Il legittimario che abbia, tacitamente o espressamente, accettato il legato in sostituzione di legittim decade dal diritto di esperire azione di riduzione

In tema di diritti riservati ai legittimari, il comportamento dal quale sia dato desumere la volontà, espressa o tacita, del beneficiario di conservare il legato in sostituzione di legittima, se, per un verso, assume valenza confermativa, seppure superflua, della già realizzata acquisizione patrimoniale, per altro verso, comporta, "ope legis", la contemporanea caducazione del diritto di chiedere la legittima. A tale effetto non può porsi rimedio neppure con eventuali atti successivi di resipiscenza, giacchè, in considerazione della definitività e della irretrattabilità degli effetti acquisitivi del lascito testamentario correlati a detta manifestazione di volontà, non è possibile la reviviscenza del diritto di scelta tra il legato sostitutivo e la richiesta della legittima, rimasto caducato al momento stesso in cui sia stata manifestata la volontà di conservare il legato. E' quanto pronunciato dalla Corte di Cassazione, Sezione 2 Civile, con sentenza del 16 maggio 2007, n. 11288. La S.C., nella specie ha escluso che potesse attribuirsi valore all'atto di rinuncia al legato in sostituzione di legittima compiuto dal beneficiario in epoca successiva all'immissione nel possesso dei beni oggetto del lascito.



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Franco PONTORIERI - Presidente

Dott. Olindo SCHETTINO - Consigliere

Dott. Salvatore BOGNANNI - Consigliere

Dott. Emilio MALPICA - Consigliere

Dott. Vincenzo MAZZACANE - Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Mo.Vi., elettivamente domiciliato in Ro. Piazzale Cl. (...), presso lo studio dell'avvocato Gi.Ag., difeso dall'avvocato Mi.Tr., giusta delega in atti;

- ricorrente -

Mo.Do., Mo.Be.;

- intimati -

e sul 2° ricorso n° 12024/03 proposto da:

Mo.Be., elettivamente domiciliata in Ro. Corso Tr. (...), presso lo studio dell'avvocato Um.Al., difesa dagli avvocati To.La., Gi.La., giusta delega in atti;

- controricorrente e ricorrente incidentale -

nonché contro

Mo.Do., Mo.Vi.;

- intimati -

e sul 3° ricorso n° 12440/03 proposto da:

Mo.Do., elettivamente domiciliato in Ro. Via Ce. (...), presso lo studio dell'avvocato Be.Pa., che lo difende, giusta delega in atti;

- controricorrente e ricorrente incidentale -

contro

Mo.Vi., Mo.Be.;

- intimati -

avverso la sentenza n. 574/02 della Corte d'Appello di Bari, depositata il 01/07/02;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/06/06 dal Consigliere Dott. Vincenzo MAZZACANE;

udito l'Avvocato Tr.Mi., difensore del ricorrente che si riporta agli atti;

udito l'Avvocato Pa., difensore del resistente che si riporta agli atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Vincenzo GAMBARDELLA che ha concluso per l'accoglimento per quanto di ragione sia del ricorso principale che del ricorso incidentale.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 13.9.1996 Vi.Mo. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Bari i germani Do. e Be.Mo. chiedendo la reintegrazione della quota di legittima di sua spettanza in ordine alla successione ereditaria relativa ai genitori An.Mo., deceduta il (...), e Mi.Mo., deceduto il (...).

L'attore assumeva che la Mo. con testamento pubblico del 25.9.1989 aveva nominato suo erede universale il marito Mi.Mo. confermando le donazioni fatte in vita ai figli Do. e Be. e lasciando al figlio Vi., a tacitazione della legittima ed eventualmente della disponibile, la nuda proprietà della metà indivisa di due fondi rustici siti nella località Pi. o La. e S. Ma.De.Gr. o via Bi. dell'agro di Mo.; aggiungeva che il legato in sostituzione di legittima suddetto aveva valore nettamente inferiore alla quota di legittima spettantegli per legge.

