Il reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni va tassato per cassa

Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 50, (applicabile ratione temporis, oggi sostituito dall'art. 54) statuisce tassativamente che: "Il reddito derivante dall'esercizio di arti e professioni é costituito dalla differenza tra l'ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nei periodo di imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell'esercizio dell'arte o della professione, salvo quanto stabilito nei successivi commi. I compensi sono computati al netto dei contributi previdenziali e assistenziali stabiliti dalla legge a carico del soggetto che li corrisponde". La lettera della norma é chiara e non ammette interpretazioni diverse da quella secondo la quale i compensi vanno sottoposti a tassazione in relazione all'anno in cui sono stati percepiti. Correttamente pertanto il giudice dell'appello ha ritenuto che i "redditi da lavoro autonomo, anche se assoggettati a ritenuta d'acconto, vanno dichiarati secondo il principio di cassa e non di competenza".

Corte di Cassazione, sez. trib., sentenza 15 aprile 2011, n. 8626



- Leggi la sentenza integrale -

Corte di Cassazione, sez. trib., sentenza 15 aprile 2011, n. 8626

Svolgimento del processo

T.P., previa presentazione di istanza di concordato non accolta, impugnava l’avviso di accertamento relativo all’Irpef per l’anno d’imposta 1993 con il quale gli veniva contestato l’omessa dichiarazione d’imposta dei redditi da lavoro autonomo e, conseguentemente, veniva calcolata la relativa imposta, oltre sanzioni ed interessi; motivava eccependo l’illegittimità dell’atto per carenza di motivazione; produceva le dichiarazioni 1992 e 1993, con le relative ricevute, chiarendo di aver applicato il ed, principio di competenza e di aver pertanto anticipato nella dichiarazione del 1992 gli introiti corrispondenti a prestazione effettuate in tale periodo, anche se non percepiti. L’ufficio resisteva.

La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso. Proponeva appello l’amministrazione; la Commissione tributaria regionale accoglieva lo stesso ritenendo che i redditi da lavoro autonomo, anche se assoggettati a ritenuta d’acconto, vanno dichiarati secondo il principio di cassa e non di competenza. Contro quest’ultima sentenza, di cui in epigrafe, il contribuente propone ricorso per cassazione articolato in quattro motivi, che illustra anche con successiva memoria. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze e L’Agenzia delle Entrate resistono con controricorso e propongono altresì ricorso incidentale condizionato contro il quale il ricorrente, a sua volta, resiste con controricorso.

Motivazione

1.1 Con il primo motivo del ricorso principale il contribuente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, e della L. n. 241 del 1990, art. 3, con vizio della motivazione ( art. 360 n. 3 e 5 c.p.c.) per avere il giudice di merito erroneamente statuito la legittimità dell’accertamento sulla base di ragioni (cioé l’erroneità dell’applicazione del c.d. principio per competenza in luogo di quello per cassa) diverse da quelle indicate neh’ atto impugnato (cioé l’omissione della dichiarazione dei redditi da lavoro autonomo e l’indicazione di una base imponibile calcolata con criterio ignoto).

La censura é infondata per avere lo stesso ricorrente riportato testualmente il seguente brano della sentenza di primo grado "il ricorrente ha invece provato di aver dichiarato tali redditi parte nel 1992 e parte nel 1993, producendo le relative dichiarazioni e le copie delle certificazioni rilasciate dai sostituti d’imposta", così dimostrando di avere con il ricorso introduttivo (come peraltro dichiarato nello stesso ricorso per cassazione) fornito la spiegazione della mancanza nella dichiarazione dei redditi 1993 dei redditi da lavoro autonomo (di cui alle dichiarazioni dei sostituti d’imposta), documentando che l’imposta non era stata evasa ma solo anticipata nel 1992 per avere egli applicato il criterio di competenza in luogo di quello per cassa. Ne consegue che correttamente il giudice di secondo grado, al quale si era rivolto l’ufficio impugnante per censurare la pronuncia del primo giudice, ha statuito su tale pronuncia: l’ufficio appellante, infatti, non ha integrato la motivazione dell’atto impositivo impugnato, ma ha contrastato la tesi del contribuente legittimante l’omessa dichiarazione dei redditi da lavoro autonomo, tesi ritenuta corretta dal primo giudice.

1.2 Con il secondo motivo il ricorrente principale denuncia la violazione e falsa applicazione dei principi vigenti nel processo tributario sotto il profilo dell’onere probatorio a carico dell’amministrazione finanziaria, con omessa pronuncia su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

La censura é infondata avendo il contribuente stesso riconosciuto di non aver dichiarato i compensi da lavoro autonomo per il 1993, motivando ampiamente tale parziale omissione con l’assumere di avere dichiarato tutti i compensi percepiti, ma dividendoli in due anni d’imposta, anzicché riferirli tutti al 1993, in applicazione del c.d. principio di competenza.

