Illegittimità del D.P.C.M. del 29/01/1996, istitutivo dei "parametri"

Il D.P.C.M. del 29/01/1996, istitutivo dei "parametri", presentando i caratteri della generalita', astrattezza, ripetibilita' di applicazione nel tempo e innovativita' dell'ordinamento giuridico, ha struttura di regolamento. Come tale e' da dichiararsi,incidenter tantum, illegittimo per non avere seguito il procedimento di formazione previsto per tali atti dall'art. 17 della Legge n. 23/08/1988, n.400 ( ivi compreso il previo parere obbligatorio del Consiglio di Stato ) e da disapplicarsi ex art.7, comma 5 del D.Lgs.n.546/1992, con conseguente annullamento degli atti impugnati.

Comm.Trib. Reg. Puglia - Sezione I sentenza del 27.09.2005 n. 42



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Comm.Trib. Reg. Puglia - Sezione I 
sentenza del 27.09.2005 n. 42 
Intitolazione:
Accertamento  imposte   sui   redditi   -   Analitico   -   Induttivo   -
Accertamento  fondato  sui   "parametri"  -   Natura  regolamentare   del
decreto  di istituzione  del 29/01/1996  -  Sussiste  - Preventivo parere
obbligatorio   del  Consiglio  di  Stato  per     la     validita'    del
regolamento    -   Mancanza    -   Nullita' dell'accertamento - Sussiste.
Massima:
Il D.P.C.M.   del   29/01/1996,  istitutivo  dei  "parametri",  presentando  i
caratteri della  generalita',  astrattezza,  ripetibilita' di applicazione nel
tempo e    innovativita'   dell'ordinamento   giuridico,   ha   struttura   di
regolamento. Come  tale  e'  da dichiararsi,incidenter tantum, illegittimo per
non avere  seguito  il  procedimento  di  formazione  previsto  per  tali atti
dall'art. 17  della  Legge  n.  23/08/1988,  n.400  (  ivi  compreso il previo
parere obbligatorio  del  Consiglio  di  Stato  ) e da disapplicarsi ex art.7,
comma 5   del   D.Lgs.n.546/1992,  con  conseguente  annullamento  degli  atti
impugnati.                                                                    
Testo:
                          SVOLGIMENTO DEL PROCESSO                            
In data  17/11/2001  l'Agenzia  delle  Entrate  Ufficio di Bari 1 notificava a
C.G., esercente  l'attivita'  di  avvocato,  avviso  di  accertamento relativo
all'anno d'imposta  1996  avente ad oggetto il maggior reddito ai fini IRPEF e
CSSN di  L  53.653.000  a  fronte  di  quello  dichiarato  di L 24.143.000, il
maggior reddito  ai  fini  del  Contributo  Straordinario  per  l'Europa  di L
44.942.000 a  fronte  di quello dichiarato di L 15.432.000 e il maggior volume
d'affari ai  fini  IVA  di  L  77.560.000  a  fronte di quello dichiarato di L
48.050.000.                                                                   
L'accertamento dei  suddetti  valori  derivava dall'applicazione dei parametri
previsti dalle  norme  contenute  nei  commi  da  181  a 189 dell'art. 3 della
Legge 28/12/1995  n.  549,  parametri  poi  fissati dal D.P.C.M. 29/1/96, come
modificato dal D.P.C.M. 27/3/97.                                              
Nell'avviso di   accertamento   l'Ufficio  evidenziava  che  il  contribuente,
sebbene intervenuto  al  contraddittorio,  non  aveva  ritenuto di definire la
sua posizione  reddituale  con  l'atto  di  adesione  previsto dall'art. 5 del
D.Lgs. n.   218/97,  ma  si  era  limitato  a  presentare  una  "memoria",  ne
corredata da   documenti   ne   contenente   fatti   o  circostanze  idonee  a
giustificare lo   scostamento   dei  compensi  dichiarati  rispetto  a  quelli
determinati con  applicazione  dei  parametri  di  cui  al  D.P.C.M.  29/1/96.
