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Rappresentazione ereditaria: concetto chiarito
Pubblicata il 15/01/2010
Corte di Cassazione II sezione civile n.22840 del 28.10.2009.
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Data: 28 ottobre 2009
Numero: n. 22840 Classificazione SUCCESSIONE IN GENERE Rappresentazione in genere
SUCCESSIONE IN GENERE Rappresentazione soggetti
Successione in genere - Rappresentazione - Rappresentazione nella successione legittima e in quella testamentaria - Ambito di applicazione - Limiti soggettivi - Determinazione - Art. 468 c.p.c. - Discendenti del nipote ex filio - Esclusione dalla rappresentazione - Sussistenza. Intestazione
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCHETTINO Olindo - Presidente -
Dott. MAZZIOTTI Lucio - Consigliere -
Dott. GOLDONI Umberto - Consigliere -
Dott. PETITTI Stefano - rel. Consigliere -
Dott. DE CHIARA Carlo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
G.N. e G.F.M., elettivamente domiciliati
in Roma, via di S. Costanza n. 35 (studio Avv. Bonetto Marcello),
presso il recapito professionale dell'Avv. Magistri Carlo) che li
rappresenta e difende per procura speciale a margine del ricorso;
- ricorrenti -
contro
L.C. (nato nel (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in
Roma,
viale Parioli n. 93, presso lo studio dell'Avv. Gomito Damiano,
rappresentato e difeso dall'Avv. Parisi Alfonso Maria, per procura
speciale notarile in data 24 novembre 2004, notaio G. Beccari in
Castelnovo nè Monti, rep. n. 216598;
- resistente con procura -
nonchè
nei confronti di:
G.M.T., L.L., L.P., G.
M., LE.CA. (nato nel (OMISSIS));
- intimati -
avverso la sentenza della Corte d'appello di Messina n. 446/2003
depositata il 31 ottobre 2003;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 7
luglio 2009 dal Consigliere relatore Dott. Stefano Petitti;
udito, per il ricorrente, l'Avvocato Bonotto Marcello con delega, che
ha chiesto l'accoglimento del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
GOLIA Aurelio, che ha chiesto l'accoglimento del ricorso.
Fatto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con citazione del novembre 1990, G.N. e G.F. M. convenivano in giudizio, dinnanzi al Tribunale di Patti, G.M.T., in proprio e nella qualità di esercente la potestà dei genitori sui figli minori P., C. e Laura L., esponendo che la convenuta si era impossessata di parte dell'eredità proveniente da loro padre, Gu.Mi., deceduto nel (OMISSIS), accampando un inesistente diritto di succedere per rappresentazione a L.M., nipote ex filia del de cuius, padre dei minori e marito della convenuta stessa. Chiedevano pertanto che, accertato il diritto di proprietà di essi attori e dei coeredi C. e G.M. su tali beni, la convenuta fosse condannata al rilascio degli stessi, indebitamente occupati. Si costituiva la convenuta, la quale eccepiva sia i diritti successori dei suoi figli minori, sia, in subordine, l'intervenuto acquisto per usucapione dei beni stessi, posseduti per il tempo necessario da lei e dal defunto marito; in via riconvenzionale, chiedeva la condanna degli attori alla rifusione, pro quota, del compenso da essa prestato al de cuius. Disposta l'integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri coeredi, nonchè di P. e L.C., nel frattempo divenuti maggiorenni, l'adito Tribunale, con sentenza del 7 dicembre 2000, accoglieva la domanda. Proponevano appello G.M., in proprio e nella qualità, P. e L.C.; resistevano al gravame N., F.M. e G.C.. Con sentenza depositata il 31 ottobre 2003, la Corte d'appello di Messina, accoglieva l'appello e rigettava le domande originariamente proposte da N. e G.M.F., compensando tra le parti le spese del doppio grado. La Corte rilevava, innanzitutto, che il de cuius Gu.Mi., nel (OMISSIS), dispose con testamento pubblico dei propri beni in favore dei figli nonchè del nipote ex filia (a lui premorta) L. M., il quale era poi deceduto prima dell'apertura della successione, avvenuta nel (OMISSIS). Oggetto del contendere era quindi la sussistenza o meno del diritto dei figli del L. a succedere al bisnonno in rappresentazione del padre. Ciò premesso, e