L'avvocato non è tenuto a pagare l'IRAP se manca di organizzazione

Con sentenza n. 3680/2007, la Corte di Cassazione Sezione Tributaria si è pronunciata in tema di versamento dell’Irap da parte degli esercenti la professione forense, ed ha statuito che a norma del combinato disposto degli artt. 2, primo periodo, e 3, comma 1, lett. c), del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, l'esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui all'art. 49, comma 1, T.U.I.R. (nella versione vigente fino al 31 dicembre 2003, e all'art. 53, comma 1, del medesimo TUIR, nella versione dal 1° gennaio 2004), è escluso dall'applicazione dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) solo qualora si tratti di attività non "autonomamente organizzata. La Corte ha, altresì, precisato che il requisito dell'"autonoma organizzazione", insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.



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Corte di cassazione

Sezione tributaria


Sentenza 16 febbraio 2007, n. 3680

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO



L'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, contro la sentenza con la quale la Commissione tributaria regionale della Campania, rigettando l'appello dell'Ufficio, ha confermato l'annullamento del silenzio-rifiuto formatosi sull'istanza di rimborso dell'IRAP versata per gli anni 1998-2001, avanzata da R.C., di professione presentatrice televisiva, ritenendo nella specie l'insussistenza - alla stregua della sentenza della Corte costituzionale n. 156 del 2001 - di elementi di autonoma organizzazione.

La contribuente resiste con controricorso.



MOTIVI DELLA DECISIONE


1. - Con il primo motivo l'Agenzia, con riferimento all'art. 360, primo comma, nn. 3) e 4), c.p.c., deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 10, 16, terzo comma, e 20, primo comma, del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all'art. 38 del d.P.R. n. 602 del 1973, nonché dell'art. 101 c.p.c.

La sentenza impugnata è censurata nella parte in cui ha disatteso l'eccezione pregiudIziale di nullità della notifica del ricorso introduttivo, in quanto eseguita presso un ufficio incompetente (l'Ufficio II.DD. di Napoli, in luogo della ex D.R.E. della Campania), riproposta come motivo di appello.

1.1. - Il mezzo è infondato.

È pur vero che, secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, la legittimazione passiva nel giudizio di impugnazione del silenzio-rifiuto formatosi sull'istanza di rimborso di tributi spetta esclusivamente all'Intendenza di Finanza (successivamente sostituita dalla Direzione regionale delle Entrate) e non anche all'Ufficio distrettuale delle imposte dirette, ai sensi degli artt. 37 e 38 del d.P.R. n. 602 del 1973 (Cass. 1539/2003, 15206/2004, 5115/2005).

Deve tuttavia considerarsi che, nella specie, il ricorso introduttivo è successivo allo gennaio 2001, data di entrata in funzione dell'Agenzia delle Entrate, succeduta all'Amministrazione finanziaria dello Stato nelle funzioni concernenti le entrate tributarie erariali, cosicché, alla data di notifica del ricorso, tanto l'ex Ufficio delle Imposte dirette di Napoli (cui il ricorso è stato notificato), quanto l'ex Direzione Regionale delle Entrate della Campania (nei cui confronti era diretto) erano confluiti, entrambi, nell'Agenzia delle Entrate di Napoli, competente a provvedere sul rimborso.

Ne consegue, dunque, che il preteso vizio di notifica si sostanzia in realtà in un mero errore, da parte della contribuente, riguardo all'individuazione dell'ufficio dell'Agenzia delle Entrate di Napoli deputato a ricevere la notifica; errore al quale non può ricollegarsi alcuna nullità.

2. - Con il secondo motivo è dedotto il vizio di motivazione insufficiente su punti decisivi della controversia.

La Commissione tributaria regionale avrebbe negato la sussistenza del presupposto impositivo, rappresentato dall'autonoma organizzazione, affermando di basarsi sui dati emergenti dalla dichiarazione dei redditi e dalla altra documentazione in atti, senza specificare tuttavia da quali concreti elementi essa abbia tratto il proprio convincimento e senza dare alcun conto dei rilievi, formulati dall'ufficio anche con l'atto di appello, riguardo ai rilevanti costi per compensi a collaboratori e canoni di locazione, esposti dalla stessa contribuente e tali da denotare lo svolgimento di un'attività libero-professionale mediante un'idonea organizzazione produttiva.

2.1. - Il mezzo è fondato, nei termini di seguito precisati
.
Con l'art. 1 del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, è stata istituita l'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP), prevedendosi all'art. 2 (nel testo originario) che il presupposto dell'imposta è costituito dall'esercizio abituale «di una attività diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi».

