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Illegittimità del D.P.C.M. del 29/01/1996, istitutivo dei "parametri"
Pubblicata il 06/01/2010
Comm.Trib. Reg. Puglia - Sezione I sentenza del 27.09.2005 n. 42
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Comm.Trib. Reg. Puglia - Sezione I
sentenza del 27.09.2005 n. 42
Intitolazione:
Accertamento imposte sui redditi - Analitico - Induttivo -
Accertamento fondato sui "parametri" - Natura regolamentare del
decreto di istituzione del 29/01/1996 - Sussiste - Preventivo parere
obbligatorio del Consiglio di Stato per la validita' del
regolamento - Mancanza - Nullita' dell'accertamento - Sussiste.
Massima:
Il D.P.C.M. del 29/01/1996, istitutivo dei "parametri", presentando i
caratteri della generalita', astrattezza, ripetibilita' di applicazione nel
tempo e innovativita' dell'ordinamento giuridico, ha struttura di
regolamento. Come tale e' da dichiararsi,incidenter tantum, illegittimo per
non avere seguito il procedimento di formazione previsto per tali atti
dall'art. 17 della Legge n. 23/08/1988, n.400 ( ivi compreso il previo
parere obbligatorio del Consiglio di Stato ) e da disapplicarsi ex art.7,
comma 5 del D.Lgs.n.546/1992, con conseguente annullamento degli atti
impugnati.
Testo:
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
In data 17/11/2001 l'Agenzia delle Entrate Ufficio di Bari 1 notificava a
C.G., esercente l'attivita' di avvocato, avviso di accertamento relativo
all'anno d'imposta 1996 avente ad oggetto il maggior reddito ai fini IRPEF e
CSSN di L 53.653.000 a fronte di quello dichiarato di L 24.143.000, il
maggior reddito ai fini del Contributo Straordinario per l'Europa di L
44.942.000 a fronte di quello dichiarato di L 15.432.000 e il maggior volume
d'affari ai fini IVA di L 77.560.000 a fronte di quello dichiarato di L
48.050.000.
L'accertamento dei suddetti valori derivava dall'applicazione dei parametri
previsti dalle norme contenute nei commi da 181 a 189 dell'art. 3 della
Legge 28/12/1995 n. 549, parametri poi fissati dal D.P.C.M. 29/1/96, come
modificato dal D.P.C.M. 27/3/97.
Nell'avviso di accertamento l'Ufficio evidenziava che il contribuente,
sebbene intervenuto al contraddittorio, non aveva ritenuto di definire la
sua posizione reddituale con l'atto di adesione previsto dall'art. 5 del
D.Lgs. n. 218/97, ma si era limitato a presentare una "memoria", ne
corredata da documenti ne contenente fatti o circostanze idonee a
giustificare lo scostamento dei compensi dichiarati rispetto a quelli
determinati con applicazione dei parametri di cui al D.P.C.M. 29/1/96.
Questi, dunque, configuravano secondo l'Ufficio presunzioni gravi, precise e
concordanti anche in considerazione della rinomanza e notorieta' dello
studio di consulenza fiscale e societaria del contribuente, della sua
ubicazione in una via centrale della citta', della frequenza con cui egli
svolgeva la sua attivita' anche presso l'Ufficio accertatore e del rilevante
valore dei beni strumentali impiegati (L 32.545.000).
Avverso l'avviso di accertamento il contribuente presentava ricorso alla
Commissione Tributaria di Bari.
Egli eccepiva la violazione dell'art. 7 comma 1 Legge 27/7/2000 n. 212
poiche' l'atto era carente dei presupposti di fatto e delle ragioni
giuridiche che avevano determinato l'azione dell'Ufficio.
L'avviso di accertamento doveva, infatti, considerarsi un atto arbitrario e
illegittimo poiche' non aveva fornito alcuna spiegazione del rigetto di
quanto da lui argomentato nelle "memorie" presentate in sede di
contraddittorio, cioe' l'attivita' svolta fin dall'inizio (1990)
prevalentemente come rapporto di collaborazione, piu' che di lavoro
autonomo, nei confronti del cliente Studio di Consulenza Legale e
Tributaria, la mancanza di collaboratori o di personale dipendente, il
possesso come unico bene strumentale di un'autovettura, peraltro acquistata
a rate, la riscossione dei compensi professionali solo dopo diversi anni
dall'inizio dei giudizi.
