Ai fini dell'indeducibilità dei costi derivanti da operazioni soggettivamente inesistenti, non è sufficiente il coinvolgimento - anche consapevole - dell'acquirente

In tema di imposte sui redditi, a norma della Legge n. 537 del 1993, articolo 14, comma 4-bis, nella formulazione introdotta con il Decreto Legge n. 16 del 2012, articolo 8, comma 1, sono deducibili per l'acquirente dei beni i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti, per il solo fatto che essi sono sostenuti nel quadro di una c.d. "frode carosello", anche per l'ipotesi che l'acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che a norma del TUIR siano in contrasto con i principi effettivita', inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilita'.

Corte di Cassazione, Sezione Tributaria civile , Sentenza 20 giugno 2012, n. 10167



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ADAMO Mario - Presidente

Dott. SCHIRO' Stefano - Consigliere

Dott. DI BLASI Antonino - Consigliere

Dott. GRECO Antonio - Consigliere

Dott. BOTTA Raffaele - rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) S.p.A., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l'avv. (OMISSIS), che, unitamente agli avv.ti prof. (OMISSIS) e (OMISSIS), la rappresenta e difende, giusta delega a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso l'Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende per legge;

- intimata costituita -

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia Romagna (Bologna - Sezione staccata di Parma), Sez. 23, n. 135/23/09, del 15 ottobre 2009, depositata il 30 ottobre 2009, non notificata;

Udita la relazione svolta nella Pubblica Udienza del 13 marzo 2012 dal Relatore Cons. Raffaele Botta;

Uditi l'avv. (OMISSIS) per delega per la parte ricorrente e l'avv. (OMISSIS) per l'Avvocatura Generale dello Stato;

Udito il P.M., nella persona del sostituto Procuratore Generale Dott. GAMBARDELLA Vincenzo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia concerne l'impugnazione di una serie di avvisi di accertamento ai fini IVA, IRPEG ed IRAP relativamente ad una attivita' di acquisto di autoveicoli di provenienza estera (cessioni intracomunitarie) da societa' intermediarie e successiva rivendita realizzando un meccanismo contabile di fatturazioni soggettivamente inesistenti nel quadro di una "frode carosello": Ulteriore contestazione mossa dall'amministrazione, ma successivamente abbandonata, era quella relativa a certi "bonus straordinari" versati ad agenti o ad altri intermediari.

La Commissione adita accoglieva il ricorso della societa' contribuente, ma la decisione era riformata in appello, con la sentenza in epigrafe che dava atto anche della rinuncia dell'Ufficio alla pretesa relativa ai cd. "bonus qualitativi", avverso la quale la societa' contribuente propone ricorso per cassazione con quattordici motivi. L'amministrazione non ha notificato controricorso, ma ha depositato un atto di costituzione ai fini della partecipazione all'udienza di discussione.

MOTIVAZIONE

I motivi di ricorso, salvo l'ultimo che deve essere considerato separatamente, rappresentano una "artificiale" parcellizzazione di una sostanzialmente unica censura che investe, sotto il profilo del vizio di violazione di legge e del vizio di motivazione, la sentenza impugnata sul punto relativo alla natura di "cartiere" delle societa' interposte e al carattere "evasivo" della societa' contribuente sulla base delle prove presuntive addotte dall'amministrazione e ritenute, dalla parte ricorrente, non assistite dai requisiti di gravita', sufficienza e concordanza, nonche' sulle conseguenze che da tanto sono state dedotte quanto alla affermata indetraibilita' dell'IVA (con violazione del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 19) e alla ritenuta indeducibilita' dei costi (con violazione della Legge n. 537 del 1993, articolo 14, comma 4-bis).

