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La Cassazione ritiene valido l'accertamento induttivo in presenza di contabilità "in nero" del dentista
Pubblicata il 04/11/2013
Corte di Cassazione, Sezione Tributaria civile, Sentenza 6 settembre 2013, n. 20492
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Corte di Cassazione, Sezione Tributaria civile
Sentenza 6 settembre 2013, n. 20492
Integrale
IMPOSTE SUI REDDITI - ACCERTAMENTO INDUTTIVO - PROFESSIONISTA - MEDICO DENTISTA - SCRITTURE ED ANNOTAZIONI RINVENUTE NELL'ABITAZIONE - VALORE PROBATORIO DELLA CONTABILITA' IN NERO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAPPABIANCA Aurelio - Presidente
Dott. VIRGILIO Biagio - rel. Consigliere
Dott. GRECO Antonio - Consigliere
Dott. CIGNA Mario - Consigliere
Dott. FERRO Massimo - Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS) e (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS) presso l'avv. (OMISSIS), che li rappresenta e difende giusta delega in atti;
- ricorrenti -
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12, presso l'Avvocatura Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
- controricorrente -
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 56/11/07, depositata il 13 aprile 2007;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10 aprile 2013 dal Relatore Cons. Dott. Biagio Virgilio;
uditi l'avv. (OMISSIS) (per delega) per i ricorrenti e l'avvocato dello Stato (OMISSIS) per la controricorrente;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SEPE Ennio Attilio, il quale ha concluso per l'accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. (OMISSIS) e (OMISSIS) propongono ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia indicata in epigrafe, con la quale, rigettando l'appello da loro proposto in qualita' di eredi di (OMISSIS), e' stata confermata la legittimita' dell'avviso di accertamento emesso nei confronti di quest'ultimo, medico odontoiatra, per IRPEF ed IRAP relative all'anno 1999.
In particolare, il giudice di merito ha ritenuto, da un lato, che non sussisteva il difetto di motivazione dell'avviso impugnato, essendo stato notificato al contribuente il p.v.c. redatto dalla Guardia di finanza sul quale l'atto impositivo si fondava, e, dall'altro, che la documentazione extracontabile rinvenuta nella abitazione del (OMISSIS) era riconducibile, ai sensi dell'articolo 2729 cod. civ., alla sua attivita' professionale, senza che fosse stata offerta alcuna prova contraria idonea a vincere la presunzione.
2. L'Agenzia delle entrate resiste con controricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Con il primo motivo, i ricorrenti, denunciando violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 42, dell'articolo 97 Cost. e della Legge n. 241 del 1990, articolo 3, censurano la sentenza impugnata per avere il giudice a quo rigettato l'eccezione di difetto di motivazione dell'avviso di accertamento sulla base del solo rilievo che esso faceva rinvio al p.v.c. notificato al contribuente, ma che in realta' era privo dell'indicazione dei presupposti di fatto e delle ragioni giuridiche poste a fondamento dell'atto impositivo.
Il motivo e' inammissibile, in base al consolidato orientamento secondo il quale, per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, qualora il ricorrente censuri la sentenza di una commissione tributaria regionale sotto il profilo della legittimita' e congruita' del giudizio espresso in ordine alla motivazione di un avviso di accertamento, e' necessario, a pena di inammissibilita', che il ricorso riporti testualmente la motivazione di detto atto che si assume erroneamente valutata dal giudice di merito, al fine di consentire a questa Corte di esprimere il suo giudizio esclusivamente in base al ricorso medesimo (da ult., Cass. nn. 8312 e 9536 del 2013) (peraltro, il giudice di merito ha affermato che il contribuente "e' stato compiutamente edotto della pretesa tributaria, tanto e' vero che ha potuto svolgere una complessa difesa sia in primo che in secondo grado").
2.1. Con il secondo motivo, e' denunciata la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, sostenendo la tesi della inutilizzabilita' dell'accertamento induttivo in base ad una contabilita' parallela non organizzata ne' chiaramente imputabile all'attivita' del contribuente.
Con la terza censura, si deduce nuovamente la violazione del citato articolo 39, nonche' degli articoli 2727 e 2729 c.c., contestando la sussistenza, nella specie, sia del fatto noto posto a base della presunzione di maggior reddito, sia dei requisiti di gravita', precisione e concordanza di tale presunzione.
Con il quarto motivo, e' denunciata la violazione, oltre che, ancora, del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 39, anche del Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articoli 7, 32, 58 e 59, imputando al giudice di merito di aver omesso di esaminare la documentazione contabile del contribuente, cosi' venendo meno al proprio dovere di verificare nel merito la fondatezza della pretesa tributaria.
Infine, con l'ultima censura, riferita a violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articoli 39, 40 e 42 ed a vizio di motivazione, sono sostanzialmente riproposte le doglianze contenute nei motivi precedenti.
2.2. I motivi, da esaminare congiuntamente per stretta connessione, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
Va, innanzitutto, ribadito il consolidato principio della giurisprudenza di questa Corte secondo il quale, in tema di accertamento delle imposte sui redditi (cosi' come dell'IVA), la "contabilita' in nero", o "parallela", costituita da appunti personali (brogliacci, block notes, agende, ecc.) ed informazioni dell'imprenditore, rappresenta un valido elemento indiziario, dotato dei requisiti di gravita', precisione e concordanza prescritti dal Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 39 (e, per l'IVA, dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 54), dovendo ricomprendersi tra le scritture contabili disciplinate dagli articoli 2709 e ss. cod. civ. tutti i documenti che registrino, in termini quantitativi o monetali, i singoli atti d'impresa, ovvero rappresentino la situazione patrimoniale dell'imprenditore ed il risultato economico dell'attivita' svolta; ne consegue che detta "contabilita' in nero", per il suo valore probatorio, legittima di per se', ed a prescindere dalla sussistenza di qualsivoglia altro elemento, il ricorso all'accertamento induttivo di cui al citato articolo 39 (e 54), incombendo al contribuente l'onere di fornire la prova contraria, al fine di contestare l'atto impositivo notificatogli (cfr., tra le altre, Cass. nn. 6949 e 25610 del 2006, 24051 del 2011, 8625 del 2012).
Cio' posto, il giudice a quo ha affermato, con accertamento di fatto congruamente motivato e, comunque, contestato in modo del tutto generico e inadeguato, che il contribuente non ha addotto alcun elemento probatorio "che possa ricondurre quanto indicato nelle annotazioni reperite presso la sua abitazione a spese di carattere personale", laddove, anzi, i riscontri operati dalla Guardia di finanza "lasciano chiaramente intendere che trattasi di annotazioni afferenti compensi percepiti e non contabilizzati"; ha aggiunto, quindi, che le dette annotazioni "sono riconducigli all'attivita' professionale esercitata dal contribuente", costituendo "elementi gravi, precisi e concordanti ex articolo 2729 c.c. su cui fondare l'accertamento", a fronte dei quali il contribuente stesso "non ha offerto prova alcuna" per vincere la presunzione.
3. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti alle spese del presente giudizio di cassazione, che liquida in euro 14000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.