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L'avviso di accertamento, fondato sugli studi di settore, deve essere obbligatoriamente preceduto da un invito al contribuente a spiegare perché il reddito da lui dichiarato si discosti dai parametri medi di riferimento
Pubblicata il 06/01/2010
Sent. n. 77 del 21 aprile 2008 (ud. del 31 marzo 2008) della Comm. trib. prov. di Bologna, Sez. XII - Pres. e Rel. Martinelli
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Sent. n. 77 del 21 aprile 2008 (ud. del 31 marzo 2008)
della Comm. trib. prov. di Bologna, Sez. XII - Pres. e Rel. Martinelli
Imposte sui redditi – Accertamento - Studi di settore – Utilizzazione –
Procedure - Giustificazioni addotte dal contribuente – Confutazione -
Necessità
Massima - L’avviso di accertamento, fondato sugli studi di settore, deve
essere obbligatoriamente preceduto da un invito al contribuente a spiegare
perché il reddito da lui dichiarato si discosti dai parametri medi di
riferimento: ove il contribuente fornisca delle spiegazioni ed esse siano
disattese, è necessario che l’Amministrazione spieghi perché ha ritenuto non
adeguate le argomentazioni del contribuente (nel caso di specie il
contribuente aveva addotto la crisi che aveva investito il settore del
commercio al minuto di stoffe per abbigliamento, e nell’avviso di
accertamento la Amministrazione, dopo aver dichiarato di accogliere “le
motivazioni presentate dal contribuente”, aveva però proceduto
all’accertamento secondo gli studi di settore).
Fatto - Con rituale ricorso Di.No.An. impugnava l'avviso di accertamento
in epigrafe, fondato sugli studi di settore, eccependo, pregiudizialmente,
l'illegittimità costituzionale delle norme istitutive dello strumento
accertativo degli studi settoriali; nel merito, la ricorrente lamentava
l'illegittimità del metodo seguito dall'Ufficio, il difetto di motivazione
dell'atto impugnato e l'infondatezza del medesimo per la mancanza di prova
della pretesa fiscale; in via subordinata, la ricorrente chiedeva la
riduzione dell'imponibile accertato.
Si costituiva l'Agenzia delle Entrate resistendo al ricorso e
contestando specificatamente i motivi rappresentati dalla ricorrente.
La causa veniva discussa e decisa all'udienza del 31 marzo 2008.
Diritto - 1. La questione di legittimità costituzionale degli artt. 62
bis e 62 sexies del decreto - legge 30 agosto 1993, n. 321, convertito dalla
legge n. 427 del 1993, sollevata dalla ricorrente in relazione all'art. 23
Cost. - risulta manifestamente infondata. In primo luogo, vale osservare che
il richiamo all'art. 23 Cost. - secondo cui nessuna prestazione patrimoniale
può essere imposta solo in base alla legge - non è pertinente dato che la
disciplina degli studi di settore non impone prestazioni patrimoniali ma
integra un sistema di accertamento. E, siccome tale sistema accertativo (non
solo prevede la facoltà di prova contraria da parte del contribuente, ma
soprattutto, come si vedrà infra) è inidoneo, di per se stesso, a
determinare l'imponibile, nessun vulnus - secondo la consolidata
giurisprudenza della Corte Costituzionale - può dirsi arrecato a valori di
rango costituzionale (non tanto all'art. 23 quanto all'art. 53 Cost.). In
secondo luogo, la questione di legittimità costituzionale sollevata dalla
ricorrente deve ritenersi palesemente infondata posto che, come è noto, il
Giudice è tenuto - all'interno delle varie opzioni interpretative che la
lettera della norma (o di più norme) consente - a optare per quella
adeguatrice, cioè per quella (ben possibile, come si vedrà infra, nel caso
di specie) costituzionalmente conservativa.
2. Giova premettere che la Corte Costituzionale - a proposito dei c.d.
parametri, istituto analogo agli studi di settore - ebbe a sancirne la
compatibilità costituzionale della legge istitutiva (anche) in ragione della
natura dell'istituto: i parametri, infatti, integrano "un sistema basato su
presunzioni semplici la cui idoneità probatoria, è rimessa alla valutazione
del giudice di merito" (Corte Cost. 1 aprile 2003, n. 105). In altri
termini, un sistema accertativo basato su medie settoriali è inidoneo, di
per se stesso, a creare l'obbligazione tributaria; al più integra una
presunzione semplice che, in ogni caso, deve superare il vaglio del Giudice
tributario.
