Studi di settore. Le novità introdotte dal decreto legge n. 81 del 2 luglio 2007 e delle legge finanziaria per il 2008

CIRCOLARE Ministeriale N. 5/E del 23 gennaio 2008

La circolare delinea la posizione dell'Ammistrazione Finanziaria in merito allo strumento accertativo rappresentato dagli studi di settore anche alla luce del recente orientamento della giurisprudenza di merito e di legittimità

1) CIRCOLARE N. 5  del 23 gennaio 2008

Direzione centrale accertamento

Oggetto: Studi di settore. Le novità introdotte dal decreto legge n. 81 del 2 luglio 2007 e

dalla legge finanziaria per il 2008.

1. Premessa

Il decreto legge n. 81 del 2 luglio 2007, convertito con modificazioni nella legge n.

127 del 3 agosto 2007 (di seguito “decreto legge n. 81 del 2007”) e la legge n. 244 del 24

dicembre 2007 (di seguito “legge finanziaria per il 2008”), hanno introdotto alcune

modifiche alla disciplina degli studi di settore, previsti dall’articolo 62-bis del decreto legge

30 agosto 1993, n. 331, convertito con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427. In

particolare, le modifiche hanno riguardato le modalità di utilizzo, in fase di accertamento,

delle risultanze derivanti dall’applicazione degli indicatori di normalità economica di cui al

comma 14 della legge n. 296 del 27 dicembre 2006, n. 296 (di seguito “legge finanziaria per

il 2007”).

Con la presente circolare vengono forniti chiarimenti sull’innovato impianto

normativo e sui riflessi che esso determina sull’attività di accertamento derivante

dall’applicazione degli studi di settore. Con l’occasione, vengono inoltre fornite alcune

indicazioni sulle modalità da seguire nell’attività di accertamento basata sulle risultanze

degli studi di settore.

2. Le modifiche introdotte con il decreto legge n. 81 del 2007 e con la legge finanziaria

per il 2008.

L’articolo 15, comma 3-bis, del decreto legge n. 81 del 2007, così come modificato

dalla legge di conversione n. 127 del 3 agosto 2007, ha introdotto nell’articolo 1 della legge

finanziaria per il 2007 due nuovi commi:

a) il comma 14-bis, il quale stabilisce che “gli indicatori di normalità economica

di cui al comma 14, approvati con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze,

hanno natura sperimentale e i maggiori ricavi, compensi o corrispettivi da essi desumibili

costituiscono presunzioni semplici.”;

b) il comma 14-ter, ove è precisato che “i contribuenti che dichiarano un

ammontare di ricavi o compensi inferiori a quelli desumibili dagli indicatori di normalità

economica di cui al comma 14-bis non sono soggetti ad accertamenti automatici e, in caso

di accertamento, spetta all’ufficio accertatore motivare e fornire elementi di prova per gli

scostamenti riscontrati.”.

L’art. 1, comma 252, della successiva legge finanziaria per il 2008, a propria volta,

ha aggiunto all’articolo 1, comma 14, della legge finanziaria per il 2007, dopo il primo

periodo, i seguenti: “Ai fini dell'accertamento l'Agenzia delle entrate ha l'onere di motivare

e fornire elementi di prova per avvalorare l'attribuzione dei maggiori ricavi o compensi

derivanti dall'applicazione degli indicatori di normalità economica di cui al presente

comma, approvati con il decreto del Ministro dell'economia e delle finanze 20 marzo 2007,

pubblicato nel supplemento ordinario alla Gazzetta Ufficiale n. 76 del 31 marzo 2006, e

successive modificazioni, fino all'entrata in vigore dei nuovi studi di settore varati secondo

le procedure, anche di concertazione con le categorie, della disciplina richiamata dal

presente comma. In ogni caso i contribuenti che dichiarano ricavi o compensi inferiori a

quelli previsti dagli indicatori di cui al presente comma non sono soggetti ad accertamenti

automatici.”.

Mettendo a fattor comune le due innovazioni normative, di contenuto

sostanzialmente analogo, può desumersi quanto segue.

Alla stima dei maggiori ricavi o compensi derivanti dall’applicazione degli indicatori

di normalità economica di cui al comma 14 della legge finanziaria per il 2007 ed approvati

con il D.M. del 20 marzo 2007 non viene riconosciuta una piena capacità di rappresentare

adeguatamente l’effettiva situazione produttiva del contribuente. Per questo motivo, la stima

in questione può essere utilizzata, in sede di accertamento, con modalità da considerare

“sperimentali”. I maggiori ricavi o compensi da essi desumibili costituiscono una

“presunzione semplice”, che assume valore probatorio ed efficacia persuasiva in giudizio in

quanto dotata dei requisiti della gravità, precisione e concordanza.