L'attore esponeva che il 13.12.1995 era deceduto anche Mi.Mo., che a sua volta con testamento pubblico del 25.9.1989 aveva istituito erede universale la moglie, disponendo per il resto nell'identico modo del coniuge.

Costituendosi in giudizio i convenuti deducevano l'inammissibilità della domanda in quanto l'attore non aveva rinunciato al legato in sostituzione di legittima così come prescritto dall'art. 551 c.c.; assumevano inoltre che Vi.Mo. aveva ricevuto dal padre, quando questi era ancora in vita, un esercizio commerciale, e che tale donazione era nulla per difetto di forma, producendo in proposito fotocopia di una scrittura asseritamente redatta dal "de cuius", in cui si faceva espressa menzione di tale donazione; chiedevano quindi in via riconvenzionale la declaratoria di nullità della donazione stessa e la condanna della controparte al versamento in favore della massa ereditaria del valore economico dell'azienda.

In seguito Vi.Mo. rinunciava formalmente al legato con atto per notaio Lo. del 23.1.1997, contestava di aver ricevuto la donazione sopra menzionata e comunque disconosceva il documento prodotto in fotocopia dai convenuti, i quali a tal punto eccepivano che la rinuncia aveva determinato il venir meno della legittimazione attiva della controparte, e che comunque tale rinuncia era inefficace.

Il giudice unico dell'adito Tribunale con sentenza non definitiva del 23.6.2000 rigettava le domande riconvenzionali e le eccezioni preliminari dei convenuti e disponeva in ordine alla prosecuzione del giudizio con separata ordinanza.

A seguito di gravame da parte di Do.Mo. cui resisteva Vi.Mo. mentre Be.Mo. aderiva alla impugnazione, la Corte di Appello di Bari con sentenza del 1.7.2002, in riforma della decisione di primo grado, ha dichiarato l'inammissibilità sia della domanda proposta da Vi.Mo. con l'atto di citazione notificato il 13.9.1996 nei confronti di Do. e Be.Mo. sia della domanda riconvenzionale proposta da questi ultimi nei confronti di Vi.Mo.

La Corte territoriale ha disatteso l'eccezione di nullità della sentenza di primo grado proposta soltanto con la comparsa conclusionale dell'appellante e da Be.Mo. per essere stata pronunciata dal giudice istruttore e non dal giudice unico, per giunta in violazione dell'art. 50 bis n. 6 c.p.c., che demanda la competenza a conoscere delle azioni di riduzione per lesione di legittima al Tribunale in composizione collegiale; premesso che il fatto che il giudice unico si era definito "giudice istruttore" si configurava come una questione terminologica, priva di rilievo, il giudice di appello ha ritenuto che l'eccezione avrebbe dovuto essere proposta con i motivi di appello ai sensi degli articoli 50 quater e 161 primo comma c.p.c.; d'altra parte, convertendosi tale nullità in motivo di gravame, e non rientrando la fattispecie in nessuna delle ipotesi di rinvio previste dall'art. 354 c.p.c., comunque la Corte Territoriale avrebbe dovuto decidere l'appello nel merito, come era avvenuto.

Il giudice di appello ha poi ritenuto l'inammissibilità della domanda di Vi.Mo. per la reintegrazione della quota di legittima per il fatto che quest'ultimo si era immesso nel possesso dei due fondi oggetto del legato, confermando con tale inequivocabile comportamento la volontà di conservare il lascito testamentario; si era quindi verificata la mancata rinuncia al legato, puntualmente eccepita nel giudizio di primo grado dai convenuti e comunque rilevabile d'ufficio, con conseguente perdita "ope legis" del diritto di chiedere la legittima ai sensi dell'art. 551 c.c.

La sentenza impugnata ha rilevato altresì l'inammissibilità della domanda con la quale Do. e Be.Mo. avevano chiesto la riduzione della donazione asseritamente effettuata da Mi.Mo. in favore del figlio Vi. avente ad oggetto un esercizio commerciale per non avere essi ai sensi dell'art. 564 c.c. accettato l'eredità con beneficio di inventario, considerato che Vi.Mo. non era coerede ma legatario, ancorché tale in sostituzione di legittima.

