L'avviso di accertamento, fondato sugli studi di settore, deve essere obbligatoriamente preceduto da un invito al contribuente a spiegare perché il reddito da lui dichiarato si discosti dai parametri medi di riferimento

Massima - L'avviso di accertamento, fondato sugli studi di settore, deve essere obbligatoriamente preceduto da un invito al contribuente a spiegare perché il reddito da lui dichiarato si discosti dai parametri medi di riferimento: ove il contribuente fornisca delle spiegazioni ed esse siano disattese, è necessario che l'Amministrazione spieghi perché ha ritenuto non adeguate le argomentazioni del contribuente (nel caso di specie il contribuente aveva addotto la crisi che aveva investito il settore del commercio al minuto di stoffe per abbigliamento, e nell'avviso di accertamento la Amministrazione, dopo aver dichiarato di accogliere "le motivazioni presentate dal contribuente", aveva però proceduto all'accertamento secondo gli studi di settore).

Sent. n. 77 del 21 aprile 2008 (ud. del 31 marzo 2008) della Comm. trib. prov. di Bologna, Sez. XII - Pres. e Rel. Martinelli



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Sent. n. 77 del 21 aprile 2008 (ud. del 31 marzo 2008)

della Comm. trib. prov. di Bologna, Sez. XII - Pres. e Rel. Martinelli

Imposte sui redditi – Accertamento - Studi  di  settore  –  Utilizzazione  –

Procedure -  Giustificazioni  addotte  dal  contribuente  –  Confutazione  -

Necessità

    Massima - L’avviso di accertamento, fondato sugli studi di settore, deve

essere obbligatoriamente preceduto da un invito al contribuente  a  spiegare

perché il reddito da lui  dichiarato  si  discosti  dai  parametri  medi  di

riferimento: ove il contribuente fornisca delle spiegazioni  ed  esse  siano

disattese, è necessario che l’Amministrazione spieghi perché ha ritenuto non

adeguate  le  argomentazioni  del  contribuente  (nel  caso  di  specie   il

contribuente aveva addotto la crisi  che  aveva  investito  il  settore  del

commercio  al  minuto  di  stoffe  per  abbigliamento,  e   nell’avviso   di

accertamento la Amministrazione, dopo  aver  dichiarato  di  accogliere  “le

motivazioni   presentate   dal   contribuente”,   aveva    però    proceduto

all’accertamento secondo gli studi di settore).


    Fatto - Con rituale ricorso Di.No.An. impugnava l'avviso di accertamento

in epigrafe, fondato sugli studi di settore,  eccependo,  pregiudizialmente,

l'illegittimità  costituzionale  delle  norme  istitutive  dello   strumento

accertativo degli studi settoriali;  nel  merito,  la  ricorrente  lamentava

l'illegittimità del metodo seguito dall'Ufficio, il difetto  di  motivazione

dell'atto impugnato e l'infondatezza del medesimo per la mancanza  di  prova

della pretesa  fiscale;  in  via  subordinata,  la  ricorrente  chiedeva  la

riduzione dell'imponibile accertato.

    Si  costituiva  l'Agenzia  delle  Entrate  resistendo   al   ricorso   e

contestando specificatamente i motivi rappresentati dalla ricorrente.

    La causa veniva discussa e decisa all'udienza del 31 marzo 2008.