Per natura, dunque, non si tratta di una presunzione qualitativamente diversa da

quella che, come si dirà nei successivi paragrafi, caratterizza l’utilizzo degli studi di settore.

Mentre, nell’accertamento effettuato in base a questi ultimi, l’onere di fornire ulteriore

materiale probatorio, in capo all’Ufficio, non è predefinito, nel senso che esso dipende

dall’apporto di elementi particolari (sui quali v. infra) da parte del contribuente in sede di

contraddittorio – che come noto va obbligatoriamente tentato -, in caso di applicazione degli

indicatori l’Ufficio comunque deve accompagnare questi ultimi con ulteriori elementi, a

prescindere dall’atteggiamento che il soggetto sottoposto a controllo terrà in sede di

contraddittorio.

La stima effettuata mediante gli indicatori di normalità economica in parola non

legittima, pertanto, l’emissione di atti di accertamento “automatici”, esclusivamente basati

sulla stima medesima (come intende evidentemente chiarire il nuovo comma 14-ter e come

ribadito dalle integrazioni apportate al comma 14). Ma, come si dirà di seguito e come è già

stato chiarito nelle precedenti circolari in materia, l’uso automatico non è consentito

neppure per l’accertamento che impiega gli studi, dato che il suo contenuto dipende

dall’esito, imprevedibile a priori, del contraddittorio. Quest’ultima conclusione vale,

peraltro, anche con riferimento agli studi in evoluzione e, in particolare, agli indicatori

previsti dal comma 13 della legge finanziaria per il 2007.

3. La valutazione delle risultanze derivanti dall’applicazione degli studi di settore e la

centralità del contraddittorio.

Fermo restando quanto già affermato nelle precedenti circolari in ordine alla valenza

probatoria degli studi di settore (vedi, in particolare, la circolare n. 58 del 2002), le descritte

innovazioni normative, seppure riferite all’utilizzo degli indicatori di normalità economica

di cui al comma 14 della legge finanziaria del 2007, impongono una ulteriore riflessione, di

carattere generale, sull’utilizzo degli studi di settore in sede di accertamento secondo il

disposto dell’art 62-sexies, comma 3, del decreto legge n. 331 del 1993.

Quest’ultima disposizione si riferisce, come noto, alla modalità dell’accertamento

analitico-presuntivo, nei confronti degli esercenti imprese, arti o professioni, prevista

dall’art. 39, primo comma, lettera d), del D.P.R. n. 600 del 1973, e dall’art. 54 del D.P.R. n.

633 del 1972, e basata su presunzioni semplici, purché qualificate dai requisiti della gravità,

precisione e concordanza. Con riguardo alla predetta modalità accertativa, la stessa

disposizione stabilisce che la stessa può anche basarsi “sull’esistenza di gravi incongruenze

tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili ………

dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’articolo 62-bis”.

L’espressione “fondatamente desumibili” rappresenta il cardine sul quale ruota il

corretto utilizzo delle stime operate dagli studi di settore nell’ambito dell’accertamento

analitico-presuntivo. Essa sta chiaramente a significare che le dette stime in tanto sono

utilizzabili in quanto da esse sia “fondatamente desumibile” l’ammontare dei ricavi,

compensi e corrispettivi effettivamente conseguiti nel periodo d’imposta considerato.

Ciò vale ad escludere, innanzitutto, che l’utilizzo possa avvenire in modo

indiscriminato (o “automatico”), non solo con riguardo alle stime operate tenendo conto

degli indicatori di normalità economica di cui al comma 14 della legge finanziaria del 2007

(come espressamente impongono le nuove norme citate al par. 1), ma anche per quelle

effettuate senza il contributo degli indicatori medesimi.

È infatti evidente l’intento di attribuire alle stime in parola la qualità di presunzione

semplice, qualificata dai requisiti più volte ricordati, solo qualora le stesse siano

“fondatamente” idonee allo scopo che si propongono, il quale consiste nel desumere da fatti

noti, quello ignoto che si intende dimostrare.

Nel caso di specie, il fatto ignoto coincide con il quantum dei ricavi, compensi e

corrispettivi effettivamente conseguiti da parte del singolo contribuente oggetto di controllo.