Il contribuente eccepiva, inoltre, la violazione degli articoli 38 e 42
D.P.R. n. 600/73 in quanto alle risultanze dei parametri non e' attribuibile
valenza probatoria ma soltanto natura di presunzioni semplici e non gia'
legali. Pertanto, sosteneva il contribuente, e' pur sempre necessario che
l'Ufficio indichi il nesso logico intercorrente tra il fatto noto e quello
ignoto al fine di dimostrare eventuali incongruenze ed asimmetrie e di
consentire al contribuente l'esercizio del diritto di difesa. In mancanza,
dunque di una completa conoscenza del processo di stima che ha determinato i
maggiori compensi e' impossibile la produzione della prova contraria
all'accertamento fondato sui parametri, onde tale accertamento deve
ritenersi nullo ai sensi dell'art. 42 comma 3 citato.
Il contribuente eccepiva, poi, la violazione dell'art. 39 comma 1 lett. d)
D.P.R. n. 600/73 in quanto l'avviso di accertamento era fondato su
presunzioni semplici quali sono quelle basate su elaborazioni parametriche
mentre le presunzioni da porre a base di un accertamento analitico-induttivo
devono essere gravi, precise e concordanti.
Infine, il contribuente eccepiva la violazione dell'art. 17 della Legge n.
400 del 1988 per carenza del preventivo parere del Consiglio di Stato a
fronte dell'emanazione del D.P.C.M. 29/1/96 istitutivo dei parametri.
Quindi il contribuente chiedeva l'annullamento dell'avviso di accertamento
impugnato e la condanna dell'Ufficio al pagamento delle spese di causa.
L'Ufficio si costituiva in giudizio con controdeduzioni sostenendo di aver
operato nei termini di legge e dopo che il contribuente era stato invitato
al contraddittorio rifiutando l'adesione a quanto proposto dall'Ufficio.
L'Ufficio, dunque, constatato l'irragionevolezza del reddito dichiarato, lo
determinava induttivamente, anche perche' il contribuente non lo aveva
confutato nel merito ma s'era limitato a sollevare eccezioni che si
richiamavano ad un formalismo giuridico e ad una osservanza di facciata
delle norme sull'accertamento.
L'Ufficio, inoltre, sosteneva che un sistema che prevede l'accertamento
mediante applicazione dei parametri e consente l'utilizzo delle presunzioni
a favore dell'Amministrazione Finanziaria, comportava un'inversione
dell'onere della prova a carico del contribuente al quale spettava
dimostrare l'infondatezza delle suddette presunzioni, cosi' come affermato
dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 2891 del 27/2/2002.
L'Ufficio, in conclusione, chiedeva il rigetto del ricorso e la condanna del
ricorrente alle spese del giudizio.
Poiche' gli era stata notificata cartella di pagamento con iscrizione a
ruolo provvisoria di un terzo delle maggiori imposte accertate, il
contribuente, in data 17/4/2003 presentava alla C.T.P. di Bari istanza di
sospensione del suddetto atto con il quale, peraltro, il concessionario
della riscossione aveva provveduto a disporre il fermo amministrativo della
sua autovettura.
All'udienza del 7/7/2003 la C.T.P. di Bari Sez. 22 rigettava l'istanza.
In data 20/2/2004 il contribuente presentava memorie illustrative al ricorso
introduttivo alle quali allegava copia del registro delle fatture emesse
nell'anno 1996 e copia del Mod. 740 relativo allo stesso anno.