    Diritto - 1. La questione di legittimità costituzionale degli  artt.  62

bis e 62 sexies del decreto - legge 30 agosto 1993, n. 321, convertito dalla

legge n. 427 del 1993, sollevata dalla ricorrente in relazione  all'art.  23

Cost. - risulta manifestamente infondata. In primo luogo, vale osservare che

il richiamo all'art. 23 Cost. - secondo cui nessuna prestazione patrimoniale

può essere imposta solo in base alla legge - non è pertinente  dato  che  la

disciplina degli studi di settore non  impone  prestazioni  patrimoniali  ma

integra un sistema di accertamento. E, siccome tale sistema accertativo (non

solo prevede la facoltà di prova contraria da  parte  del  contribuente,  ma

soprattutto,  come  si  vedrà  infra)  è  inidoneo,  di  per  se  stesso,  a

determinare  l'imponibile,  nessun   vulnus   -   secondo   la   consolidata

giurisprudenza della Corte Costituzionale - può dirsi arrecato a  valori  di

rango costituzionale (non tanto all'art. 23 quanto all'art.  53  Cost.).  In

secondo luogo, la questione di legittimità  costituzionale  sollevata  dalla

ricorrente deve ritenersi palesemente infondata posto che, come è  noto,  il

Giudice è tenuto - all'interno delle varie  opzioni  interpretative  che  la

lettera della norma (o  di  più  norme)  consente  -  a  optare  per  quella

adeguatrice, cioè per quella (ben possibile, come si vedrà infra,  nel  caso

di specie) costituzionalmente conservativa.

    2. Giova premettere che la Corte Costituzionale - a proposito  dei  c.d.

parametri, istituto analogo agli studi di  settore  -  ebbe  a  sancirne  la

compatibilità costituzionale della legge istitutiva (anche) in ragione della

natura dell'istituto: i parametri, infatti, integrano "un sistema basato  su

presunzioni semplici la cui idoneità probatoria, è rimessa alla  valutazione

del giudice di merito" (Corte  Cost.  1  aprile  2003,  n.  105).  In  altri

termini, un sistema accertativo basato su medie settoriali  è  inidoneo,  di

per se stesso, a  creare  l'obbligazione  tributaria;  al  più  integra  una

presunzione semplice che, in ogni caso, deve superare il vaglio del  Giudice

tributario.

    3.  Nel  solco  tracciato  dalla  Corte  Costituzionale,  la  Cassazione

affermando la  medesima  natura  di  presunzione  semplice  degli  studi  di

settore, osserva che "non si può ammettere che il reddito venga  determinato

in  maniera  automatica,  a  prescindere  da  quella  che  è   la   capacità

contributiva del soggetto sottoposto a verifica.  Ogni  sforzo,  quindi,  va

compiuto per individuare la reale capacità contributiva  del  soggetto,  pur

tenendo presente l'importantissimo ausilio che può derivare dagli  strumenti

presuntivi, che non possono però avere  effetti  automatici,  che  sarebbero

contrastanti con il dettato costituzionale, ma che richiedono  un  confronto

con la situazione concreta" (Cass. 15 dicembre 2003, n. 19163, Boll.  Trib.,

2004, 699; Cass. 3 febbraio 2006, n. 2411, Boll.  Trib.,  2006,  1741).  Nel

medesimo ordine di idee - afferma la  Cassazione  -  "è  vano  invocare  uno

studio di settore, che ha struttura oggettiva e  soggettiva  categoriale  e,

quindi, di genere, come strumento idoneo a regolare, di per sé, un  caso  di

specie ultima, se nella fase  procedimentale  amministrativa  che  va  dalla

dichiarazione tributaria all'avviso di accertamento, non si sia svolto alcun

contraddittorio tra l'Ufficio tributario  e  il  contribuente,  in  modo  da

consentire a quest'ultimo di intervenire  già  in  sede  amministrativa  per

vincere la mera praesumptio  hominis  costituita  dagli  studi  di  settore"

(Cass. 28 luglio 2006, n. 17229, Boll. Trib., 2006, pag. 1738).

    4. In pratica,  gli  studi  di  settore  servono  per  individuare  quei

contribuenti che, dichiarando ricavi sottodimensionati rispetto  al  cluster

di appartenenza (cioè il gruppo omogeneo di  soggetti  che  all'interno  del

medesimo  settore  di   attività   presentano   una   certa   comunanza   di

caratteristiche strutturali), possono essere  plausibilmente  sospettati  di

condotte evasive e/o elusive.

