L'evasione dell'Irap all'estero non legittima il mandato di arresto europeo

Dal MAE e dalla documentazione allegata si ricava una evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto assimilabili a corrispondenti obblighi tributari previsti dall'ordinamento italiano (IEPEF, IVA). Stante il disposto dell'art. 5 del d. lsl. 10 marzo 2000 n. 74, in tema di omessa dichiarazione relativa alle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, appare dunque rispettato il requisito della punibilità nel nostro ordinamento con la reclusione pari o superiore a tre anni, non rilevando che in passato, sotto il regime del d.l. n. 429 del 1982, conv. nella l. n. 516 del 1982, analoghe violazione fossero punite nell'ordinamento italiano a titolo di contravvenzione, non dovendo l'autorità giudiziaria italiana investita di un MAE occuparsi della applicazione di pene ma solo della compatibilità, nei limiti previsti della legge, delle previsioni penali contenute nell’ordinamento dello Stato membro con quelle interne.
Invece, la contestazione dell'omesso pagamento dell'imposta comunale sull'attività di impresa non trova riscontro in una analoga fattispecie criminosa dell'ordinamento italiano. Anche ammettendo che tale imposta possa corrispondere alla imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) prevista dall'ordinamento tributario italiano, per le varie condotte relative al mancato pagamento di essa non sono contemplate ipotesi di reato ma solo violazioni amministrative.(Corte di Cassazione Sezione 6 Penale, Sentenza del 9 luglio 2008, n. 28139)



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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dai Signori:

Dott. Giorgio Lattanzi - Presidente -

1. Dott. Arturo Cortese - Consigliere -

2. Dott. Giovanni Conti - Consigliere -

3. Dott. Domenico Carcano - Consigliere -

4. Dott. Giorgio Fidelbo - Consigliere -

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

sul ricorso proposto da

Lu.Ci., n. a Bu. il (...).

avverso la sentenza in data 20 marzo 2008 della Corte di appello di Venezia.

Visti gli atti, la sentenza denunziata e il ricorso;

Udita la relazione fatta dal Consigliere dott. Giovanni Conti;

Udito il Pubblico ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott. Giuseppe Febbraro, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

Con la sentenza in epigrafe, la Corte di appello di Venezia disponeva la consegna all'autorità giudiziaria della Repubblica Federale Tedesca di Ci.Lu., cittadino italiano, nei confronti del quale era stato emesso in data 24 luglio 2007 dal Procuratore di Stato di Monaco di Baviera (Oberstaatsanwalt Munchen) mandato di arresto europeo (MAE) per il reato di evasione fiscale, punito con la reclusione fino a cinque anni dall'art. 370 del codice tributario tedesco e dall'art. 50 cod. pen. tedesco, sulla base di un provvedimento di custodia cautelare interno (Haftbefehl) emesso dalla Pretura di Monaco di Baviera (Amtsgericht Munchen) il 10 luglio 2007.

La Corte di appello, in applicazione dell'art. 19 comma 1, lett. c), della legge 22 aprile 2005, n. 69, disponeva che la consegna era subordinata alla condizione che il Lu., dopo il processo, fosse rinviato in Italia per qui scontare la pena o misura di sicurezza privativa della libertà personale.

Avverso detta sentenza ricorre per cassazione il difensore del Lu., avv. An.In., il quale denuncia:

1. Violazione dell'art. 6 comma 4 della legge n. 69 del 2005, mancando una relazione sui fatti addebitati, recante la indicazione delle fonti di prova, del tempo e del luogo di commissione dei fatti e della loro qualificazione giuridica.

Tale relazione non poteva considerarsi supplita dal contenuto del MAE, dato che esso contrastava con il mandato di arresto interno con riguardo al tempo di consumazione dei fatti addebitati.

Dal MAE si ricava che il Lu. non avrebbe effettuato la dichiarazione dei redditi e della tassa comunale sull'esercizio di attività di impresa dal 1998 al 2002, ma poi nel prospetto allegato al mandato di arresto interno veniva aggiunto anche l'anno 2003.