Con tali memorie il contribuente poneva in evidenza che piu' del 74% del
totale del fatturato del 1996 era riferito al solo cliente Studio di
Consulenza Legale e Tributaria, che l'unico bene strumentale era costituito
da un'autovettura e che egli non s'era avvalso ne di collaboratori ne di
dipendenti. Citava, poi, varie sentenze delle commissioni di merito che
affermavano il carattere solo indiziario dei maggiori compensi determinati
con i parametri e che tale indizio avrebbe dovuto essere avvalorato da altri
fattori tali da costituire, unitamente allo scostamento, quegli elementi
gravi, precisi e concordanti necessari a fondare la prova presuntiva.
Il contribuente, poi, insisteva sulla nullita' dell'accertamento anche
perche' fondato su parametri i cui decreti istitutivi erano illegittimi
poiche' privi del necessario parere del Consiglio di Stato.
All'udienza di discussione del 1/3/2004 la Commissione Tributaria
Provinciale di Bari si riservava la decisione. Sciolta la riserva la
Commissione accoglieva parzialmente il ricorso riducendo del 40% l'ammontare
dei maggiori compensi determinati dall'Ufficio.
I primi giudici affermavano la piena legittimita' dell'accertamento basato
sui parametri di cui all'art. 3 comma 184 della Legge n. 549/1995 e
riconoscevano allo scostamento dei compensi dichiarati rispetto a quelli
determinati con l'applicazione dei parametri il carattere di presunzione
grave, precisa e concordante che giustificava appieno l'accertamento.
Essi, inoltre, ritenevano che il contribuente avrebbe potuto addurre le
motivazioni o i fatti che gli avevano impedito di conseguire i maggiori
compensi accertati.
Sostenevano, inoltre che l'accertamento fondato sui parametri costituiva
presunzione legale relativa e che, divenendo accertamento analitico per
effetto della Legge n. 549/1995, assumeva la connotazione di elemento grave,
preciso e concordante che produce l'effetto dell'inversione dell'onere della
prova a carico del contribuente.
Affermavano, ancora, i giudici che l'Ufficio non era stato messo in grado di
conoscere le condizioni del contribuente al fine di poter valutare con
esattezza la sua reale attivita' professionale e che meglio avrebbe fatto il
contribuente ad esperire compiutamente le procedure previste dal D.Lgs. n.
218/97 per ricorrere a strumenti legali soltanto qualora la proposta di
definizione non fosse stata soddisfacente.
La Commissione Tributaria Provinciale di Bari concludeva, tuttavia, che in
considerazione della limitata clientela del contribuente i maggiori compensi
accertati potevano ridursi del 40%. Quindi, compensava le spese di causa.
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale di Bari il
contribuente ha proposto appello a questa Commissione ribadendo tutti i
motivi posti in sede di ricorso introduttivo contro la legittimita'
dell'avviso di accertamento.
In particolare egli precisa che l'Ufficio non ha dato contezza
nell'accertamento di quanto avvenuto in sede di contraddittorio omettendo
anche di dire che il rifiuto ad aderire era avvenuto soltanto dopo che
l'Ufficio aveva proposto una decurtazione del 10% dei compensi risultanti
dall'applicazione dei parametri.
Tale omissione, dunque, aveva indotto i giudici di primo grado a ritenere
immotivato il suddetto rifiuto e ne aveva certamente influenzato la
decisione.
Quanto alla sentenza, poi, l'appellante eccepisce che essa e' stata
manifestamente pronunciata in violazione dell'art. 112 C.P.C, che sancisce
il principio della corrispondenza tra quanto chiesto e quanto pronunciato.
I primi giudici, infatti, non hanno ne accolto ne disatteso la richiesta di
annullamento dell'avviso di accertamento ma hanno ritenuto di disporre
un'apodittica riduzione di quanto accertato dall'Ufficio, che non rientra in
alcun modo nella domanda proposta. Riduzione che appare, peraltro, del tutto
illogica poiche', dopo una strenua difesa dei risultati ottenuti con i
parametri, la Commissione li modifica arbitrariamente, valendosi delle
ragioni addotte dal ricorrente e disconoscendo, di fatto, la validita'
dell'accertamento mediante calcoli parametrici.