    Questo non significa,  però,  che  i  sospettati  siano  necessariamente

colpevoli: il sottodimensionamento di  ricavi  o  corrispettivi  è  solo  un

indizio di evasione, ma non  è,  evidentemente,  l'evasione.  In  proposito,

giova ricordare che le presunzioni semplici costituiscono prova idonea  solo

nel caso in cui siano "gravi, precise e concordanti" (art. 2729 c.c.),  cioè

se siano assistite da un adeguato grado  di  inferenza  probabilistica  (che

deve essere valutato dal Giudice: Cass. 6 giugno 1997, n. 5082).

    5. Ne deriva, inevitabilmente, che,  di  per  sé  solo,  uno  studio  di

settore - che, per quanto raffinato sia esprime  sempre  e  solo  una  media

statistica - non può integrare gli  estremi  per  accertare  un  determinato

reddito in capo al contribuente.

    6. Consapevole di questa debolezza, il legislatore,  con  il  comma  409

della finanziaria 2005 (legge 3.11.2004), ha  inserito  nell'art.  10  della

legge n. 146 del 1998, il comma 3 bis; in base  a  questa  norma,  l'Agenzia

delle Entrate, "prima della notifica dell'avviso di accertamento, invita  il

contribuente a comparire ai sensi dell'art. 5  del  decreto  legislativo  19

giugno 1997, n. 218" (cioè la norma che disciplina l'invito a comparire,  ai

fini dell'accertamento con adesione" (comma 409, art. 1, legge 311/2004).

    La  centralità  del  preventivo  contraddittorio   tra   Amministrazione

finanziaria e contribuente è stata ribadita dalla  Circolare  della  Agenzia

delle Entrate, n. 31/E del 22 maggio 2007.

    Pertanto, nell'ipotesi in cui l'Ufficio emetta un avviso di accertamento

senza avere previamente invitato il contribuente a spiegare le ragioni dello

scostamento,  il  provvedimento  impositivo  è  invalido.   Qui   il   vizio

procedimentale incide sul diritto di difesa  del  contribuente;  e  sappiamo

come l'assenza del preventivo contraddittorio - laddove la legge lo  preveda

(è il nostro caso: cfr. comma 3 bis  dell'art.  10  della  legge  146/98)  -

integri un irrimediabile vizio dell'atto impositivo.

    7. Nel caso in cui il contribuente, invitato, compaia e  adduca  ragioni

per giustificare lo scostamento dal livello di congruità  (come  è  successo

nel caso di specie), queste ragioni devono formare oggetto di  scrutinio  da

parte dell'Ufficio; l'Ufficio  è  quindi  tenuto  a  spiegare  puntualmente,

nell'avviso di accertamento, i motivi in base  ai  quali  non  condivide  le

giustificazioni fornite dal contribuente.

    Se  infatti  l'Ufficio  potesse  liquidare  le   ragioni   addotte   dal

contribuente  senza  dover  spiegare  i  motivi  del  proprio  dissenso,  il

contraddittorio con il contribuente sarebbe solo un vuoto formalismo; il che

- ovviamente - non è né pensabile né accettabile.

    La stessa Amministrazione finanziaria afferma che "la motivazione  degli

atti di accertamento basati sugli studi di settore non deve essere di regola

rappresentata dal mero, "automatico" rinvio alle risultanze degli  studi  di

settore, ma deve dare conto in  modo  esplicito  delle  valutazioni  che,  a

seguito del contraddittorio con il contribuente, hanno condotto l'Ufficio  a

ritenere fondatamente attribuibili i maggiori ricavi o compensi  determinati

anche  tenendo  conto  degli  indicatori  di  normalità".  E,  "qualora,  il

contribuente abbia formulato eccezioni,  con  riguardo  ad  uno  o  più  dei

predetti profili, la motivazione dovrà ovviamente spiegare  le  ragioni  che

hanno indotto a ritenere infondate, in tutto o in parte,  le  argomentazioni

addotte" (Circ. 5/E dell'Agenzia delle Entrate del 23 gennaio 2008).

