzione della causa di cui il detto giudice nazionale è investito, indipendentemente dal fatto che questi vi abbia fatto o meno riferimento nella formulazione delle sue questioni (sentenza Adam Opel, cit., punto 31 e giurisprudenza ivi citata).

30 A tal riguardo occorre rammentare che, ai sensi dell'art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva, il diritto conferito dal marchio non permette al suo titolare di vietare a un terzo l'uso nel commercio del suo nome e del suo indirizzo, purché tale uso sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale.

31 La Corte ha dichiarato che questa disposizione non è limitata ai nomi di persone fisiche (sentenza Anheuser-Busch, cit., punti 77-80).

32 Di conseguenza, nel caso in cui il giudice del rinvio dovesse giungere alla conclusione che la Cé. SA può vietare l'uso del segno " Cé." da parte della Cé. SARL in applicazione dell'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva, e per consentire al detto giudice di risolvere la controversia pendente dinanzi ad esso, occorre accertare se, in una situazione come quella della causa principale, l'art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva osti a che il titolare di un marchio vieti a un terzo di usare un segno identico al suo marchio a titolo di denominazione sociale o di nome commerciale.

33 La Corte ha dichiarato che la condizione di uso "conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale", come enunciata all'art. 6, n. 1, della direttiva, rappresenta in sostanza l'espressione di un obbligo di lealtà nei confronti dei legittimi interessi del titolare di un marchio (sentenza Anheuser-Busch, cit., punto 82).

34 In proposito, occorre far presente che l'osservanza della detta condizione relativa agli usi di lealtà va valutata tenendo conto della misura in cui, da una parte, l'uso del suo nome da parte del terzo viene inteso dal pubblico interessato, o per lo meno da una parte significativa di esso, come sintomatico di un collegamento tra i prodotti o i servizi del terzo e il titolare del marchio o una persona autorizzata ad usare il marchio, nonché, dall'altra, della misura in cui il terzo avrebbe dovuto esserne consapevole. Un ulteriore elemento da considerare nel procedere a tale valutazione è rappresentato dal fatto che si tratta di un marchio che, nello Stato membro in cui è registrato ed in cui è richiesta la sua tutela, gode di una certa notorietà, dalla quale il terzo potrebbe trarre vantaggio per la commercializzazione dei propri prodotti o servizi (sentenza Anheuser-Busch, cit., punto 83).

35 Spetta al giudice del rinvio procedere ad una valutazione globale di tutte le circostanze che rilevano nella causa principale per accertare, più in particolare, se l'attività della Cé. SARL possa essere considerata una concorrenza sleale nei confronti della Cé. SA (v., in tal senso, sentenza Anheuser-Busch, cit., punto 84).

36 Alla luce di tutte le considerazioni che precedono, occorre risolvere la questione proposta dichiarando che l'uso, da parte di un terzo che non vi è stato autorizzato, di una denominazione sociale, di un nome commerciale o di un'insegna identici ad un marchio anteriore nell'ambito di un'attività di commercializzazione di prodotti identici a quelli per cui tale marchio è stato registrato costituisce un uso che il titolare del detto marchio può vietare conformemente all'art. 5, n. 1, lett. a), della direttiva, se si tratta di un uso per prodotti che pregiudica o può pregiudicare le funzioni del marchio.

In tal caso, l'art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva può ostare ad un siffatto divieto solo qualora l'uso da parte del terzo della sua denominazione sociale o del suo nome commerciale sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale.

Sulle spese

37 Nei confronti delle parti nella causa principale il presente procedimento costituisce un incidente sollevato dinanzi al giudice nazionale, cui spetta quindi statuire sulle spese. Le spese sostenute da altri soggetti per presentare osservazioni alla Corte non possono dar luogo a rifusione.

P.Q.M.,

la Corte (Grande Sezione)

dichiara:

L'uso, da parte di un terzo che non vi è stato autorizzato, di una denominazione sociale, di un nome commerciale o di un'insegna identici ad un marchio anteriore nell'ambito di un'attività di commercializzazione di prodotti identici a quelli per cui tale marchio è stato registrato costituisce un uso che il titolare del detto marchio può vietare conformemente all'art. 5, n. 1, lett. a), della prima direttiva del Consiglio 21 dicembre 1988, 89/104/CEE, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri in materia di marchi d'impresa, se si tratta di un uso per prodotti che pregiudica o può pregiudicare le funzioni del marchio. In tal caso, l'art. 6, n. 1, lett. a), della direttiva 89/104 può ostare ad un siffatto divieto solo qualora l'uso da parte del terzo della sua denominazione sociale o del suo nome commerciale sia conforme agli usi consueti di lealtà in campo industriale e commerciale.

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