Inoltre dallo stesso MAE si ricava che il Lu. non avrebbe effettuato la dichiarazione di imposta sul valore aggiunto dal 1999 al 2003, ma in un precedente MAE emesso nell'anno 2005 (poi non eseguito) il periodo di consumazione si sarebbe esteso sino al 2005.

Ancora, dalla documentazione trasmessa, non è dato desumere il contenuto delle violazioni di legge, che sono invece, meramente indicate, nel mandato di arresto interno.

Queste lacune e incertezze circa i fatti contestati determinavano una evidente lesione del diritto di difesa.

2. Violazione dell'art. 7 della legge n. 69 del 2005 e carenza di motivazione in punto di doppia punibilità in materia di reati fiscali.

La Corte di appello ritiene che le ipotesi indicate nel MAE siano assimilabili a tasse o imposte previste dall'ordinamento italiano. Ma l'autorità tedesca non ha indicato né il contenuto delle norme tributarie, né i soggetti cui la relativa disciplina è indirizzata.

Certamente l'omesso pagamento della imposta comunale sull'attività commerciale non trova alcun aggancio nelle previsioni della legge n. 74 del 2000.

Inoltre, l'art. 7 richiede che per la violazione di analoghi obblighi tributari l'ordinamento italiano preveda la pena della reclusione pari o superiore a tre anni, ma, secondo il nostro ordinamento, ai fatti di omesso pagamento di tasse e imposte commessi sino alla entrata in vigore della legge n. 74 del 2000, e cioè sotto il regime della legge n. 516 del 1982 erano applicabili solo fattispecie contravvenzionali.

3. Violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all'art. 40 della legge n. 69 del 2005.

In base a tale disposizione, la disciplina sul MAE non si applica ai reati commessi anteriormente al 7 agosto 2002.

La sentenza impugnata desume dal riferimento a un unico disegno criminoso contenuto nel MAE l'esistenza nell'ordinamento tedesco di un istituto assimilabile a quello del reato continuato previsto dal nostro ordinamento, senza però che di esso vi sia alcuna specifica indicazione.

In ogni caso la configurabilità del reato continuato quale reato unico, secondo criteri ispirati nell'ordinamento italiano al favor rei, non può comportare conseguenze sfavorevoli per il soggetto interessato.

Diritto

1. Il ricorso è solo in parte fondato.

2. La previsione secondo cui al MAE deve essere allegata una "relazione sui fatti addebitati alla persona della quale è domandata la consegna, con l'indicazione delle fonti di prova, del tempo e del luogo di commissione dei fatti stessi e della loro qualificazione giuridica" (art. 6 comma 4, lett. a, della legge n. 69 del 2005) non va intesa in senso formalistico, come sarebbe se si ritenesse imprescindibile l'allegazione al MAE di un atto così denominato, ma nel senso che nella documentazione trasmessa dall'autorità dello Stato emittente siano indicati gli elementi che tale norma richiede ai fini dell'accoglimento della richiesta di consegna, che ben possono essere contenuti in qualsiasi atto proveniente da tale autorità (v. tra le altre Cass., sez. VI, 14 febbraio 2007, Piaggio).

Nella specie, come del resto riconosce lo stesso ricorrente, tali dati erano tutti desumibili dall'allegato al mandato di arresto interno (fol. 111), in cui si specificano, appunto, i fatti addebitati, le fonti di prova (di natura documentale), il tempo e il luogo delle omesse dichiarazioni fiscali.

3. Non vi è contraddizione tra il MAE e il mandato di arresto interno circa le indicazioni temporali dei fatti contestati. In entrambi i provvedimenti si fa riferimento ai "redditi conseguiti" dalla impresa del Lu. negli anni dal 1998 al 2002, mentre il richiamo all'anno 2003 si riferisce alla condotta omissiva, e cioè alle dichiarazioni che dovevano essere fatte con riferimento all'anno precedente.