Per valutare la fondatezza o infondatezza del complesso delle censure articolate nel ricorso (molte delle quali si palesano inammissibili quali istanze per una mera revisione del giudizio di merito e per difetto di autosufficienza), va rilevato che la sentenza impugnata, con analitico approfondimento di tutti gli elementi della fattispecie sottoposta al suo esame, ha accertato in fatto, con congrua motivazione, l'esistenza di una ipotesi di "frode carosello" in un quadro probatorio tanto grave da far concludere il giudice per un comportamento della societa' contribuente che, al di la' di "fatture e di operazioni soggettivamente inesistenti", si sostanzia in "un comportamento globalmente fraudolento nel suo insieme, che si traduce in un pregiudizio per l'erario per effetto del versamento di una minore imposta, nonche' in un vulnus alla correttezza e alla regolarita' commerciale e del mercato, realizzato per effetto dell'abuso di circostanze a se' favorevoli". Contrariamente a quanto la societa' ricorrente dimostra di credere - il giudice d'appello ha verificato la sussistenza di un comportamento fraudolento piu' grave di quello originariamente ipotizzato dall'amministrazione finanziaria, spiegandone efficacemente e compiutamente le ragioni: sicche' non vi e' stata omissione di pronuncia, bensi' rigetto implicito della contraria ipotesi avanzata, ne' vi e' stata violazione di legge o inadeguatezza della motivazione. Punto centrale resta la prova che il contribuente, a fronte di operazioni inesistenti, e' tenuto a dare (anche secondo l'orientamento giurisprudenziale della Corte di Giustizia) della propria buona fede (e che nel caso il giudice ha ritenuto non sia stata data).

Quel che la ricorrente insiste nel ritenere una parte "debole" della sentenza impugnata - e cioe', l'affermazione che: "Questa Commissione non parlerebbe tanto di fatture e di operazioni soggettivamente inesistenti, bensi' di un comportamento globalmente fraudolento nel suo insieme, che si traduce in un pregiudizio per l'erario...." - e', invece, un elemento "forte" della decisione, in quanto, come gia' rilevato, esprime il convincimento, raggiunto dal giudice d'appello, sulla sussistenza di un quadro indiziario di tale capacita' probante, da eccedere la dimostrazione persuasiva dell'esecuzione di singole "operazioni inesistenti", per far emergere un piu' complessivo sistema fraudolento, nel quale sarebbe impossibile negare la consapevolezza della societa' contribuente nella partecipazione alla "frode". E analiticamente il giudice spiega come siffatte conclusioni fossero giustificate dall'assenza di una qualsiasi convincente spiegazione dell'intera operazione, in particolare in ordine alla necessita' dell'interposizione di altre societa' - peraltro prive di mezzi e strutture "sufficienti per organizzare operazioni di acquisto e rivendita di autoveicoli della dimensione quantitativa di quelle realizzate grazie alla (OMISSIS) S.p.A." -, e dalla qualita' di "operatore qualificato di quest'ultima che, attraverso l'intervento di funzionali esperti nel settore, ben difficilmente poteva non conoscere a quali obiettivi potesse mirare la presenza di un terzo intermediario dell'operazione". Tanto piu' che si trattava di un terzo privo di quelle caratteristiche proprie necessarie per realizzare l'operazione stessa e fonte, comunque, di ulteriori ed "evitabilissimi costi". Sicche' la sentenza impugnata si dimostra adeguatamente motivata e riesce ad illuminare efficacemente le ragioni per le quali il giudice ha ritenuto nella specie la gravita, precisione e concordanza del quadro indiziario. Ne' la ricordata affermazione del giudice di merito si presta ad essere interpretata come una violazione del precetto di dovuta corrispondenza tra chiesto e pronunciato, ne' come una terza via "a sorpresa" eletta dal giudice per risolvere le questioni sottopostegli: si tratta, in verita', di una semplice enunciazione dell'efficacia probante del quadro indiziario teso a dimostrare, come necessario e come possibile mediante l'utilizzo di presunzioni semplici dotate del requisito di gravita, precisione e concordanza, "gli elementi di fatto della frode, attinenti il cedente, ovvero la sua natura di "cartiera", la inesistenza di una struttura autonoma operativa, il mancato pagamento dell'IVA come modalita' preordinata al conseguimento di un utile nel meccanismo fraudolento e in secondo luogo, la connivenza nella frode da parte del cessionario", ossia "elementi obiettivi tali da porre sull'avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto sull'inesistenza sostanziale del contraente" (v. Cass. n. 10414 del 2011). Questo e non piu' di questo e' il senso dell'affermazione, a torto criticata, che il giudice d'appello pone a fondamento della sua decisione.