Questi, dunque,  configuravano  secondo l'Ufficio presunzioni gravi, precise e
concordanti anche   in  considerazione  della  rinomanza  e  notorieta'  dello
studio di   consulenza  fiscale  e  societaria  del  contribuente,  della  sua
ubicazione in  una  via  centrale  della  citta', della frequenza con cui egli
svolgeva la  sua  attivita' anche presso l'Ufficio accertatore e del rilevante
valore dei beni strumentali impiegati (L 32.545.000).                         
Avverso l'avviso  di  accertamento  il  contribuente  presentava  ricorso alla
Commissione Tributaria di Bari.                                               
Egli eccepiva  la  violazione  dell'art.  7  comma  1  Legge  27/7/2000 n. 212
poiche' l'atto   era   carente  dei  presupposti  di  fatto  e  delle  ragioni
giuridiche che avevano determinato l'azione dell'Ufficio.                     
L'avviso di  accertamento  doveva,  infatti, considerarsi un atto arbitrario e
illegittimo poiche'  non  aveva  fornito  alcuna  spiegazione  del  rigetto di
quanto da   lui   argomentato   nelle   "memorie"   presentate   in   sede  di
contraddittorio, cioe'    l'attivita'    svolta    fin    dall'inizio   (1990)
prevalentemente come   rapporto   di   collaborazione,   piu'  che  di  lavoro
autonomo, nei   confronti   del   cliente   Studio   di  Consulenza  Legale  e
Tributaria, la  mancanza  di  collaboratori  o  di  personale  dipendente,  il
possesso come  unico  bene  strumentale di un'autovettura, peraltro acquistata
a rate,  la  riscossione  dei  compensi  professionali  solo dopo diversi anni
dall'inizio dei giudizi.                                                      
Il contribuente  eccepiva,  inoltre,  la  violazione  degli  articoli  38 e 42
D.P.R. n.  600/73  in quanto alle risultanze dei parametri non e' attribuibile
valenza probatoria  ma  soltanto  natura  di  presunzioni  semplici e non gia'
legali. Pertanto,  sosteneva  il  contribuente,  e'  pur sempre necessario che
l'Ufficio indichi  il  nesso  logico  intercorrente tra il fatto noto e quello
ignoto al  fine  di  dimostrare  eventuali  incongruenze  ed  asimmetrie  e di
consentire al  contribuente  l'esercizio  del  diritto di difesa. In mancanza,
dunque di  una  completa conoscenza del processo di stima che ha determinato i
maggiori compensi   e'   impossibile   la  produzione  della  prova  contraria
all'accertamento fondato   sui   parametri,   onde   tale   accertamento  deve
ritenersi nullo ai sensi dell'art. 42 comma 3 citato.                         
Il contribuente  eccepiva,  poi,  la  violazione dell'art. 39 comma 1 lett. d)
D.P.R. n.   600/73   in   quanto  l'avviso  di  accertamento  era  fondato  su
presunzioni semplici  quali  sono  quelle  basate su elaborazioni parametriche
mentre le  presunzioni  da porre a base di un accertamento analitico-induttivo
devono essere gravi, precise e concordanti.                                   
Infine, il  contribuente  eccepiva  la  violazione dell'art. 17 della Legge n.
400 del  1988  per  carenza  del  preventivo  parere  del Consiglio di Stato a
fronte dell'emanazione del D.P.C.M. 29/1/96 istitutivo dei parametri.         
Quindi il  contribuente  chiedeva  l'annullamento  dell'avviso di accertamento
impugnato e la condanna dell'Ufficio al pagamento delle spese di causa.       
L'Ufficio si  costituiva  in  giudizio  con controdeduzioni sostenendo di aver
operato nei  termini  di  legge  e dopo che il contribuente era stato invitato
al contraddittorio rifiutando l'adesione a quanto proposto dall'Ufficio.      