Il testo del citato art. 2 è stato poco dopo modificato, al fine di chiarirne la portata, dal d.lgs. 10 aprile 1998, n. 137, nel senso che il presupposto dell'imposta è costituito dall'esercizio abituale di un'attività «autonomamente organizzata» diretta alla produzione o allo scambio di beni o servizi.

Il successivo art. 3 del d.lgs. n. 446 del 1997, come anch'esso modificato dal d.lgs. n. 137 del 1998, ribadisce che i soggetti passivi dell'imposta sono coloro che svolgono una delle attività di cui all'art. 2, e «pertanto», tra gli altri, indica, alla lettera c), le persone fisiche, le società semplici e quelle ad esse equiparate esercenti arti e professioni di cui all'art. 49, comma 1, del TUIR.

Con la sentenza n. 156 del 2001 la Corte costituzionale, pur nella forma di una pronuncia di mero rigetto (e non interpretativa) delle proposte questioni di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 446 del 1997, ha offerto un significativo contributo all'esegesi della norma censurata, in combinato disposto con l'art. 2 del medesimo decreto legislativo, affermando che «nel caso di un'attività professionale che fosse svolta in assenza di elementi di organizzazione (...) risulterà mancante il presupposto stesso dell'imposta sulle attività produttive, per l'appunto rappresentato, secondo l'art. 2, dall'"esercizio abituale di un'attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi", con conseguente inapplicabilità dell'imposta stessa».

La tesi dell'Avvocatura, secondo la quale il giudice delle leggi avrebbe in tal modo inteso riferirsi esclusivamente alle ipotesi di esercizio occasionale di attività professionale, ovvero alle attività di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 49 del TUIR, è all'evidenza priva di qualsiasi ragionevolezza.

Non vi è dubbio, infatti, che la Corte costituzionale abbia inteso prospettare, nella sentenza, una interpretazione costituzionalmente orientata degli artt. 2 e 3, comma 1, lett. c), del decreto legislativo e poiché tali norme già chiaramente escludono dall'imposizione le attività non abituali (art. 2) e quelle di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 49 del TUIR (art. 3, comma 1, lett c), la lettura suggerita dall'Amministrazione renderebbe il passaggio più sopra citato privo di qualsiasi significato, in quanto esso si limiterebbe a ripetere ciò che nella legge è già affermato con assoluta chiarezza, senza che possa prospettarsi alcun dubbio ermeneutico.

Deve dunque concludersi che la Corte costituzionale, nel postulare, in via interpretativa, la necessaria presenza di «elementi di organizzazione» ai fini della soggezione all'imposta dei professionisti, ha inteso sicuramente riferirsi proprio alle persone fisiche esercenti abitualmente arti e professioni, di cui all'art. 49, comma 1, del TUIR, astrattamente individuati come soggetti passivi dell'imposta dall'art. 3, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 446 del 1997, in combinato disposto con il precedente art. 2.

Vero è che l'interpretazione che, di una norma sottoposta a scrutinio di costituzionalità, offre la Corte costituzionale in una sentenza di non fondatezza non costituisce un vincolo per il giudice successivamente chiamato ad applicare quella norma; ma è altrettanto vero che quella interpretazione, se non altro per l'autorevolezza della fonte da cui proviene, rappresenta un fondamentale contributo ermeneutico che non può essere disconosciuto senza l'esistenza di una valida ragione. Come infatti ha asserito questa Corte in una risalente pronuncia, qualora una determinata materia venga sottoposta al vaglio sia della Corte costituzionale che della Corte di cassazione, «il fondamento comune delle due distinte attività, finalisticamente diverse, esige che, al fine dell'utile risultato della certezza del diritto oggettivo, le interpretazioni non vengano a divergere se non quando sussistano elementi sicuri per attribuire prevalenza alla tesi contraria a quella in precedenza affermata» (Cass., Sez. un., 20 giugno 1969, n. 2175; v. pure, più di recente, Cass., Sez. un., 2 dicembre 2004, n. 22601): soprattutto quando questa abbia ricevuto obiettiva conferma da parte della successiva giurisprudenza, costituzionale o ordinaria, come è avvenuto nel caso in esame, bastando indicare in proposito le ordinanze della Corte costituzionale n. 286 del 2001 e n. 103 del 2002 nonché la scelta operata, fra le varie opzioni, dalla prevalente giurisprudenza ordinaria di merito.