3. Nel solco tracciato dalla Corte Costituzionale, la Cassazione
affermando la medesima natura di presunzione semplice degli studi di
settore, osserva che "non si può ammettere che il reddito venga determinato
in maniera automatica, a prescindere da quella che è la capacità
contributiva del soggetto sottoposto a verifica. Ogni sforzo, quindi, va
compiuto per individuare la reale capacità contributiva del soggetto, pur
tenendo presente l'importantissimo ausilio che può derivare dagli strumenti
presuntivi, che non possono però avere effetti automatici, che sarebbero
contrastanti con il dettato costituzionale, ma che richiedono un confronto
con la situazione concreta" (Cass. 15 dicembre 2003, n. 19163, Boll. Trib.,
2004, 699; Cass. 3 febbraio 2006, n. 2411, Boll. Trib., 2006, 1741). Nel
medesimo ordine di idee - afferma la Cassazione - "è vano invocare uno
studio di settore, che ha struttura oggettiva e soggettiva categoriale e,
quindi, di genere, come strumento idoneo a regolare, di per sé, un caso di
specie ultima, se nella fase procedimentale amministrativa che va dalla
dichiarazione tributaria all'avviso di accertamento, non si sia svolto alcun
contraddittorio tra l'Ufficio tributario e il contribuente, in modo da
consentire a quest'ultimo di intervenire già in sede amministrativa per
vincere la mera praesumptio hominis costituita dagli studi di settore"
(Cass. 28 luglio 2006, n. 17229, Boll. Trib., 2006, pag. 1738).
4. In pratica, gli studi di settore servono per individuare quei
contribuenti che, dichiarando ricavi sottodimensionati rispetto al cluster
di appartenenza (cioè il gruppo omogeneo di soggetti che all'interno del
medesimo settore di attività presentano una certa comunanza di
caratteristiche strutturali), possono essere plausibilmente sospettati di
condotte evasive e/o elusive.
Questo non significa, però, che i sospettati siano necessariamente
colpevoli: il sottodimensionamento di ricavi o corrispettivi è solo un
indizio di evasione, ma non è, evidentemente, l'evasione. In proposito,
giova ricordare che le presunzioni semplici costituiscono prova idonea solo
nel caso in cui siano "gravi, precise e concordanti" (art. 2729 c.c.), cioè
se siano assistite da un adeguato grado di inferenza probabilistica (che
deve essere valutato dal Giudice: Cass. 6 giugno 1997, n. 5082).
5. Ne deriva, inevitabilmente, che, di per sé solo, uno studio di
settore - che, per quanto raffinato sia esprime sempre e solo una media
statistica - non può integrare gli estremi per accertare un determinato
reddito in capo al contribuente.
6. Consapevole di questa debolezza, il legislatore, con il comma 409
della finanziaria 2005 (legge 3.11.2004), ha inserito nell'art. 10 della
legge n. 146 del 1998, il comma 3 bis; in base a questa norma, l'Agenzia
delle Entrate, "prima della notifica dell'avviso di accertamento, invita il
contribuente a comparire ai sensi dell'art. 5 del decreto legislativo 19
giugno 1997, n. 218" (cioè la norma che disciplina l'invito a comparire, ai
fini dell'accertamento con adesione" (comma 409, art. 1, legge 311/2004).
La centralità del preventivo contraddittorio tra Amministrazione
finanziaria e contribuente è stata ribadita dalla Circolare della Agenzia
delle Entrate, n. 31/E del 22 maggio 2007.
Pertanto, nell'ipotesi in cui l'Ufficio emetta un avviso di accertamento
senza avere previamente invitato il contribuente a spiegare le ragioni dello
scostamento, il provvedimento impositivo è invalido. Qui il vizio
procedimentale incide sul diritto di difesa del contribuente; e sappiamo
come l'assenza del preventivo contraddittorio - laddove la legge lo preveda
(è il nostro caso: cfr. comma 3 bis dell'art. 10 della legge 146/98) -
integri un irrimediabile vizio dell'atto impositivo.
7. Nel caso in cui il contribuente, invitato, compaia e adduca ragioni
per giustificare lo scostamento dal livello di congruità (come è successo
nel caso di specie), queste ragioni devono formare oggetto di scrutinio da
parte dell'Ufficio; l'Ufficio è quindi tenuto a spiegare puntualmente,
nell'avviso di accertamento, i motivi in base ai quali non condivide le
giustificazioni fornite dal contribuente.
