La comunione ereditaria non si trasforma in comunione ordinaria per il fatto che essa comprenda un unico bene immobile, né per la circostanza che alcuni dei coeredi abbiano ceduto ad estranei le rispettive quote

La comunione ereditaria non si trasforma in comunione ordinaria per il fatto che essa comprenda un unico bene immobile, né per la circostanza che alcuni dei coeredi abbiano ceduto ad estranei le rispettive quote, con la conseguenza che, anche in tale ipotesi, la divisione deve aver luogo in conformità alle norme sulla divisione ereditaria. Infatti, solamente quando siano state compiute le operazioni divisionali, dirette ad eliminare la maggior parte delle varie componenti dell'asse ereditario indiviso al momento dell'apertura della successione, la comunione residuale sui beni ereditari si trasforma in comunione ordinaria, con conseguente inapplicabilità del retratto successorio, di cui all'art. 732 c.c., che postula la persistenza dello stato di comunione dell'eredità.
(Corte di Cassazione Sezione 3 civile, Sentenza 09.01.2007, n. 215)




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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. Gaetano FIDUCCIA - Presidente

Dott. Giovanni Battista PETTI - Consigliere

Dott. Mario FINOCCHIARO - Consigliere Relatore

Dott. Nino FICO - Consigliere

Dott. Donato CALABRESE - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Fr.Fr. di Fr. geom. Gi. e C. s.n.c., in persona dei soci amministrativi Gi.Fr. e Sa.Or., elettivamente domiciliati in Ro., via Vi. (...), presso l'avv. Gi.Gr., difesi dall'avv. Pi.An., giusta delega in atti;

ricorrente

contro

Eu. s.p.a. in persona del legale rappresentante pro tempore Gi.Vo., elettivamente domiciliato in Ro., via F.Pa.De.Ca. (...), presso l'avv. Pi.Sa., che lo difende unitamente all'avv. Gi.Ce., giusta delega in atti;

controricorrente

avverso la sentenza della Corte d'appello di Brescia n. 84/03 del 5-11 febbraio 2003 (542/01 R.G.).

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 6 dicembre 2006 dal Relatore Cons. Ma.Fi.;

Udito l'avv. Da.Sp. per delega dell'avv. Ce., per la controricorrente;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Carmelo Sgroi, che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEI. PROCESSO

Con atto notificato il 28 marzo 1997 la Fr.Fr. di Fr. geom. Gi. & C. s.n.c. ha convenuto in giudizio innanzi al tribunale in composizione ordinaria di Cremona la Eu. s.p.a. dichiarando di volere esercitare il diritto di riscatto della quota di 12/16 dell'immobile in So., via Ge. (...) .Ha esposto la società attrice che l'intero immobile, di proprietà di Em.Pa., Et., Pi., Br., Gi., Ca. e En. era stato concesso in locazione a uso commerciale alla Ferramenta Bi. s.r.l., con contratto in data 20 aprile 1983, per l'esercizio di attività di ferramenta con contatti diretti con il pubblico per un periodo di nove anni con decorrenza 1 aprile 1983 e che tale contratto si era automaticamente rinnovato alla prima scadenza.

Con contratto 20 dicembre 1996, ha fatto presente ancora parte attrice, i comproprietari Em.Pa., Et., Pi., Br., Gi., Ca. avevano ceduto la totalità delle loro quote, pari a 12/16 dell'immobile alla Eu. per lire 150 milioni, mentre essa concludente aveva acquistato dalla Ferramenta Bi. s.r.l. l'azienda commerciale ubicata nell'immobile con atto trascritto il 10 gennaio 1997, così subentrando a ogni effetto nel contratto di locazione commerciale e nel diritto di riscatto dell'immobile, tenuto presente che né essa concludente né la Ferramenta Bi. aveva ricevuto comunicazione del trasferimento dell'immobile.

Costituitasi in giudizio la Eu. s.p.a. ha resistito alla avversa domanda eccependo, in via pregiudiziale, il difetto dì legittimazione attiva nonché di interesse in capo alla società attrice, nel merito, la infondatezza della avversa pretesa, in principalità atteso che nella specie vi era stato un trasferimento cumulativo di più unità immobiliari, comprese quelle oggetto di locazione, in via subordinata che il diritto di riscatto non poteva riguardare né la soffitta dell'immobile né la cantina, non inclusi nella locazione.