L'Ufficio, dunque,  constatato  l'irragionevolezza  del reddito dichiarato, lo
determinava induttivamente,   anche  perche'  il  contribuente  non  lo  aveva
confutato nel   merito   ma  s'era  limitato  a  sollevare  eccezioni  che  si
richiamavano ad  un  formalismo  giuridico  e  ad  una  osservanza di facciata
delle norme sull'accertamento.                                                
L'Ufficio, inoltre,  sosteneva  che  un  sistema  che  prevede  l'accertamento
mediante applicazione  dei  parametri  e consente l'utilizzo delle presunzioni
a favore    dell'Amministrazione    Finanziaria,    comportava   un'inversione
dell'onere della   prova   a   carico   del  contribuente  al  quale  spettava
dimostrare l'infondatezza  delle  suddette  presunzioni,  cosi' come affermato
dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 2891 del 27/2/2002.              
L'Ufficio, in  conclusione,  chiedeva il rigetto del ricorso e la condanna del
ricorrente alle spese del giudizio.                                           
Poiche' gli  era  stata  notificata  cartella  di  pagamento  con iscrizione a
ruolo provvisoria   di   un   terzo   delle  maggiori  imposte  accertate,  il
contribuente, in  data  17/4/2003  presentava  alla  C.T.P. di Bari istanza di
sospensione del  suddetto  atto  con  il  quale,  peraltro,  il concessionario
della riscossione  aveva  provveduto  a disporre il fermo amministrativo della
sua autovettura.                                                              
All'udienza del 7/7/2003 la C.T.P. di Bari Sez. 22 rigettava l'istanza.       
In data  20/2/2004  il contribuente presentava memorie illustrative al ricorso
introduttivo alle  quali  allegava  copia  del  registro  delle fatture emesse
nell'anno 1996 e copia del Mod. 740 relativo allo stesso anno.                
Con tali  memorie  il  contribuente  poneva  in  evidenza che piu' del 74% del
totale del  fatturato  del  1996  era  riferito  al  solo  cliente  Studio  di
Consulenza Legale  e  Tributaria,  che l'unico bene strumentale era costituito
da un'autovettura  e  che  egli  non  s'era  avvalso ne di collaboratori ne di
dipendenti. Citava,  poi,  varie  sentenze  delle  commissioni  di  merito che
affermavano il  carattere  solo  indiziario  dei maggiori compensi determinati
con i  parametri  e che tale indizio avrebbe dovuto essere avvalorato da altri
fattori tali  da  costituire,  unitamente  allo  scostamento,  quegli elementi
gravi, precisi e concordanti necessari a fondare la prova presuntiva.         
Il contribuente,   poi,   insisteva  sulla  nullita'  dell'accertamento  anche
perche' fondato  su  parametri  i  cui  decreti  istitutivi  erano illegittimi
poiche' privi del necessario parere del Consiglio di Stato.                   
All'udienza di    discussione   del   1/3/2004   la   Commissione   Tributaria
Provinciale di   Bari  si  riservava  la  decisione.  Sciolta  la  riserva  la
Commissione accoglieva  parzialmente  il ricorso riducendo del 40% l'ammontare
dei maggiori compensi determinati dall'Ufficio.                               
I primi  giudici  affermavano  la  piena legittimita' dell'accertamento basato
sui parametri  di  cui  all'art.  3  comma  184  della  Legge  n.  549/1995  e
riconoscevano allo  scostamento  dei  compensi  dichiarati  rispetto  a quelli
determinati con  l'applicazione  dei  parametri  il  carattere  di presunzione
grave, precisa e concordante che giustificava appieno l'accertamento.         
Essi, inoltre,  ritenevano  che  il  contribuente  avrebbe  potuto  addurre le
motivazioni o  i  fatti  che  gli  avevano  impedito  di conseguire i maggiori
compensi accertati.                                                           
Sostenevano, inoltre  che  l'accertamento  fondato  sui  parametri  costituiva
presunzione legale  relativa  e  che,  divenendo  accertamento  analitico  per
effetto della  Legge  n. 549/1995, assumeva la connotazione di elemento grave,
preciso e  concordante  che produce l'effetto dell'inversione dell'onere della
prova a carico del contribuente.                                              
Affermavano, ancora,  i  giudici che l'Ufficio non era stato messo in grado di
conoscere le  condizioni  del  contribuente  al  fine  di  poter  valutare con
esattezza la  sua  reale attivita' professionale e che meglio avrebbe fatto il
contribuente ad  esperire  compiutamente  le  procedure previste dal D.Lgs. n.