Per la cassazione di tale sentenza Vi.Mo. ha proposto un ricorso articolato in quattro motivi cui Be. e Do.Mo. hanno resistito con separati controricorsi proponendo altresì due ricorsi incidentali dall'identico contenuto basati su cinque motivi; il ricorrente principale ha successivamente depositato una memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve procedersi alla riunione dei ricorsi in quanto proposti contro la medesima sentenza. Per ragioni di priorità sul piano logico-giuridico occorre anzitutto esaminare il primo motivo dei ricorsi incidentali con il quale Be.Mo. e Do.Mo. deducono l'inesistenza giuridica o la nullità radicale ed insanabile della sentenza di primo grado per essere stata pronunciata dal giudice istruttore e non dal giudice unico in violazione dell'art. 50 bis n. 6 c.p.c., che domanda la competenza a conoscere delle azioni di riduzione per lesione di legittima al tribunale in composizione collegiale.

I ricorrenti incidentali escludono che nella specie sia ravvisabile una nullità non rilevabile d'ufficio e quindi sanabile in quanto all'udienza del 16.3.2001 il giudice istruttore aveva rimesso la causa per la decisione concedendo i termini di legge per il deposito delle comparse conclusionali e delle memorie di replica; pertanto il giudice istruttore, non avendo trattenuto la causa in decisione, ma avendola rimessa al collegio, aveva riconosciuto la propria carenza di potere decisorio al riguardo, dando luogo ad una sentenza inesistente.

La censura è infondata.

Come invero già sostenuto dalla sentenza impugnata, il fatto che il giudice unico del Tribunale di Bari si era qualificato "giudice istruttore" si configura come una mera questione terminologica priva di effetti sul piano giuridico, in quanto ai fini che qui interessano occorre soltanto rilevare l'eventuale violazione delle riserve di collegialità previste dall'art. 50 bis c.p.c.

Ciò premesso, e dato atto che effettivamente il giudice di primo grado decise la causa come giudice unico in violazione dell'art. 50 bis n. 6 c.p.c. che devolve al tribunale in composizione collegiale la decisione della causa avente ad oggetto la riduzione per lesione di legittima, occorre aggiungere che ai sensi dell'art. 50 quater c.p.c. a tale nullità si applica l'art. 161 primo comma c.p.c. con la conseguente necessità di farla valere con uno specifico motivo di impugnazione; poiché invece nella specie ciò non è avvenuto, la nullità suddetta non poteva essere più rilevata.

Venendo quindi all'esame del ricorso principale, si osserva che Vi.Mo., denunciando violazione e/o falsa applicazione degli articoli 113 e 115 secondo comma c.p.c., censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che l'esponente aveva inequivocabilmente manifestato la volontà di conservare il lascito testamentario essendosi immesso nel possesso dei due fondi oggetto del legato; invero in tal modo il giudice di appello prima dell'espletamento di qualsiasi mezzo istruttorio ha illegittimamente configurato tale preteso possesso come una nozione di fatto rientrante nella comune esperienza.

Con il secondo motivo il ricorrente principale, deducendo violazione e/o falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., assume che la sentenza impugnata non ha considerato che l'eccezione sollevata dalle controparti di mancata rinuncia al legato da parte dell'esponente atteneva soltanto alla ammissibilità dell'azione di riduzione ai sensi dell'art. 551 c.c. e che tale eccezione era stata in seguito superata dalla circostanza che Vi.Mo. aveva poi rinunciato formalmente al legato, come riconosciuto dallo stesso giudice di appello; intervenuta quindi tale rinuncia, nessuna delle controparti ne aveva mai eccepito l'inammissibilità per esser il rinunciante nel possesso di beni legati, cosicché la Corte territoriale, nel rilevare come fatto pacifico o inconfutabile tale possesso, ha ampliato inammissibilmente il "thema decidendum".