ricordato che l'art. 468 c.c. delinea i limiti soggettivi della rappresentazione stabilendo, per quanto riguarda la successione in linea retta, che essa può avere luogo a favore dei discendenti dei figli del defunto, riteneva che detta norma fosse suscettibile di due interpretazioni, potendosi infatti ritenere che la stessa si limiti ad indicare solo la qualità soggettiva del cosiddetto rappresentante ovvero che indichi anche quella del cosiddetto rappresentato. In base alla prima interpretazione, osservava la Corte, la tesi degli appellanti sarebbe risultata fondata, essendo essi pacificamente eredi della figlia del de cuius (e non estranei, come affermato dal giudice di primo grado); in base alla seconda, invece, sarebbe risultata fondata la posizione degli appellati, dal momento che la disposizione testamentaria non riguardava un figlio del de cuius, ma un suo discendente di grado meno prossimo. La Corte riteneva quindi che dovesse essere seguita la prima soluzione, non ostando ad essa l'elemento letterale della disposizione, la quale si limita ad indicare i soggetti idonei ad acquisire la qualità di rappresentanti, senza nulla dire in ordine al rappresentato, e deponendo in suo favore elementi logici e sistematici, quale, in particolare, il fatto che l'art. 469 c.c. precisa che la rappresentazione ha luogo in infinito, rendendo quindi plausibile la conclusione per cui il legislatore, con l'istituto della rappresentazione, ha inteso tutelare i discendenti del de cuius nella massima estensione possibile, sicchè sarebbe contraddittorio e illogico configurare uno sbarramento iniziale alla operatività dell'istituto stesso. Del resto, osservava la Corte territoriale, nella giurisprudenza di legittimità, a fronte di una pronuncia che sembrerebbe aderire alla seconda impostazione, si è rilevato come la ratio dell'istituto abbia subito un'evoluzione nel senso che, inizialmente orientata a tutelare la famiglia del defunto, la rappresentazione risultava ora volta a tutelare la posizione del mancato successore. Ciò comportava quindi l'accoglimento del gravame e la reiezione della domanda di rivendica proposta dagli attori originari e di quelle consequenziali. Quanto invece alla domanda riconvenzionale proposta da G.M., la Corte riteneva che la stessa non potesse essere accolta sia per carenza di prova, sia perchè, comunque, si sarebbe trattato di prestazioni eseguite per ragioni affettive e non in vista di un corrispettivo. Per la Cassazione di questa sentenza ricorrono N. e G. F.M. sulla base di un motivo, illustrato da memoria; per gli intimati G.M.T., L., C. e L. P., è stata depositata una "memoria", nella quale si afferma che le procure dei primi tre intimati sono state rilasciate in calce alle copie notificate del ricorso, mentre per il quarto intimato, L.P., è stata depositata procura notarile. Diritto MOTIVI DELLA DECISIONE Rileva preliminarmente il Collegio che degli intimati solo L. C. può ritenersi validamente rappresentato e difeso nel presente giudizio di legittimità, sia pure ai soli fini della partecipazione alla discussione in pubblica udienza - in assenza di un atto qualificabile come controricorso, non essendo la memoria depositata nell'interesse degli intimati notificata ai ricorrenti -, giacchè solo L.C. (nato (OMISSIS)) ha rilasciato al difensore una valida procura speciale per atto notaio B. in (OMISSIS), rep. 216.598, laddove tutti gli altri intimati hanno rilasciato la procura speciale in calce alla copia notificata del ricorso. Ed è noto che "nel giudizio di Cassazione, la procura speciale non può essere rilasciata a margine o in calce ad atti diversi dal ricorso o dal controricorso, in considerazione del tassativo disposto dell'art. 83 c.p.c., comma 3; ne consegue che deve essere dichiarato inammissibile il ricorso incidentale qualora detta procura speciale sia stata apposta in calce alla copia notificata del ricorso principale" (Cass., n. 16862 del 2007; Cass., S.U., n. 12265 del 2004). Venendo quindi all'esame del ricorso, questo si articola in un unico motivo, con il quale i ricorrenti deducono violazione e falsa applicazione dell'art. 468 c.