Non vi è ragione poi di considerare quanto risulterebbe indicato in un precedente MAE del 2005, che, per motivi che qui non interessano, non ha avuto alcun seguito e che non costituisce titolo della presente procedura di richiesta di consegna.

4. Risulta solo parzialmente soddisfatta la previsione dell'art. 7 comma 2 della legge n. 69 del 2005 circa il presupposto della assimilabilità, per analogia, delle tasse o imposte evase nello Stato di emissione rispetto a quelle contemplate dalla legge italiana.

Dal MAE e dalla documentazione allegata si ricava una evasione delle imposte sui redditi e sul valore aggiunto assimilabili a corrispondenti obblighi tributari previsti dall'ordinamento italiano (IRPEF, IVA).

Stante il disposto dell'art. 5 del d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, in tema di omessa dichiarazione relativa alle imposte sui redditi e sul valore aggiunto, appare dunque rispettato il requisito della punibilità nel nostro ordinamento con la reclusione pari o superiore a tre anni, non rilevando che in passato, sotto il regime del d.l. n. 429 del 1982 conv. nella l. n. 516 del 1982 analoghe violazioni fossero punite nell'ordinamento italiano a titolo di contravvenzione, non dovendo l'autorità giudiziaria italiana investita di un MAE occuparsi della applicazione di pene ma solo della compatibilità, nei limiti previsti della legge, delle previsioni penali contenute nell'ordinamento dello Stato membro con quelle interne.

Invece, la contestazione dell'omesso pagamento dell'imposta comunale sull'attività di impresa non trova riscontro in una analoga fattispecie criminosa dell'ordinamento italiano. Anche ammettendo che tale imposta possa corrispondere alla imposta regionale sulle attività produttive (IRAP) prevista dall'ordinamento tributario italiano, per le varie condotte relative al mancato pagamento di essa non sono contemplate ipotesi di reato ma solo violazioni amministrative.

5. Appare parzialmente fondato anche il rilievo che fa leva sul discrimine temporale, fissato nel 7 agosto 2002 dall'art. 40 della legge n. 69 del 2005, ai fini dell'applicabilità della disciplina del MAE.

L'autorità tedesca ha precisato nel MAE che il Lu. ha posto in essere le condotte contestate "seguendo il suo piano criminoso", ma, rispondendo a una richiesta di informazioni di questa Corte, non ha dichiarato che nell'ordinamento tedesco esiste un istituto assimilabile a quello del reato continuato contemplato dall'art. 81 cpv. c.p., precisando solo che esiste la possibilità di un cumulo giuridico delle pene qualora più reati siano esaminati nell'ambito dello stesso procedimento penale (par. 53 cod. pen. tedesco).

Non sussistono dunque i presupposti per ritenere le varie condotte unificate in un unico reato che abbia avuto come ultima manifestazione criminosa una condotta realizzata dopo la detta data del 7 agosto 2002, e quindi non è possibile applicare nella specie la stessa ratio decidendi su cui avevano fatto leva le sentenze di questa Sezione in data 26 ottobre 2007, Aquilano, e 10 dicembre 2007, Krol; non rilevando a tal fine un mero cumulo giuridico delle pene conseguenti a reati commessi prima e dopo detto discrimine temporale (v. in analoga fattispecie Sez. VI, 27 febbraio 2008, Buzuleac).

Tutte le condotte relative all'omesso pagamento dei tributi commesse prima dell'anno 2003 non possono dunque formare oggetto di consegna.

6. La sentenza impugnata va pertanto annullata senza rinvio limitatamente ai reati commessi prima del 7 agosto 2002 e a tutti quelli relativi all'imposta comunale sulle attività commerciali prevista dall'ordinamento tedesco.

Nel resto il ricorso deve essere rigettato.

La Cancelleria provvedere agli adempimenti di cui all'art. 22 comma 5 legge n. 69 del 2005.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente ai reati commessi prima del 7 agosto 2002 e a tutti quelli relativi all'imposta comunale sulle attività commerciali.

Rigetta nel resto il ricorso.

Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all'art. 22 comma 5 legge n. 69 del 2005.

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