Non è ingrata la figlia che sfratta il padre dalla casa che questi le ha donato

L'ingiuria grave richiesta, ex articolo 801 cod. civ., qualepresupposto necessario per la revocabilita' di una donazione per ingratitudine, pur mutuando dal diritto penale il suo significato intrinseco e l'individuazione del bene leso, si distacca, tuttavia, dalle previsioni degli articoli 594 e 595 cod. pen., e consiste in un comportamento suscettibile di ledere in modo rilevante il patrimonio morale del donante ed espressivo di un reale sentimento di avversione da parte del donatario, tale da ripugnare alla coscienza collettiva (Cass., Sez. 2, 5 aprile 2005, n. 7033; Cass., Sez. 2, 28 maggio 2008, n. 14093; Cass., Sez. 2, 24 giugno 2008, n. 17188). Per tale ragione gli estremi di detta figura di ingratitudine nel comportamento della figlia donataria, la quale, di fronte alla sopravvenuta intollerabilita' della convivenza tra i suoi genitori e nella pendenza del giudizio di separazione personale con addebito instaurato dalla madre, inviti il padre, con una lettera formale, a lasciare l'immobile di sua proprieta', acquistato con il danaro ricevuto dalla liberalita' paterna e materna, destinato a casa familiare. Un siffatto comportamento, infatti, e' stato congruamente valutato dalla Corte d'appello non come manifestazione di un atteggiamento di disistima delle qualita' morali del padre donante o di mancanza di rispetto nei suoi confronti, ne' come un affronto animoso contrastante con il senso di riconoscenza e di solidarieta' che, secondo la coscienza comune, deve improntare il comportamento della figlia donataria; bensi' come presa d'atto, da parte di costei, della frattura tra i suoi genitori, dipendente dalla loro disaffezione e distacco spirituale, e, quindi, del sopravvenire di una condizione tale da rendere incompatibile, allo stato, la prosecuzione della convivenza di entrambi i donanti nell'abitazione acquistata con il danaro ricevuto in liberalita'.

Corte di Cassazione Sezione 2 Civile, Sentenza del 31 marzo 2011, n. 7487



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIOLA Roberto Michele - Presidente

Dott. PETITTI Stefano - Consigliere

Dott. D'ASCOLA Pasquale - Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto - rel. Consigliere

Dott. CARRATO Aldo - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

CO. Gi. , rappresentato e difeso, in forza di procura

speciale in calce al ricorso, dagli Avv. Quaregna Piero ed Spitali

Elio, per legge domiciliato nella cancelleria civile della Corte di

cassazione, piazza Cavour, Roma;

- ricorrente -

contro

CO. An. , rappresentata e difesa, in forza di procura

speciale a margine del controricorso, dagli Avv. TASCA Pierluigi e

REBOA Romolo, elettivamente domiciliata nello studio di quest'ultimo

in Roma, via Flaminia, n. 213;

- controricorrente -

avverso la sentenza della Corte d'appello di Genova n. 669 del 4

settembre 2004;

Udita, la relazione della causa svolta nell'udienza pubblica del 3

marzo 2011 dal Consigliere relatore Dott. Alberto Giusti;

udito l'Avv. Elio Spitali;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. GOLIA Aurelio, che ha concluso per il rigetto del

ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. - Nel corso del (OMESSO), Co.Gi. , insieme alla moglie

La. Bo.Ca. , dono' alla figlia An. il danaro

occorrente per l'acquisto di una villa con circostante terreno in

(OMESSO).

Perfezionato l'acquisto, i genitori furono accolti dalla figlia nella

villa, che venne destinata a casa familiare.

2. - Avendo in data (OMESSO) ricevuto formale diffida dalla

figlia a lasciare libera l'abitazione e a traslocare in altro

alloggio, Co.Gi. l'ha convenuta in giudizio, instando

per la revoca della donazione per l'ingiuria grave subita, e

chiedendo il riconoscimento del proprio diritto di comproprieta'

sull'immobile nella misura del 50% e la condanna al risarcimento dei

danni patiti.

Si e' costituita la convenuta Co.An. , resistendo.

Il Tribunale di Sanremo, con sentenza in data 13 marzo 2002, ha

respinto le domande.

3. - La decisione di primo grado e' stata confermata dalla Corte

d'appello di Genova che, con sentenza resa pubblica mediante deposito

in cancelleria il 4 settembre 2004, ha rigettato il gravame del

Co. G. .

3.1. - La Corte territoriale ha escluso la sussistenza degli elementi

costitutivi dell'ingiuria grave, prevista dall'articolo 801 cod. civ.

quale causa di revocazione della donazione, perche' le risultanze

processuali hanno dimostrato che la richiesta di rilascio

dell'immobile derivo' dalla situazione di intollerabile

conflittualita' tra il Co. G. e la moglie La. Bo. (a

propria volta donante, per la quota di meta', del danaro necessario

per l'acquisto dell'immobile), entrambi residenti nello stesso. La

Corte di Genova ha altresi' sottolineato: che, quando la figlia

invio' al padre la lettera con la quale lo invitava a rilasciare

l'immobile, la coniuge aveva gia' iniziato, da alcuni mesi, il

procedimento di separazione personale con addebito; e che in sede di

provvedimenti provvisori, pronunciati all'udienza presidenziale di

separazione tenutasi il (OMESSO), la casa familiare fu

assegnata alla moglie ricorrente.