L'appellante ha, infine, presentato una memoria illustrativa per riaffermare
con le sentenze della C.T.P. di Milano Sez. VIII del 13/4/05 e della C.T.P.
di Bari Sez. XII del 31/3/05 che all'interno dell'avviso di accertamento e'
necessario che "venga affermata e motivata l'esistenza di gravi incongruenze
tra i ricavi dichiarati e quelli determinabili con gli studi di settore"
mentre nel caso di specie l'Ufficio ha addotto unicamente meri indizi
(rinomanza dello studio, sua ubicazione in zona centrale della citta',
frequentazione presso gli uffici tributari, utilizzo di un'autovettura di
cilindrata 2493) che non possono assurgere a veri strumenti probatori. Ne
consegue, secondo l'appellante, che la mancanza di elementi probatori della
reale capacita' contributiva comporta la violazione dell'art. 53 della
Costituzione e dell'alt. 2729 C.C.
L'appellante, dunque, chiede la riforma della sentenza della C.T.P. di Bari
e l'annullamento dell'avviso di accertamento, con vittoria di spese e
competenze.
L'Ufficio non si e' costituito ed ha presentato solo in data 6/7/2005
controdeduzioni che devono ritenersi tardive.
L'appellante e' stato regolarmente avvisato ed ha presentato istanza di
discussione in pubblica udienza alla quale e' presente lo stesso appellante
Avv. G.C.
MOTIVI DELLA SENTENZA
L'appello del contribuente e' fondato e va, pertanto, accolto.
L'art. 3 commi da 181 e 189 della Legge 28/12/1995 n. 549 ha previsto per
certe categorie di contribuenti ed in presenza di determinate condizioni la
possibilita' per l'Amministrazione Finanziaria di determinare
presuntivamente ricavi, compensi e volume d'affari attribuibili al
contribuente in base alle caratteristiche e condizioni di esercizio della
specifica attivita' svolta.
A tale scopo la suddetta legge prevedeva l'elaborazione da parte del
ministero competente di appositi parametri da approvarsi con decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri su proposta del Ministro delle
Finanze, da pubblicare sulla Gazzetta Ufficiale, cosi' come e' poi avvenuto
per il D.P.C.M. 29/1/1996.
Orbene la difesa del ricorrente contesta la legittimita' di tale decreto
sulla scorta di precedenti pronunce della Commissioni Tributarie Provinciali
di Torino, di Firenze e di Milano le quali, accogliendo in via pregiudiziale
l'eccezione proposta dal ricorrente, hanno ritenuto il D.P.C.M. 29/1/96
provvedimento avente natura regolamentare, emanato in violazione dell'art.
17, comma 4 della Legge 23/8/1988 n. 400 in quanto privo del preventivo
parere del Consiglio di Stato. La conseguente illegittimita' ne ha
comportato la disapplicazione ai sensi dell'art. 17, comma 5 del D.Lgs.
31/12/1992 n. 546 con conseguente annullamento degli atti impugnati.
La suddetta conclusione, dunque, confortata anche dalla Giurisprudenza della
Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato, appare del tutto condivisibile.
Infatti, con sentenza n. 10124 del 28/11/94 la Corte di Cassazione a Sezioni
Unite e, successivamente la Sezione III della stessa Corte con sentenze n.
6933 del 5/7/1999 e n. 1972 del 22/2/2000, hanno affermato che i regolamenti
sono espressione di una potesta' normativa attribuita all'Amministrazione,
secondaria rispetto alla potesta' legislativa, e disciplinano in astratto
tipi di rapporti giuridici mediante una regolazione attuativa o integrativa
della legge, ma ugualmente innovativa rispetto all'ordinamento giuridico
esistente, con precetti aventi i caratteri della generalita',
dell'astrattezza e della ripetibilita' nel tempo dell'applicazione delle
norme.