Il punto, pertanto, é stato correttamente non affrontato, in quanto pacifico, dal giudice dell’appello.

1.3 Con il terzo motivo il ricorrente principale denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, con omessa pronuncia su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere il giudice dell’appello erroneamente legittimato una doppia tassazione sul medesimo reddito effettuata da un ufficio che conosceva o comunque era in condizione di conoscere, nella comparazione delle due dichiarazioni annuali, che l’imposta sulle prestazioni professionali era stata già pagata con imputazione all’anno precedente.

1.4 Con i quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, con omessa pronuncia su di un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5) per avere il giudice dell’appello erroneamente non respinto l’appello che si palesava contrario al principio di correttezza e buona fede che deve improntare i rapporti giuridici tra il contribuente ed il Fisco.

I due motivi possono essere esaminati congiuntamente essendo strettamente connessi.

Entrambe le censure sono infondate e vanno respinte.

Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 50, (applicabile ratione temporis, oggi sostituito dall’art. 54) statuisce tassativamente che: "Il reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni é costituito dalla differenza tra l’ammontare dei compensi in denaro o in natura percepiti nei periodo di imposta, anche sotto forma di partecipazione agli utili, e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’arte o della professione, salvo quanto stabilito nei successivi commi. I compensi sono computati al netto dei contributi previdenziali e assistenziali stabiliti dalla legge a carico del soggetto che li corrisponde”. La lettera della norma é chiara e non ammette interpretazioni diverse da quella secondo la quale i compensi vanno sottoposti a tassazione in relazione all’anno in cui sono stati percepiti. Correttamente pertanto il giudice dell’appello ha ritenuto che i "redditi da lavoro autonomo, anche se assoggettati a ritenuta d’acconto, vanno dichiarati secondo il principio di cassa e non di competenza". Manca infatti una base normativa sulla quale fondare la diversa interpretazione sostenuta dal ricorrente, né tale può essere considerata il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, che ha introdotto il principio del divieto di doppia imposizione fiscale. Il caso di specie, infatti, non configura un’ipotesi di doppia imposizione, ma solo un errore da parte del contribuente che nel 1992 ha dichiarato tutti i redditi da lavoro autonomo prodotti, sia quelli percepiti che quelli a percepirsi. Il plus di imposizione derivante da tale erronea dichiarazione de contribuente non può essere corretto applicando un principio, cioé quello di competenza, che la legge non prevede, o richiamando il divieto di doppia imposizione sotto il quale non può essere sussunto il caso in esame. In verità il contribuente avrebbe potuto solo ricorrere ai normali rimedi previsti dal’ordinamento tributario (istanza di rimborso), ma tanto esula dalla tematica in argomento. A tanto aggiungasi la considerazione che L’imposta disciplinata ha natura di imposta progressiva e non fissa: tanto comporta che l’aliquota applicabile potrebbe variare, passando da un anno all’altro, in virtù del totale degli importi sottoposti a tassazione e che, pertanto, non può considerarsi irrilevante, sotto il profilo delle conseguenze tributarie, l’applicazione del principio di competenza in luogo di quello di cassa.

Neppure é invocabile il principio di correttezza e buona fede e ciò in quanto l’amministrazione finanziaria solo se correttamente compulsata, cioé con gli ordinari istituti all’uopo configurati, può e deve rendersi conto dell’esistenza (non di una doppia imposizione, insussistente, come sopra esposto, nella fattispecie in esame), di un plus di imposizione conseguita ad un’erronea dichiarazione del contribuente. Non rientra invece nell’ordinario corretto svolgimento dei compiti dell’agenzia quello di accertare una dichiarazione errata perché contenente un reddito da lavoro autonomo calcolato in maniera erronea. I due motivi di ricorso in esame vanno pertanto respinti.

2. L’Agenzia propone ricorso incidentale condizionato articolato su di un motivo unico con il quale denuncia L’omessa motivazione ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, n. 4, (ex art. 360 c.p.c., n. 4) e omessa pronuncia ai sensi dell’art. 112 c.p.c., (ex art. 360 c.p.c., n. 3) per avere il giudice dell’appello erroneamente ritenuto accertato che "i compensi della cui tassazione si discute sono  stati dichiarati per L. 28.654.000 nel 1993 e per le rimanenti L. 6.300.000 nel 1992" senza esprimersi sulla validità delle risultanze dell’ufficio e senza motivazione.

Tale censura, essendo condizionata, all’accoglimento del ricorso principale, resta assorbita nel rigetto di quest’ultimo.

Avuto riguardo alla particolarità della questione trattata stimasi compensare integralmente tra le parti le spese del giudizio.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale. Compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio.

INDICE
DELLA GUIDA IN Contenzioso e Commissioni

OPINIONI DEI CLIENTI

Vedi tutte

ONLINE ADESSO 710 UTENTI