I fatti noti sono invece rappresentati dai dati strutturali e contabili, ivi compresi i ricavi,

compensi e corrispettivi, dichiarati da un campione significativo di contribuenti che

presentano forti analogie con quello controllato, selezionato in base al criterio della

“normalità economica” (desunta dall’analisi dei dati dichiarati e dall’applicazione di

specifici indicatori economico-contabili in funzione di filtro selettivo).

Risulta quindi evidente che la fondatezza della stima dipende sostanzialmente dalle

seguenti circostanze:

- capacità del campione di rappresentare in modo adeguato le situazioni di “normalità

economica” di una determinata realtà produttiva, ove per tale è da intendere quella

espressa dai “gruppi omogenei” (cluster) individuati dagli studi di settore;

- effettiva coincidenza della situazione del singolo contribuente, oltre che con quella

propria della detta realtà produttiva, anche (e soprattutto) con quella di “normalità

economica” presa base per la individuazione del campione rappresentativo.

La prima circostanza trova in genere adeguata dimostrazione nel percorso

metodologico seguito nella elaborazione degli studi di settore, sinteticamente descritto nelle

note tecniche allegate ai decreti di approvazione.

La seconda circostanza deve invece essere di volta in volta appurata valutando

attentamente le caratteristiche del singolo contribuente, onde stabilire se la sua situazione

produttiva coincida effettivamente con quella del gruppo o dei gruppi omogenei in cui viene

classificata e non presenti caratteristiche tali da poterla considerare “non normale” dal punto

di vista economico, tenendo conto del concetto di “normalità” assunto dallo studio di settore

che si intende applicare.

In casi particolari, le menzionate circostanze (e in specie la seconda) potrebbero

rivelarsi non pienamente sussistenti, determinando di conseguenza la inidoneità dello studio

a cogliere l’effettiva situazione produttiva del contribuente con una bassa probabilità di

errore (quale quella già prevista da ciascuno studio e rappresentata dal c.d. “intervallo di

confidenza”).

La valutazione di affidabilità dello studio nel caso concreto deve essere effettuata

nell’ambito del contraddittorio instaurato con il contribuente, dopo l’avvio della procedura

di accertamento con adesione, sulla base anche degli elementi forniti, idonei ad incidere

sulla fondatezza della presunzione, nei termini innanzi precisati.

I suddetti chiarimenti trovano peraltro corrispondenza nelle indicazioni già espresse

nelle recenti circolari n. 31 del 22 maggio 2007 e n. 38 del 12 giugno 2007.

La inesistenza della possibilità di effettuare accertamenti “automatici”, basati sugli

studi di settore, veniva infatti chiaramente esclusa dalla prima circolare, laddove

evidenziava che gli accertamenti medesimi “…devono essere sempre calibrati tenendo in

debito conto tutti gli elementi offerti dal contribuente per dimostrare che i ricavi o compensi

presunti non sono stati effettivamente conseguiti…….”. Analoga indicazione veniva fornita

nella seconda circolare, con la precisazione che l’azione di controllo deve essere sempre

ispirata a “…criteri di ragionevolezza tali da evitare la penalizzazione di contribuenti per i

quali il meccanismo presuntivo potrebbe risultare non idoneo a cogliere le effettive

condizioni di esercizio dell’attività, soprattutto nel caso in cui evidenzi scostamenti rilevanti

rispetto al dichiarato….”.

Ad ulteriore chiarimento di quest’ultimo assunto si precisa, peraltro, che nei casi in

cui lo scostamento del valore dei ricavi, compensi e corrispettivi dichiarati sia

particolarmente elevato, sia in termini assoluti che in termini percentuali, l’Ufficio è sempre

tenuto a verificare, anche nel contraddittorio con il contribuente, l’eventuale esistenza di

cause che abbiano influito negativamente sul normale svolgimento dell’attività,

indipendentemente dal fatto che si tratti o meno di situazioni coincidenti con quelle già

contemplate dalla prassi amministrativa, così come la corretta attribuzione al “cluster” di

riferimento dell’attività effettivamente esercitata.

Quest’ultima precisazione, tanto con riguardo alle cause di carattere negativo che alla

esattezza dell’attribuzione al “cluster”, vale comunque, in casi particolari, per qualsiasi altro

tipo di scostamento significativo, mentre per gli scostamenti di scarsa rilevanza restano

confermate le indicazioni fornite con la citata circolare n. 31, le quali, muovendo dalla

constatazione che i detti scostamenti potrebbero rivelarsi inidonei ad integrare le “gravi

incongruenze” di cui parla il più volte citato art. 62-sexies, giungevano ad affermare che gli

scostamenti medesimi vanno considerati “come elementi da utilizzare unitamente ad altri

elementi disponibili o acquisibili con gli ordinari poteri istruttori”. A tal proposito, va

ulteriormente evidenziato che per scostamenti di “lieve entità”, non devono necessariamente

intendersi solo quelli che si collocano all’interno del c.d. “intervallo di confidenza”, potendo

rientrare in tale ipotesi anche gli scostamenti inferiori al ricavo minimo di riferimento.

