Lavoratori e mansioni - Jus Variandi

Le mansioni del lavoratori di cui all' art. 2103 c.c. contribuiscono all'individuazione del tipo di attività oggetto dell'obbligazione lavorativa. In relazione ad esse vengono stabilite la qualifica e la categoria del lavoratore.

Principi generali

Le mansioni del lavoratori di cui all’ art. 2103 c.c. contribuiscono all’individuazione del tipo di attività oggetto dell’obbligazione lavorativa.

In relazione ad esse vengono stabilite la qualifica e la categoria del lavoratore.

In generale il lavoratore viene assunto per lo svolgimento di una serie di mansioni o di compiti .

L’oggetto della prestazione è determinato genericamente, facendo cioè riferimento ai compiti ed alle mansioni per cui il prestatore di lavoro è stato assunto, che verranno poi specificati dal datore di lavoro.

Le qualifiche dei lavoratori sono l’insieme delle mansioni risultanti dalle classificazioni delle posizioni di lavoro.

Le categorie di lavoratori

Le categorie vengono determinate sulla base delle mansioni e qualifiche allo scopo di individuare alcuni aspetti del trattamento c.d. normativo del lavoratore, stabilito dalla legge o dalla contrattazione collettiva

L’art. 2095 c.c. individua tre tipi categorie: operai, impiegati e dirigenti. La L. 190\1985 ha aggiunto la categoria dei quadri:

  • DIRIGENTI: Il legislatore non ha codificato la definizione di tale figura, ed ha rinviato per il tramite dell’art. 2095 c.c. alla contrattazione collettiva. Il dirigente è considerato l’alter ego dell’imprenditore, preposto alla direzione dell’impresa o ad un ramo importante e autonoma di essa e dotato, a tal fine, di piena autonomia nell’ambito delle direttive generali dell’imprenditore.

    A tale categoria di lavoratori non si applicano le norme in tema di riposi settimanali, orario di lavoro e quindi limiti e compensi per lavoro straordinario, i limiti della disciplina del lavoro a termine e ed i limiti al potere di licenziamento del datore di lavoratore

    La contrattazione collettiva prevede infine per i dirigenti condizioni più favorevoli rispetto agli impiegati e agli operai, in ordine alla retribuzione, al preavviso ed ai c.d. fringe benefits.
  • QUADRI: l’art. 2 della L. 190\1985 definisce il quadro come lavoratore subordinato che, pur non appartenendo alla categoria del dirigente, svolge funzioni con carattere continuativo di rilevante importanza ai fini dello sviluppo e dell’attuazione degli obiettivi dell’impresa. In questa definizione rientrano, pertanto coloro che svolgono prevalentemente funzioni di controllo e di coordinamento dell’attività di altri lavoratori nonché coloro che svolgono prevalentemente funzioni di progettazione, innovazione e gestione di servizi con particolare competenza tecnica.

    I requisiti di appartenenza di tale categoria sono determinati dalla contrattazione collettiva nazionale o aziendale in relazione ad ogni ramo di produzione e della particolare struttura organizzativa dell’ impresa.

    L’art. 2 comma 3 della l. 190\1985 stabilisce che, salvo diversa espressa disposizione, si applica ai quadri la normativa riguardante la categoria degli impiegati.
  • IMPIEGATI: l’art. 1 del r.d.l. 1825\1924 definisce l’impiegato come colui che svolge attività professionale con funzioni di collaborazione, di concetto e di ordine, fatta salva ogni prestazione solo di manodopera. Gli accordi interconfederali del 1946 comprendono in tale categoria anche i lavoratori adibiti a mansioni tecniche e amministrative non richiedenti particolare preparazione , esperienza e tecnica d’ufficio.

    Gli impiegati vengono distinti altresì distinti in impiegati di concetto ed impiegati d’ordine.

    I primi sono preposti allo svolgimento di attività intellettuale che implichi una elevata autonomia gestionale.

