Giudizio civile e penale (rapporto) - non applicabilità automatica del giudicato penale

La massima della sentenza si può così riassumere: l'efficacia vincolante del giudicato penale non opera automaticamente nel processo tributario, poiche' in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto della prova testimoniale) e, dall'altro, possono valore anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Quindi nessuna automatica autorita' di cosa giudicata puo' attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari nel separato giudizio tributario, ancorche' i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l'Amministrazione finanziaria ha promosso l'accertamento nei confronti del contribuente. Ne consegue che il giudice tributario non puo' limitarsi a rilevare l'esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all'azione accertatrice del singolo ufficio finanziario, ma, nell'esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (articolo 116 cod. proc. civ.) deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell'ambito specifico in cui esso e' destinato ad operare, e questa e' stata esclusa in quello in esame (V. pure Sentenze n. 3724 del 17/02/2010, n. 5720 del 12/03/2007). Quindi alla luce di tali considerazioni neanche la revocazione era esperibile nella fattispecie, contrariamente all'assunto del giudice "a quo".

Corte di Cassazione, Sezione Tributaria civile Sentenza 31 gennaio 2011, n. 2235



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Corte di Cassazione, Sezione Tributaria civile


Sentenza 31 gennaio 2011, n. 2235

Integrale

GIUDIZIO CIVILE E PENALE (RAPPORTO) - GIUDICATO PENALE

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco - Presidente

Dott. BOGNANNI Salvatore - rel. Consigliere

Dott. PERSICO Salvatore - Consigliere

Dott. PARMEGGIANI Carlo - Consigliere

Dott. CAMPANILE Pietro - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

LA. MA. , elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso la cancelleria della CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall'avvocato BIGINELLI GIANCARLO con studio in TORINO VIA PALMIERI 63, (avviso postale), giusta delega in calce;

- ricorrente -

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

- controricorrente -

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO (OMESSO), MINISTERO DELL'ECONOMIA E FINANZE;

- intimati -

avverso la sentenza n. 28/2005 della COMM. TRIB. REG. di TORINO, depositata il 04/07/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01/12/2010 dal Consigliere Dott. SALVATORE BOGNANNI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La.Ma. impugna la sentenza della CTR, indicata in epigrafe, che, in accoglimento del gravame dell'agenzia delle entrate, disattendeva l'impugnativa del contribuente avverso il mancato rimborso delle imposte pagate a seguito di accertamento in rettifica di quelle sui redditi Irpef e Ilor per l'anno 1978, fondato su maggiori ricavi, come stabilito con sentenza gia' passata in giudicato.

A sostegno deduce tre motivi, mentre l'agenzia resiste con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Col primo denunzia "violazione e/o falsa applicazione, errata interpretazione delle norme di diritto, in particolare del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articoli 11, 18 e 53, nonche' omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione": sostiene che il ricorso in appello era inammissibile, posto che non recava la sottoscrizione del direttore dell'ufficio, bensi' di un funzionario che sarebbe stato munito di delega, il che non sarebbe consentito perche' non previsto da alcuna norma dell'ordinamento.

Il motivo e' infondato. Il giudice di appello osservava che il mezzo di gravame era munito della sottoscrizione di funzionario, che a sua volta aveva ricevuto la delega da parte del direttore dell'ufficio, e cio' era sufficiente per ritenere regolare quell'atto. L'assunto e' esatto. Infatti la sottoscrizione dell'atto di appello, pur non competendo ad un qualsiasi funzionario sprovvisto di specifica delega da parte del titolare dell'Ufficio, deve ritenersi validamente apposta quando proviene da quello preposto al reparto competente, poiche' la delega da parte del titolare dell'Ufficio puo' essere legittimamente conferita in via generale mediante la preposizione del funzionario ad un settore di esso con competenze specifiche. Cio' poi e' tanto piu' esatto allorquando, come nella specie, risulti che il funzionario abbia avuto specifica delega al riguardo (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 13908 del 28/05/2008, n. 9600 del 23/04/2007).