Con il terzo motivo il ricorrente principale, deducendo violazione e/o falsa applicazione degli articoli 551 - 649 - 2696 e 2946 c.c., censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che Vi.Mo., essendosi immesso nel possesso dei beni oggetto del legato, aveva perso "ope legis" il diritto di chiedere la legittima ai sensi dell'art. 551 c.c.; il ricorrente principale rileva che l'assolvimento dell'onere della rinuncia al legato, costituendo condizione dell'azione di riduzione, deve essere accertato con riguardo al momento della decisione e non a quello della proposizione della domanda; orbene la rinuncia al legato da parte dell'esponente era avvenuta nell'anno 1997, ovvero prima del compimento della prescrizione decennale decorrente dall'apertura delle successioni dei genitori (1992 e 1995), e d'altra parte la prova del possesso da parte di Vi.Mo. di beni oggetto del legato o la richiesta di prova di tale possesso dovevano provenire dalle controparti e non ipotizzate dal giudice.

Con il quarto motivo il ricorrente principale denunciando omessa e/o insufficiente motivazione, assume che il giudice di appello, senza offrire alcuna giustificazione del proprio convincimento, ha ritenuto come circostanza pacifica ed inconfutabile il preteso possesso dei beni oggetto del legato da parte dell'esponente; del resto di tale fatto non era stata fornita alcuna prova, non essendo ancora il processo giunto alla fase istruttoria.

Le enunciate censure, da esaminare contestualmente in quanto connesse, sono parzialmente fondate e devono essere accolte per quanto di ragione.

La Corte territoriale ha ritenuto inammissibile la domanda di Vi.Mo. per la reintegrazione della quota di legittima per il fatto che quest'ultimo si era immesso nel possesso dei beni oggetto del legato, manifestando così con tale inequivocabile comportamento la volontà di conservare il lascito testamentario.

Orbene è pur vero che, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente principale, non assume rilievo decisivo l'avere o meno i convenuti Do.Mo. e Be.Mo. sollevato l'eccezione di mancata rinuncia al legato da parte di Vi.Mo., posto che tale circostanza è rilevabile d'ufficio (Cass. 18.4.2000 n. 4971), come correttamente ritenuto dalla sentenza impugnata.

Dal pari neppure può attribuirsi un peso decisivo al fatto che Vi.Mo. con atto per notaio Lo. del 23.1.1997 aveva rinunciato al legato in questione, in quanto un comportamento del beneficiario del legato sostitutivo di legittima dal quale sia dato desumere la volontà, espressa o tacita, dello stesso di conservare il legato, assume per un verso valenza confermativa, seppur superflua, della già realizzata acquisizione patrimoniale, e per altro verso comporta "ope legis" la contemporanea caducazione del diritto di chiedere la legittima, conseguenza alla quale non può essere posto rimedio neppure con eventuali atti successivi di resipiscenza, attesa la definitività e la irretrattabilità degli effetti acquisitivi del lascito testamentario correlati a detta manifestazione di volontà e la consequenziale impossibilità di reviviscenza del diritto di scelta tra il legato sostitutivo e la richiesta di legittima, rimasto caducato al momento stesso in cui è stata manifestata la volontà di conservare il legato (Cass. 27.5.1996 n. 4883; Cass. 22.7.2004 n. 13785); alla luce di tale principio di diritto, quindi, l'eventuale possesso di beni oggetto del legato da parte di Vi.Mo. in epoca antecedente al sopra richiamato atto di rinuncia al legato medesimo si configura come circostanza rilevante ai fini della decisione.

Ciò premesso, deve però aggiungersi che la sentenza impugnata si è limitata a ritenere pacifica l'immissione nel possesso dei due fondi oggetto del legato da parte di Vi.Mo. senza fornire alcuna chiarificazione sull'epoca in cui ciò sarebbe avvenuto nonché sulle modalità e sulle estrinsecazioni di tale possesso; orbene i fatti allegati da una parte intanto possono considerarsi pacifici in quanto siano stati esplicitamente ammessi dall'altra parte, ovvero quando quest'ultima abbia impostato la propria difesa su argomenti logicamente incompatibili con il disconoscimento dei fatti stessi, oppure si sia limitata a contestarne esplicitamente e specificamente taluni soltanto, mostrando in tal modo il proprio disinteresse ad un accertamento degli altri (Cass. 5.7.2002 n. 9741; Cass. 28.10.2004 n. 20916); nella fattispecie, invece, il giudice di appello non ha minimamente evidenziato il comportamento processuale di
Vi.Mo. sulla base del quale ha ritenuto come pacifica la circostanza della sua immissione nel possesso di beni legati.