In via riconvenzionale la convenuta, ancora, ha chiesto la condanna di controparte al risarcimento dei danni, per il grave nocumento procuratole dalla pretesa temeraria di controparte.

Dichiarata dall'adito tribunale la propria incompetenza con sentenza 1° giugno 1999 la causa è stata riassunta con ricorso 18 giugno 1999 dalla Fr.Fr., ribadendo tutte le precedenti difese, innanzi al tribunale di Cremona, giudice delle locazioni.

Costituitasi in giudizio anche in questa fase la Eu. s.p.a. ha confermato le precedenti difese e domande.

Svoltasi la istruttoria del caso l'adito tribunale con sentenza 19 aprile 2001 ha accolto la domanda attrice.

Gravata tale pronunzia dalla soccombente Eu. s.p.a. la Corte di appello di Brescia, con sentenza 5 -11 febbraio 2003 in riforma della decisione del primo giudice ha rigettato la domanda di riscatto proposta dalla Fr.Fr. di Fr. Geom. Gi. & C. nei confronti della Eu. s.p.a., nonché la domanda di risarcimento danni proposta da quest'ultima, con ordine al Conservatore dei registri immobiliari di Cr. di cancellare la trascrizione eseguita il 7 aprile 1997 e condanna della società attrice al pagamento delle spese di entrambi i gradi del giudizio.

Per la cassazione di tale ultima pronunzia, notificata il 24 aprile 2003 ha proposto ricorso, affidato a due motivi la Fr.Fr. di Fr. Geom. Gi. & C., con atto notificato il 19 giugno 2003.

Resiste, con controricorso notificato l'il luglio 2003, la Eu. s.p.a..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. I giudici di secondo grado, andando di contrario avviso rispetto a quanto statuito dal tribunale, hanno rigettato la domanda di riscatto, ex art. 38 della legge 27 luglio 1978, n. 392 in applicazione del principio, in molteplici occasioni affermato dalla giurisprudenza di questa Corte regolatrice, secondo cui il diritto di prelazione previsto in favore del conduttore dalla ricordata disposizione non trova applicazione nel caso previsto dall'art. 732 c.c. e, in particolare, nella eventualità il coerede alieni la sua quota a persona estranea alla comunione ereditaria.

Hanno accertato, infatti, quei giudici:

- l'immobile oggetto di controversia faceva parte della comunione ereditaria instauratasi tra gli eredi di Em.Ro., cui partecipava, per la quota di 4/16 Em.En.;

- Em.Pa., Et., Pi., Br., Gi., Ca. hanno venduto alla Eu. s.p.a. esclusivamente la [residua] quota di 12/16 dell'intero;

- Em.En. è deceduta il 3 maggio 2002 e, pertanto, dopo la vendita delle restanti quote alla Eu. s.p.a., sì che a ogni effetto, non solo la stessa poteva, in vita, far valere il diritto di prelazione e di riscatto di cui all'art. 732 c.c., ma ha trasmetto questo ai propri eredi;

- è irrilevante che in precedenza altri immobili oggetto della comunione siano stati ceduti a terzi, atteso che l'applicazione dell'art. 732 c.c. non richiede la integrità del patrimonio ereditario essendo sufficiente la persistenza della comunione su dì esso, sia pure limitati a alcuni beni;

- attese le peculiarità del caso concreto, deve concludersi che le parti intendevano cedere a terzi non la quota del singolo bene, ma della quota ereditaria (si evidenzia, al riguardo, che amministratore unico nonché soci della Eu. sono Vo.Gi. e Vo.Am., figli di Em.En., sì f che costoro, tramite la società, intendevano, in pratica, ricostituire una comunione per l'intero, a salvaguardia del patrimonio familiare).

2. Con il primo motivo la ricorrente censura la riassunta pronunzia denunziando «violazione e falsa applicazione di legge, in relazione all'art. 732 c.c., nonché art. 588, 757, 1362, 1452, 2325 3 2697 e comunque motivazione contraddittoria ed insufficiente in relazione a punto decisivo della lite».