Pertanto, la motivazione degli atti di accertamento basati sugli studi di settore non

deve essere di regola rappresentata dal mero, “automatico” rinvio alle risultanze degli studi

di settore, ma deve dare conto in modo esplicito delle valutazioni che, a seguito del

contraddittorio con il contribuente, hanno condotto l’Ufficio a ritenere fondatamente

attribuibili i maggiori ricavi o compensi determinati anche tenendo conto degli indicatori di

normalità.

Nel caso di accertamento con adesione del contribuente, il suddetto adempimento

può ritenersi assolto mediante il riconoscimento, da parte del contribuente, della predetta

fondatezza.

Fuori dalla suddetta ipotesi, l’Ufficio dovrà sempre enucleare gli esiti delle

valutazioni effettuate, con particolare riguardo ai seguenti tre profili:

• assenza di elementi oggettivi che inducano a ritenere inadeguato il percorso tecnicometodologico

seguito dallo studio per giungere alla stima;

• correttezza della imputazione al “cluster” di riferimento;

• mancanza di cause particolari che abbiano potuto influire negativamente sul normale

svolgimento dell’attività, collocandolo al di sotto del livello determinato dallo studio,

anche con il contributo degli indicatori di normalità.

Qualora il contribuente abbia formulato eccezioni, con riguardo ad uno o più dei

predetti profili, la motivazione dovrà ovviamente spiegare le ragioni che hanno indotto a

ritenere infondate, in tutto o in parte, le argomentazioni addotte.

In caso di mancata partecipazione al contraddittorio, invece, la valutazione della

affidabilità delle risultanze dello studio sarà svolta direttamente dall’Ufficio sulla base degli

elementi in proprio possesso.

4. Il posizionamento dei contribuenti soggetti agli studi settore che si collocano

all’interno dell’intervallo di confidenza.

In più occasioni è stato posto il problema di come occorra considerare la posizione

del contribuente “non congruo”, che dichiara ricavi o compensi compresi all’interno del c.d.

“intervallo di confidenza” segnalato dal software GERICO.

Nelle circolari n. 110/E del 21 maggio 1999 e n. 148/E del 5 luglio 1999,

l’Amministrazione finanziaria aveva già precisato che i valori di adeguamento alle

risultanze degli studi di settore dovevano effettuarsi “….tenendo conto del valore che nella

applicazione GERICO viene indicato quale ricavo di riferimento puntuale…”

Nelle stesse circolari risultava altresì evidenziato che l’adeguamento del ricavo

all'interno del c.d. “intervallo di confidenza”, è comunque da ritenersi un ricavo o compenso

"possibile", ferma restando la facoltà dell’Ufficio di chiedere al contribuente di giustificare

per quali motivi avesse ritenuto di adeguarsi ad un livello di ricavi o compenso inferiore a

quello di riferimento puntuale.

Nella circolare n. 110/E del 1999 veniva peraltro chiarito che l’intervallo di

confidenza viene “..ottenuto come media degli intervalli di confidenza al livello del 99,99%

per ogni gruppo omogeneo ponderata con le relative probabilità di appartenenza”.

I citati contribuenti che si collocano “naturalmente” all’interno del c.d. “intervallo di

confidenza”, devono, tenuto conto delle predette probabilità, considerarsi generalmente in

linea con le risultanze degli studi di settore, in quanto si ritiene che i valori rientranti

all’interno del predetto “intervallo” hanno un’elevata probabilità statistica di costituire il

ricavo/compenso fondatamente attribuibile ad un soggetto esercente un’attività avente le

caratteristiche previste dallo studio di settore.

Pertanto, tenendo conto che lo strumento presuntivo degli studi di settore deve essere

sempre utilizzato verificando in concreto la possibilità degli stessi di rappresentare

correttamente la capacità del contribuente di produrre ricavi o compensi, al fine del

raggiungimento di tale primario obiettivo, l’attività di accertamento sulla base degli studi di

settore deve essere prioritariamente rivolta nei confronti di quei contribuenti “non congrui”

che, sulla base delle risultanze della contabilità, hanno dichiarato un ammontare di ricavi o

compensi inferiori al ricavo o compenso minimo di riferimento derivante dall’applicazione

delle risultanze degli studi di settore.

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