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3. I ricorrenti rilevano che, secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, per l'operatività della rappresentazione occorre che il c.d. rappresentato sia figlio del de cuius. In tal senso, ricordano quanto affermato nella sentenza n. 1366 del 1975, secondo cui le limitazioni soggettive della rappresentazione sono connaturate e intrinsecamente necessarie alla coerenza giuridica dell'istituto, che è di diritto singolare, giacchè in essa vengono alla successione soggetti che senza tale istituto ne resterebbero esclusi e per la quale possono farsi tendenzialmente coincidere le figure del rappresentato e del rappresentante con la categoria generale dei successibili. Altrettanto chiaramente, Cass. n. 5077 del 1990 ha affermato che presupposto determinante della vocazione indiretta è il rapporto di filiazione o di fratellanza della persona, al cui posto si vuoi succedere, col de cuius. E tale sentenza non è stata minimamente presa in considerazione dalla Corte d'appello, la quale, ha anzi affermato che non si rinvengono specifiche pronunce di legittimità sul punto, anche se quella del 1975 sembrerebbe aderire a quella dalla medesima Corte territoriale definita seconda impostazione. Il motivo è fondato e va accolto. Contrariamente a quanto affermato nella sentenza impugnata, la questione dei limiti soggettivi di applicabilità dell'istituto della rappresentazione ha formato oggetto di esame nella giurisprudenza di questa Corte, la quale ha dato alla questione risposta univoca, nel senso della non estensibilità dell'istituto oltre i casi previsti dall'art. 468 c.c.. Già nella sentenza n. 911 del 1946, si affermò che "l'art. 468 c.c. circoscrive rigorosamente i limiti di applicazione dell'istituto della rappresentazione, sia nella successione legittima sia in quella testamentaria, nel senso che essa ha luogo a favore dei discendenti legittimi del chiamato che, nella linea retta, sia figlio e, in quella collaterale, fratello o sorella del defunto. Sono, pertanto, esclusi dalla rappresentazione i discendenti dei collaterali di terzo o ulteriore grado (es. nipoti ex fratre)". In motivazione, si è precisato che "la rappresentazione (...) non ha luogo a favore dei discendenti legittimi di qualunque chiamato, ma solo dei discendenti del chiamato, che sia figlio ovvero fratello o sorella del defunto. Ciò dispone l'art. 468 c.c., circoscrivendo l'ambito di applicazione dell'istituto nei confronti dei soggetti a cui favore opera, e cioè della persona del rappresentante e del rappresentato. Sicchè, per aversi rappresentazione nella linea retta, è necessario che il chiamato sia figlio della persona della cui eredità si tratta, e nella linea collaterale che sia fratello o sorella del de cuius. Sono invece esclusi dalla rappresentazione i discendenti dei collaterali di terzo o ulteriore grado: ond'è che quando (...) gl'istituiti con testamento siano nipoti ex fratre, e alcuni di essi non possano accettare l'eredità perchè premorti al testatore, non si fa luogo alla rappresentazione, perchè manca l'istituzione del fratello o della sorella che, nella linea collaterale, è la persona che la legge considera debba essere rappresentata". La Corte si pose altresì il problema della esistenza di un diverso orientamento, maturato nella vigenza del codice del 1865, che ammetteva la rappresentazione anche a favore dei discendenti dei nipoti ex fratre, istituiti eredi e premorti al testatore. Ma, si è osservato, il legislatore del 1942 ha mostrato di volersi deliberatamente discostare da tale orientamento. Infatti, mentre "il progetto preliminare aveva, nella successione testamentaria, ammesso la rappresentazione anche a favore dei discendenti dell'erede o legatario "istituito", non solo se fratello o sorella, ma anche se discendente di costoro (...), la innovazione non passò nel codice, essendo sembrato "inopportuno ampliare il campo di applicazione dell'istituto nella linea collaterale" (Relazione ministeriale al progetto definitivo, n. 22)". Nè, ad avviso della Corte, poteva porsi il problema di ricercare adattamenti nell'ambito della successione