Il giudice di merito può a buon diritto reputare illegittimo l'avviso di accertamento che non tenga conto degli ulteriori elementi, rispetto agli studi di settore, addotti dal contribuente

Massima - Il consumo di carburante costituisce un fatto certo e noto da cui è legittimo dedurre, per presunzione, con accertamento analitico-sintetico, l'esistenza di un proporzionale giro d'affari secondo parametri medi elaborati dalla Amministrazione; tuttavia, il giudice di merito deve tener conto delle spiegazioni addotte dal contribuente (nel caso di specie vetustà dei veicoli utilizzati e incidenza dei viaggi a vuoto . Pertanto il guidice di merito può a buon diritto reputare illegittimo per carenza di motivazione l'avviso di accertamento che non tenga conto dei prefati elementi

Sent. n. 10277 del 21 aprile 2008 (ud. del 13 febbraio 2008) della Corte Cass., Sez. tributaria - Pres. Papa, Rel. Marigliano



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Sent. n. 10277 del 21 aprile 2008 (ud. del 13 febbraio 2008)

della Corte Cass., Sez. tributaria - Pres. Papa, Rel. Marigliano

Processo tributario – Prova - Prova per presunzioni – Consumo di  carburante

- Costituisce indizio Preciso e grave

    Massima - Il consumo di carburante costituisce un fatto certo e noto  da

cui   è   legittimo   dedurre,    per    presunzione,    con    accertamento

analitico-sintetico, l’esistenza di un proporzionale giro  d’affari  secondo

parametri medi elaborati dalla  Amministrazione;  tuttavia,  il  giudice  di

merito deve tener conto delle spiegazioni addotte dal contribuente (nel caso

di specie vetustà dei veicoli utilizzati e incidenza  dei  viaggi  a  vuoto)

(1).


    Fatto - A seguito di verifica della Guardia di finanza di  Castellammare

di Stabia  presso  la  ditta  L.R.  con  la  quale  era  stata  appurata  la

maggiorazione di una fattura per l’acquisto di pneumatici, l’Ufficio  II.DD.

di quella città notificava a D.P., autotrasportatore  per  conto  terzi,  un

avviso di accertamento con il  quale  veniva  elevato  nei  confronti  dello

stesso il reddito  dichiarato  per  l’anno  1991  da  L.  23.418.000,  a  L.

127.072.000,  contestandogli  di  non   avere   risposto   al   questionario

inviatogli,  attribuendogli  maggiori  ricavi  sulla  base  del  consumo  di

carburante  e  della  sua  incidenza  sui  profitti  di  esercizio  e  costi

indeducibili. Veniva, quindi, richiesta una maggiore imposta  I.R.Pe.F.  per

L. 39.477.000 con l’applicazione delle conseguenti sanzioni.

    Il contribuente adiva la C.T.P. di Napoli, eccependo la  violazione  del

D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e, nel merito,  che  la

ricostruzione dei ricavi non aveva tenuto conto dei viaggi a vuoto e  che  i

ricavi  erano  quelli  fatturati   ai   committenti;   chiedeva,   pertanto,

l’annullamento dell’avviso di accertamento o, in subordine,  la  limitazione

della rettifica ai soli costi indeducibili  con  le  sanzioni  per  la  sola

infedele dichiarazione.

    La  C.T.P.  rigettava  il  ricorso.  Appellava  D.P.,   denunciando   la

violazione del D.P.R.  n.  600  del  1973,  art.  39,  per  avere  l’Ufficio

rettificato il suo reddito d’impresa, applicando il comma 1, e non  il  2  e

contestando, nel merito, l’incidenza del costo del carburante non  calcolato

nella misura del 40%.

    La  C.T.R.  della  Campania  accoglieva  il  gravame  e,  pur  ritenendo

irrilevante la mancata risposta al questionario e  legittima  l’applicazione

dell’art. 39, comma 2, alla luce della  fattura  maggiorata,  sosteneva  che

l’utilizzo delle medie o dei ricavi di settore andavano  integrati  da  dati

certi e significativi, mentre, nella specie, l’Ufficio  basandosi  sul  solo

consumo del carburante aveva fatto applicazione illegittimamente  del  comma

1,  anche  perché  non  era  stato  espresso  l’iter  logico   seguito   per

quantificare l’incidenza della spesa  per  il  consumo  del  carburante  sui

ricavi nella misura del 30%. Conseguentemente accoglieva l’appello proposto,

confermando la rettifica limitatamente al recupero dei costi indeducibili.