218/97 per  ricorrere  a  strumenti  legali  soltanto  qualora  la proposta di
definizione non fosse stata soddisfacente.                                    
La Commissione  Tributaria  Provinciale  di  Bari concludeva, tuttavia, che in
considerazione della  limitata  clientela del contribuente i maggiori compensi
accertati potevano ridursi del 40%. Quindi, compensava le spese di causa.     
Avverso la  sentenza  della  Commissione  Tributaria  Provinciale  di  Bari il
contribuente ha  proposto  appello  a  questa  Commissione  ribadendo  tutti i
motivi posti   in   sede   di  ricorso  introduttivo  contro  la  legittimita'
dell'avviso di accertamento.                                                  
In particolare   egli   precisa   che   l'Ufficio   non   ha   dato   contezza
nell'accertamento di  quanto  avvenuto  in  sede  di contraddittorio omettendo
anche di  dire  che  il  rifiuto  ad  aderire  era  avvenuto soltanto dopo che
l'Ufficio aveva  proposto  una  decurtazione  del  10% dei compensi risultanti
dall'applicazione dei parametri.                                              
Tale omissione,  dunque,  aveva  indotto  i  giudici di primo grado a ritenere
immotivato il   suddetto   rifiuto   e  ne  aveva  certamente  influenzato  la
decisione.                                                                    
Quanto alla   sentenza,   poi,   l'appellante  eccepisce  che  essa  e'  stata
manifestamente pronunciata  in  violazione  dell'art.  112 C.P.C, che sancisce
il principio della corrispondenza tra quanto chiesto e quanto pronunciato.    
I primi  giudici,  infatti,  non hanno ne accolto ne disatteso la richiesta di
annullamento dell'avviso   di  accertamento  ma  hanno  ritenuto  di  disporre
un'apodittica riduzione  di  quanto accertato dall'Ufficio, che non rientra in
alcun modo  nella  domanda proposta. Riduzione che appare, peraltro, del tutto
illogica poiche',  dopo  una  strenua  difesa  dei  risultati  ottenuti  con i
parametri, la   Commissione   li  modifica  arbitrariamente,  valendosi  delle
ragioni addotte  dal  ricorrente  e  disconoscendo,  di  fatto,  la  validita'
dell'accertamento mediante calcoli parametrici.                               
L'appellante ha,  infine,  presentato una memoria illustrativa per riaffermare
con le  sentenze  della  C.T.P. di Milano Sez. VIII del 13/4/05 e della C.T.P.
di Bari  Sez.  XII  del 31/3/05 che all'interno dell'avviso di accertamento e'
necessario che  "venga  affermata e motivata l'esistenza di gravi incongruenze
tra i  ricavi  dichiarati  e  quelli  determinabili  con gli studi di settore"
mentre nel  caso  di  specie  l'Ufficio  ha  addotto  unicamente  meri  indizi
(rinomanza dello  studio,  sua  ubicazione  in  zona  centrale  della  citta',
frequentazione presso  gli  uffici  tributari,  utilizzo  di un'autovettura di
cilindrata 2493)  che  non  possono  assurgere  a veri strumenti probatori. Ne
consegue, secondo  l'appellante,  che  la mancanza di elementi probatori della
reale capacita'   contributiva  comporta  la  violazione  dell'art.  53  della
Costituzione e dell'alt. 2729 C.C.                                            
L'appellante, dunque,  chiede  la  riforma della sentenza della C.T.P. di Bari
e l'annullamento   dell'avviso  di  accertamento,  con  vittoria  di  spese  e
competenze.                                                                   
L'Ufficio non  si  e'  costituito  ed  ha  presentato  solo  in  data 6/7/2005
controdeduzioni che devono ritenersi tardive.                                 
L'appellante e'  stato  regolarmente  avvisato  ed  ha  presentato  istanza di
discussione in  pubblica  udienza  alla quale e' presente lo stesso appellante
Avv. G.C.                                                                     
                            MOTIVI DELLA SENTENZA                             
L'appello del contribuente e' fondato e va, pertanto, accolto.                