Con il secondo motivo, intimamente connesso al precedente, e da esaminarsi congiuntamente a questo, la ricorrente lamenta ancora, «violazione e falsa applicazione di legge in relazione all'art. 38 l. equo canone e art. 732 c.c.».

Afferma, infatti, parte ricorrente:

- la originaria comunione ereditaria costituitasi in morte di Em.Ro. aveva ad oggetto oltre all'immobile per cui è causa, altro fabbricato in via Ma., oltre a mobili, titoli e gioielli;

- nella denunzia di successione in morte di Em.Lo. e Er. non è più menzionato l'immobile di via Ma. che deve ritenersi sia stato venduto a terzi con conseguente divisione, tra gli eredi, del corrispettivo, «mentre gioielli e titoli o sono stati assegnati e divisi tra gli eredi o sono ancora in comunione»;

- è palese che nella specie, come accertato dal tribunale di Cremona [con la sentenza poi riformata dalla Corte di appello di Brescia] con l'atto 20 dicembre 1996 gli Em. hanno venduto un singolo bene e non una quota ereditaria;

- il diritto di riscatto di cui all'art. 732 c.c. non è trasmissibile a favore dei successori del coerede e non è esercitatile contro alienazioni di quota effettuate non dal coerede, primo compartecipe della comunione ma dai suoi successori a titolo universale, sì, pertanto, che nella specie Em.En. avrebbe avuto il diritto di riscatto solo nei confronti del fratello coerede Em.Pa. e non anche nei confronti degli altri alienanti, con la conseguenza, pertanto, che la domanda di riscatto della Fr. è, comunque, accoglibile quantomeno in parte e, in particolare, per le quote non vendute da Em.Et., Pi., Br.St., Gi. e Ca., e, quindi, per la quota di 8/16 dell'immobile oggetto di controversia;

- nel contratto di vendita, come risulta dalla sua formulazione, le parti parlano sempre e solo di un bene determinato (cioè i 12/16 dell'immobile in via Ge.) e mai menzionano la comunione ereditaria e/o la successione di Em.Ro., e al riguardo non può non tenersi nel debito conto il tempo trascorso tra la apertura della successione in morte di Em.Ro., avvenuta nel 1956 e la vendita per cui è controversia perfezionatasi nel 1996.

3. I riassunti motivi sono infondati, sotto tutti i molteplici profili in cui si articolano.

3.1. Nell'affermare, infatti, che nella specie sussisteva - in occasione della vendita della quota di 12/16 dell'immobile per cui è controversia alla Eu. s.p.a. - a norma dell'art. 732 c.c., il diritto di prelazione in favore della comproprietaria Em.En. (deceduta, successivamente al perfezionarsi della vendita stessa e, pertanto, dopo che il diritto al riscatto era entrato nel suo patrimonio) con conseguente esclusione del diritto di prelazione di cui all'art. 38, della legge 27 luglio 1978, n. 392 in capo alla l'rosi, conduttrice dell'immobile stesso, ancorché altri beni già oggetto dell'originaria comunione ereditaria fossero stati, nel tempo, alienati a terzi, i giudici del merito hanno fatto puntuale applicazione di una giurisprudenza pressoché totalitaria di questa Corte regolatrice.

Costituisce, infatti, al riguardo, ius receptum presso questa Corte regolatrice l'affermazione che i diritti di prelazione e di riscatto previsti dall'art. 732 c.c. in favore del coerede postulano un'adeguata valutazione degli elementi concreti della fattispecie, quali la volontà delle parti, lo scopo perseguito, la consistenza del patrimonio ereditario ed il raffronto tra esso e l'entità delle cose vendute e che il dato oggettivo assumendo peraltro preponderante rilievo in caso alienazione di quota indivisa dell'unico cespite ereditario (tale rimasto anche a seguito di divisione parziale dei beni ereditari), poiché in tal caso insorge una presunzione di alienazione della quota, intesa come porzione ideale dell'universum ius defuncti, sicché il coerede può esercitare il retratto successorio (Cass. 30 gennaio 2006, n. 1852, palesemente resa in una fattispecie non diversa dalla presente),

In termini opposti rispetto a quanto suppone parte ricorrente, in particolare, deve ribadirsi, ulteriormente, che la comunione ereditaria non si trasforma in comunione ordinaria per il fatto che essa comprenda un unico bene immobile, né per la circostanza che alcuni dei coeredi abbiano ceduto ad estranei le rispettive quote, con la conseguenza che, anche in tale ipotesi, la divisione deve aver luogo in conformità alle norme sulla divisione ereditaria.