Sulla base di tale premessa, quindi, i suddetti Collegi hanno ritenuto che,
ai sensi dell'art. 17 della Legge 23/8/1988 n. 400, l'esercizio della
potesta' normativa attribuita all'esecutivo, quando sia consentito e
necessario, deve svolgersi con l'osservanza di un particolare modello
procedimentale secondo cui per i regolamenti di competenza ministeriale sono
richiesti il parere del Consiglio di Stato e la preventiva comunicazione al
Presidente del Consiglio dei Ministri.
Tali principi giuridici sono stati condivisi dal Consiglio di Stato in sede
giurisdizionale (sez. IV, decisione n. 732 del 15/2/2001) che, rigettando
l'appello proposto dal Ministero delle Finanze avverso la sentenza del TAR
Lazio n. 1274 del 1999 che ne aveva disposto l'annullamento, ha ritenuto
avere natura regolamentare il D.M. 20/8/1992 con cui era stata approvata la
nuova tariffa delle tasse di CC.GG. dell'epoca.
Orbene, poiche' anche il D.P.C.M. 29/1/1996 possiede i caratteri della
generalita', dell'astrattezza e della ripetibilita' nel tempo
dell'applicazione delle norme e dispone in modo innovativo rispetto
all'ordinamento giuridico esistente, esso ha certamente struttura di
regolamento per la cui validita' era necessaria la preventiva acquisizione
del parere del Consiglio di Stato e comunicazione al Presidente del
Consiglio dei Ministri.
Tale motivo d'illegittimita', dunque, induce questa Commissione a
disapplicare il D.P.C.M. 29/1/1996 a norma dell'art. 7, comma 5 D.Lgs.
31/12/1992 n. 546 e a dichiarare, conseguentemente, illegittimo l'avviso di
accertamento impugnato.
Per altro verso, esaminando l'appello nel merito, non puo' non giungersi ad
analoga conclusione.
Non sembra esservi dubbio che sia le norme istitutive degli studi di
settore, e in particolare l'art. 62-sexies del D.L. 30/8/93 n. 331
convertito con modificazione con Legge 29/10/93 n. 427, sia l'art. 3 comma
181 della Legge 28/12/95 n. 549, relativo all'utilizzo dei parametri
previsti per la determinazione presuntiva dei ricavi, compensi e volume
d'affari, amplino le possibilita' di accertamento analitico induttivo
previsto dall'art. 39 comma 1 lett. d) del D.P.R. n. 600/73, al quale fanno
esplicito ed unico riferimento.
Appare, dunque, imprescindibile, anche per l'applicazione delle metodologie
settoriali e parametriche di accertamento, che l'Ufficio abbia
preliminarmente esperito quelle indagini alle quali e' facultato dagli artt.
32 del D.P.R. n. 600/73 e 51 del D.P.R. n. 633/72, dalle quali devono
emergere differenze sostanziali fra i dati raccolti e quelli contabilizzati
e dichiarati dal contribuente.
In tal caso, dunque, e' legittimo che l'Ufficio basi la determinazione del
reddito anche su presunzioni semplici purche', tuttavia, le stesse siano -
secondo l'art. 2729 C.C. e lo stesso art. 39 comma 1 lett. d) - gravi,
precise e concordanti, al fine di risalire da un fatto noto ad un fatto
ignorato.
Non sembra, pertanto, sufficiente che l'Ufficio che non abbia esperito
alcuna indagine sulla contabilita' e sui documenti del contribuente e che
non sia in possesso di alcun atto o a conoscenza di alcun fatto specifico
(ma in realta' c'e' ne vorrebbe piu' d'uno e di entita' sostanziale) faccia
generico e stereotipato riferimento alla rinomanza e notorieta' dello
studio, alla sua ubicazione in una via centrale della citta' ed alla
frequenza, assolutamente indeterminata, con cui il contribuente (un
avvocato) svolge la sua attivita' presso gli uffici fiscali, nonche' al
possesso di un'autovettura dei costo di Lire 32.545.000, perche' esso
Ufficio sia legittimato ad emettere un accertamento basato sull'applicazione
di parametri in virtu' di una non dimostrata esistenza di un nesso di
causa-effetto fra l'enunciazione dei suddetti rilevi e i maggiori compensi e
redditi parametrici rispetto a quelli dichiarati.
