Il termine di prescrizione decennale per l'azione rivolta ad ottenere la pronunzia dell'indegnità a succedere inizia a decorrere dalla conoscenza effettiva della causa di indegnità

L'azione rivolta ad ottenere la pronunzia dell'indegnità a succedere, quindi una sentenza che ha natura costitutiva, si prescrive nel termine di dieci anni dall'apertura della successione; tuttavia, poiché l'art. 2935 cod. civ., nello stabilire che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, si riferisce soltanto alla possibilità legale di far valere il diritto, quindi agli impedimenti di ordine giuridico e non già a quelli di mero fatto, rientrando in questi ultimi anche l'ignoranza del titolare del diritto, quando la stessa è incolpevole, la prescrizione di detta azione nel caso di indegnità conseguente alla formazione o all'uso di un testamento falso (art. 463 n. 6 cod. civ.) inizia a decorrere dal giorno in cui il soggetto legittimato ad esercitarla abbia la ragionevole certezza e consapevolezza sia della circostanza che ad una parte pretenda di essere erede e si qualifichi come tale in forza di un testamento che si ha motivo di ritenere falso, sia del proprio diritto a conseguire l'eredità o il legato, in virtù di indici oggettivamente univoci idonei a determinare detto convincimento in una persona di normale diligenza, il cui apprezzamento è riservato alla valutazione del giudice del merito. (Corte di Cassazione, Sezione 2 Civile,Sentenza del 29 marzo 2006, n. 7266)



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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata il 21.9.1993, Ta.Gi., in proprio e quale legale rappresentante della società Lu. s.r.l., con sede in Bo., conveniva davanti al tribunale di Parma Bo.Gi., per sentir dichiarare che lo stesso era escluso per indegnità dalla successione ereditaria di Ta.Ma., deceduta in data 15.1.1979, e che erede testamentario, in forza di testamento olografo del 28.8.1977, era il di lei fratello Gi., anch'esso deceduto nell'anno 1989.

Assumendo, quindi, di essere a sua volta unica erede di quest'ultimo, esponeva che Bo. Gi. aveva formato un apparente testamento olografo di Ta. Ma., datato 29.8.1977, con cui la testatrice aveva istituito erede universale il proprio fratello Ta.Gi., e in data 7.6.1979, aveva fatto pubblicare altro testamento olografo di Ta.Ma., datato 15.10.1974, che lo istituiva erede universale; aveva, quindi, noficato in data 29.12.1979, al prodotto Ta. Gi. un atto di citazione davanti al tribunale di Parma., proponendo nei suoi confronti un'azione di petizione di eredità in virtù del citato testamento olografo del 29.8.1977.

Esponeva ancora l'attrice che erano seguite varie vertenze giudiziarie che si erano concluse., in sede civile, con la sentenza della corte di appello di Bo. del 9-12-1983, passata in giudicato., con cui era stato riconosciuto il Bo. unico erede di Ta.Ma., ed in sede penale, con sentenza della stessa corte di appello in data 16.3.1988, confermata dalla Corte di Cassazione, con cui era stata dichiarata la parziale falsità del testamento olografo del 29.8.1977 ed era stata ordinata la cancellazione del falso a norma dell'art. 480 c.p.p..

Tutto ciò esposto, l'attrice, quale unica figlia ed unica erede di Ta.Gi., chiedeva che, dichiaratasi l'esclusione del Bo. dalla successione di Ta.Ma., fosse essa stessa dichiarata erede, con conseguente cancellazione delle trascrizioni effettuate dal Bo. sui beni immobili del compendio ereditario e condanna del medesimo al risarcimento di tutti i danni per la falsificazione e comunque per l'uso fraudolento della scrittura 29.8.1977 a firma di Ta.Ma.

Si costituiva il Bo., contestando l'ammissibilità e la fondatezza della domanda e eccependo la prescrizione dell'azione esercitata dall'attrice.

Con sentenza non definitiva del 9.2.2000, l'adito tribunale rigettava la domanda di indegnità del Bo., proposta dalla Ta., e dichiarava inammissibile l'eccezione di prescrizione da lui sollevata relativamente alla domanda di risarcimento del danno.

