Sulla merce rinvenuta in un deposito la cui esistenza non era stata comunicata è dovuta l'IVA

Ai fini dell'obbligo IVA si presumono cedute anche le merci collocate in depositi di proprietà del contribuente, se l'inerenza di questi ultimi nell'esercizio imprenditoriale non sia stata formalmente dichiarata nei modi e nei tempi prestabiliti, al fine di evitare possibili elusioni per il tramite di immagazzinamenti in locali non noti e non controllabili dall'ufficio. La presunzione in questione non può essere impedita dalla sopravvenuta "ufficializzazione" del deposito non dichiarato, se successiva all'immissione, in esso, della merce acquistata e quindi al verificarsi degli estremi che determinano l'applicazione della presunzione medesima. (Corte di Cassazione, Sezione tributaria, sentenza 24 gennaio – 13 febbraio 2008, n. 3435)



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Ritenuto in fatto

che la Commissione tributaria provinciale di Roma accolse il ricorso proposto da Dante S. avverso l'avviso di rettifica della dichiarazione IVA presentata dal ricorrente per il 1995, basato su varie riprese, tra le quali quella relativa alla presunzione di cessione di merce rinvenuta in un deposito la cui esistenza non era stata comunicata;

che l'appello proposto dall'Ufficio venne rigettato dalla Commissione tributaria regionale del Lazio, la quale, con la sentenza indicata in epigrafe, osservò esclusivamente che "la mancata comunicazione nei termini della esistenza del deposito in cui è stata rinvenuta la merce oggetto di contestazione da cui è scaturito l'atto impositivo, non può di per sé costituire una presunzione di vendita, avendo il contribuente dimostrato, con il contratto di fitto esibito, la disponibilità del locale e la esistenza a magazzino della merce. Il ritardo nella comunicazione all'Ufficio IVA della esistenza di detto locale costituisce infrazione formale e non inficia in termini sostanziali la posizione del contribuente";

che avverso tale sentenza il Ministero dell'economia e delle finanze e l'Agenzia delle entrate propongono ricorso per cassazione, mentre il contribuente non si è costituito.

Considerato in diritto

che, con l'unico complesso motivo, i ricorrenti denunciano sia l'omessa pronuncia, da parte del giudice a quo, su una serie di questioni, riproposte nell'atto di appello, concernenti diversi recuperi posti a fondamento dell'avviso di rettifica, sia la violazione dell'art. 53 del d.P.R. n. 633 del 1972, per non avere il giudice ritenuto operante la presunzione di cessione di merci rinvenute in luoghi non regolarmente denunciati all'Ufficio ai sensi dell'art. 35 del medesimo d.P.R.;

che il ricorso è manifestamente fondato sotto entrambi i profili;

che, infatti, quanto al primo, risulta dall'esame del ricorso in appello dell'Ufficio (e dalla stessa sentenza impugnata) che quest'ultimo aveva censurato la sentenza di primo grado, oltre che sulla questione della presunzione di vendita delle merci rinvenute nel deposito, anche in relazione all'accoglimento del ricorso del contribuente in ordine ad altri recuperi effettuati con l'avviso impugnato; quanto alla seconda censura, costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, dal quale il Collegio non ravvisa motivi di discostarsi, quello secondo cui l'art. 53 del d.P.R. n. 633 del 1972, dopo aver stabilito, con il primo comma, che si presumono ceduti i beni acquistati ( importati o prodotti) che non si trovino nei locali in cui il contribuente eserciti la sua attività, compresi i depositi, con il secondo comma dispone che questi ultimi devono essere indicati, a norma dell'art. 35 (o dell'art. 81) dello stesso d.P.R. n. 633, e cioè denunciati con la dichiarazione d'inizio di quell'attività, ovvero in caso di successiva variazione, entro trenta giorni: dal dato letterale e dal collegamento delle due disposizioni (la seconda chiarisce quali siano i luoghi influenti per la prima) si manifesta l'intento del legislatore di presumere cedute anche le merci collocate in depositi di proprietà del contribuente, se l'inerenza di questi ultimi all'esercizio imprenditoriale non sia stata formalmente dichiarata nei modi e nei tempi prestabiliti, al fine di evitare possibili elusioni dell'IVA per il tramite di immagazzinamenti in locali non noti e non controllabili dall'ufficio; la presunzione in questione non può essere impedita dalla sopravvenuta "ufficializzazione" del deposito non dichiarato, se successiva all'immissione, in esso, della merce acquistata, e quindi al verificarsi degli estremi che determinano l'applicazione della presunzione medesima (Cass. nn. 3691 del 1999, 28693 del 2005, 16483 e 18818 del 2006); che, in conclusione, il ricorso va accolto, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio, la quale procederà a nuovo esame della controversia, uniformandosi al principio di diritto sopra enunciato, oltre a provvedere in ordine alle spese anche del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Lazio.

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