Se infatti l'Ufficio potesse liquidare le ragioni addotte dal
contribuente senza dover spiegare i motivi del proprio dissenso, il
contraddittorio con il contribuente sarebbe solo un vuoto formalismo; il che
- ovviamente - non è né pensabile né accettabile.
La stessa Amministrazione finanziaria afferma che "la motivazione degli
atti di accertamento basati sugli studi di settore non deve essere di regola
rappresentata dal mero, "automatico" rinvio alle risultanze degli studi di
settore, ma deve dare conto in modo esplicito delle valutazioni che, a
seguito del contraddittorio con il contribuente, hanno condotto l'Ufficio a
ritenere fondatamente attribuibili i maggiori ricavi o compensi determinati
anche tenendo conto degli indicatori di normalità". E, "qualora, il
contribuente abbia formulato eccezioni, con riguardo ad uno o più dei
predetti profili, la motivazione dovrà ovviamente spiegare le ragioni che
hanno indotto a ritenere infondate, in tutto o in parte, le argomentazioni
addotte" (Circ. 5/E dell'Agenzia delle Entrate del 23 gennaio 2008).
In questo ordine di idee, quindi, un avviso di accertamento che non
prenda posizione sulle ragioni addotte dal contribuente, ma si limiti a
richiamare lo studio di settore, è nullo per difetto di motivazione.
Naturalmente, la nullità deve essere eccepita tempestivamente, e cioè
nel ricorso introduttivo del giudizio (art. 61, comma 2, D.P.R. 600/73).
Il contribuente, quindi, ha l'onere di eccepire, nel ricorso, il difetto
di motivazione dell'avviso di accertamento fondato sugli studi di settore
che non descriva (o descriva solo apparentemente) le ragioni in base alle
quali non ritenga di prendere in considerazione le circostanze o le
argomentazioni (anche di carattere presuntivo) addotte dal contribuente per
giustificare lo scostamento dalle medie settoriali.
In mancanza di una critica presa di posizione dell'Ufficio su queste
circostanze o su queste argomentazioni l'avviso di accertamento è nullo per
difetto di motivazione. Il Giudice tributario, quindi, si deve limitare a
prendere atto di questa nullità e a dichiararla, senza scendere nel merito
della pretesa impositiva.
8. Se, viceversa, l'Ufficio - nell'avviso di accertamento - prenda
posizione sulle ragioni addotte dal contribuente per giustificare lo
scostamento dagli studi di settore, il Giudice tributario è tenuto a
valutare la persuasività di questa motivazione.
9. Se, poi, il contribuente - a fronte di una motivazione sufficiente -
contesti, i fatti e le circostanze su cui quella motivazione si regge, sarà
onere dell'Agenzia delle Entrate provare in giudizio quei fatti e quelle
circostanze.
10. Nel caso all'attenzione del Collegio, la contribuente aveva
argomentato lo scostamento dai valori mediani degli studi settoriali
adducendo la crisi generale che aveva investito il settore del commercio al
minuto degli esercizi di stoffe per l'abbigliamento.
Nell'avviso di accertamento impugnato, tuttavia, l'Ufficio,
contraddittoriamente, afferma di accogliere "le motivazioni presentate dal
contribuente"; tuttavia, riferisce di avere proposto un accertamento con
adesione (al quale la contribuente non ha aderito).
La motivazione dell'avviso impugnato, quindi, si rivela:
- contraddittoria, perché non è vero che le ragioni del contribuente
sono state accolte (semmai lo sono state solo parzialmente in quanto la
pretesa fiscale, ancorché diminuita, permane);
- inesistente laddove l'Ufficio omette di argomentare sulla circostanza
esimente (rappresentata dalla generale crisi del settore) addotta dalla
contribuente.
11. L'avviso di accertamento, pertanto, deve ritenersi, illegittimo per
difetto di motivazione conforme al modello legale.
12. Il ricorso, pertanto, deve essere accolto e, di conseguenza,
l'avviso di accertamento impugnato, dichiarato nullo ex art. 42 D.P.R.
600/73.
13. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M. - La Commissione Tributaria Provinciale di Bologna così decide:
a) dichiara la nullità dell'avviso di accertamento impugnato; b) condanna
l'Agenzia delle Entrate alla rifusione delle spese di giudizio liquidate in
complessivi Euro 700,00 per onorari e diritti, oltre ad Euro 90,00 per spese
borsuali ed oneri accessori di legge.