Proposto appello principale dalla Ta. ed incidentale dal Bo., la corte di appello di Bologna, con sentenza del 28.9.2002, li ha rigettati, condannando la Ta. a rimborsare al Bo. le spese del grado.

La sentenza si basa sulle seguenti proposizioni.

È infondato, secondo la corte, il primo motivo dell'appello principale della Ta., in quanto non è meritevole di censura la statuizione del tribunale, che ha ritenuto prescritta l'azione esercitata dall'attrice per far dichiarare l'indegnità dei convenuto a succedere.

Tale azione, in tutti i casi previsti dall'" art. 4 63 c.c., è soggetta, infatti, contrariamente all'assunto della ricorrente, secondo cui la stessa sarebbe imprescrittibile, all'ordinaria prescrizione decennale, decorrente dalla data di apertura della successione, segnando questa il dies a quo per chiedere la pronuncia di indegnità a succedere; e, poiché nel caso di specie la successione di Ta.Ma. si è aperta il 15.1.1979, data della sua morte, ed il Bo. propose un'azione di petizione di eredità nei confronti di Ta.Gi. con atto di citazione notificato il 29.12.1979, sulla base di quella disposizione testamentaria olografa datata 29.8.1977, la cui falsificazione costituisce il fondamento dell'azione di indegnità proposta da Ta.Gi. con l'atto di citazione notificato il 21.9.1993, introduttivo del presente giudizio, la corte di appello ne ha tratto la conclusione che effettivamente quest'ultima azione è prescritta, come correttamente ritenuto dal tribunale.

Ogni altro motivo dell'appello principale è stato dalla corte ritenuto assorbito.

Ricorre per la cassazione della sentenza Gi. Ta., in proprio e nella qualità di socio amministratore e legale rappresentante della società semplice Lu. di Gi.Ta., già Lu. s.r.l., in forza di tre motivi.

Resiste con controricorso Bo.Gi.

Le parti hanno depositato memorie.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Denuncia la ricorrente:

1) Violazione e falsa applicazione di norme dì diritto ed in particolare degli artt. 463 e 533 ce., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c. Con questo motivo la ricorrente, nel censurare la statuizione con cui la corte di appello ha ritenuto che l'azione da lei proposta ex art. 463 n. 6 c.c. nei confronti del Bo. è prescritta, in quanto, essendo soggetta alla prescrizione ordinaria decennale decorrente dalla data di apertura della successione, è stata esercitata ben oltre i dieci anni dall'apertura della successione di Ta.Ma., apertasi il 15.1.1979, svolge le seguenti argomentazioni, basate su riferimenti e richiami dottrinari:

a) alla luce del diritto positivo - in particolare, dal tenore letterale dell'art. 463 c.c., che recita: "E' escluso dalla successione come indegno", e dell'art. 466 c.c., che attribuisce alla riabilitazione l'effetto di "ammettere" l'indegno a succedere - questi non acquista alcun diritto ereditario, giacché è la stessa legge (e non la sentenza che accoglie la relativa domanda) a non permetterglielo. Ne deriva che il fatto che egli accetti l'eredità o si comporti come erede o sia stato riconosciuto come tale, non può avere altro significato che di doverlo considerare come un mero erede apparente; con la conseguenza che contro di lui l'erede vero può quindi agire in ogni momento esercitando la hereditatis petitio, che a norma dell'art. 533 ce è imprescrittibile.

b) l'azione diretta all'accertamento dell'indegnità successoria costituisce, a ben vedere, sostanzialmente ed a tutti gli effetti una petizione di eredità, e, dunque, è imprescrittibile.

2) Violazione e falsa applicazione di norme di diritto e in particolare degli artt. 463 e 2935 ce, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.; motivazione omessa o comunque insufficiente circa un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c.