Tanto premesso deve essere valutato separatamente, quanto alle conseguenze dell'accertamento di fatto compiuto dal giudice di merito, il profilo relativo alla indetraibilita' dell'IVA da quello relativo al profilo della indeducibilita' dei costi.

Quanto al primo profilo, non puo' esservi dubbio, sulla scorta del costante orientamento di questa Corte, che quanto affermato dalla sentenza impugnata in tema di sussistenza nella fattispecie di operazioni soggettivamente inesistenti, non puo' costituire una violazione della sesta direttiva CEE relativamente alla indetraibilita' dell'imposta. "In tema di IVA" ha stabilito questa Corte", nelle cd. "frodi carosello" - fondate sul mancato versamento dell'imposta incassata da societa' "cartiere" a seguito di acquisti intracomunitari, o altrimenti esenti, e successive rivendite anche attraverso l'interposizione di una o piu' societa' filtro (buffers) - il meccanismo dell'operazione e gli scopi che la stessa si propone (acquisizione di materiali a prezzi piu' contenuti al fine di praticare prezzi di vendita piu' bassi, con alterazione a proprio favore del libero mercato), fanno presumere la piena conoscenza della frode e la consapevole partecipazione all'accordo simulatorio del beneficiario finale, con la conseguenza che, in applicazione del relativo principio sancito dall'articolo 17 della direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, l'IVA assolta dal medesimo beneficiario nelle operazioni commerciali con la societa' filtro non e' detraibile ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 19, anche se le predette operazioni siano state effettivamente compiute e le relative fatture, al pari dell'intera documentazione contabile, sembrino perfettamente regolari" (Cass. n. 867 del 2010). Nel caso di specie, come si e' gia' rilevato, il giudice di merito, con congrua motivazione, ha accertato che nel giudizio non e' stata conseguita la prova della "buona fede" della societa' contribuente, anzi che vi sono convincenti indizi della consapevolezza del carattere delle operazioni da parte di detta societa'.