    Avverso detta decisione il Ministero dell’economia  e  delle  finanze  e

l’Agenzia delle entrate propongono ricorso per cassazione sulla base di  due

motivi. Resiste con controricorso il contribuente.

    Diritto - Con il primo motivo si lamenta la violazione dell’art. 112 per

extrapetizione e art. 99 c.p.c., per  avere  la  C.T.R.  annullato  l’intera

ricostruzione dei ricavi, pronunciandosi  su  questione  non  affrontata  in

primo grado, né sollevata in appello, avendo il contribuente con il  ricorso

di primo grado richiesto solo la riduzione dei ricavi in nero da  calcolarsi

applicando la percentuale di incidenza dei costi al  40%,  ritenendo  errata

quella del 30% avanzata dall’Ufficio e tenendo conto dei viaggi a vuoto.

    Con la seconda censura si denuncia la violazione del D.P.R. n.  600  del

1973, art. 39, comma 1, lett. d), e dell’art. 2727 e ss., e art. 2697 e ss.,

nonché omessa o comunque  insufficiente  motivazione  per  avere  la  C.T.R.

ritenuto che la percentuale di incidenza dei costi vigente nel settore fosse

inidonea a costituire presunzione fornita dei requisiti di legge, mentre  le

medie di settore possono essere sempre applicate in presenza di irregolarità

contabili e quando la difformità tra  queste  e  la  percentuale  dichiarata

raggiunga livelli  di  abnormità  e  irragionevolezza  tali  da  privare  le

risultanze contabili di ogni attendibilità. Nella  specie,  sostiene  l’A.F.

tale abnormità è sussistente, dato  che  il  contribuente  aveva  dichiarato

un’incidenza di  costi  del  62,58%  oltre  il  doppio  di  quella  invocata

dall’Ufficio e corrispondente agli studi  di  settore,  né  la  parte  aveva

fornito in merito adeguata prova contraria.

    Il primo motivo è infondato.

    Dall’esame degli atti dei gradi pregressi, permesso a  questa  Corte  di

legittimità trattandosi di denuncia di error in procedendo, risulta che  sin

dal ricorso introduttivo il contribuente aveva chiesto l’annullamento  della

rettifica  per  difetto  di  motivazione,  contestando  i  ricavi  accertati

dall’Ufficio in via presuntiva sulla base della  sola  affermazione  che  il

costo del carburante incidesse nella misura del 30%, senza tenere  in  alcun

conto dei viaggi a vuoto, della suscettibilità  di  maggior  consumo  per  i

veicoli di vecchia generazione ed obliterando il fatto che l’art. 39,  comma

1, lett. d),  consente  l’applicazione  delle  presunzioni  solo  se  gravi,

precise e concordanti e cioè basate su un fatto noto.  Conseguentemente  non

sussiste il vizio di extrapetizione.

    La seconda censura è, invece,  da  ritenersi  fondata,  con  particolare

riguardo all’insufficiente motivazione. La C.T.R. ha ritenuto irrilevante la

mancata  risposta  al  questionario  ed  ha  anche  dubitato  sulla  mancata

esibizione  della  documentazione  contabile  affermando  che,  in  sede  di

ispezione della Guardia di finanza, il contribuente  aveva  fornito  sia  la

documentazione contabile che le fatture in originale,  o  mettendo  solo  la

consegna del questionario; tuttavia, pur ritenendo legittimo il  ricorso  da

parte dell’Ufficio all’applicazione del D.P.R. n. 600  del  1973,  art.  39,

comma 2, ha contestato lo stesso procedimento di quantificazione del reddito

in via induttiva sulla base del solo consumo del carburante.

    Tale motivazione non  solo  appare  del  tutto  insufficiente  ma  anche

incongrua  e  contraddittoria  per  avere  affermato,  da  una   parte,   la

legittimità  dell’applicazione  dell’art.   39,   comma   2,   che   prevede

l’accertamento induttivo in presenza  di  gravi  irregolarità  ed  omissioni

nella tenuta delle scritture contabili e, dall’altra, contestato l’esistenza

di tali irregolarità e di risultati raggiunti con tale metodo.