Con questo secondo motivo, da ritenersi subordinato al mancato accoglimento del primo, la ricorrente critica la corte territoriale, per avere individuato tout court nella data dì apertura della successione il dies a quo di decorrenza del termine della prescrizione ordinaria decennale per l'esercizio dell'azione di indegnità in tutte le ipotesi previste dall'art. 463 ce; laddove per quella contemplata al n. 6, che si incentra sul concetto del cosciente utilizzo dì un testamento falso, sicuramente la prescrizione non può iniziare a decorrere dalla data di apertura della successione, ciò essendo semplicemente assurdo, giacché in quel momento la stessa fattispecie descritta dalla norma non si è ancora realizzata, ed anzi è impossibile che si sia già realizzata la ricorrente, sulla base di tali considerazioni, e avuto riguardo ai principi che regolano la materia - alla stregua dei quali il momento di inizio della decorrenza della prescrizione è quello in cui tutti i presupposti dell'azione contemplati dalla norma si sono (da un lato) compiutamente realizzati e (dall'altro) si sono altresì palesati in termini obiettivi tali da determinare, in una persona di normale di diligenza, l'acquisizione di una ragionevole certezza circa la sussistenza del proprio diritto - deduce, quindi, che, nel caso di specie, il dies a quo di decorrenza della prescrizione debba essere individuato necessariamente nel momento in cui il Bo. è risultato erede (o legatario) della defunta Ma.Ta.; e questo si è verificato, in concreto, solo il 7.2.1987, con il passaggio in giudicato della sentenza della corte di appello di Bo. (o alla data di questa, che è il 17.1.1984), con la quale è stata accolta la domanda di petizione di eredità da lui proposta nei confronti di Ta.Gi. con citazione notificata il 29.12.1979, per cui deve concludersi che prima di tale momento non era giuridicamente possibile esperire utilmente nessuna azione di indegnità, non essendo il Bo., per quanto detto più sopra, né erede della defunta Ta.Ma. né legatario. L'azione esercitata dalla ricorrente con citazione notificata il 21.9.1993 non è dunque prescritta. 3) Motivazione omessa e comunque insufficiente circa un punto decisivo della controversia, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c.; violazione degli artt. 112 e 277 c.p.c. per omessa pronuncia, in relazione all'art. 360 n. 4 c.p.c. ovvero, in ipotesi, in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c.

La ricorrente denuncia, infine, l'omesso esame, da parte della corte territoriale, del terzo motivo di appello, con cui era stato rilevato che il primo giudice non aveva considerato che sulla questione della falsità o autenticità dell'apparente testamento olografo di Ta.Ma. del 29.8.1977 si erano succeduti nel tempo due accertamenti giudiziali di segno opposto, entrambi passati in giudicato; e che, mentre per effetto del primo, formatosi nel giudizio civile promosso dal Bo. nei confronti di Ta.Gi. (sentenza della corte di appello di Bo. 17.1.1984, passata in giudicato il 7.2.1987), il predetto testamento era stato giudicato autentico, con il secondo, formatosi sull'azione civile esercitata dalla parte civile Ta. Gi. nel giudizio penale promosso a carico del Bo. e sfociato nella sentenza del tribunale penale di Parma 30.10.1986, confermata con sentenza della corte di appello 16.3.1988, a sua volta confermata dalla Corte di cassazione con sentenza 2.3.1990, si era stabilito che lo scritto aveva subito interpolazioni apocrife ed era falso, per cui, ritenutosi responsabile della falsificazione l'imputato Bo., era stata disposta la cancellazione dello scritto ai sensi dell'art. 480 c.p.p., allora vigente.

La corte dì appello avrebbe dovuto, quindi, esaminare il predetto motivo, e, una volta assodato che tra i due giudicati, formatisi tra le stesse parti e sulla medesima questione, era il secondo in ordine di tempo quello destinato a prevalere e a regolare, da quel momento, i rapporti giuridici tra le parti - cioè il giudicato penale di cui alla sentenza 16.3.1988, che aveva accertato la falsità della scheda testamentaria 29.8.1977, con il conseguente venir meno nel Bo. della qualità di erede della Ta. - avrebbe dovuto ritenere che l'azione esercitata dalla ricorrente, volta a far constare il nuovo regolamento sorto a seguito della formazione del giudicato più recente che, rimuovendo l'atto dichiarato falso, ne aveva rimosso anche tutti i possibili effetti, aveva sostanzialmente natura di hereditatis petitio; vale a dire di azione dì accertamento della insussistenza di alcun diritto del Bo. sui beni ereditari. Alla luce delle considerazioni che precedono, la corte ha errato, secondo la ricorrente, nel ritenere assorbito il terzo motivo di appello (incentrato sulla questione della successione di contrastanti giudicati sulla falsità del testamento) e nell'omettere. qualsiasi pronuncia su di esso; mentre, trattandosi di motivo totalmente autonomo, quanto a causa petendi, rispetto agli altri due, incentrati sulla questione dell'indegnità successoria, avrebbe dovuto essere esaminato e, attesa la sua fondatezza, essere accolto. Non potendosi, tra l'altro, ipotizzare, nella fattispecie, secondo la ricorrente, un caso nel quale sarebbe stato consentito esperire il rimedio della revocazione ai sensi dell'art. 395 c.p.c. mancando i relativi presupposti di legge. Il primo motivo è infondato.