testamentaria, posto che il nuovo codice ha dato all'istituto una disciplina uniforme per le successioni legittime e quelle testamentarie, e che la lettera della legge, conforme anche all'intendimento del legislatore, non consentiva l'estensione della rappresentazione nel caso in cui il rappresentato fosse un soggetto diverso dai figli, dai fratelli o dalle sorelle. Nella sentenza n. 1366 del 1975, si è ulteriormente precisato che "La successione per rappresentazione costituisce un caso di vocazione indiretta in ragione della quale la posizione dell'erede rappresentante si determina in base al contenuto (luogo e grado) della vocazione del chiamato (rappresentato), nel presupposto determinante e qualificante che egli non possa o non voglia venire alla successione, e nei limiti soggettivi specificamente dettati dagli artt. 467 e 468 c.c.. I suddetti limiti richiedono per la rappresentazione in linea retta che il c.d. rappresentato sia figlio (senza distinzione tra figli legittimi, legittimati, adottivi, naturali) del de cuius, e che il c.d. rappresentante sia discendente anche naturale del rappresentato, e per la rappresentazione in linea collaterale che il c.d. rappresentato sia fratello o sorella del de cuius e che il c.d. rappresentante sia discendente anche naturale del medesimo (tenendo anche presente la sentenza della Corte Costituzione n. 79 del 1969, la quale ha dichiarato l'illegittimità costituzionale degli artt. 467 e 468 c.c. - oltre che dell'art. 577 c.c. - limitatamente alla parte in cui esclude dalla rappresentazione il figlio naturale di chi, a sua volta figlio o fratello del de cuius, non potendo o non volendo accettare, non lasci o non abbia discendenti legittimi)". Nella medesima sentenza si è poi ritenuta manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 467 e 468 c.c. per violazione dell'art. 3 Cost., "in quanto sono stabiliti limiti soggettivi, in tema di rappresentazione, a proposito sia del rappresentato sia del rappresentante". In motivazione, la Corte ha chiarito che "le limitazioni soggettive caratterizzanti le figure dei c.d. rappresentato e rappresentante nell'istituto in esame sono connaturate ed intrinsecamente necessarie alla coerenza giuridica della rappresentazione la quale è un istituto di diritto singolare nel quale vengono alla successione soggetti che senza di esso ne resterebbero esclusi e per il quale non possono farsi tendenzialmente coincidere le figure del rappresentato e del rappresentante con la categoria generale dei successibili". Tali principi sono stati ribaditi da Cass., n. 5077 del 1990, secondo cui "L'indicazione dei soggetti a favore dei quali ha luogo la successione per rappresentazione, quale preveduta dagli artt. 467 e 468 c.c., è tassativa, essendo il risultato d'una scelta operata dal legislatore, sicchè non è data rappresentazione quando la persona cui ci si vuole sostituire non è un discendente, fratello o sorella del defunto, ma il coniuge di questi", e da Cass. n. 3051 del 1994. In quest'ultima pronuncia, la Corte, dopo aver ricostruito le origini dell'istituto della rappresentazione, ha osservato come sia conseguente alla evoluzione strutturale dell'istituto anche il variare, nel tempo, del suo fondamento sociale, rilevando che "superata la tesi iniziale - che ancorava la ratio della rappresentazione a ragioni di tutela di una volontà presunta del de cuius - la dottrina prevalente, prima della citata sentenza n. 79 del 1969, aveva finito (...) con l'individuare lo scopo dell'istituto nella protezione della famiglia legittima e, più precisamente, della stirpe legittima del de cuius. Ma è stata poi la stessa Corte Costituzionale a rilevare - con la riferita statuizione - che, quale che sia la natura della rappresentazione, "in concreto questa tutela gli interessi della famiglia del mancato erede, impedendo che i beni le siano tolti sol perchè il genitore non vuole o non può accettarli". La Corte, peraltro, ha osservato che, pur se la ratio dell'istituto si è progressivamente spostata dalla tutela della famiglia del defunto alla tutela di quella del mancato successore, tuttavia non è venuto meno il carattere