    I secondi invece svolgono un lavoro intellettuale senza propria autonomia seguendo le direttive altrui.
  • OPERAI: Nel nostro ordinamento non esiste una definizione esplicita di operaio, ma essa è ricavabile solo per esclusione dal momento che l’inquadramento dei lavoratori in tale categoria si giustifica sulla base dell’assegnazione di mansioni tradizionalmente non ricollegabili alla categoria degli impiegati sebbene implichino lo svolgimento di attività intellettuale, iniziativa e una certa autonomia decisionale.
Le mansioni

Secondo il c.d. principio di contrattualità delle mansioni di cui all’art. 2103 c.c. il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per cui è stato assunto.

Il codice civile precisa, all’art. 76 disp. att., che al momento dell’assunzione il datore di lavoro deve far conoscere al lavoratore la categoria e la qualifica che gli sono state assegnate in relazione alle mansioni per cui è assunto.

Sono prevista carico del datore di lavoro alcuni obblighi di informazione allo scopo di garantire al lavoratore la certezza del suo inquadramento e del suo trattamento.

Egli infatti ai sensi del D. lgs 152\1997 ha l’obbligo di dare informazioni per iscritto al lavoratore, entro 30 giorni sul suo inquadramento, livello e qualifica oppure sulle caratteristiche o sulla descrizione sommaria del lavoro nonché sulle loro modifiche non derivanti direttamente dalla legge, dal regolamento o dai contratti collettivi.

Spesso le mansioni e la qualifica vengono precisati dalla contrattazione collettiva.

In assenza di una indicazione specifica occorre fare riferimento, al fine di individuare la qualifica, alle mansioni effettivamente svolte in modo stabile all’interno dell’azienda.

Lo “jus variandi”

Caratteristica del rapporto di lavoro è il potere attribuito al datore di lavoro di modificare le mansioni del lavoratore durate lo svolgimento del rapporto di lavoro (c.d. jus variandi).

Potere che incontra determinati limiti.

Tale potere risulta giustificato dalle esigenze flessibili dell’organizzazione del lavoro che spesso, per il loro carattere di eccezionalità, richiedono modifiche non prevedibili e non arginabili con l’assunzione di altri lavoratori.

Nella formulazione originaria dell’art. 2103 c.c. lo jus variandi veniva esercitato dal datore in modo corrispondente alle esigenze dell’azienda ed in modo che non comportasse una diminuzione della retribuzione ed un mutamento sostanziale della posizione del lavoratore.

Quest’ultimo risultava pertanto tutelato dal solo limite della invariabilità in peius della retribuzione, in quanto la norma vietava gli spostamenti unilaterali consentendo, invece quelli concordati.

L’art. 13 della L. 300\1970 (c.d. Statuto dei lavoratori) ha novellato l’art. 2103 c.c. che oggi stabilisce che il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o quelle corrispondenti alla categoria superiore che abbia successivamente acquisito, ovvero a mansioni equivalenti alle ultime effettivamente svolte senza alcuna diminuzione della retribuzione.

Qualora al lavoratore siano assegnate mansioni superiori, egli ha il diritto al trattamento corrispondente alla attività svolta e l’assegnazione diventa definitiva ove non sia stata disposta per sostituire un lavoratore assente con diritto alla conservazione del posto e dopo un periodo determinato dai contratti collettivi, mai superiore ai 3 mesi.

Per “ultime mansioni svolte” si intendono quelle svolte non occasionalmente ma con stabilità, mentre per “mansioni equivalenti” occorre riferirsi alla equivalenza professionale volta a garantire il lavoratore da ogni impoverimento del proprio patrimonio professionale considerando l’insieme delle attitudini e delle capacità.

La disciplina dello jus variandi non può essere derogata per patto intervenuto tra le parti che, ai sensi e per gli effetti dell’ultimo comma dell’ art. 2103 c.c., deve considerarsi radicalmente nullo.

La L. 223\1991 tuttavia ha previsto che, allo scopo di evitare licenziamenti , in deroga all’art. 2103 la possibilità del datore di lavoro di adibire il lavoratore a mansioni difformi mediante, però, apposito accordo sindacale.

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