Appare, infatti, del tutto errato intendere la metodologia di accertamento
in base a parametri come sostitutiva di quelle presunzioni che in ogni caso
devono sussistere ancor prima dell'applicazione del metodo parametrico e che
l'Ufficio e' comunque tenuto ad indicare nel proprio accertamento.
I parametri, dunque, non possono costituire essi stessi elementi sufficienti
a motivare l'accertamento ma sono unicamente semplici indizi che, unitamente
ed a completamento di altri elementi acquisiti dall'Ufficio, possono
generare tutt'insieme presunzioni semplici aventi i caratteri della gravita,
precisione e concordanza.
Risulta, invece, che l'accertamento impugnato e' fondato esclusivamente
sulle risultanze di elaborazioni statistico-matematiche che prescindono
totalmente dalla effettiva capacita' contributiva del contribuente, e non
possono costituire di per se' sole presunzioni gravi, gravi precise e
concordanti, in violazione sia dell'art. 53 della Costituzione e sia
dell'art. 2729 C.C.
Del primo, perche' l'accertamento non e' basato su concreti maggiori
elementi di capacita' contributiva riferibili esclusivamente al
contribuente, non potendosi ritenere tali gli elementi piu' sopra indicati e
riportati nell'atto accertativo. Del secondo, perche' gli accertamenti
presuntivi obbligano l'Ufficio ad individuare presunzioni aventi i requisiti
di cui all'art. 2729 C.C., mentre la mancanza di qualunque rilievo sulla
contabilita' o sulla dichiarazione del contribuente nonche' su qualunque
altra inadempienza o violazione di norme fiscali impedisce il
disconoscimento automatico del reddito e la sua rielaborazione con calcoli
parametrici che da soli non possono mai assurgere a prova presuntiva.
Non possono, quindi, considerarsi presunzioni qualificate i risultati
scaturenti dall'applicazione dei parametri che devono ritenersi soltanto
l'ultimo atto - e non l'unico e il principale - del procedimento di
accertamento.
Tale e' il pensiero della stessa Corte di Cassazione che, proprio con la
sentenza citata dall'Ufficio (sent. n. 2891 del 27/2/02 Pres. C. Rel. F.),
afferma che "e' l'art. 39 comma 1 lett. d) a consentire, sulla base della
disamina della contabilita' operata dall'Ufficio, di ricostruire l'esistenza
di attivita' non dichiarate attraverso presunzioni semplici, purche' gravi,
precise e concordanti; e questo valore possono assumere, se confortate da
altri indizi le difformita' delle percentuali applicate in concreto rispetto
a quelle mediamente riscontrate nel settore di appartenenza, emergenti da
studi di settore, quando vi sia uno scostamento che renda del tutto non
credibile il risultato della dichiarazione".
Orbene, il richiamo agli "altri indizi" non solo appare decisivo, ma non
puo' che riferirsi a indizi specifici e ben determinati e non gia' a
considerazioni opinabili.
Diversamente l'Ufficio avrebbe un potere di formulare presunzioni amplissimo
e sproporzionato rispetto alla possibilita' del contribuente di fornire la
prova contraria di quanto risultante dall'accertamento, con evidente
violazione del suo diritto di difesa.
Da quanto sopra e in conclusione discende che l'accertamento cosi come e'
stato formulato dall'Ufficio deve ritenersi nullo per assoluta carenza di
motivazione.
Si ritiene che ricorrano giustificati motivi per la compensazione integrale
fra le parti delle spese del giudizio.
P.T.M.
La Commissione Sezione Prima, sull'appello proposto da C.G. avverso la
sentenza n. 88/22/2004 emessa l'1/3/2004 dalla Commissione Tributaria
Provinciale di Bari Sez. 22, nei confronti dell'Agenzia delle Entrate
Ufficio di Bari 1, in riforma della sentenza impugnata cosi' provvede:
- accoglie l'appello del contribuente e, per l'effetto, dichiara illegittimo
l'accertamento.
- compensa integralmente fra le parti le spese del giudizio.