eccezionale della rappresentazione, nel sistema successorio. "Questa opera infatti in deroga ai principi generali sull'ordine dei successibili, anteponendo nelle ipotesi di cui agli artt. 467 e 468 c.c., i discendenti del chiamato, che non voglia o non possa accettare, a quegli che sarebbero stati - altrimenti - chiamati in linea ulteriore. Ed è e- vidente che il margine di estensibilità di una tale deroga, che esprime una valutazione squisitamente discrezionale del legislatore, non può essere divaricato senza impingere in quella discrezionalità. Il che neppure al Giudice delle leggi è consentito, dovendo anche i più sofisticati strumenti decisori a sua disposizione (sentenze additive, manipolative etc.) rispettare la nota linea di confine che separa la funzione sindacatoria della Corte Costituzionale da quella propriamente normativa riservata al Parlamento". Nel caso di specie, emerge dalla sentenza impugnata che il de cuius, Gu.Mi., nel 1983 ha disposto con testamento pubblico dei propri beni in favore dei figli, nonchè del nipote ex filza (a lui premorta) L.M., il quale peraltro è deceduto prima dell'apertura della successione, avvenuta nel (OMISSIS). In tale situazione, la Corte d'appello, nel ritenere che la lettera dell'art. 468 c.c. - il quale, giova ribadire, dispone, per quanto qui rileva, che "la rappresentazione ha luogo, nella linea retta, a favore dei discendenti dei figli legittimi, legittimati e adottivi, nonchè dei discendenti dei figli naturali del defunto", nonchè, per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 79 del 1969, del figlio naturale di chi, a sua volta figlio o fratello del de cuius, non potendo o non volendo accettare, non lasci o non abbia discendenti legittimi - non costituisse un ostacolo alla estensione della possibilità di succedere per rappresentazione anche in favore di soggetti discendenti da persone diverse dai figli del de cuius, si è discostata dagli indicati principi. Nè, deve aggiungersi, può valere a sostenere la diversa interpretazione il fatto, evidenziato nella sentenza impugnata, che l'art. 469 c.c. prevede che "la rappresentazione ha luogo in infinito (...)", giacchè tale disposizione non può non essere interpretata con riferimento alla previsione del precedente articolo, che, come visto, individua i rappresentabili precisando che essi debbano essere i figli, i fratelli o le sorelle del de cuius. Una volta rispettata questa condizione iniziale, certamente poi la rappresentazione può operare "in infinito"; ma, come detto, nel caso di specie, è proprio il requisito iniziale a fare difetto. Da ultimo, si deve rilevare che, nel caso di successione testamentaria e nel caso in cui l'impossibilità dell'istituito di succedere dipenda, come nel caso di specie, dal fatto che lo stesso premuoia al testatore, l'effetto pregiudizievole per i discendenti dell'istituito che non sia figlio, fratello o sorella del testatore, potrebbe pur sempre essere eliminato dal medesimo testatore attraverso una nuova manifestazione di volontà che, prendendo atto della premorienza dell'istituito, indirizzi le disposizioni testamentarie in favore dei discendenti che non potrebbero succedere per rappresentazione; salva sempre la facoltà per il testatore di disporre una istituzione sostitutiva. In conclusione, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata deve essere cassata. Il giudice di rinvio, che si indica nella Corte d'appello di Catania, procederà a nuovo esame della controversia alla luce del seguente principio di diritto: "l'art. 468 c.c. circoscrive i limiti di applicazione dell'istituto della rappresentazione, sia nella successione legittima sia in quella testamentaria, nel senso che essa ha luogo a favore dei discendenti legittimi del chiamato che, nella linea retta, sia figlio e, in quella collaterale, fratello o sorella del defunto. Sono, pertanto, esclusi dalla rappresentazione i discendenti del nipote ex filio". Al giudice del rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, alla Corte d'appello di Catania. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 7 luglio 2009. Depositato in Cancelleria il 28 ottobre 2009