Le conclusioni cui la Corte costituzionale perviene nella sua sentenza discendono dalla premessa che l'IRAP non è una imposta sui redditi ma un'imposta che «colpisce (...) con carattere di realità, un fatto economico, di verso dal reddito, comunque espressi va di capacità di contribuzione in capo a chi, in quanto organizzatore dell'attività, è autore delle scelte dalle quali deriva la ripartizione della ricchezza prodotta tra i diversi soggetti che, in varia misura, concorrono alla sua creazione» (par. 6.2. del Considerato in diritto). Essa, dunque, «non colpisce il reddito personale del contribuente, bensì il valore aggiunto prodotto dalle attività aUtonomamente organizzate» (par. 10.1.).

Muovendo da tale premessa la Corte costituzionale rileva, poi, che, «mentre l'elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l'attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un'attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitale o lavoro altrui».

Tenuto conto delle argomentazioni che sostengono la pronuncia in questione, che vanno pienamente recepite, mentre non appare lecito porre ulteriormente in dubbio, più o meno surrettiziamente, la legittimità costituzionale dell'IRAP applicata ai lavori autonomi - dovendo aversi ormai per pacifico che tale imposta colpisce un fatto economico diverso dal reddito rappresentato dal valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate ciò che occorre valutare, al fine di escludere, eventualmente, l'assoggettabilità in concreto all'IRAP degli esercenti arti e professioni cui fa riferimento l'art. 3, comma 1, lett. c), del d.lgs. n. 446 del 1997, è se la loro attività professionale sia svolta in assenza di elementi di autonoma organizzazione di capitale o lavoro altrui.

Quanto all'individuazione del concetto di "autonoma organizzazione", esso evidentemente comporta che si tratti di un'organizzazione di cui sia responsabile, in qualsiasi forma, lo stesso professionista (il che porta ad escludere dall'area dell'imposizione tutte quelle ipotesi in cui egli sia inserito in una struttura organizzata da altri nel proprio interesse) e che tale organizzazione non si esaurisca nella mera auto-organizzazione del lavoro individuale, ma comporti l'utilizzo di beni strumentali - mobili (diversi dagli strumenti indispensabili per l'esercizio dell'attività) o immobili (ad esempio lo studio professionale), a qualsiasi titolo posseduti - e/o di lavoro altrui (non necessariamente nella forma del lavoro dipendente), organizzati in modo da accreScere in modo apprezzabile la capacità di guadagno del lavoratore autonomo.

Alla stregua di tale indagine, l'assoggettabilità ad IRAP dovrà essere esclusa solo in quanto venga accertata in punto di fatto l'assenza di siffatti elementi organizzativi, non consentendo la lettera e la ratio della norma l'adozione di un criterio quantitativo, in virtù del quale il professionista possa ritenersi sottratto all'imposta in ragione della (necessariamente opinabile) esiguità dei pur esistenti elementi di autonoma organizzazione.

Non può non considerarsi, al riguardo, che - come lo stesso giudice delle leggi ha rilevato in altra pronuncia - carattere peculiare dell'IRAP è il suo essere «tributo sostitutivo di altri tributi e prestazioni imposte» (sentenza n. 21 del 2005) e che tra i tributi aboliti dall'art. 36 del d.lgs. n. 446 del 1997 e sostituiti dall'IRAP vi è anche l'ICIAP, che, a sua volta, gravava sui professionisti, indipendentemente dalla consistenza dell'organizzazione da essi predisposta.

L'onere di fornire la prova dell'assenza di elementi di organizzazione, trattandosi di domanda di rimborso, grava evidentemente sul contribuente istante.

2.2. - Nel caso di specie la Commissione tributaria regionale non ha dato adeguato conto di avere effettuato una esauriente valutazione di tutti gli elementi in atti ed in particolare di quelli, emergenti dalla dichiarazione dei redditi, espressamente indicati dall'ufficio nell'atto di appello come sintomatici dell'esistenza di un'autonoma organizzazione.
La sentenza impugnata va pertanto cassata, con rinvio ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania, perché proceda ad un nuovo esame dell'appello sulla base del seguente principio di diritto: «A norma del combinato disposto degli artt. 2, primo periodo, e 3, comma 1, lett. c), del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, l'esercizio delle attività di lavoro autonomo di cui all'art. 49, comma 1, T.U.I.R. (nella versione vigente fino al 31 dicembre 2003, e all'art. 53, comma 1, del medesimo TUIR, nella versione dal 1° gennaio 2004), è escluso dall'applicazione dell'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) solo qualora si tratti di attività non "autonomamente organizzata".

Il requisito dell'"autonoma organizzazione", il cui accertamento spetta al giudice di merito è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui.

Costituisce onere del contribuente che chieda il rimborso dell'imposta asseritamente non dovuta dare la prova dell'assenza delle condizioni sopraelencate»
Il giudice di rinvio provvederà altresì riguardo alle spese del presente giudizio di legittimità.



P.Q.M.



La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Campania.

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