L'art. 3  commi  da  181  e  189 della Legge 28/12/1995 n. 549 ha previsto per
certe categorie  di  contribuenti  ed in presenza di determinate condizioni la
possibilita' per      l'Amministrazione     Finanziaria     di     determinare
presuntivamente ricavi,   compensi   e   volume   d'affari   attribuibili   al
contribuente in  base  alle  caratteristiche  e  condizioni di esercizio della
specifica attivita' svolta.                                                   
A tale   scopo  la  suddetta  legge  prevedeva  l'elaborazione  da  parte  del
ministero competente  di  appositi  parametri  da  approvarsi  con decreto del
Presidente del   Consiglio   dei  Ministri  su  proposta  del  Ministro  delle
Finanze, da  pubblicare  sulla  Gazzetta Ufficiale, cosi' come e' poi avvenuto
per il D.P.C.M. 29/1/1996.                                                    
Orbene la  difesa  del  ricorrente  contesta  la  legittimita' di tale decreto
sulla scorta  di  precedenti pronunce della Commissioni Tributarie Provinciali
di Torino,  di  Firenze e di Milano le quali, accogliendo in via pregiudiziale
l'eccezione proposta  dal  ricorrente,  hanno  ritenuto  il  D.P.C.M.  29/1/96
provvedimento avente  natura  regolamentare,  emanato  in violazione dell'art.
17, comma  4  della  Legge  23/8/1988  n.  400  in quanto privo del preventivo
parere del   Consiglio   di   Stato.   La  conseguente  illegittimita'  ne  ha
comportato la  disapplicazione  ai  sensi  dell'art.  17,  comma  5 del D.Lgs.
31/12/1992 n. 546 con conseguente annullamento degli atti impugnati.          
La suddetta  conclusione,  dunque, confortata anche dalla Giurisprudenza della
Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato, appare del tutto condivisibile. 
Infatti, con  sentenza  n. 10124 del 28/11/94 la Corte di Cassazione a Sezioni
Unite e,  successivamente  la  Sezione  III della stessa Corte con sentenze n.
6933 del  5/7/1999  e n. 1972 del 22/2/2000, hanno affermato che i regolamenti
sono espressione  di  una  potesta'  normativa attribuita all'Amministrazione,
secondaria rispetto  alla  potesta'  legislativa,  e  disciplinano in astratto
tipi di  rapporti  giuridici  mediante una regolazione attuativa o integrativa
della legge,  ma  ugualmente  innovativa  rispetto  all'ordinamento  giuridico
esistente, con    precetti    aventi    i    caratteri    della   generalita',
dell'astrattezza e  della  ripetibilita'  nel  tempo  dell'applicazione  delle
norme.                                                                        
Sulla base  di  tale  premessa, quindi, i suddetti Collegi hanno ritenuto che,
ai sensi  dell'art.  17  della  Legge  23/8/1988  n.  400,  l'esercizio  della
potesta' normativa   attribuita   all'esecutivo,   quando   sia  consentito  e
necessario, deve   svolgersi   con  l'osservanza  di  un  particolare  modello
procedimentale secondo  cui  per i regolamenti di competenza ministeriale sono
richiesti il  parere  del  Consiglio di Stato e la preventiva comunicazione al
Presidente del Consiglio dei Ministri.                                        
Tali principi  giuridici  sono  stati condivisi dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (sez.  IV,  decisione  n.  732  del 15/2/2001) che, rigettando
l'appello proposto  dal  Ministero  delle  Finanze avverso la sentenza del TAR
Lazio n.  1274  del  1999  che  ne  aveva disposto l'annullamento, ha ritenuto
avere natura  regolamentare  il  D.M. 20/8/1992 con cui era stata approvata la
nuova tariffa delle tasse di CC.GG. dell'epoca.                               