    Questa  Corte  ha  recentemente  affermato,  sulla  scia  di   pregressa

giurisprudenza, che: "In tema di rettifica delle dichiarazioni  dei  redditi

d’impresa, mentre in presenza di irregolarità della contabilità meno  gravi,

contemplate dal D.P.R.  29  settembre  1973,  n.  600,  art.  39,  comma  1,

l’amministrazione può  procedere  a  rettifica  analitica,  utilizzando  gli

stessi  dati  forniti  dal  contribuente,  ovvero  dimostrando,  anche   per

presunzioni,  purché  munite  dei  requisiti  di  cui  all’art.  2729  c.c.,

l’inesattezza o incompletezza delle scritture medesime, allorquando, invece,

constati  un’  inattendibilità  globale   delle   scritture,   l’ufficio   è

autorizzato, ai sensi del successivo secondo comma, a prescindere da esse ed

a procedere in via induttiva, avvalendosi anche di semplici indizi  sforniti

dei requisiti necessari per costituire prova presuntiva. La circostanza  che

le irregolarità contabili siano così gravi e  numerose  da  giustificare  un

giudizio di complessiva inattendibilità delle stesse rende, dunque,  di  per

sé sola legittima l’adozione del metodo induttivo, senza che sui presupposti

per il  ricorso  ad  esso  incidano  le  modalità  con  cui  tale  forma  di

accertamento viene poi eseguita:  l’amministrazione  può  quindi  utilizzare

elementi esterni rispetto alle scritture, ma anche dati da queste emergenti,

nella misura in cui  risultino  singolarmente  affidabili.  L’esistenza  dei

presupposti per l’applicazione del metodo induttivo  non  esclude,  infatti,

che l’amministrazione possa servirsi, nel corso del medesimo accertamento  e

per determinate operazioni, del metodo analitico di cui all’art.  39,  comma

1, oppure contemporaneamente di entrambe le metodologie “(cass.  civ.  sent.

n. 27068 del 2006), per cui sulla base di tale principio deve ritenersi  del

tutto legittimo un accertamento eseguito utilizzando  ambedue  i  metodi  di

rettifica purché sussistano  le  relative  condizioni  previste  per  legge"

(cass. civ. sent. n. 27068 del 2006).

    Nella specie, invece, non appare chiaro dalla motivazione della sentenza

se effettivamente la contabilità del contribuente fosse tale da giustificare

l’applicazione del citato D.P.R. art. 39, comma 2, o se l’unica irregolarità

riscontrata, come sembra dedurre la C.T.R. fosse costituita dalla fattura di

acquisto dei pneumatici illegittimamente maggiorata o, come sostiene l’A.F.,

dalla difformità della percentuale di incidenza del consumo  di  carburante.

Peraltro, in caso di contabilità  regolarmente  tenuta,  l’accertamento  dei

maggiori ricavi d’impresa può  essere  affidato  alla  considerazione  della

difformità della percentuale di ricarico applicata dal contribuente rispetto

a quella mediamente riscontrata nel settore di appartenenza soltanto se essa

raggiunga livelli di abnormità ed irragionevolezza tali da privare, appunto,

la documentazione contabile di ogni  attendibilità.  Diversamente,  siffatta

difformità rimane sul piano del mero  indizio,  ove  si  consideri  che  gli

indici elaborati per un determinato  settore  merceologico,  pur  basati  su

criteri statistici, non integrano un fatto noto e certo e non  sono  idonei,

da  soli,  ad  integrare  una   prova   per   presunzioni,   come   sostiene

l’Amministrazione ricorrente,  ma  costituiscono  presunzioni  semplici  che

devono essere assistite dai requisiti di cui all’art. 2729 c.c.,  ed  essere

desunte da dati di comune esperienza ed esplicitate attraverso  un  adeguato

ragionamento, tenuto anche conto delle reali circostanze  di  fatto;  né  le

dichiarazioni del contribuente (maggior consumo di carburante per veicoli di

vecchia costruzione e computo anche  del  consumo  per  i  viaggi  a  vuoto)

possono essere a priori del tutto disattese, salvo  il  caso  di  divergenze

assolutamente  abnormi  o  di  risultati  palesemente  antieconomici  o   in

contrasto con il senso comune.(cfr., cass. civ. sent., 15534 del

2002 e 5870 del 2003).

    Tutto ciò premesso, la Corte, dichiarata assorbita ogni  altra  censura,

accoglie il secondo motivo di ricorso  e,  cassata  la  sentenza  impugnata,

rinvia la causa ad altra sezione della C.T.R. della Campania, per  un  nuovo

esame, alla luce dei principi sopraesposti e perché accerti se sussistano  o

meno le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973,  art.  39,

comma 2. La stessa C.T.R. provvederà anche al governo delle spese di  questa

fase di legittimità.

    P.Q.M. - La Corte accoglie il ricorso, cassa  la  sentenza  impugnata  e

rinvia la causa, anche per le spese, ad altra  sezione  della  C.T.R.  della

Campania.

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