Consolidata giurisprudenza dì questa suprema Corte e dottrina prevalente, partendo dalla premessa che l'indegnità a succedere prevista dall'art. 463 c.c. non si risolve in incapacità all'acquisto dell'eredità, ma è causa di esclusione dalla successione, sono concordi nel ritenere che essa va accertata e dichiarata con sentenza costitutiva dal giudice su domanda dell'interessato (sent. 3171/62). La diversa opinione, secondo cui l'indegnità dovrebbe essere considerata alla stregua dell'incapacità a succedere - di cui si occupa, tra l'altro, un capo autonomo del libro delle successioni - non può essere seguita e condivisa, oltre che per tutte le ragioni, anche di carattere storico e sistematico, esposte dalla giurisprudenza e dalla dottrina sopra richiamate, per l'ulteriore e non trascurabile rilievo che la indegnità, così come configurata nell'unica disposizione che ne prevede le varie ipotesi, non è uno status connaturato al soggetto che sì assume essere indegno a succedere, ma una qualificazione di un comportamento del soggetto medesimo, che deve essere data dal giudice a seguito dell'accertamento del fatto che integra quella determinata ipotesi di indegnità dedotta in giudizio, e che si sostanzia, secondo la dottrina prevalente, in una vera e propria sanzione civile di carattere patrimoniale, avente anche un fondamento pubblicistico; essendo socialmente ingiusto e riprovevole, come si è pure opportunamente sottolineato, il conseguimento di un vantaggio patrimoniale nei confronti del soggetto passivo di un fatto illecito, che, nella maggior parte dei casi, costituisce reato.

Dalla natura costitutiva della sentenza con cui il giudice si pronuncia sull'indegnità del soggetto chiamato all'eredità, discende, quindi, l'effetto della esclusione dello stesso dalla successione;
con l'ulteriore corollario che la relativa azione non è imprescrittibile, ma è soggetta al termine di prescrizione ordinaria di cui all'art. 2946 ce (sent. n. 2145/74).

È fondato, invece, il secondo motivo. La corte territoriale, richiamando l'affermazione contenuta nella sentenza di questa Corte da ultimo citata, secondo cui la prescrizione comincia a decorrere, nel caso dell'azione de qua, dalla data di apertura della successione, e dopo avere ricordato che, ai fini della decorrenza, non può tenersi conto dell'eventuale impossibilità materiale di far valere il diritto, ciò ricavandosi dalla interpretazione giurisprudenziale della disposizione di cui all'art. 2935 c.c., ha statuito che, nel caso in esame, l'azione della Ta., esercitata nei confronti del Bo. ai sensi dell'art. 463 n. 6 c.c. con l'atto di citazione notificato il 21.9.1993, è ampiamente prescritta, risalendo l'apertura della successione di Ta.Ma. al 15.1.1979.

Si osserva, in proposito, che l'affermazione di questa Corte, sulla quale si basa la decisione del giudice di appello, non può essere intesa nel senso che il dies a quo di decorrenza della proscrizione dell'azione di indegnità debba essere individuato, sempre ed in ogni caso, nella data, di apertura della successione del de cuius della cui eredità si tratta, 'essendo ben possibile - ed, anzi, è quanto succede nella generalità dei casi - che a tale data non vi sia, nel soggetto legittimato a proporre siffatta azione, alcuna ragionevole certezza, basata su indici univoci ed oggettivamente significativi, del proprio diritto; cosicché, pretendere che questo debba essere esercitato comunque nel termine di dieci anni dall'apertura della successione, senza che si abbia o si possa avere sentore, e irten che meno ragionevole certezza, di uno dei fatti integranti ipotesi di indegnità previste dalla legge, equivale a sovvertire, in definitiva, il fondamentale principio in materia, secondo cui " contra non valentem agere non currit prescriptio ".