Orbene, poiche'  anche  il  D.P.C.M.  29/1/1996  possiede  i  caratteri  della
generalita', dell'astrattezza     e     della    ripetibilita'    nel    tempo
dell'applicazione delle   norme   e   dispone   in  modo  innovativo  rispetto
all'ordinamento giuridico   esistente,   esso   ha   certamente  struttura  di
regolamento per  la  cui  validita'  era necessaria la preventiva acquisizione
del parere   del   Consiglio  di  Stato  e  comunicazione  al  Presidente  del
Consiglio dei Ministri.                                                       
Tale motivo    d'illegittimita',   dunque,   induce   questa   Commissione   a
disapplicare il  D.P.C.M.  29/1/1996  a  norma  dell'art.  7,  comma  5 D.Lgs.
31/12/1992 n.  546  e  a dichiarare, conseguentemente, illegittimo l'avviso di
accertamento impugnato.                                                       
Per altro  verso,  esaminando  l'appello nel merito, non puo' non giungersi ad
analoga conclusione.                                                          
Non sembra  esservi  dubbio  che  sia  le  norme  istitutive  degli  studi  di
settore, e   in   particolare   l'art.  62-sexies  del  D.L.  30/8/93  n.  331
convertito con  modificazione  con  Legge  29/10/93 n. 427, sia l'art. 3 comma
181 della   Legge   28/12/95  n.  549,  relativo  all'utilizzo  dei  parametri
previsti per  la  determinazione  presuntiva  dei  ricavi,  compensi  e volume
d'affari, amplino   le   possibilita'   di  accertamento  analitico  induttivo
previsto dall'art.  39  comma  1 lett. d) del D.P.R. n. 600/73, al quale fanno
esplicito ed unico riferimento.                                               
Appare, dunque,  imprescindibile,  anche  per l'applicazione delle metodologie
settoriali e    parametriche    di    accertamento,    che   l'Ufficio   abbia
preliminarmente esperito  quelle  indagini alle quali e' facultato dagli artt.
32 del  D.P.R.  n.  600/73  e  51  del  D.P.R.  n.  633/72, dalle quali devono
emergere differenze  sostanziali  fra  i dati raccolti e quelli contabilizzati
e dichiarati dal contribuente.                                                
In tal  caso,  dunque,  e'  legittimo che l'Ufficio basi la determinazione del
reddito anche  su  presunzioni  semplici  purche', tuttavia, le stesse siano -
secondo l'art.  2729  C.C.  e  lo  stesso  art.  39  comma 1 lett. d) - gravi,
precise e  concordanti,  al  fine  di  risalire  da  un fatto noto ad un fatto
ignorato.                                                                     
Non sembra,  pertanto,  sufficiente  che  l'Ufficio  che  non  abbia  esperito
alcuna indagine  sulla  contabilita'  e  sui  documenti del contribuente e che
non sia  in  possesso  di  alcun  atto o a conoscenza di alcun fatto specifico
(ma in  realta'  c'e'  ne vorrebbe piu' d'uno e di entita' sostanziale) faccia
generico e   stereotipato   riferimento  alla  rinomanza  e  notorieta'  dello
studio, alla  sua  ubicazione  in  una  via  centrale  della  citta'  ed  alla
frequenza, assolutamente   indeterminata,   con   cui   il   contribuente  (un
avvocato) svolge  la  sua  attivita'  presso  gli  uffici  fiscali, nonche' al
possesso di   un'autovettura  dei  costo  di  Lire  32.545.000,  perche'  esso
Ufficio sia  legittimato  ad emettere un accertamento basato sull'applicazione
di parametri  in  virtu'  di  una  non  dimostrata  esistenza  di  un nesso di
causa-effetto fra  l'enunciazione  dei suddetti rilevi e i maggiori compensi e
redditi parametrici rispetto a quelli dichiarati.                             
Appare, infatti,  del  tutto  errato  intendere la metodologia di accertamento
in base  a  parametri  come sostitutiva di quelle presunzioni che in ogni caso
devono sussistere  ancor  prima dell'applicazione del metodo parametrico e che
l'Ufficio e' comunque tenuto ad indicare nel proprio accertamento.            