Quanto al secondo profilo, quello relativo alla indeducibilita' dei costi rispetto al quale viene dedotta la violazione della Legge n. 537 del 1993, articolo 14, comma 4-bis, occorre tener conto della modifica apportata alla predetta disposizione con il Decreto Legge 2 marzo 2012, n. 16, articolo 8, comma 1. Detta norma prevede che la Legge n. 537 del 1993, articolo 4, comma 4-bis sia sostituito dal seguente: "Nella determinazione dei redditi di cui al testo unico delle imposte sui redditi, approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, articolo 6, comma 1, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per il compimento di atti o attivita' qualificabili come delitto non colposo per il quale il pubblico ministero abbia esercitato l'azione penale. Qualora intervenga una sentenza definitiva di assoluzione compete il rimborso delle maggiori imposte versate in relazione alla non ammissibilita' in deduzione prevista dal periodo precedente e dei relativi interessi". A norma del Decreto Legge n. 16 del 2012, articolo 8, comma 3: "Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano, in luogo di quanto disposto dalla Legge 24 dicembre 1993, n. 537, articolo 14, comma 4-bis, previgente, anche per fatti, atti o attivita' posti in essere prima dell'entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove piu' favorevoli, tenuto conto anche degli effetti in termini di imposte o maggiori imposte dovute, salvo che i provvedimenti emessi in base al comma 4-bis previgente non si siano resi definitivi; resta ferma l'applicabilita' delle previsioni di cui al periodo precedente ed ai commi 1 e 2 anche per la determinazione del valore della produzione netta ai fini dell'imposta regionale sulle attivita' produttive". La relazione al disegno di legge di conversione del decreto all'esame del Parlamento spiega lo scopo della norma con la volonta' del legislatore di "inibire in modo inequivoco la deducibilita' dei componenti negativi di reddito direttamente connessi al compimento delle fattispecie di reato piu' gravi, evitando che tale indeducibilita' possa essere letta come una sanzione impropria, venendo invece la stessa inquadrata come regola generale nell'ambito della determinazione del reddito imponibile". Venendo a quel che piu' interessa la fattispecie che si discute nella presente controversia, la ricordata relazione al disegno di legge di conversione, afferma: "Per effetto di questa disposizione, l'indeducibilita' non trova applicazione per i costi e le spese esposti in fatture o altri documenti aventi analogo rilievo probatorio che riferiscono l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi, ferme restando le regole generali in materia di detrazione della relativa imposta sul valore aggiunto di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 e in tema di deduzione previste dal testo unico delle imposte sui redditi, approvato con Decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917; pertanto, ove del caso, l'indeducibilita' dei costi rappresentati in documenti emessi da soggetti che in tutto o in parte non hanno effettivamente posto in essere l'operazione, sara', comunque, rilevabile per effetto delle altre disposizioni normative eventualmente applicabili e connesse ai requisiti generali di effettivita', inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilita' dei componenti negativi". Cio' significa che ai soggetti terzi - alla cui categoria appartiene la societa' contribuente nel caso di spese - coinvolti nelle frodi carosello non e' piu' contestabile, alla luce della nuova norma, la deducibilita' dei costi, in quanto i beni acquistati non sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato ma, nella maggior parte dei casi, per essere commercializzati, venduti. Sicche' non e' piu' sufficiente il coinvolgimento (anche consapevole) dell'acquirente in operazioni che siano fatturate da soggetto diverso dall'effettivo venditore perche' non siano deducibili, ai fini delle imposte sui redditi, i costi' relative alle predette operazioni. Resta comunque aperto il problema della concreta deducibilita' dei costi in relazione ai principi di effettivita', inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilita': ma di un siffatto accertamento non vi e' traccia nel giudizio. Pertanto sotto questo profilo il ricorso e' da accogliere con la conseguente cassazione della sentenza impugnata con rinvio al giudice di merito perche' esamini nuovamente la questione concernente la deducibilita' dei costi alla luce del seguente principio di diritto: "In tema di imposte sui redditi, a norma della Legge n. 537 del 1993, articolo 14, comma 4-bis, nella formulazione introdotta con il Decreto Legge n. 16 del 2012, articolo 8, comma 1, sono deducibili per l'acquirente dei beni i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti, per il solo fatto che essi sono sostenuti nel quadro di una c.d. "frode carosello", anche per l'ipotesi che l'acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che a norma del TUIR siano in contrasto con i principi effettivita', inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilita'". Con il quattordicesimo ed ultimo motivo, la ricorrente lamenta l'omessa pronuncia sulla richiesta di disapplicazione (o, subordinatamente, di riduzione) delle sanzioni.

Il motivo e' inammissibile per difetto di autosufficienza. Nella sentenza impugnata manca qualsiasi riferimento ad una sollevata eccezione di disapplicazione delle sanzioni e alle relative ragioni legittimanti: nel ricorso non sono chiariti questi punti, se non attraverso un richiamo ad una richiesta, genericamente formulata, di disapplicazione delle sanzioni, senza esporre quali fossero state le motivazioni addotte dalla societa' contribuente a sostegno della richiesta stessa. E tanto non basta, in particolare alla luce della perplessa esposizione del motivo di ricorso che si muove tra una disapplicazione che sarebbe dovuta sulla base di una non meglio chiarita incertezza delle condizioni di applicabilita' della normativa (quale?) ed una supposta riduzione che sarebbe consequenziale alla parziale estinzione della controversia in ordine ai bonus.

11 ricorso, pertanto, deve essere accolto nei limiti di cui alla surriportate motivazioni e la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia-Romagna, che provvedera' anche in ordine alle spese della presente fase del giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

Accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia-Romagna.
 

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