Solamente quando siano state compiute le operazioni divisionali, dirette ad eliminare la maggior parte delle varie componenti dell'asse ereditario indiviso al momento dell'apertura della successione, la comunione residuale sui beni ereditari si trasforma in comunione ordinaria, con conseguente inapplicabilità del retratto successorio, di cui all'art. 732 c.c., che postula la persistenza dello stato di comunione dell'eredità (Cass. 6 maggio 2005, n. 9522).

In altri termini, atteso che, come pacifico, la comunione ereditaria ha ad oggetto non soltanto la comproprietà o contitolarità di diritti ma il complesso dei rapporti attivi e passivi che formavano il patrimonio del de cuius al momento della morte, lo scioglimento dello stato di indivisione si verifica soltanto quando i condividenti abbiano proceduto con le operazioni previste dagli artt. 713 e ss. c.c. ad eliminare la maggior parte delle relative componenti (Cass. 13 settembre 2004, n. 18351) è evidente che era onere della parte ora ricorrente dimostrare che gli aventi diritto all'eredità in morte di Em.Ro. avevano proceduto alla «divisione» dell'eredità, a norma dell'art. 713 c.c., divisione che - pacificamente -non può dirsi realizzata solo per effetto della vendita, a terzi, di un cespite comune e che non può - palesemente - «presumersi», come del tutto apoditticamente invoca parte ricorrente, sulla base del tempo trascorso dalla data di apertura della successione.

3.3. Quanto alla circostanza che la domanda di riscatto doveva essere accolta quantomeno nei limiti della quota di 8/16 [sviluppata nel primo motivo nonché, più ampiamente nel secondo] la censura è, per un verso, inammissibile, per altro, manifestamente infondata.

3.3.1. Ritiene, in particolare, la Corte che debba trovare applicazione, anche con riguardo al riscatto previsto dall'art. 39, della legge 27 luglio 1978, n. 392 il principio, assolutamente pacifico con riguardo al riscatto agrario di cui all'art. 8 della legge 26 maggio 1965, n. 590, secondo cui - in particolare - con l'atto introduttivo del giudizio, il diritto di riscatto non è più suscettibile, in prosieguo, di variazioni di sorta, né con riguardo all'estensione del terreno, né con riferimento al prezzo offerto, essendo preclusa alla parte non soltanto una vera e propria mutatìo libelli, ma anche la mera emendatio, poiché le nozioni di mutatio ed emendatio libelli, proprie del processo, non sono trasferibili alle dichiarazioni negoziali e siffatta possibilità è a fortiori preclusa, stante il principio posto dall'art. 112 c.p.c., al gìudice, a meno che dall'interpretazione della domanda non emerga che questa ha non solo ad oggetto il riscatto di una determinata e puntualmente descritta porzione di terreno ma contiene anche una pretesa subordinata, relativa ai (soli) fondi che in sede di giudizio dovessero essere accertati e ritenuti come effettivamente condotti in affitto dal detraente (Cass. 22 gennaio 2004, n. 1103).

Certo quanto sopra è evidente che era onere della parte ricorrente, attesa la regola della autosufficienza del ricorso per cassazione, non limitarsi a censurare la sentenza gravata per non avere accolto in parte la propria domanda ma, altresì, indicare, alternativamente, o che già in sede di merito, con l'atto introduttivo del giudizio essa concludente aveva proposto domanda - almeno subordinata - volta al riscatto di parte dei 12/16 del compendio per cui è controversia, o, comunque, che la domanda stessa, per le formule utilizzate, poteva essere interpretata nel detto senso.