2) Col secondo motivo deduce "violazione e/o falsa applicazione, errata interpretazione delle norme di diritto, in particolare degli articoli 654 c.p.p., articoli 324 e 395 c.p.c., articoli 2041 e 2042 c.c., oltre che omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione", atteso che l'azione del pagamento dell'indebito e quella di arricchimento senza causa erano gia' state esperite senza successo, mentre era intervenuto il giudicato penale con la sentenza n. 894/94 del tribunale di Genova, con cui La. era stato mandato assolto da ogni addebito di reato fiscale, sicche' non era necessario esercitare quella di revocazione.

La censura, che sotto un certo profilo e' connotata da carattere di genericita' e novita', comunque e' priva di pregio. Invero, come esattamente rilevato dalla CTR, il pagamento delle imposte era stato effettuato in virtu' di sentenze delle commissioni tributarie passate in giudicato, donde l'emissione della cartella. Circa quello penale, va invece osservato che esso, a parte che non e' stato specificato il contenuto della relativa sentenza, ne' quando esso si sarebbe formato, come pure non risulta presentata copia con il prescritto attestato di cancelleria, tuttavia va rilevato che ai sensi dell'articolo 654 cod. proc. pen., che ha implicitamente abrogato il Decreto Legge n. 429 del 1982, articolo 12 (convertito nella Legge n. 516 del 1982), poi espressamente abrogato dal Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 25, l'efficacia vincolante del giudicato penale non opera automaticamente nel processo tributario, poiche' in questo, da un lato, vigono limitazioni della prova (come il divieto della prova testimoniale) e, dall'altro, possono valore anche presunzioni inidonee a supportare una pronuncia penale di condanna. Quindi nessuna automatica autorita' di cosa giudicata puo' attribuirsi alla sentenza penale irrevocabile, di condanna o di assoluzione, emessa in materia di reati tributari nel separato giudizio tributario, ancorche' i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l'Amministrazione finanziaria ha promosso l'accertamento nei confronti del contribuente. Ne consegue che il giudice tributario non puo' limitarsi a rilevare l'esistenza di una sentenza definitiva in materia di reati tributari, estendendone automaticamente gli effetti con riguardo all'azione accertatrice del singolo ufficio finanziario, ma, nell'esercizio dei propri autonomi poteri di valutazione della condotta delle parti e del materiale probatorio acquisito agli atti (articolo 116 cod. proc. civ.) deve, in ogni caso, verificarne la rilevanza nell'ambito specifico in cui esso e' destinato ad operare, e questa e' stata esclusa in quello in esame (V. pure Sentenze n. 3724 del 17/02/2010, n. 5720 del 12/03/2007). Quindi alla luce di tali considerazioni neanche la revocazione era esperibile nella fattispecie, contrariamente all'assunto del giudice "a quo".

3) Col terzo motivo il ricorrente lamenta violazione degli articoli 89, 112 c.p.c. e Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 1, posto che il giudice dell'impugnazione non disponeva la cancellazione di talune espressioni sconvenienti ed offensive contenute nel ricorso di appello, e che non erano necessarie ai fini difensivi.

La doglianza e' inammissibile, dal momento che, oltre ad essere nuova, perche' non dedotta nel precedente grado, soprattutto appare all'evidenza formulata in modo generico, e cioe' senza la specificazione dell'oggetto e l'indicazione delle frasi censurate.

Quindi anche in rapporto alle suindicate corrette valutazioni giuridiche, le persistenti doglianze del contribuente non riescono ad eluderle, onde vanno complessivamente disattese.

Quanto alle spese del giudizio, esse seguono la soccombenza, e vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE

Rigetta il ricorso, e condanna il ricorrente al rimborso delle spese a favore della controricorrente, e che liquida in complessivi euro 3.000,00 (tremila/00) per onorario, oltre a quelle prenotate a debito; alle generali ed agli accessori di legge.

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