In altri termini, far decorrere, nell'ipotesi in esame (art. 4 63 n. 6 c.c.), la prescrizione nei confronti del soggetto da un evento e da una data -apertura della successione - da cui derivano allo stesso diritti che, tuttavia, per fatto di un terzo (formazione o uso consapevole di testamento falso), egli non è in grado di conoscere e, quindi, di far valere in giudizio, configura una soluzione che, traducendosi, sul piano dell'effettività della tutela dei diritti soggettivi, in una totale compressione di questi o in un sostanziale impedimento al loro esercizio, e non può essere accolta.

D'altra parte, questa Suprema Corte, nel ribadire che l'art. 2935 c.c., allorquando stabilisce che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere, si riferisce soltanto alla possibilità legale di esercizio dello stesso, e quindi agli impedimenti di ordine giuridico, e non già a quelli di mero fatto, includendo tra questi ultimi anche l'ignoranza, da parte del titolare, dell'esistenza del diritto, fa salva l'ipotesi in cui l'ignoranza sia imputabile al comportamento doloso della controparte (sent. n. 9291/97 e n. 4235/96); come si verifica appunto nel caso contemplato dall'art. 463 n. 6 c.c. Da. considerazioni che precedono discende che, non potendosi ritenere che in tutti i casi di formazione di testamento falso o di uso cosciente dello stesso da parte dei chiamato all'eredità, la prescrizione dell'azione di indegnità cominci a decorrere dalla data dell'apertura della successione, il secondo motivo del ricorso, con cui è stata censurata la statuizione della corte territoriale sul punto, deve essere accolto, con conseguente cassazione della sentenza e rinvio della causa ad altra sezione della stessa corte di appello, la quale si uniformerà al seguente principio di diritto:
nell'ipotesi di azione di indegnità di cui all'art. 463 n. 6 c.c., la prescrizione comincia a decorrere dai giorno in cui al soggetto legittimato a proporla si palesano indici oggettivamente univoci, che, esaminati e valutati in sede di merito con riferimento alla concreta fattispecie, siano tali da ingenerare, in una persona di normale diligenza, da un lato, la ragionevole certezza che altri, in forza di un testamento, che si ha motivo di ritenere falso, pretenda di essere erede del de cuius e si qualifichi e comporti come tale; e, dall'altro, e correlativamente, la consapevolezza del proprio diritto a conseguire l'eredità (o il legato) in luogo dell'indegno ". il terzo motivo, prima che infondato, è inammissibile, non risultando che l'appellante abbia proposto specificamente, con l'appello, la questione della "prevalenza" del giudicato penale formatosi sulla sentenza del tribunale di Parma del 30.10.1986, con cui era stato ritenuto falso il testamento del 29.7.1977, su quello civile, formatosi con la sentenza della corte di appello di Bologna del 17.1.1984, passata in giudicato il 7.2.1987, e, pertanto, non e riscontrabile nella decisione della corte la denunciata violazione di legge.

Si osserva, ad ogni buon conto, che la censura è priva di pregio, diverso essendo il thema decidendum dei due giudizi e non potendo derivare, quindi, dal giudicato penale, con il quale sarebbe stato accertato che lo "scritto aveva subito interpolazioni apocrife", di cui era stato ritenuto responsabile l'imputato Bo. (così nel ricorso), la caducazione del giudicato civile, con il quale sì era deciso che "Bo.Gi. è unico erede di Ta.Ma. in forza del testamento olografo del 15 ottobre 1974 " (così sempre nel ricorso); altro essendo il mezzo processuale previsto dalla legge per risolvere il contrasto tra giudicati (art. 395 n. 5 c.p.c.), che pure risulta esperito, ancorché vanamente, dall'odierna ricorrente. La decisione è nel dispositivo che segue.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo ed il secondo motivo, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della corte di appello di Bologna.

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