In difetto di tali precisazioni è evidente, come anticipato, la inammissibilità della deduzione, vuoi per violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, vuoi - comunque - per novità della questione prospettata, per la prima volta in sede di legittimità.

3.3.2. L'assunto ora in esame, comunque - si osserva per completezza di esposizione - è, come accennato, anche manifestamente infondato.

Deve, infatti, al riguardo, ulteriormente, ribadirsi che poiché sia la comunione che si instaura fra i coeredi del de cuius in ordine ai beni dallo stesso relitti, sia quella che si instaura, a seguito del decesso di uno di tali coeredi, fra i coeredi superstiti e gli eredi del coerede defunto, trovano il loro titolo nella morte di un ascendente e in una pluralità di chiamate all'eredità, entrambe si sciolgono solo con la divisione dei beni e fino a quel momento persiste il diritto di ciascun coerede di esercitare il retratto successorio (Cass. 28 gennaio 2000, n. 981, specie in motivazione).

3.3. Quanto, da ultimo, alle censure mosse alla sentenza gravata [specie con l'ultima parte del primo motivo] per avere, questa, ritenuto che nella specie sussisteva vendita di quota ereditaria e non del singolo cespite le stesse sono, per alcuni aspetti, inammissibili, per altri, manifestamente infondati.

3.3.1. Quanto al primo profilo deve ribadirsi ulteriormente, che l'indagine del giudice del merito, diretta ad accertare se la vendita abbia a oggetto la quota ereditaria (o una sua porzione) o, piuttosto, beni determinati si risolve in un accertamento di fatto, incensurabile, in sede di legittimità, ove - come nella specie - sorretta da motivazione immune da vizi logici e giuridici (cfr, Cass. 20 gennaio 1986, n. 369; Cass. 22 gennaio 1985 n. 246; Cass. 10 ottobre 1981, n. 5321).

3.3.2. Anche a prescindere da quanto precede, comunque, la sentenza gravata, infine, appare conforme alla giurisprudenza di questa Corte e non è, per l'effetto, censurabile, per avere ritenuto che nella specie sussisteva vendita di quota ereditaria e non del singolo cespite.

Se, infatti, alcuni eredi alienano ad un estraneo la quota indivìsa dell'unico cespite ereditario, si presume l'alienazione della sua corrispondente quota, intesa come porzione ideale dell'universum ius defuncti, e perciò il coerede può esercitare il retratto successorio (art. 732 c.c.), salvo che il retrattato dimostri, in base ad elementi concreti della fattispecie ed intrinseci al contratto (volontà delle parti, scopo perseguito, consistenza del patrimonio ereditario e raffronto con l'entità dei beni venduti), con esclusione del comportamento del retraente, estraneo al contratto medesimo, che invece la vendita ha ad oggetto un bene a sé stante (Cass. 4 aprile 2003, n. 5320; Cass. 9 aprile 1997, n. 3049; Cass. 23 luglio 1993, n. 8259).

Atteso che nella specie una tale dimostrazione è assolutamente mancata, è evidente la infondatezza, anche sotto tale profilo del ricorso.

Specie tenute presenti le ulteriori circostanze sottolineate dalla sentenza gravata quanto alla totalità delle partecipazioni nella Eu. s.p.a., detenuta dai figli di Em.En., circostanza questa che fa ritenere la intenzione di ricostituire una comunione per l'interno a salvaguardia del patrimonio familiare, ancorché tramite lo schermo di una società di capitali a ristrettissima base azionaria.

Irrilevanti, al riguardo, si palesano le critiche mosse sul punto dalla ricorrente, la quale eventualmente, se del caso, doveva far valere il vizio della sentenza, per avere affermato, contro il vero, che i figli di Em.En. detenevano la totalità delle azioni della Eu. s.p.a.» mediante il rimedio di cui all'art. 395 c.p.c. e non certamente, come ha fatto, sotto il profilo di cui all'art. 360, n. 5 c.p.c..

4. Risultato infondato in ogni sua parte il proposto ricorso deve rigettarsi, con condanna della parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di legittimità, liquidate in Euro 100,00 per spese, Euro 9.000,00 per onorari e oltre rimborso forfetario delle spese generali e accessori come per legge.

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