In linea più generale, comunque, il convincimento in proposito espresso dalla sentenza impugnata è privo della indicazione degli elementi probatori idonei a legittimarli), e tale palese insufficienza sul piano motivazionale è resa ancor più evidente dal rilievo che in base ai testamenti sopra richiamati a Vi.Mo. era stata lasciata la sola nuda proprietà della metà indivisa di due fondi rustici, disposizioni quindi che di per sé non legittimavano il legatario al possesso pieno dei suddetti beni.

Con il secondo motivo di ricorso incidentale Be.Mo. e Do.Mo. denunciando violazione o falsa applicazione dell'art. 782 c.c., censurano la sentenza impugnata per aver ritenuto l'inammissibilità della domanda con la quale gli esponenti avevano chiesto la riduzione della donazione asseritamente effettuata da Mi.Mo. in favore del figlio Vi. avente ad oggetto un esercizio commerciale per non avere essi accettato l'eredità con beneficio di inventario; i ricorrenti incidentali rilevano di aver proposto in realtà una domanda relativa alla declatoria di nullità della suddetta donazione per difetto di forma, come tale del tutto autonoma dalla domanda di riduzione.

La censura è fondata.

Come evidenziato nella stessa parte narrativa della sentenza impugnata e come emerge dall'esame diretto degli atti processuali (esame consentito a questa Corte dalla natura procedurale del vizio denunciato), Be.Mo. e Do.Mo. avevano proposto nei confronti di Vi.Mo. una domanda riconvenzionale avente ad oggetto la declaratoria di nullità per difetto di forma della donazione di un esercizio commerciale che Mi.Mo. avrebbe effettuato in favore del figlio Vi.; pertanto la Corte territoriale, avendo dichiarato inammissibile una domanda di riduzione della stessa donazione che in realtà gli attuali ricorrenti incidentali non avevano mai proposto, e non avendo esaminato la domanda di nullità sopra richiamata, ha violato il principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato sancito dall'art. 112 c.p.c.

Con il terzo motivo i ricorrenti incidentali, deducendo violazione o falsa interpretazione dell'art. 2719 c.c., censurano la sentenza di primo grado per aver ritenuto probatoriamente inutilizzabile la copia fotostatica della scrittura privata del 29.9.1999 relativa alla donazione di azienda da parte di Mi.Mo. al figlio Vi., copia fotostatica prodotta da Be.Mo. e da Mi.Mo.

Con il quarto motivo i ricorrenti incidentali, deducendo violazione o falsa applicazione dell'art. 216 c.p.c., censurano la sentenza di primo grado per aver ritenuto inutilizzabile la copia fotostatica della scrittura privata del 29.9.1989 in difetto dell'istanza di verificazione di cui all'art. 216 c.p.c.

Con il quinto motivo i ricorrenti incidentali, deducendo vizio di motivazione, censurano la sentenza di primo grado per avere rigettato l'eccezione preliminare degli esponenti di difetto di legittimazione processuale attiva di Vi.Mo.

Tutti gli enunciati motivi restano assorbiti. In definitiva la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione all'accoglimento del ricorso principale e del secondo motivo del ricorso incidentale, e la causa deve essere rinviata anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Bari.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie per quanto di ragione il ricorso principale, rigetta il primo motivo del ricorso incidentale, accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, dichiara assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione all'accoglimento del ricorso principale e del secondo motivo del ricorso incidentale e rinvia la causa anche per la pronuncia sulle spese del presente giudizio ad altra sezione della Corte di Appello di Bari.

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