4. - Per la cassazione della sentenza della Corte d'appello il

Co. G. ha proposto ricorso, con atto notificato il 22 settembre

2005.

L'intimata ha resistito con controricorso.

In prossimita' dell'udienza il ricorrente ha depositato una memoria

illustrativa.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. - Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione

dell'articolo 360 c.p.c., n.

3), il ricorrente sostiene che, avendo la donataria intimato al

donante di lasciare l'alloggio oggetto della liberalita', gli estremi

dell'ingiuria grave non sarebbero ostacolati dalla valutazione della

sussistenza delle motivazioni che indussero la figlia ad inoltrare la

diffida. La richiesta di allontanamento del padre, privo di adeguati

redditi e di sistemazioni abitative, dalla villa oggetto di donazione

costituirebbe, di per se', ingiuria grave, e non vi sarebbe spazio

per interpretazioni giustificatrici capaci di eliderne il disvalore

morale.

1.1. - Il motivo e' infondato.

L'ingiuria grave richiesta, ex articolo 801 cod. civ., quale

presupposto necessario per la revocabilita' di una donazione per

ingratitudine, pur mutuando dal diritto penale il suo significato

intrinseco e l'individuazione del bene leso, si distacca, tuttavia,

dalle previsioni degli articoli 594 e 595 cod. pen., e consiste in un

comportamento suscettibile di ledere in modo rilevante il patrimonio

morale del donante ed espressivo di un reale sentimento di avversione

da parte del donatario, tale da ripugnare alla coscienza collettiva

(Cass., Sez. 2, 5 aprile 2005, n. 7033; Cass., Sez. 2, 28 maggio

2008, n. 14093; Cass., Sez. 2, 24 giugno 2008, n. 17188).

Di questo principio ha fatto corretta applicazione la Corte del

merito, quando, con logico e motivato apprezzamento di tutte le

circostanze del caso concreto, ha escluso che ricorrano gli estremi

di detta figura di ingratitudine nel comportamento della figlia

donataria, la quale, di fronte alla sopravvenuta intollerabilita'

della convivenza tra i suoi genitori e nella pendenza del giudizio di

separazione personale con addebito instaurato dalla madre, inviti il

padre, con una lettera formale, a lasciare l'immobile di sua

proprieta', acquistato con il danaro ricevuto dalla liberalita'

paterna e materna, destinato a casa familiare.

Un siffatto comportamento, infatti, e' stato congruamente valutato

dalla Corte d'appello non come manifestazione di un atteggiamento di

disistima delle qualita' morali del padre donante o di mancanza di

rispetto nei suoi confronti, ne' come un affronto animoso

contrastante con il senso di riconoscenza e di solidarieta' che,

secondo la coscienza comune, deve improntare il comportamento della

figlia donataria; bensi' come presa d'atto, da parte di costei, della

frattura tra i suoi genitori, dipendente dalla loro disaffezione e

distacco spirituale, e, quindi, del sopravvenire di una condizione

tale da rendere incompatibile, allo stato, la prosecuzione della

convivenza di entrambi i donanti nell'abitazione acquistata con il

danaro ricevuto in liberalita'.

2. - Il secondo mezzo denuncia omessa ed insufficiente motivazione.

La Corte d'appello avrebbe omesso di considerare tutte le circostanze

del caso concreto, vale a dire: (a) che il Co. G. era privo di

adeguati redditi e di sistemazioni abitative alternative; (b) che la

villa oggetto di donazione, essendo strutturata su piu' piani,

avrebbe consentito allo stesso di continuare a vivere in un'altra ala

della medesima, seppure separatamente dalla moglie; (c) che

l'alloggio della villa occupato dal donante era stato locato a terzi.

2.1. - Il motivo e' inammissibile.

Il ricorrente si limita ad asserire che la sentenza impugnata non

avrebbe colto tutti gli elementi della vicenda, ma, in violazione del

principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, non riporta

ne' trascrive il contenuto delle risultanze processuale che la Corte

territoriale avrebbe omesso di valutare o avrebbe male interpretato.

E' evidente, pertanto, che il motivo di ricorso finisce con il

risolversi nella richiesta di una diversa valutazione del merito

della causa e nella pretesa di contrastare apprezzamenti di fatti e

di risultanze probatorie che sono inalienabile prerogativa del

giudice del merito.

3. - Il ricorso e' rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo,

seguono la soccombenza.

4. - Ricorrendo i presupposti di cui al Decreto Legislativo 30 giugno

2003, n. 196, articolo 52, comma 2, (Codice in materia di protezione

dei dati personali), a tutela dei diritti e della dignita' delle

persone coinvolte deve essere disposta, in caso di riproduzione della

presente sentenza in qualsiasi forma, per finalita' di informazione

giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti

di comunicazione elettronica, l'omissione delle indicazioni delle

generalita' e degli altri dati identificativi degli interessati

riportati nella sentenza.

P.Q.M.

LA CORTE

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese

processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in

complessivi euro 1.700,00, di cui euro 1.500,00 per onorari, oltre a

spese generali e ad accessori di legge.

 

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