    In questo ordine di idee, quindi, un  avviso  di  accertamento  che  non

prenda posizione sulle ragioni addotte dal  contribuente,  ma  si  limiti  a

richiamare lo studio di settore, è nullo per difetto di motivazione.

    Naturalmente, la nullità deve essere eccepita  tempestivamente,  e  cioè

nel ricorso introduttivo del giudizio (art. 61, comma 2, D.P.R. 600/73).

    Il contribuente, quindi, ha l'onere di eccepire, nel ricorso, il difetto

di motivazione dell'avviso di accertamento fondato sugli  studi  di  settore

che non descriva (o descriva solo apparentemente) le ragioni  in  base  alle

quali non  ritenga  di  prendere  in  considerazione  le  circostanze  o  le

argomentazioni (anche di carattere presuntivo) addotte dal contribuente  per

giustificare lo scostamento dalle medie settoriali.

    In mancanza di una critica presa di  posizione  dell'Ufficio  su  queste

circostanze o su queste argomentazioni l'avviso di accertamento è nullo  per

difetto di motivazione. Il Giudice tributario, quindi, si  deve  limitare  a

prendere atto di questa nullità e a dichiararla, senza scendere  nel  merito

della pretesa impositiva.

    8. Se, viceversa, l'Ufficio  -  nell'avviso  di  accertamento  -  prenda

posizione  sulle  ragioni  addotte  dal  contribuente  per  giustificare  lo

scostamento dagli studi  di  settore,  il  Giudice  tributario  è  tenuto  a

valutare la persuasività di questa motivazione.

    9. Se, poi, il contribuente - a fronte di una motivazione sufficiente  -

contesti, i fatti e le circostanze su cui quella motivazione si regge,  sarà

onere dell'Agenzia delle Entrate provare in giudizio  quei  fatti  e  quelle

circostanze.

    10.  Nel  caso  all'attenzione  del  Collegio,  la  contribuente   aveva

argomentato  lo  scostamento  dai  valori  mediani  degli  studi  settoriali

adducendo la crisi generale che aveva investito il settore del commercio  al

minuto degli esercizi di stoffe per l'abbigliamento.

    Nell'avviso   di   accertamento    impugnato,    tuttavia,    l'Ufficio,

contraddittoriamente, afferma di accogliere "le motivazioni  presentate  dal

contribuente"; tuttavia, riferisce di avere  proposto  un  accertamento  con

adesione (al quale la contribuente non ha aderito).

    La motivazione dell'avviso impugnato, quindi, si rivela:

    - contraddittoria, perché non è vero che  le  ragioni  del  contribuente

sono state accolte (semmai lo sono state  solo  parzialmente  in  quanto  la

pretesa fiscale, ancorché diminuita, permane);

    - inesistente laddove l'Ufficio omette di argomentare sulla  circostanza

esimente (rappresentata dalla generale  crisi  del  settore)  addotta  dalla

contribuente.

    11. L'avviso di accertamento, pertanto, deve ritenersi, illegittimo  per

difetto di motivazione conforme al modello legale.

    12. Il  ricorso,  pertanto,  deve  essere  accolto  e,  di  conseguenza,

l'avviso di accertamento impugnato,  dichiarato  nullo  ex  art.  42  D.P.R.

600/73.

    13. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

    P.Q.M. - La Commissione Tributaria Provinciale di Bologna  così  decide:

a) dichiara la nullità dell'avviso di accertamento  impugnato;  b)  condanna

l'Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese di giudizio liquidate  in

complessivi Euro 700,00 per onorari e diritti, oltre ad Euro 90,00 per spese

borsuali ed oneri accessori di legge.

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