I parametri,  dunque,  non possono costituire essi stessi elementi sufficienti
a motivare  l'accertamento  ma sono unicamente semplici indizi che, unitamente
ed a   completamento   di   altri  elementi  acquisiti  dall'Ufficio,  possono
generare tutt'insieme  presunzioni  semplici aventi i caratteri della gravita,
precisione e concordanza.                                                     
Risulta, invece,   che  l'accertamento  impugnato  e'  fondato  esclusivamente
sulle risultanze   di   elaborazioni  statistico-matematiche  che  prescindono
totalmente dalla  effettiva  capacita'  contributiva  del  contribuente, e non
possono costituire  di  per  se'  sole  presunzioni  gravi,  gravi  precise  e
concordanti, in   violazione   sia  dell'art.  53  della  Costituzione  e  sia
dell'art. 2729 C.C.                                                           
Del primo,   perche'   l'accertamento  non  e'  basato  su  concreti  maggiori
elementi di    capacita'    contributiva    riferibili    esclusivamente    al
contribuente, non  potendosi  ritenere tali gli elementi piu' sopra indicati e
riportati nell'atto   accertativo.   Del  secondo,  perche'  gli  accertamenti
presuntivi obbligano  l'Ufficio  ad individuare presunzioni aventi i requisiti
di cui  all'art.  2729  C.C.,  mentre  la  mancanza di qualunque rilievo sulla
contabilita' o  sulla  dichiarazione  del  contribuente  nonche'  su qualunque
altra inadempienza    o    violazione    di   norme   fiscali   impedisce   il
disconoscimento automatico  del  reddito  e  la sua rielaborazione con calcoli
parametrici che da soli non possono mai assurgere a prova presuntiva.         
Non possono,   quindi,   considerarsi   presunzioni  qualificate  i  risultati
scaturenti dall'applicazione  dei  parametri  che  devono  ritenersi  soltanto
l'ultimo atto  -  e  non  l'unico  e  il  principale  -  del  procedimento  di
accertamento.                                                                 
Tale e'  il  pensiero  della  stessa  Corte  di Cassazione che, proprio con la
sentenza citata  dall'Ufficio  (sent.  n.  2891 del 27/2/02 Pres. C. Rel. F.),
afferma che  "e'  l'art.  39  comma  1 lett. d) a consentire, sulla base della
disamina della  contabilita'  operata dall'Ufficio, di ricostruire l'esistenza
di attivita'  non  dichiarate  attraverso presunzioni semplici, purche' gravi,
precise e  concordanti;  e  questo  valore  possono assumere, se confortate da
altri indizi  le  difformita' delle percentuali applicate in concreto rispetto
a quelle  mediamente  riscontrate  nel  settore  di appartenenza, emergenti da
studi di  settore,  quando  vi  sia  uno  scostamento  che renda del tutto non
credibile il risultato della dichiarazione".                                  
Orbene, il  richiamo  agli  "altri  indizi"  non  solo appare decisivo, ma non
puo' che  riferirsi  a  indizi  specifici  e  ben  determinati  e  non  gia' a
considerazioni opinabili.                                                     
Diversamente l'Ufficio  avrebbe  un potere di formulare presunzioni amplissimo
e sproporzionato  rispetto  alla  possibilita'  del contribuente di fornire la
prova contraria   di   quanto   risultante   dall'accertamento,  con  evidente
violazione del suo diritto di difesa.                                         
Da quanto  sopra  e  in  conclusione  discende che l'accertamento cosi come e'
stato formulato  dall'Ufficio  deve  ritenersi  nullo  per assoluta carenza di
motivazione.                                                                  
Si ritiene  che  ricorrano  giustificati motivi per la compensazione integrale
fra le parti delle spese del giudizio.                                        
                                    P.T.M.                                    
La Commissione  Sezione  Prima,  sull'appello  proposto  da  C.G.  avverso  la
sentenza n.   88/22/2004   emessa   l'1/3/2004  dalla  Commissione  Tributaria
Provinciale di   Bari  Sez.  22,  nei  confronti  dell'Agenzia  delle  Entrate
Ufficio di Bari 1, in riforma della sentenza impugnata cosi' provvede:        
- accoglie  l'appello  del contribuente e, per l'effetto, dichiara illegittimo
l'accertamento.                                                               
- compensa integralmente fra le parti le spese del giudizio.

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